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TAR Piemonte, Sez. I, 29/4/2021 n. 448
Sulla rimessione alla Corte costituzionale della questione sull'automatismo interdittivo della comunicazione antimafia per il reato di traffico illecito di rifiuti, anche in forma non associativa

Alla luce dei principi di ragionevolezza e proporzionalità, l'effetto automatico proprio della comunicazione antimafia nell'ipotesi di condanna per il reato di cui all'art. 452-quaterdecies c.p., nella sua variante non associativa e non correlata alla criminalità organizzata, non risponde compiutamente alla tutela dell'interesse pubblico generale sotteso all'istituto della comunicazione antimafia comportando il rischio di un'indebita lesione di diritti costituzionalmente garantiti, primi tra tutti la libertà di iniziativa economica di cui all'art. 41 della Costituzione, la quale verrebbe fortemente pregiudicata dai provvedimenti ostativi "a cascata" conseguenti alla comunicazione antimafia, nonché sul sistema di sicurezza sociale di cui all'art. 38 della Costituzione, atteso che la funzione della comunicazione è quella di inibire, nei rapporti tra i privati stessi, qualsivoglia attività soggetta ad autorizzazione, licenza, concessione, abilitazione, iscrizione ad albi (art. 67 del d.lgs. n. 159 del 2011), o anche alla segnalazione certificata di inizio attività (c.d. s.c.i.a) e alla disciplina del silenzio assenso (art. 89, comma 2, lett. a) e lett. b) del d.lgs. n. 159 del 2011).Occorre rilevare, altresì, come il collocamento della condanna per il reato di cui all'art. 452- quaterdecies c.p., nella sua forma non associativa, tra i presupposti richiesti ai fini del rilascio della comunicazione interdittiva determinerebbe un irragionevole aggravio del trattamento sanzionatorio in violazione dell'art. 25 e 27 della Costituzione, peraltro, non giustificato da un'adeguata motivazione da parte dell'Autorità prefettizia, in ragione del suddetto automatismo della comunicazione. Tanto premesso, il T.A.R. Piemonte ritenendola rilevante e non manifestamente infondata, solleva questione di legittimità costituzionale dell'art. 67, c.8, del d. lvo n. 159 del 2011, come richiamato dal II c. dell'art. 84, nella parte in cui, rinviando all'art. 51, c. 3 bis del c.p., si riferisce anche al reato di cui all'art. 452-quaterdecies del c.p., anche nella sua forma non associativa, e quindi nella parte in cui prevede l'automatismo di cui alla comunicazione antimafia nel caso di condanna per il reato di cui all'art. 452-quaterdecies del c.p. anche nella sua forma non associativa, per contrasto con i principi di proporzionalità e ragionevolezza di cui all'art. 3 Costituzione, nonché per contrasto con gli artt. 25, 27, 38 e 41 della Costituzione. Il processo deve, pertanto, essere sospeso, ai sensi e per gli effetti di cui agli artt. 79, 80 del codice del processo amministrativo e 295 c.p.c., con trasmissione immediata degli atti alla Corte costituzionale.

Materia: appalti / disciplina
Pubblicato il 29/04/2021

N. 00448/2021 REG.PROV.COLL.

N. 00446/2020 REG.RIC.           

REPUBBLICA ITALIANA

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

ORDINANZA

sul ricorso numero di registro generale 446 del 2020, integrato da motivi aggiunti, proposto da


-OMISSIS- S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Alessandro Lipani, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;


contro

Ministero dell'Interno, Infrastrutture e Trasporti, Ufficio Territoriale del Governo di Alessandria, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale Torino, domiciliataria ex lege in Torino, via dell'Arsenale, n. 21;

per l'annullamento

per quanto riguarda il ricorso introduttivo:

- del provvedimento del Prefetto della Provincia di Alessandria prot. -OMISSIS- Area1 Antimafia del -OMISSIS-, contenente la comunicazione che nei confronti della ricorrente “risultano sussistere, alla data odierna, le situazioni ostative di cui all'art. 67 e art. 84 comma 2 del D.Lgs. n. 159/2011 e successive modifiche ed integrazioni”;

- della nota dell'U.T.G. di Alessandria n. -OMISSIS- Area1 Antimafia del -OMISSIS- con cui è stato trasmesso il provvedimento di cui sopra;

- del provvedimento, adottato dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, Ufficio motorizzazione civile di Milano, sezione di Alessandria, prot. -OMISSIS-, con il quale, sul presupposto dell'avvenuta adozione dell'atto di cui sopra, è stata disposta la revoca dell'autorizzazione all'esercizio della professione di autotrasportatore su strada con contestuale cancellazione del R.E.N. e dall'Albo degli autotrasportatori;

- di ogni altro atto presupposto, connesso e/o conseguente;

per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati in data 11 gennaio 2021:

- del provvedimento, adottato dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Ufficio motorizzazione civile di Milano, sezione di Alessandria, prot. -OMISSIS-, con il quale è stata disposta la revoca dell'autorizzazione all'esercizio della professione (A.E.P.) e la cancellazione dal R.E.N. e dall'Albo degli autotrasportatori;

- di ogni altro atto presupposto, connesso e/o conseguente.


Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno, del Ministero delle Infrastrutture e Trasporti e dell’Ufficio Territoriale del Governo di Alessandria;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 marzo 2021, celebrata con modalità telematica, la dott.ssa Flavia Risso e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;


La società ricorrente, -OMISSIS- s.r.l., opera nel settore dell’ecologia, svolgendo attività di prelievo, trasporto e smaltimento di sottoprodotti di origine animale, nonché di raccolta e messa in riserva di olii esausti vegetali.

Per lo svolgimento di qualunque attività la ricorrente necessita di plurime autorizzazioni amministrative, quali le autorizzazioni alla raccolta, trasporto e stoccaggio temporaneo di sottoprodotti di origine animale, l’autorizzazione allo stoccaggio provvisorio di rifiuti non pericolosi, l’iscrizione all’Albo Nazionale Gestori Ambientali, l’autorizzazione all’attività di messa in riserva di oli vegetali esausti, l’autorizzazione al trasporto su strada, ecc…

Con nota del -OMISSIS- la Camera di Commercio di Torino ha chiesto, tramite la Banca dati nazionali unica, il rilascio della comunicazione antimafia nei confronti della ricorrente.

Con nota del -OMISSIS-, anche l’Ufficio della Motorizzazione Civile di Roma ha chiesto, tramite la Banca dati nazionale unica, il rilascio della comunicazione antimafia nei confronti della ricorrente.

Infine, con nota del -OMISSIS-, anche il Centro operativo dell’Agenzia delle Entrate di Cagliari ha chiesto, tramite la Banca dati nazionale unica, il rilascio della comunicazione antimafia nei confronti della -OMISSIS- S.r.l.

Con il provvedimento prot. -OMISSIS- del -OMISSIS- il Prefetto della Provincia di Alessandria ha informato la ricorrente della sussistenza nei suoi confronti delle situazioni ostative di cui all’art. 67 e art. 84, comma 2 del decreto legislativo n. 159 del 2011.

Con il ricorso indicato in epigrafe la ricorrente ha impugnato innanzi a questo Tribunale Amministrativo Regionale, chiedendone l’annullamento, il provvedimento sopra richiamato, con il quale la Prefettura di Alessandria disponeva la “comunicazione antimafia” di cui all’art. 84, comma 2, del decreto legislativo n. 159 del 2011 nei confronti della -OMISSIS- S.r.l.

Il provvedimento risulta essere così motivato: “Considerato che, dalla documentazione agli atti risulta che -Tizio- e -Caio- sono procuratori della ditta in argomento; Considerato, altresì che, socio unico della ditta in esame è -Alfa- srl, con sede legale a -OMISSIS- e che i relativi soci di maggioranza sono i suddetti -Tizio-, -Caio- (quest'ultimo, peraltro, anche amministratore unico) e -Sempronio-; Considerato che, il GUP del Tribunale di Cagliari, in data -OMISSIS-, ha emesso la sentenza R.S.-OMISSIS-, depositata il -OMISSIS-, a carico dei suddetti -Sempronio-, -Caio- e -Tizio-, tra l'altro, per il delitto di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti di cui agli artt. 110 c.p., 260 c. 1 D. Lgs 3 aprile 2006 n. 152 - attualmente previsto dall'art. 452-quaterdecies del codice penale — per avere, in concorso tra loro, al fine di conseguire un ingiusto profitto, con numerosissime operazioni e attraverso l'allestimento di mezzi e attività continuative e organizzate (utilizzando a tal fine la -OMISSIS- s.r.l. e dunque le sedi, le attrezzature, i veicoli, i dipendenti, i contatti, ecc. di tale azienda, predisponendo numerosi documenti falsi: registri, formulari, documenti di trasporto, ecc.) riceveva, trasportava, gestiva e smaltiva abusivamente ingenti quantitativi di S.O.A. (sottoprodotti di origine animale) da considerarsi, nel caso concreto, rifiuti (suino sardo a rischio di contaminazione di peste suina, carcasse di ovini morti per la c.d. "lingua blu", parti di bovino a rischio del morbo della c.d. "mucca pazza", ovvero altro materiale a questi commisto e/o comunque destinato dal produttore alla distruzione). Attività abusiva in quanto effettuata per un verso da soggetti non autorizzati e destinando, in concreto, il predetto materiale non alla distruzione/smaltimento nell'Isola ma, previo trasporto fuori dalla Regione, alla produzione di farine ed oli, da utilizzarsi poi per la preparazione di mangimi per animali ed altro. Dagli atti giudiziari risulta che il profitto era rappresentato, da un lato, dal pagamento da parte dei produttori di un prezzo per lo smaltimento — che però non veniva regolarmente effettuato — e dall'altro dall'ottenimento di "materie prime" (seppure illegali) utili per la filiera produttiva sopraindicata. Detto profitto risulta stimabile in circa 1.700.000 euro annuali per il risparmio del mancato regolare smaltimento, al quale va aggiunto il valore quale materia prima e dunque i guadagni della conseguente attività produttiva, detratte le spese (trasporti, lavorazioni, ecc.). Considerato che la Corte di Appello di Cagliari, seconda sezione penale, con nota pervenuta il -OMISSIS-, ha trasmesso copia della sentenza n. -OMISSIS-, depositata in data -OMISSIS-, con la quale, tra l'altro, nei confronti dei predetti -Sempronio-, -Caio- e -Tizio- è stato confermato il delitto di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti di cui agli artt. 110 c.p., 260 c. 1 D. Lgs 3 aprile 2006, n. 152, attualmente previsto dall'art. 452-quaterdecies del codice penale; Visto l'art. 67, comma 8 del D. Lgs 159/2011 e s.m.i. prevede come situazioni ostative al rilascio della liberatoria antimafia le condanne con sentenza confermata in grado di appello per uno dei delitti di cui all'art. 51 c. 3 bis del c.p.p., tra cui figura il delitto configurato dall'art. 260 D. Lgs 3 aprile 2006, n. 152 e, attualmente, previsto dall'articolo 452-quaterdecies del codice penale”.

La comunicazione antimafia di che trattasi, pertanto, trova la propria giustificazione esclusivamente nella condanna, da parte della Corte di Appello di Cagliari, con la sentenza n. -OMISSIS-, dei signori -Tizio-, -Caio- e -Sempronio- (soci di maggioranza del socio unico – -Alfa- S.r.l. – della ricorrente e -Tizio- e -Caio-, anche procuratori della -OMISSIS- S.r.l.), per il reato di “Attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti”.

La ricorrente con il ricorso in epigrafe ha sollevato cinque censure di seguito elencate:

1) Violazione e falsa applicazione degli artt. 67, 84, ed 85 del d.lgs. n. 159 del 2011, dell’art. 51, comma 3 bis c.p.p. e dell’art. 452 quaterdecies c.p., difetto assoluto dei presupposti e di motivazione, difetto di istruttoria, illogicità e travisamento;

2) Violazione e falsa applicazione degli artt. 67 ed 84 del d.lgs. n. 159 del 2011, dell’art. 51, comma 3 bis del c.p.p. e dell’art. 452 quaterdecies c.p., difetto assoluto dei presupposti e di motivazione, difetto di istruttoria, illogicità e travisamento;

3) Violazione e falsa applicazione degli artt. 67, 84, 91 del d.lgs. n. 159 del 2011 e dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990, difetto di istruttoria e di motivazione, violazione del principio di proporzionalità ed adeguatezza dell’azione amministrativa (art. 1 della legge n. 241 del 1990) – illogicità – travisamento;

4) Violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 7 della legge n. 241 del 1990 e del principio comunitario del contraddittorio procedimentale, vizio del procedimento, difetto di istruttoria; in via subordinata: incostituzionalità dell’art. 88 per contrasto con art. 117, comma 1, della Costituzione;

5) In via subordinata: illegittimità costituzionale dell’art. 67, comma 8, del d.lgs. 159 del 2011, come richiamato dal secondo comma dell’art. 84, per contrasto con i principi di proporzionalità e ragionevolezza di cui all’art. 3 della Costituzione e con gli artt. 25, 27, 38 e 41 della Costituzione.

Il Ministero dell’Interno, il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e la Prefettura-Ufficio Territoriale del Governo di Alessandria, si sono costituiti in giudizio, chiedendo che il ricorso venisse respinto in quanto infondato in tutte le sue censure.

Con decreto cautelare del Presidente di questo Tribunale n. 326 del 7 luglio 2020, sussistendo i presupposti di estrema gravità e urgenza ex art. 56 del codice del processo amministrativo, è stata accolta la domanda cautelare e, conseguentemente, sospesa l’efficacia dell’atto impugnato.

Con ordinanza n. 465 del 26 settembre 2020 questo Tribunale ha respinto l’istanza cautelare presentata congiuntamente al ricorso ritenendo che, seppur ad un sommario esame tipico della fase cautelare, non sussistessero profili di fondatezza poiché: “- il provvedimento impugnato è stato adottato dal Prefetto di Alessandria ai sensi dell’art. 67 e 84, comma 2 del decreto legislativo n. 159 del 2011; - trattasi dunque, come già evidenziato nel decreto del Presidente del Tribunale n. 326 del 7 luglio 2020, di una “comunicazione antimafia”, avendo appreso che la Corte di Appello di Cagliari, seconda sezione penale, n. -OMISSIS-, aveva, tra l’altro, confermato, nei confronti dei signori -Sempronio-, -Caio- e -Tizio-, il delitto di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti di cui agli artt. 110 c.p., 260 comma 1 del decreto legislativo 3 aprile 2020, n. 152, oggi previsto dall’art. 452 quaterdecies c.p., delitto previsto all’art. 51, comma 3 bis del c.p.p., e dunque rientrante tra “i delitti spia” richiamati dall’art. 67, comma 8 del decreto legislativo n. 159 del 2011 (sul punto Cons. Stato, sez. III, 27 dicembre 2019, n. 8883; Cons. Stato, sez. III, 2 maggio 2019, n. 2855; Cons. Stato, sez. III, 18 giugno 2019, n. 4125; Cons. Stato, sez. III, 8 marzo 2017, n. 1108); - l’art. 85 del decreto legislativo n. 159 del 2011 prevede che la documentazione antimafia, se si tratta di associazioni, imprese, società, consorzi e raggruppamenti temporanei di imprese, deve riferirsi, oltre che al direttore tecnico, ove previsto, per lo società di capitali, al socio in caso di società con socio unico; - dagli atti di giudizio risulta che il socio unico della -OMISSIS- S.r.l. sia la -Alfa- S.r.l., avente come amministratore unico -Caio- (il quale pertanto non era solo il procuratore della -OMISSIS- S.r.l.); - ritenuto che l’art. 85, laddove fa riferimento al socio unico, debba intendersi riferirsi anche al socio unico persona giuridica (e quindi ai legali rappresentanti e componenti dell’organo di amministrazione di quest’ultima), considerato che, altrimenti, tale organizzazione societaria potrebbe prestarsi a facili elusioni della norma; - ritenuto pertanto integrati i presupposti di cui al combinato disposto degli articoli 67, commi 1 e 8, 84, comma 2 e 85 del decreto legislativo n. 159 del 2011; (in termini, Cons. Stato, sez. III, 18 giugno 2019, n. 4125)”; - per quanto riguarda la questione della tutela del contraddittorio nei procedimenti in esame, il Collegio condivide la posizione espressa dal Consiglio di Stato con la sentenza della sez. III, 31 gennaio 2020, n. 820 secondo la quale “…la delicatezza della ponderazione intesa a contrastare in via preventiva la minaccia insidiosa ed esiziale delle organizzazioni mafiose, richiesta all’autorità amministrativa, può comportare anche un’attenuazione, se non una eliminazione, del contraddittorio procedimentale, che del resto non è un valore assoluto, come ha pure chiarito la Corte di Giustizia UE nella sua giurisprudenza (ma v. pure Corte cost.: sent. n. 309 del 1990 e sent. n. 71 del 2015), o slegato dal doveroso contemperamento di esso con interessi di pari se non superiore rango costituzionale…” (Cons. St., sez. III, 9 febbraio 2017, n. 565)”; per completezza, in merito, si evidenzia che la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, chiamata a pronunciarsi sulla questione dal Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sede di Bari, con l’ordinanza n. 28 del 13 gennaio 2020 (ordinanza richiamata dalla ricorrente nel gravame), ha dichiarato la domanda di pronuncia pregiudiziale manifestamente irricevibile”.

Per quanto riguarda infine le due questioni di incostituzionalità sollevate dalla ricorrente nel gravame, l’una relativa all’art. 88 del decreto legislativo n. 159 del 2011, per la violazione dell'art. 117, comma primo, della Costituzione, giacché in contrasto con trattati cui l'Italia ha aderito e con la normativa comunitaria, l’altra relativa all’art. 67 comma 8 del decreto legislativo n. 159 del 2011, come richiamato dal secondo comma dell’art. 84 del medesimo testo normativo, il Tribunale, prima facie, aveva ritenuto che fossero infondate, ma che comunque fosse opportuno un approfondimento in sede di merito.

L’ordinanza di questo Tribunale è stata impugnata innanzi al Consiglio di Stato il quale, come emerge chiaramente dalle considerazioni formulate nell’ordinanza n. -OMISSIS-, ha condiviso nel merito il contenuto dell’ordinanza di questo Tribunale: “Premesso che: - la comunicazione antimafia impugnata nel primo grado di giudizio trae origine dalla condanna “ostativa”, ex art. 67 comma 8 del decreto legislativo n. 159 del 2011, riportata dal sig. -Caio-, amministratore unico della società -Alfa- s.r.l. - socia unica della qui ricorrente -OMISSIS- S.r.l.; - la condanna pertiene al delitto di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti di cui agli artt. 110 c.p., 260 comma 1 del decreto legislativo 3 aprile 2020, n. 152, oggi previsto dall’art. 452 quaterdecies c.p., contemplato nell’art. 51, comma 3 bis del c.p.p. e, dunque, rientrante tra “i delitti spia” richiamati dall’art. 67, comma 8 del decreto legislativo n. 159 del 2011; - la pronuncia (emessa dalla Corte di Appello di Cagliari e non ancora definitiva), ha escluso espressamente che “nella vicenda in esame possa ritenersi configurata la fattispecie ex art. 416 c.p…” Ritenuto che: - le deduzioni svolte dalla parte ricorrente con il primo motivo di appello non paiono rivelare, ad un primo esame, evidenti profili di fondatezza, in quanto: I) la formula “socio in caso di società con socio unico” di cui all’art. 85 comma 2, lett. c) del d.lgs. n. 159/2011 non limita la verifica antimafia al socio “persona fisica”, sicché essa può intendersi estesa anche al socio “persona giuridica”; II) per conferirle un senso utile sul piano applicativo è possibile raccordare la lettera c) alla lettera b) del medesimo comma dell’art. 85 e, quindi, concludere che la verifica antimafia debba estendersi a tutti gli esponenti della compagine sociale ivi indicati, incluso tra questi l’amministratore unico; III) non offre argomenti a ciò contrari la lettera i) dell’art. 85 comma 2, in quanto essa interviene in altro e peculiare ambito (contrassegnato da un differente regime di responsabilità sociale) e al deliberato fine di portare la linea dei controlli al livello dei “reali” detentori delle quote sociali, quand’anche schermati dietro compagini societarie (personali o di capitali) formalmente detentrici delle partecipazioni societarie; IV) così intesa, la ratio dell’art. 85 comma 2 lett. i) sembra deporre in senso contrario alla lettura della lettera c) proposta dalla parte appellante, la quale, d’altra parte, determinerebbe una lacuna nel sistema antimafia di non poco momento nel caso (non infrequente) di società di capitali a socio unico”.

Tuttavia, il Consiglio di Stato ha ritenuto che le questioni concernenti i profili di compatibilità costituzionale, sulle quali questo Tribunale si era riservato di svolgere più analitici approfondimenti, dovessero essere sollecitamente esaminate nella opportuna sede della cognizione di merito; pertanto, ha accolto l’appello e, per l'effetto, ha accolto l'istanza cautelare ai soli fini della sollecita fissazione dell’udienza di merito ai sensi dell'art. 55, comma 10, del codice del processo amministrativo.

All’udienza del 10 marzo 2021, la causa è stata trattenuta in decisione.

Il Collegio ritiene opportuno procedere ad un breve inquadramento normativo della fattispecie oggetto della presente controversia.

L’art. 84, comma 2 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 “Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136” recita: “La comunicazione antimafia consiste nell’attestazione della sussistenza o meno di una delle cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui all’articolo 67”.

Ebbene, come evidenziato nello stesso provvedimento, la Prefettura di Alessandria ha fatto applicazione dell’art. 67, comma 8 del decreto legislativo 159 del 2011 in forza del quale “Le disposizioni dei commi 1, 2 e 4 si applicano anche nei confronti delle persone condannate con sentenza definitiva o, ancorché non definitiva, confermata in grado di appello, per uno dei delitti di cui all'articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale nonché per i reati di cui all'articolo 640, secondo comma, n. 1), del codice penale, commesso a danno dello Stato o di un altro ente pubblico, e all'articolo 640-bis del codice penale”.

L’art. 67, ai commi 1, 2 e 4 recita “1. Le persone alle quali sia stata applicata con provvedimento definitivo una delle misure di prevenzione previste dal libro I, titolo I, capo II non possono ottenere:

a) licenze o autorizzazioni di polizia e di commercio; b) concessioni di acque pubbliche e diritti ad esse inerenti nonché concessioni di beni demaniali allorché siano richieste per l'esercizio di attività imprenditoriali; c) concessioni di costruzione e gestione di opere riguardanti la pubblica amministrazione e concessioni di servizi pubblici; d) iscrizioni negli elenchi di appaltatori o di fornitori di opere, beni e servizi riguardanti la pubblica amministrazione, nei registri della camera di commercio per l'esercizio del commercio all'ingrosso e nei registri di commissionari astatori presso i mercati annonari all'ingrosso; e) attestazioni di qualificazione per eseguire lavori pubblici; f) altre iscrizioni o provvedimenti a contenuto autorizzatorio, concessorio, o abilitativo per lo svolgimento di attività imprenditoriali, comunque denominati; g) contributi, finanziamenti o mutui agevolati ed altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità europee, per lo svolgimento di attività imprenditoriali; h) licenze per detenzione e porto d'armi, fabbricazione, deposito, vendita e trasporto di materie esplodenti. 2. Il provvedimento definitivo di applicazione della misura di prevenzione determina la decadenza di diritto dalle licenze, autorizzazioni, concessioni, iscrizioni, attestazioni, abilitazioni ed erogazioni di cui al comma 1, nonché il divieto di concludere contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, di cottimo fiduciario e relativi subappalti e subcontratti, compresi i cottimi di qualsiasi tipo, i noli a caldo e le forniture con posa in opera. Le licenze, le autorizzazioni e le concessioni sono ritirate e le iscrizioni sono cancellate ed è disposta la decadenza delle attestazioni a cura degli organi competenti…4. Il tribunale, salvo quanto previsto all'articolo 68, dispone che i divieti e le decadenze previsti dai commi 1 e 2 operino anche nei confronti di chiunque conviva con la persona sottoposta alla misura di prevenzione nonché nei confronti di imprese, associazioni, società e consorzi di cui la persona sottoposta a misura di prevenzione sia amministratore o determini in qualsiasi modo scelte e indirizzi. In tal caso i divieti sono efficaci per un periodo di cinque anni”.

L’art. 51, comma 3 bis del codice di procedura penale, richiamato dall’art. 67, comma 8, nella versione vigente al momento dell’adozione del provvedimento impugnato, recita: “Quando si tratta dei procedimenti per i delitti, consumati o tentati, di cui agli articoli 416, sesto e settimo comma, 416, realizzato allo scopo di commettere taluno dei delitti di cui all'articolo 12, commi 3 e 3-ter, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, 416, realizzato allo scopo di commettere delitti previsti dagli articoli 473 e 474, 600, 601, 602, 416-bis, 416-ter, 452-quaterdecies e 630 del codice penale, per i delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto articolo 416-bis ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni previste dallo stesso articolo, nonché per i delitti previsti dall'articolo 74 del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, dall'articolo 291-quater del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43, le funzioni indicate nel comma 1 lettera a) sono attribuite all'ufficio del pubblico ministero presso il tribunale del capoluogo del distretto nel cui ambito ha sede il giudice competente”.

Sull’interpretazione di tale norma si è espressa più volte la Cassazione.

Interessante, ai nostri fini, è soprattutto la recente sentenza della Cassazione del 12 aprile 2019, n. 16123 la quale, a fronte di un precedente orientamento secondo il quale, quando il reato di cui all’art. 452-quaterdecies del c.p. non è realizzato in forma associativa non dovrebbe applicarsi la deroga ai criteri sulla competenza di cui all’art. 51, comma 3 bis del c.p.p., ha chiarito quanto segue: “la decisione richiamata evidenzia che l'eccezionalità del criterio in deroga derivante dalla previsione di cui all'art. 51 c.p.p., comma 3-bis dovrebbe imporre un'interpretazione restrittiva, in guisa da limitare l'operatività del criterio medesimo alle sole ipotesi in cui si tratti di un reato associativo, sia pure in senso lato, così prestando ossequio al principio del giudice naturale precostituito per legge, anche a salvaguardia di un efficiente esercizio del diritto di difesa. Tuttavia, come è stato già osservato dalla decisione successivamente emessa sempre in sede di legittimità (Sez. 1, n. 43599 del 05/07/2017, cit.), la ragione posta a giustificazione della richiamata tesi non appare persuasiva: la scelta operata all'art. 51 c.p.p., comma 3-bis, è di natura normativa e predetermina per una serie di reati il criterio di attribuzione delle funzioni del pubblico ministero, su cui si ritiene, sulla scorta della comune prospettiva fatta propria dalle interpretazioni richiamate, radicata di riflesso la competenza territoriale del giudice. Distinzioni all'interno del catalogo non risultano compiute dal legislatore e appare arduo estrapolare da esso la categoria dei reati a struttura associativa o, comunque, connessi a fattispecie associativa, da cui dovrebbe restare escluso il D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 260… Anzi, l'apertura alla selezione -all'interno del novero dei reati per i quali la norma ha previsto quella specifica disciplina della competenza territoriale- di quelli inidonei ad esercitare la medesima vis attractiva, potrebbe a sua volta - e al di là delle intenzioni, volte a garantire maggiore prossimità della giurisdizione e più efficace tutela del diritto di difesa - determinare effetti distonici rispetto al principio costituzionale del giudice naturale precostituito per legge, per l'incertezza che obiettivamente da essa deriverebbe. Invero, i delitti di cui all'art. 51 c.p.p., comma 3-bis (al pari di quelli di cui all'art. 51 c.p.p., commi 3-quater e 3-quinquies) individuano, per la maggior parte, fattispecie di natura associativa, ma più in generale evocano condotte antigiuridiche radicate in fenomeni di criminalità organizzata che, alla stregua dell'esperienza vissuta e dei conseguenti rimedi ordinamentali apprestati, necessitano di essere contrastati con indagini che abbiano un coordinamento accentrato negli uffici distrettuali del pubblico ministero disciplinati dallo stesso art. 51 c.p.p., con gli effetti a cascata in punto di competenza territoriale ritenuti ineludibili dall'esegesi richiamata. Tuttavia non poche di queste figure criminose comunque implicanti un rilevante tasso di allarme sociale e in generale tali da presupporre una struttura organizzativa alla rispettiva base - struttura organizzativa che giustifica per tutte quelle fattispecie la deroga ai criteri ordinari di riparto della competenza, senza percepibile vulnus dell'art. 25 Cost. - non riguardano direttamente reati aventi carattere associativo (si possono ricordare, oltre a quello qui in esame, i reati di cui agli artt. 600, 601, 602 e 630 c.p.). Per tali reati, pur connotati da ragioni specifiche che ne hanno determinato l'inserimento nell'indicato catalogo, potrebbe, in linea di principio, apparire ragionevole proporre un binario derogativo delle ordinarie regole di competenza più circoscritto di quello implicato dall'art. 51 c.p.p., prospettiva a cui potrebbe, sempre in linea di principio, obiettarsi che anche per quei reati può ordinariamente verificarsi che la loro concreta configurazione, pur senza base associativa, risulti in concreto con articolazioni fattuali di complessità tale da confortare ancor oggi la scelta ordinamentale in commento. Si tratta, in ogni caso, di una prospettiva de iure condendo: invero, a fronte della nettezza del dato normativo, non si considera possibile pervenire in via interpretativa alla creazione di una sorta di doppio binario nella configurazione delle caratteristiche e dei limiti della corrispondente competenza per territorio determinata da ragioni di connessione, giacché esso si fonderebbe su elementi non risultanti da criteri predeterminati per legge: criteri che il legislatore, pur avendo (con il D.Lgs. n. 21 del 2018) mutato la collocazione ordinamentale al reato in esame, da D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 260 ad art. 452-quaterdecies c.p., non ha, allo stato, modificato. Si ritiene, pertanto, di dover ribadire il principio secondo cui, in tema di competenza territoriale, non è consentito operare alcuna distinzione tra i reati elencati nell'art. 51 c.p.p., comma 3-bis, con la conseguenza che, ove si proceda per uno qualsiasi di essi e per reati connessi, anche più gravi, la competenza territoriale del primo esercita una vis attractiva anche sugli altri.”.

Pertanto, tra le cause che, in base alla normativa vigente, determinano una condizione ostativa automatica al rilascio della liberatoria antimafia sussiste anche quella della condanna, ancorché non definitiva, ma confermata in grado di appello, per il delitto di cui all’art. 452-quaterdecies del c.p. “Attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti”, anche nella forma non associativa.

Dopo il breve inquadramento normativo della fattispecie oggetto della presente controversia, si procede a valutare se risulta possibile un’interpretazione costituzionalmente orientata delle norme interessate dalla questione in esame.

Il Collegio non ritiene prospettabile un’eventuale interpretazione costituzionalmente orientata delle norme di che trattasi, così come richiesto dalla ricorrente nel terzo motivo di ricorso e ribadito nella memoria del 5 febbraio 2021.

La ricorrente sostiene infatti che anche nelle ipotesi previste dal comma 8 dell’art. 67 del decreto legislativo n. 159 del 2011, non possa essere emessa la comunicazione antimafia senza aver verificato in concreto che il reato si riconnetta all’attività delle organizzazioni criminali di stampo mafioso. Secondo la ricorrente, anche nel caso in cui si sia in presenza della condanna per uno dei cc.dd. delitti spia, infatti, non potrebbe negarsi la necessità di una adeguata motivazione che dia conto, con autonomo apprezzamento, delle circostanze per cui, in base alla ricostruzione fattuale e giuridica contenuta nel provvedimento giurisdizionale, sia lecito dedurre che l’attività d’impresa possa, anche in modo indiretto, agevolare le attività criminose o esserne in qualche modo condizionata.

La ricorrente sostiene che l’elencazione di cui all’art. 67, comma 8, del decreto legislativo n. 159 del 2011, non sia altro che una semplice estensione della nozione di reato spia desumibile dall’art. 91, con la conseguenza che, quand’anche si ravvisi la ricorrenza di una condanna ex art. 67, comma 8, il Prefetto non risulterebbe affatto esonerato dall’onere motivazionale in ordine alla sussistenza di circostanze “gravi, precise e concordanti” che - in aggiunta al precedente penale - conducano a ritenere il soggetto a rischio di infiltrazione.

Contro l’interpretazione prospettata dalla ricorrente milita il preciso dato testuale della norma che non consente un’interpretazione diversa da quella costantemente offerta dalla giurisprudenza amministrativa.

Invero, il Consiglio di Stato ha più volte ribadito che la comunicazione antimafia è un provvedimento vincolato emanabile solo in presenza di determinati, tassativi, requisiti, previsti dall’art. 84, comma 2, del decreto legislativo n. 159 del 2011 (tra le tante, Cons. Stato, sez. III, 18 giugno 2019, n. 4145).

Diversamente, si finirebbe per stravolgere il significato di chiare disposizioni normative.

La cd. “lettera” della legge non può essere travalicata attraverso l’interpretazione, al punto di pervenire ad una vera e propria “disapplicazione” del testo normativo.

Sul punto, la Corte Costituzionale ha chiarito che, quando il rimettente prospetta la via dell'interpretazione conforme ma esclude che essa sia percorribile, la questione di legittimità costituzionale che ne deriva non può ritenersi inammissibile e che, al contrario, laddove l'univoco tenore letterale della disposizione precluda un'interpretazione conforme, s'impone il sindacato di legittimità costituzionale (in termini, Corte Cost.,14 dicembre 2017, n. 268).

La Corte Costituzionale ha precisato che l'obbligo di addivenire ad un'interpretazione conforme alla Costituzione deve, infatti, cedere il passo all'incidente di legittimità costituzionale, laddove essa sia incompatibile con il tenore letterale della disposizione, evidenziando che quando non è possibile trarre dalla disposizione alcuna norma conforme alla Costituzione, il giudice è tenuto ad investire la Corte stessa della relativa questione di legittimità costituzionale” (Corte Cost., 7 dicembre 2017, n. 258) e che “l’obbligo di addivenire ad un'interpretazione conforme alla Costituzione cede il passo all'incidente di legittimità costituzionale ogni qual volta essa sia incompatibile con il disposto letterale della disposizione e si riveli del tutto eccentrica e bizzarra, anche alla luce del contesto normativo ove la disposizione si colloca…L'interpretazione secondo Costituzione è doverosa ed ha un'indubbia priorità su ogni altra …, ma appartiene pur sempre alla famiglia delle tecniche esegetiche, poste a disposizione del giudice nell'esercizio della funzione giurisdizionale, che hanno carattere dichiarativo. Ove, perciò, sulla base di tali tecniche, non sia possibile trarre dalla disposizione alcuna norma conforme alla Costituzione, il dubbio di costituzionalità non potrà essere risolto in via ermeneutica “ (Corte Cost., 13 aprile 2017, n. 83 che richiama la sentenza della Corte Cost. 19 febbraio 2016, n. 3636).

Ebbene, l’art. 84 è chiaro nel definire la comunicazione antimafia come l’attestazione della sussistenza o meno di una delle cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui all’art. 67 e l’art. 67, comma 8, a sua volta, è chiaro nel prevedere che le persone condannate con sentenza definitiva o, ancorché non definitiva, confermata in grado di appello, per uno dei delitti di cui all’articolo 51, comma 3 bis del codice di procedura penale – e quindi anche per il reato di “Attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti” ex art. 452-quaterdecies del codice penale, non possano ottenere i provvedimenti ivi indicati.

Il chiaro dato testuale delle norme sopra richiamate non consente di ritenere che sussistano dei margini di discrezionalità in capo all’Amministrazione nel decidere, in presenza delle fattispecie richiamate dall’art. 67, se adottare o meno la comunicazione antimafia.

Le circostanze alle quali rinvia l’art. 84, secondo comma, sono puntualmente indicate nell’art. 67 e, per quanto interessa in questa, il comma 8 è chiaro nel prevedere come unico e sufficiente presupposto per determinare l’obbligo dell’Amministrazione di adottare una comunicazione antimafia, tra gli altri, la condanna con sentenza definitiva o, ancorché non definitiva, confermata in grado di appello, per uno dei delitti di cui all’articolo 51, comma 3 bis del codice di procedura penale – e quindi anche per il reato di “Attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti” ex art. 452-quaterdecies del codice penale.

Ciò posto, paiono invece al collegio rilevanti e non manifestamente infondati i dubbi di legittimità costituzionale dell’art. 67, comma 8 del decreto legislativo n. 159 del 2011, come richiamato dal secondo comma dell’art. 84, nella parte in cui, rinviando all’art. 51, comma 3 bis del c.p., si riferisce anche al reato di cui all’art. 452-quaterdecies del c.p., anche nella sua forma non associativa, con particolare riferimento agli articoli 3, 25, 27, 38 e 41 della Costituzione, prospettati sia dalla ricorrente, sia dal Consiglio di Stato nell’ordinanza n. -OMISSIS- sopra richiamata.

Quanto alla rilevanza della questione ai fini del decidere, dopo aver escluso la possibilità di un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 67, comma 8 del decreto legislativo n. 159 del 2011, essa è indubbia, posto che, nel caso in esame, la “comunicazione antimafia” oggetto di impugnazione risulta motivata esclusivamente dalla condanna, confermata dalla Corte di Appello di Cagliari, seconda sezione penale, con la sentenza n. -OMISSIS-, dei signori -Sempronio-, -Caio- e -Tizio-, per il delitto di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti di cui agli artt. 110 c.p., 260 comma 1 del decreto legislativo 3 aprile 2020, n. 152, oggi previsto dall’art. 452-quaterdecies c.p., delitto previsto all’art. 51, comma 3 bis del c.p.p., e dunque rientrante tra “i delitti spia” richiamati appunto dall’art. 67, comma 8 del decreto legislativo n. 159 del 2011 (sul punto Cons. Stato, sez. III, 27 dicembre 2019, n. 8883; Cons. Stato, sez. III, 2 maggio 2019, n. 2855; Cons. Stato, sez. III, 18 giugno 2019, n. 4125; Cons. Stato, sez. III, 8 marzo 2017, n. 1108).

È pacifica pertanto la necessaria applicazione della disposizione sospettata di incostituzionalità (art. 67, comma 8 del decreto legislativo n. 159 del 2011, come richiamato dal secondo comma dell’art. 84, nella parte in cui, rinviando all’art. 51, comma 3 bis del c.p., si riferisce anche al reato di cui all’art. 452-quaterdecies del c.p., anche nella sua forma non associativa) nel giudizio pendente innanzi a questo Tribunale (art. 23 della legge n. 87 del 1953).

Per quanto riguarda l’influenza che la pronuncia è in grado di esercitare sul giudizio in corso, il Collegio evidenzia che allo stato degli atti, il ricorso dovrebbe essere rigettato in ordine al dato che il reato di cui all’art. 452-quaterdecies del codice penale viene annoverato, mediante il rinvio all’art. 51, comma 3 bis c.p.p., tra i reati la cui condanna (ancorché non definitiva, ma confermata in grado di appello) comporta l’automatica emanazione della comunicazione antimafia.

Laddove la Corte Costituzionale accogliesse invece la qui prospettata questione di legittimità costituzionale il presente giudizio avrebbe un esito diverso alla luce della possibilità di sottrarre il reato in esame all’effetto automatico scaturito dalla condanna, e proprio della comunicazione antimafia.

Quanto alla non manifesta infondatezza si osserva quanto segue.

Il sistema della documentazione antimafia, previsto dal decreto legislativo n. 159 del 2 settembre 2011, si fonda sulla distinzione tra le comunicazioni antimafia e le informazioni antimafia (art. 84 del decreto legislativo n. 159 del 2011).

La documentazione antimafia, nelle due diverse forme della comunicazione e dell’informazione, assolve una funzione cautelare e preventiva volta ad assicurare una difesa anticipata della legalità ed una risposta efficace dello Stato nel contrasto alla criminalità organizzata.

Tale funzione, nella “comunicazione antimafia”, viene adempiuta mediante l’emissione da parte dell’Autorità prefettizia di un provvedimento di natura vincolata consistente “nell’attestazione della sussistenza o meno di una delle cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui all’art. 67” con riferimento a determinati soggetti, individuati dall’art. 85 del decreto legislativo n. 159 del 2011.

Ai sensi dell’art. 67 del decreto legislativo n. 159 del 2011, le persone alle quali sia stata applicata con provvedimento definitivo una delle misure di prevenzione di cui all’art. 5 del d.lgs. 159 del 2011 e le persone destinatarie di una condanna con sentenza definitiva o, ancorché non definitiva, confermata in grado di appello, per uno dei delitti di cui all'articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale nonché per i reati di cui all'articolo 640, secondo comma, n. 1), del codice penale, commesso a danno dello Stato o di un altro ente pubblico, e all'articolo 640-bis del codice penale, non possono ottenere:

a) licenze o autorizzazioni di polizia e di commercio;

b) concessioni di acque pubbliche e diritti ad esse inerenti nonché concessioni di beni demaniali allorché siano richieste per l'esercizio di attività imprenditoriali;

c) concessioni di costruzione e gestione di opere riguardanti la pubblica amministrazione e concessioni di servizi pubblici;

d) iscrizioni negli elenchi di appaltatori o di fornitori di opere, beni e servizi riguardanti la pubblica amministrazione, nei registri della camera di commercio per l'esercizio del commercio all'ingrosso e nei registri di commissionari astatori presso i mercati annonari all'ingrosso;

e) attestazioni di qualificazione per eseguire lavori pubblici;

f) altre iscrizioni o provvedimenti a contenuto autorizzatorio, concessorio, o abilitativo per lo svolgimento di attività imprenditoriali, comunque denominati;

g) contributi, finanziamenti o mutui agevolati ed altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità europee, per lo svolgimento di attività imprenditoriali;

h) licenze per detenzione e porto d'armi, fabbricazione, deposito, vendita e trasporto di materie esplodenti.

L’informazione antimafia (art. 84, comma 3 del d.l.gs. n. 159 del 2011) attesta, oltre a quanto già previsto per la comunicazione antimafia (sussistenza o meno delle cause di decadenza, sospensione o divieto di cui all’art. 67 del d.lgs. n. 159 del 2011) anche la sussistenza o meno di eventuali tentativi d’infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate.

Le informazioni antimafia si distinguono per uno spiccato momento di autonomia valutativa da parte del Prefetto, nel soppesare il rischio di permeabilità mafiosa dell’impresa, di contenuto discrezionale che può prescindere dagli esiti delle indagini penali o dello stesso giudizio penale, che tuttavia la Prefettura ha il dovere di tenere in considerazione in presenza dei cc.dd. delitti spia (art. 84, comma 4 del decreto legislativo n. 159 del 2011).

Come già evidenziato, l’automatico effetto interdittivo che la comunicazione antimafia determina, postula nei confronti dei destinatari della comunicazione antimafia, l’applicazione delle misure di prevenzione previste dal libro I, titolo I, capo II o la pronuncia di una sentenza di condanna definitiva o confermata in appello per taluno dei delitti consumati o tentati elencati all'art. 51, comma 3-bis c.p.p., nonché per i reati di cui all’art. 640, secondo comma, n.1, c.p., commesso a danno dello Stato o di un altro ente pubblico, e dell’art. 640 bis c.p.

L’automatismo previsto dalla norme in esame, come già chiarito, è formulato in modo tale da non permettere alla Pubblica Amministrazione di tenere conto delle peculiarità del caso concreto in tutti quei casi in cui si realizzino le fattispecie ivi previste, tra le quali, appunto, la condanna (ancorché non definitiva, ma confermata in grado di appello) per il reato di cui all’art. 452-quaterdecies del codice penale.

Occorre pertanto soffermarsi sulla natura di questo reato.

Il reato di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti di cui all’art. 452 quaterdecies c.p. punisce “chiunque, al fine di conseguire un ingiusto profitto, con più operazioni e attraverso l’allestimento di mezzi e attività continuative organizzate, cede, riceve, trasporta, esporta, importa o comunque gestisce abusivamente ingenti quantità di rifiuti”.

L’articolo 452-quaterdecies del c.p. è stato inserito nel titolo dedicato ai delitti contro l'ambiente dall’art. 3, del decreto 1° marzo 2018, n. 21, in attuazione della delega contenuta all'art. 1, 85° comma, lett. q), della legge 23 giugno 2017, n. 103 sulla riserva tendenziale di codice nella materia penale.

Il reato era tuttavia già previsto all'art. 260, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152; norma abrogata dall’art. 7, comma 1, lett. q), del decreto legislativo 1° marzo 2018, n. 21. A norma di quanto disposto dall'art. 8, comma 1, del decreto suddetto, dal 6 aprile 2018, i richiami alle disposizioni dell’articolo 260, comma 1 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, ovunque presenti, debbono intendersi riferiti all'art. 452-quaterdecies del codice penale.

Prima ancora, tale reato era previsto dall’art. 53-bis del decreto legislativo n. 22 del 1997. L’introduzione di questo delitto è infatti avvenuta ad opera dell’articolo 22 della legge 23 marzo 2001, n. 93.

La Cassazione ha evidenziato che la condotta sanzionata (ovviamente non occasionale, stante la natura abituale del reato) da tale norma, richiede una preparazione e un allestimento di specifiche risorse, anche del tutto rudimentale e che queste ultime possono configurarsi anche in presenza di una struttura organizzativa di tipo imprenditoriale, idonea ed adeguata a realizzare l'obiettivo criminoso preso di mira, anche quando essa non sia destinata, in via esclusiva, alla commissione di attività illecite, con la conseguenza che il reato è configurabile anche quando l'attività criminosa sia marginale o secondaria rispetto all'attività principale lecitamente svolta (Cass. Sez. III, 28 ottobre 2019, n. 43710).

Posto che l’art. 452-quaterdecies fa espresso riferimento ad “attività organizzate”, si tratta di capire se siamo di fronte ad un reato necessariamente plurisoggettivo, ovvero se siamo di fronte ad un reato monosoggettivo.

Sul punto, la giurisprudenza della Cassazione ha chiarito che, per la configurabilità di tale reato, non è richiesta una pluralità di soggetti agenti, trattandosi di fattispecie monosoggettiva, mentre è richiesta una pluralità di operazioni in continuità temporale relative ad una o più delle diverse fasi in cui si concretizza ordinariamente la gestione dei rifiuti (tra le tante, Cass. pen. Sez. III, 23 luglio 2008, n. 30847).

Tale fattispecie, inoltre, non presuppone necessariamente una struttura associativa.

Sul punto, la Cassazione, analizzando nel dettaglio l’art. 51, comma 3 bis del c.p.p., ha precisato che non poche delle figure criminose richiamate da tale norma, comunque implicanti un rilevante tasso di allarme sociale e in generale tali da presupporre una struttura organizzativa alla rispettiva base, struttura organizzativa che giustifica per tutte quelle fattispecie la deroga ai criteri ordinari di riparto della competenza, senza percepibile vulnus dell'art. 25 della Costituzione, non riguardano direttamente reati aventi carattere associativo, richiamando, oltre i reati di cui agli artt. 600, 601, 602 e 630 c.p., proprio, il reato di cui all’art. 260 del decreto legislativo n. 152 del 2006 (oggi art. 452-quaterdecies c.p.) (Cass. pen., Sez. I, 12 aprile 2019, n. 16123).

Con specifico riferimento alla possibilità di concorso tra il reato di attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti e l’art. 416 c.p., si osserva che, a differenza del primo, la sussistenza del delitto di associazione per delinquere è indipendente dalla concreta realizzazione dei reati-fine, poiché l’art. 416 c.p. sanziona la mera associazione di tre o più persone allo scopo di commettere più delitti, senza subordinare la condanna all'effettiva commissione dei singoli reati fine, la cui effettiva realizzazione non resta conseguentemente assorbita da quella concernente il reato associativo.

Inoltre, i due reati sono volti a tutelare beni diversi, il reato di cui all’art. 416 c.p. l’ordine pubblico, il reato di cui all’art. 452-quaterdecies c.p., l’incolumità pubblica, nella sua dimensione di protezione ambientale.

Il reato di cui all'art. 416 c.p. e quello previsto dal decreto legislativo n. 152 del 2006, art. 260 (oggi art. 452-quaterdecies c.p.), pertanto, possono concorrere.

In merito, infatti, la Cassazione ha precisato che “ai fini del concorso tra i due reati, è necessaria la sussistenza degli elementi costitutivi di entrambi, cosicché la sussistenza del reato associativo non può ricavarsi dalla mera sovrapposizione della condotta descritta nel D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 260 con quella richiesta per la configurabilità dell'associazione per delinquere, richiedendo tale ultimo reato la predisposizione di un'organizzazione strutturale, sia pure minima, di uomini e mezzi, funzionale alla realizzazione di una serie indeterminata di delitti, nella consapevolezza, da parte di singoli associati, di far parte di un sodalizio durevole e di essere disponibili ad operare nel tempo per l'attuazione del programma criminoso comune, che non può certo essere individuata nel mero allestimento di mezzi e attività continuative organizzate e nel compimento di più operazioni finalizzate alla gestione abusiva di rifiuti indicate dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 260 richiedendosi, evidentemente, un’attività e stabile partecipazione ad un sodalizio criminale per la realizzazione di un indeterminato programma criminoso” (Cass. pen., sez. III, 17 gennaio 2014, n. 5773).

Le esigenze di tutela e salvaguardia dell’ambiente hanno portato la giurisprudenza della Corte di Cassazione (ex multis Cass. pen., sez. III, 28 febbraio 2019, n. 16056) ad una costruzione ermeneutica estensiva dei requisiti costitutivi della fattispecie, dilatando, in tal modo, l’ambito punitivo della stessa.

Più nello specifico, il concetto di “traffico illecito di rifiuti” è stato dilatato al punto di farvi rientrare anche fattispecie che pur essendo gravi sotto il profilo ambientale, nulla hanno a che vedere con la criminalità organizzata.

Per contro, occorre rilevare che la condanna per il reato ambientale di che trattasi, quale presupposto per l’adozione di altre misure, come nell’ipotesi dell’art. 67, comma 8, del codice antimafia, vieppiù nella configurazione estensiva costruita dalla giurisprudenza, produce l’effetto di ampliare i confini applicativi della normativa antimafia senza garantire un effettivo riscontro in merito alla sussistenza dei requisiti giustificativi della misura stessa.

Si evidenzia, infatti, che le misure di prevenzione antimafia a carattere interdittivo hanno funzione preventiva e non afflittiva (Cons. Stato, sez. III, ord. 18 ottobre 2019, n. 5291), ricollegata all’interesse pubblico primario del contrasto alle organizzazioni mafiose.

Ora, sebbene l’interesse che da anni muove le organizzazioni criminali di tipo mafioso nel settore dei rifiuti rappresenti oramai un fatto notorio, tanto che è stato coniato un termine ad hoc per definirle, “ecomafie” (in termini, Cons. Stato, sez. III, 30 giugno 2020 n. 4168), ciò non implica necessariamente che tutti i soggetti condannati per traffico illecito di rifiuti - che si ribadisce costituisce un reato mono soggettivo - siano ipso facto a rischio di collusione con ambienti della criminalità organizzata.

Il T.A.R. Lazio, con riferimento al diverso provvedimento dell’interdittiva antimafia, ha precisato che “Detta valutazione, o se vogliamo, detta presunzione, non può essere assoluta, tenuto conto degli effetti dirompenti prodotti dall’interdittiva, ma deve essere relativa, dovendo il Prefetto verificare comunque - prima di adottare il provvedimento - l’esistenza della concreta possibilità di interferenze mafiose…Se così non fosse…verrebbe violato il principio di proporzionalità, in quanto per un pericolo presunto basato su una fattispecie normativa, si lederebbe la libertà di impresa, con ricadute anche a livello occupazionale. Verrebbe meno il prudente bilanciamento tra gli interessi alla libertà di iniziativa di impresa e la concorrente tutela delle condizioni di sicurezza e di ordine pubblico perseguite dalle norme di prevenzione” (in termine T.A.R. Lazio-Roma, sez. I ter, 15 luglio 2014, n. 7571).

Sempre in tema di interdittiva antimafia, il Consiglio di Stato, in un caso nel quale il reato coinvolto nella controversia era sempre l’attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti, ha evidenziato che “L’annullamento di qualsivoglia discrezionalità nel senso appena precisato in questa materia, che postula la tesi in parola (sostenuta, invero, da autorevoli studiosi del diritto penale e amministrativo), prova troppo, del resto, perché l’ancoraggio dell’informazione antimafia a soli elementi tipici, prefigurati dal legislatore, ne farebbe un provvedimento vincolato, fondato, sul versante opposto, su inammissibili automatismi o presunzioni ex lege e, come tale, non solo inadeguato rispetto alla specificità della singola vicenda, proprio in una materia dove massima deve essere l’efficacia adeguatrice di una norma elastica al caso concreto, ma deresponsabilizzante per la stessa autorità amministrativa. Quest’ultima invece, anzitutto in ossequio dei principî di imparzialità e buon andamento contemplati dall’art. 97 Cost. e nel nome di un principio di legalità sostanziale declinato in senso forte, è chiamata, esternando compiutamente le ragioni della propria valutazione nel provvedimento amministrativo, a verificare che gli elementi fattuali, anche quando “tipizzati” dal legislatore, non vengano assunti acriticamente a sostegno del provvedimento interdittivo, ma siano dotati di individualità, concretezza ed attualità, per fondare secondo un corretto canone di inferenza logica la prognosi di permeabilità mafiosa, in base ad una struttura bifasica (diagnosi dei fatti rilevanti e prognosi di permeabilità criminale) non dissimile, in fondo, da quella che il giudice penale compie per valutare gli elementi posti a fondamento delle misure di sicurezza personali, lungi da qualsiasi inammissibile automatismo presuntivo, come la Suprema Corte di recente ha chiarito (v., sul punto, Cass., Sez. Un., 4 gennaio 2018, n. 111).” (Cons. Stato, sez. III, 27 dicembre 2019, n. 8883).

Il Collegio non sottovaluta il fatto che tali considerazioni sono state espresse dalla giurisprudenza con esclusivo riferimento al diverso provvedimento dell’informazione antimafia che, come evidenziato, a differenza della comunicazione antimafia, ha natura discrezionale; tuttavia, non può essere trascurato il sempre più inteso accostamento tra i due istituti giuridici, dovuto anche all’introduzione dell’art. 89 bis del codice antimafia; norma sulla quale si è pronunciata la Corte Costituzionale con la sentenza 18 gennaio 2018, n 4, dichiarando non fondate le questioni di legittimità costituzionale nei suoi confronti sollevate.

L’art. 89 bis del codice antimafia, rubricato “Accertamento di tentativi di infiltrazione mafiosa in esito alla richiesta di comunicazione antimafia”, recita “1. Quando in esito alle verifiche di cui all'articolo 88, comma 2, venga accertata la sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa, il prefetto adotta comunque un'informazione antimafia interdittiva e ne dà comunicazione ai soggetti richiedenti di cui all'articolo 83, commi 1 e 2, senza emettere la comunicazione antimafia. 2. L'informazione antimafia adottata ai sensi del comma 1 tiene luogo della comunicazione antimafia richiesta”.

La norma rileva poiché, oggi, la Prefettura, ai sensi dell’art. 89-bis del d.lgs. n. 159 del 2011, in presenza di elementi indiziari, gravi, precisi e concordanti, che lascino ritenere il pericolo di infiltrazione mafiosa per la presenza, nella compagine sociale, o per il controllo e la direzione, esercitati anche di fatto, di soggetti condannati per eventuali delitti-spia di cui al combinato disposto dell’art. 84, comma 4, lett. a), del d. lgs. n. 159 del 2011 e dell’art. 51, comma 3-bis, c.p.p., tra i quali rientra anche il delitto di cui all’art. 452 quaterdecies del c.p., potrebbe rilasciare un’informazione antimafia in luogo di una comunicazione antimafia (in termini, Cons. Stato, sez. III, 18 giugno 2019, n. 4125).

Infatti, l’art. 84, comma 4, lett. a) del d.lgs. n. 159 del 2011 prevede che “Le situazioni relative ai tentativi di infiltrazione mafiosa che danno luogo all'adozione dell'informazione antimafia interdittiva di cui al comma 3 sono desunte: a) dai provvedimenti che dispongono una misura cautelare o il giudizio, ovvero che recano una condanna anche non definitiva per taluni dei delitti di cui agli articoli 353, 353-bis, 603-bis, 629, 640-bis, 644, 648-bis, 648-ter del codice penale, dei delitti di cui all'articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale e di cui all'articolo 12-quinquies del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306 convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356” e l’art. 91, comma 6 precisa che “Il prefetto può, altresì, desumere il tentativo di infiltrazione mafiosa da provvedimenti di condanna anche non definitiva per reati strumentali all'attività delle organizzazioni criminali unitamente a concreti elementi da cui risulti che l'attività d'impresa possa, anche in modo indiretto, agevolare le attività criminose o esserne in qualche modo condizionata…”.

Ebbene, in questo caso, l’esistenza di una condanna anche non definitiva per il reato di attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti, nonostante il procedimento amministrativo fosse stato avviato per ottenere una comunicazione antimafia, si risolve nel rilascio di un’interdittiva antimafia con connessa valutazione discrezionale della condanna di che trattasi alla stregua di un mero indice di collusione con ambienti della criminalità organizzata.

Il Consiglio di Stato, nel parere n. 3088 del 17 novembre 2015, avente ad oggetto un quesito proprio sull’applicazione dell’articolo 89-bis del decreto legislativo 6 settembre 2011 n. 159, evidenzia che il rapporto tra la comunicazione e l’informazione antimafia, come delineato dall’art. 84 del d.lgs. 159/2011, è d’alternatività, nel senso che la comunicazione antimafia non dev’essere acquisita quando è necessaria l’informazione antimafia e viceversa, ma che nondimeno l’informazione antimafia è astrattamente in grado d’assorbire la comunicazione antimafia, attestando, oltre a quanto già previsto per la comunicazione antimafia, anche la sussistenza o meno di eventuali tentativi d’infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle imprese interessate.

Il Consiglio di Stato chiarisce tuttavia che l’art. 89 bis del codice antimafia “costituisce una deroga al principio d’alternatività, poiché prevede l’informazione antimafia laddove è richiesta la comunicazione antimafia, e al tempo stesso opera l’assorbimento: l’enunciato normativo equipara l’informazione antimafia alla comunicazione antimafia. Le perplessità di ordine sistematico e teleologico sollevate in ordine all’applicazione di tale disposizione anche alle ipotesi in cui non vi sia un rapporto contrattuale – appalti o concessioni – con la pubblica amministrazione non hanno ragion d’essere, posto che anche in ipotesi di attività private soggette a mera autorizzazione l’esistenza di infiltrazioni mafiose inquina l’economia legale, altera il funzionamento della concorrenza e costituisce una minaccia per l’ordine e la sicurezza pubbliche. Né l’interprete può sostituirsi al legislatore – la cui volontà è stata plasticamente enunciata nel testo – nell’effettuare il bilanciamento tra interessi pubblici e diritto di iniziativa economica privata”, concludendo con l’evidenziare che “l’art. 89-bis del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 1591 s’interpreta nel senso che l’informazione antimafia produce i medesimi effetti della comunicazione antimafia anche nelle ipotesi in cui manchi un rapporto contrattuale con la pubblica amministrazione”.

Alla luce di tutto quanto sopra esposto, il Collegio, pur condividendo la necessità in tale settore di una risposta sanzionatoria estensiva, ritiene che l’art. 67, comma 8, del codice antimafia, come richiamato dal secondo comma dell’art. 84, nella parte in cui, rinviando all’art. 51, comma 3 bis del c.p., si riferisce anche al reato di cui all’art. 452-quaterdecies del c.p., anche nella sua forma non associativa, necessiti, tuttavia, di una revisione sul piano della conformità costituzionale, atteso che la legittimità dell’automatismo interdittivo della comunicazione antimafia si ritiene essere fondata sulla necessaria condanna per reati che presentino lo stretto collegamento con l’attività della criminalità organizzata di stampo mafioso.

Pertanto si ritiene non conforme alla ratio legis della normativa antimafia il meccanismo in base al quale, in caso di condanna definitiva o confermata in appello, per il reato di cui all’art. 452-quaterdecies c.p., consegue automaticamente un provvedimento interdittivo, ritenendo, invero, necessaria per tale fattispecie, un’ulteriore valutazione in concreto, non prevista dalla norma, in merito alla sussistenza dei requisiti riguardanti la connessione con il fenomeno associativo criminale (non essendo elementi costituitivi del reato di cui all’art. 452-quaterdecies c.p. il carattere associativo e lo stretto collegamento con l’attività della criminalità organizzata di stampo mafioso).

La pronuncia della Corte di Appello di Cagliari, nel caso di specie, ha escluso espressamente il carattere associativo dell’attività posta in essere dalla ricorrente e l’eventuale collegamento con la criminalità organizzata.

Invero, nella sentenza si legge: “va escluso che nella vicenda in esame possa ritenersi configurata la fattispecie ex art. 416 c.p., poiché in atti vi è la prova che l'attività continuativa di traffico illecito di rifiuti e tentata diffusione di una malattia degli animali con connesse ipotesi di false indicazioni relative ai S.O.A., è stata certamente oggetto di un ben congegnato sistema criminoso, non occasionale o contingente; manca però la prova che quell'accordo facesse parte di un più generale programma permanente ed indeterminato di azioni illecite pur del medesimo genere, da perdurare anche dopo il perseguimento dell'unico e determinato obiettivo accertato. Nell'ipotesi di plurime condotte illecite coinvolgenti più persone, non potrà essere contestata la fattispecie di associazione per delinquere ove l'accordo tra i sodali, pur certo e ben congegnato, sia finalizzato a realizzare un puntuale scopo criminoso e non anche a dar vita a uno stabile sodalizio perdurante anche dopo l'esaurimento della serie di reati programmata ex ante”.

Occorre pertanto vagliare la legittimità costituzionale dell’art. 67, comma 8, come richiamato dal secondo comma dell’art. 84, nella parte in cui, rinviando all’art. 51, comma 3 bis del c.p., si riferisce anche al reato di cui all’art. 452-quaterdecies del c.p., anche nella sua forma non associativa, e degli effetti che ne scaturiscono alla luce dei principi di ragionevolezza e di proporzionalità, che, in quanto corollari del principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Costituzione, impongono che le disposizioni normative contenute in atti aventi valore di legge siano adeguate o congruenti rispetto al fine perseguito dal legislatore, con la conseguenza che sussiste la violazione di tale principio laddove si riscontri una contraddizione all'interno di una disposizione legislativa, oppure tra essa ed il pubblico interesse perseguito che costituisce un limite al potere discrezionale del legislatore, impedendone un esercizio arbitrario.

Il Collegio non ignora che nella materia della prevenzione della criminalità organizzata, il legislatore ordinario è titolare di un’ampia discrezionalità valutativa nella scelta delle misure ritenute idonee allo scopo, ancorché esse incidano sulle libertà economiche e si fondino su accertamenti semplificati, e che detta discrezionalità può legittimamente manifestarsi anche attraverso la previsione di effetti interdittivi automatici collegati al verificarsi di determinate circostanze considerate pienamente indicative del rischio di contaminazione mafiosa del tessuto sociale ed economico.

Tuttavia, come ha ben evidenziato il Consiglio di Stato, anche nella definizione di tali ipotesi resta fermo il necessario controllo di ragionevolezza e di proporzionalità delle disposizioni legislative, ai sensi dell’art. 3 della Costituzione, secondo i parametri sviluppati dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, nonché l’esigenza di rispettare i criteri imposti della CEDU e dalla Carta di Nizza in materia di tutela dei diritti fondamentali (in termini, Cons. Stato, ord., sez. III, 18 ottobre 2019, n. 5291).

Alla luce di tutto quanto sopra evidenziato, emerge, a parere di questo Collegio, la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale qui prospettata con riferimento all’art. 3 della Costituzione e, segnatamente in merito ai profili di irragionevolezza dell’automatismo di cui alla comunicazione antimafia nel caso di condanna per il reato di cui all’art. 452-quaterdecies c.p., di sproporzionalità degli effetti dello stesso, nonché di previsione di trattamenti differenziati per situazioni uguali.

Più nello specifico, è, allo stato, dubbia la ragionevolezza della norma di cui all’art. 67, comma 8, come richiamata dal secondo comma dell’art. 84, nella parte in cui, rinviando all’art. 51, comma 3 bis del c.p., si riferisce anche al reato di cui all’art. 452-quaterdecies del c.p., anche nella sua forma non associativa, nella misura in cui essa parifica – ai fini della determinazione degli automatici effetti di cui alla comunicazione antimafia – alla situazione della definitiva adozione di una misura di prevenzione tipica, adottata all’esito dei procedimenti di cui al libro primo, titolo I, capo II, del codice antimafia, e alla situazione della condanna di gravissimi reati (espressione quindi di un’attività criminale organizzata) la diversa ipotesi della condanna per il reato di cui all’art. 452-quaterdecies del c.p., il quale non ha struttura associativa e, nella sua configurazione normativa, non è necessariamente correlato ad attività della criminalità organizzata (come, del resto, risulta in concreto accertato dalla sentenza di condanna subita dalla ricorrente).

Il dubbio sulla ragionevolezza di tale previsione deriva altresì dalla circostanza che la condanna anche non definitiva per il reato di cui all’art. 452-quaterdecies del c.p., (insieme alle ipotesi di condanna per altri titoli di reato, quali: 353, 353-bis, 603-bis, 629, 644, 648-bis, 648-ter del codice penale, degli altri delitti di cui all'articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale e di cui all'articolo 12-quinquies del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306 convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356), nello stesso codice antimafia, all’art. 84, comma 4, lettera a) è opportunamente considerato come elemento da cui è possibile inferire (senza, però, alcun automatismo probatorio) la sussistenza di un rischio concreto di infiltrazione mafiosa o della criminalità organizzata, ai fini dell’adozione di un’informativa interdittiva.

In tal senso, nel contesto dell’art. 84, risulta perfettamente coerente la collocazione dell’art.452-quaterdecies del c.p., tra i “delitti-spia” significativamente indicativi della capacità di penetrazione nell’economia legale da parte della criminalità organizzata.

La mera precisazione che la condanna debba essere definitiva o confermata in appello, così come previsto all’art. 67, comma 8, non può essere individuata quale criterio discriminante, tanto più che all’art. 84, comma 4 si fa genericamente riferimento ad una condanna anche non definitiva.

Pertanto, il previsto effetto automatico della condanna definitiva o confermata in grado di appello per il reato di cui all’art.452-quaterdecies c.p., previsto dall’art. 67, comma 8 del codice antimafia, risulta irragionevolmente sproporzionata rispetto alla finalità perseguita dal legislatore, laddove, mediante il rinvio all’art. 51 comma 3 bis c.p.p., ai fini dell’individuazione dei presupposti per il rilascio della comunicazione antimafia, affianca – ai fini della determinazione degli automatici effetti di cui alla comunicazione medesima – alla situazione della definitiva adozione di una misura di prevenzione tipica, adottata all’esito dei procedimenti di cui al libro primo, titolo I, capo II, del codice antimafia, e alla situazione della condanna di gravissimi reati (espressione quindi di un’attività criminale organizzata) la diversa ipotesi della condanna per il reato di “attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti”, anche nella sua forma non associativa.

L’art. 452-quaterdecies c.p. rileva, in tale contesto, nella misura in cui lo stesso si presenti in concreto nella dimensione associativa e, in tale senso, si configuri come reato-fine dell’art. 416 del c.p., come peraltro previsto dall’art. 51, comma 3 bis c.p.p., con riferimento ad altri reati, quali, ad esempio, i reati previsti dagli articoli 473 e 474 c.p.

Parimenti, il rischio potenziale di infiltrazione mafiosa, cui è esposto il contesto imprenditoriale in cui le attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti si collocano, non vale ad integrare, di per sé solo, il requisito dell’effettivo collegamento con la criminalità organizzata. Essendo, al più, tale contesto utile ai fini della valutazione tecnico-discrezionale dell’autorità prefettizia, propria del diverso e complesso provvedimento dell’informativa antimafia, volta a ravvisare, all’esito della lettura congiunta ed incrociata di molteplici elementi rilevati in concreto dagli organi di polizia, la sussistenza o meno di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate.

Orbene, a fronte di tutto quanto sopra esposto, questo Collegio rileva che, alla luce dei principi di ragionevolezza e proporzionalità, l’effetto automatico proprio della comunicazione antimafia nell’ipotesi di condanna per il reato di cui all’art. 452-quaterdecies c.p., nella sua variante non associativa e non correlata alla criminalità organizzata, non risponde compiutamente alla tutela dell’interesse pubblico generale sotteso all’istituto della comunicazione antimafia comportando il rischio di un’indebita lesione di diritti costituzionalmente garantiti, primi tra tutti la libertà di iniziativa economica di cui all’art. 41 della Costituzione, la quale verrebbe fortemente pregiudicata dai provvedimenti ostativi “a cascata” conseguenti alla comunicazione antimafia, nonché sul sistema di sicurezza sociale di cui all’art. 38 della Costituzione, atteso che la funzione della comunicazione è quella di inibire, nei rapporti tra i privati stessi, qualsivoglia attività soggetta ad autorizzazione, licenza, concessione, abilitazione, iscrizione ad albi (art. 67 del d.lgs. n. 159 del 2011), o anche alla segnalazione certificata di inizio attività (c.d. s.c.i.a) e alla disciplina del silenzio assenso (art. 89, comma 2, lett. a) e lett. b) del d.lgs. n. 159 del 2011).

Occorre rilevare, altresì, come il collocamento della condanna per il reato di cui all’art. 452- quaterdecies c.p., nella sua forma non associativa, tra i presupposti richiesti ai fini del rilascio della comunicazione interdittiva determinerebbe un irragionevole aggravio del trattamento sanzionatorio in violazione dell’art. 25 e 27 della Costituzione, peraltro, non giustificato da un’adeguata motivazione da parte dell’Autorità prefettizia, in ragione del suddetto automatismo della comunicazione.

Da ultimo, si ritiene opportuno richiamare sul punto le considerazioni esposte dal T.A.R. per il Friuli Venezia Giulia con l’ordinanza n. 160 del 26 maggio 2019 con riguardo al diverso reato di “truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche” di cui all’art. 640 bis c.p. inserito nell’ultimo periodo dell’art. 67, comma 8, dall’art. 24, comma 1, lett. d) del decreto legge 4 ottobre 2018, n. 113, convertito con modificazioni dalla legge 1 dicembre 2018, n. 132: “il dubbio di costituzionalità riguarda una norma la quale fa derivare un effetto interdittivo automatico a carico di soggetti che sono stati condannati per un reato che non è riconducibile tout court alla criminalità organizzata di tipo mafioso e che può, al più, costituire mera circostanza da cui desumere, nello specifico caso concreto e attraverso una compiuta e diffusa valutazione di carattere necessariamente discrezionale, elementi sintomatici di contiguità al fenomeno mafioso della specifica condotta posta in essere. La disposizione, laddove fa derivare automatici effetti ostativi, appare, quindi, eccedere lo scopo che si propone che è quello di contrastare, mediante apposite misure di carattere preventivo, il dilagare dell’ingerenza da parte della criminalità organizzata nel tessuto socio-economico, che – come ripetutamente evidenziato dal Consiglio di Stato – ha effetti inquinanti e falsanti il libero e naturale sviluppo dell’attività economica nei settori infiltranti, con grave vulnus, non solo per la concorrenza, ma per la stessa libertà e dignità umana (ex multis Cons. Stato, sez. III, 24 aprile 2020, n. 2651)”.

Tali profili di dubbia costituzionalità sono stati, peraltro, ben evidenziati dalla III sezione del Consiglio di Stato con l’ordinanza n. 6614 del 2020 nella quale si legge: “Ritenuto meritevole di ulteriore approfondimento, in sede di merito, il tema decisorio (intercettato dal secondo motivo di appello) relativo alla sospetta incostituzionalità dell’art. 67 comma 8 del d.lgs. n. 159/2011, come richiamato dal secondo comma dell’art. 84, da vagliare in relazione ai canoni di proporzionalità e ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost. (in combinato con gli artt. 25, 27, 38 e 41 Cost.), nella misura in cui detta disposizione parifica – ai fini della determinazione degli automatici effetti interdittivi – alla situazione della condanna per gravissimi reati a struttura associativa, finalizzati alla commissione di specifici delitti (espressione quindi di un’attività criminale organizzata di carattere economico) la diversa ipotesi della condanna per il reato di cui all’art. 452 quaterdecies c.p. anche nella sua variante non associativa, pur essendo quest’ultima fattispecie non necessariamente correlata ad attività della criminalità organizzata (come, del resto, risulta in concreto accertato dalla sentenza di condanna riportata dal sig. -Caio-). Il dubbio sulla ragionevolezza di tale previsione deriva altresì dalla circostanza che la condanna per il reato di cui all’art. 452 quaterdecies c.p. (insieme alle ipotesi di condanna per i delitti di cui all'articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale) nello stesso codice antimafia, all’art. 84, comma 4, lettera a), è opportunamente considerata come elemento da cui è possibile inferire (senza, però, alcun automatismo probatorio) la sussistenza di un rischio concreto di infiltrazione mafiosa o della criminalità organizzata, ai fini dell’adozione di un’informativa interdittiva. Pertanto, il previsto effetto interdittivo automatico della condanna per il reato di cui all’art. 452 quaterdecies c.p., previsto dall’art. 67 del codice antimafia, potrebbe risultare, allo stato, irragionevolmente sproporzionato rispetto alla finalità preventiva perseguita dal legislatore”.

Da ultimo, e in generale sul tema dei sistemi di automatismo presuntivo, si segnala la recente sentenza 20 febbraio 2020, n. 24, con la quale la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 120, comma 2, del D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), come sostituito dall'art. 3, comma 52, lettera a), della L. 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), e come modificato dall'art. 19, comma 2, lettere a) e b), della L. 29 luglio 2010, n. 120 (Disposizioni in materia di sicurezza stradale) e dall'art. 8, comma 1, lettera b), del D.Lgs. 18 aprile 2011, n. 59 (Attuazione delle direttive 2006/126/CE e 2009/113/CE concernenti la patente di guida), nella parte in cui dispone che il prefetto "provvede" - invece che "può provvedere" - alla revoca della patente di guida nei confronti di coloro che sono sottoposti a misura di sicurezza personale, di fatto censurando l’automatismo tra revoca della patente e misure di sicurezza.

Tanto premesso, ai sensi dell’art. 23, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, ritenendola rilevante e non manifestamente infondata, il T.A.R. Piemonte solleva questione di legittimità costituzionale dell’art. 67, comma 8, del decreto legislativo n. 159 del 2011, come richiamato dal secondo comma dell’art. 84, nella parte in cui, rinviando all’art. 51, comma 3 bis del c.p., si riferisce anche al reato di cui all’art. 452-quaterdecies del c.p., anche nella sua forma non associativa, e quindi nella parte in cui prevede l’automatismo di cui alla comunicazione antimafia nel caso di condanna per il reato di cui all’art. 452-quaterdecies del c.p. anche nella sua forma non associativa, per contrasto con i principi di proporzionalità e ragionevolezza di cui all’art. 3 Costituzione, nonché per contrasto con gli artt. 25, 27, 38 e 41 della Costituzione.

Il processo deve, pertanto, essere sospeso, ai sensi e per gli effetti di cui agli artt. 79, 80 del codice del processo amministrativo e 295 c.p.c., con trasmissione immediata degli atti alla Corte costituzionale.

Ogni ulteriore statuizione in rito, in merito e in ordine alle spese è riservata alla decisione definitiva.

P.Q.M.

il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte, Sezione Prima:

- visto l’art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 67, comma 8, del decreto legislativo n. 159 del 2011, come richiamato dal secondo comma dell’art. 84, nella parte in cui, rinviando all’art. 51, comma 3 bis del c.p., si riferisce anche al reato di cui all’art. 452-quaterdecies del c.p., anche nella sua forma non associativa, e quindi nella parte in cui prevede l’automatismo di cui alla comunicazione antimafia nel caso di condanna per il reato di cui all’art. 452-quaterdecies del c.p. anche nella sua forma non associativa, in relazione agli artt. 3, 25, 27, 38 e 41 della Costituzione, per come precisato in motivazione;

- sospende il presente giudizio ai sensi dell’art. 79, primo comma, del codice del processo amministrativo;

- dispone, a cura della Segreteria del Tribunale amministrativo, l’immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;

- rinvia ogni ulteriore statuizione in rito, nel merito e sulle spese di lite all’esito del giudizio incidentale promosso con la presente ordinanza.

Ordina che la presente ordinanza sia notificata, a cura della Segreteria del Tribunale amministrativo, a tutte le parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei ministri e che sia comunicata al Presidente del Senato della Repubblica ed al Presidente della Camera dei deputati.

Ordina che la presente ordinanza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare qualunque persona fisica o giuridica indicata in ordinanza.

Così deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 10 marzo 2021, celebrata con modalità telematica, con l'intervento dei magistrati:

Vincenzo Salamone, Presidente

Paola Malanetto, Consigliere

Flavia Risso, Primo Referendario, Estensore

 
 
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Flavia Risso Vincenzo Salamone
 
 
 

IL SEGRETARIO



 

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