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Consiglio di Stato, Sez. V, 21/7/2021 n. 5502
Rimessa alla Corte Cost. la qdlc dell’art. 248, c.4, del Tuel nella parte in cui prevede dalla data in cui è deliberato il dissesto la non debenza di interessi e rivalutazione sui debiti insoluti e le somme dovute per anticip. di cassa già erogate

Materia: enti locali / contabilità
Pubblicato il 21/07/2021

N. 05502/2021 REG.PROV.COLL.

N. 07833/2020 REG.RIC.           

REPUBBLICA ITALIANA

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

ORDINANZA

sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 7833 del 2020, proposto da


Comune di Santa Venerina, in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Marcello Clarich e Andrea Scuderi, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo, in Roma, via Stoppani 1;


contro

Ingegneria & Appalti s.r.l., in persona dell’amministratore unico e legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Antonio Saitta, con domicilio eletto presso il suo studio, in Roma, piazza Cavour 17;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio – Sede di Roma (sezione seconda) n. 9250/2020, resa tra le parti, concernente l’ottemperanza del lodo arbitrale del 13 luglio 2010, n. 95, del collegio della Camera arbitrale presso l’Autorità di Vigilanza sui Contratti Pubblici, costituito ai sensi dell’art. 32 della convenzione tra il Comune di Santa Venerina e la Ingegneria & Appalti s.r.l.;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio della Ingegneria & Appalti s.r.l.;

Viste le memorie e tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 27 maggio 2021 il consigliere Fabio Franconiero, nessuno essendo comparso per le parti;


PREMESSO IN FATTO

- nel presente giudizio di ottemperanza la Ingegneria & Appalti s.r.l. ricorre per l’integrale esecuzione del lodo arbitrale indicato in epigrafe, con cui il Comune di Santa Venerina è stato condannato a risarcirle i danni conseguenti alla risoluzione disposta dall’amministrazione locale, a decorrere dal 1° gennaio 2009, della concessione in finanza di progetto tra le parti, risalente al 2003, avente ad oggetto la progettazione ed esecuzione dei lavori di costruzione di quattro impianti di trattamento delle acque, l’adeguamento dei serbatoi esistenti, la costruzione di un impianto di produzione di acqua da tavola e la relativa gestione per la durata di trent’anni;

- l’importo liquidato in sede arbitrale a titolo di risarcimento dei danni a favore della società ricorrente ammonta in linea capitale ad € 4.318.405 (per valore degli impianti realizzati, crediti maturati nel corso dell’esecuzione e mancati guadagno); ad esso si aggiungono gli accessori, costituiti dalla rivalutazione monetaria e dagli interessi sulle diverse voci per cui l’ente locale è stato condannato, con le decorrenze e i tassi indicati nel lodo;

- a causa dell’insostenibilità per il bilancio comunale della somma liquidata in sede arbitrale il Comune di Santa Venerina ha dichiarato il proprio dissesto ai sensi degli artt. 244 e ss. del Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (delibera del consiglio comunale del 12 marzo 2013, n. 9);

- in seguito all’adesione del Comune alla procedura semplificata ex art. 258 T.u.e.l. e della conseguente erogazione dell’anticipazione di liquidità del Ministero dell’interno prevista dall’art. 33 del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66 (Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale; convertito, con modificazioni dalla legge 23 giugno 2014, n. 89), il credito della Ingegneria & Appalti è stato inserito nella massa passiva della procedura e pagato in data 22 gennaio 2018 per l’intero importo ammesso in linea capitale, oltre che per gli interessi maturati fino al momento della dichiarazione di dissesto, e cioè al 11 marzo 2013;

- la Ingegneria & Appalti ha quindi ricevuto la somma di € 4.830.953,92, di cui € 4.354.405,96 in sorte capitale (comprensivo delle spese di funzionamento del collegio arbitrale) ed € 476.547,96 a titolo di interessi;

- tuttavia, una volta chiusa la gestione liquidatoria con l’approvazione del rendiconto ai sensi dell’art. 256 T.u.e.l., con nota in data 4 giugno 2018 (seguite da ulteriori note in data 14 gennaio e 7 febbraio 2020) la società, «tenuto anche conto dell’art. 248 del T.U.E.L.», ha chiesto all’amministrazione tornata in bonis «il pagamento degli interessi moratori maturati, previsti in contratto, successivamente alla dichiarazione di dissesto», ed avuto riscontro negativo (con note comunali in data 2 luglio 2018 e 13 febbraio 2020) ha promosso il presente giudizio di ottemperanza;

- il ricorso è stato accolto in primo grado dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio – Sede di Roma, con la sentenza indicata in epigrafe, con cui è stato ordinato all’amministrazione resistente di dare «piena ed esatta esecuzione al giudicato di cui trattasi»;

- a fondamento della pronuncia di accoglimento del ricorso, il giudice di primo grado ha tra l’altro statuito che in analogia al fallimento dell’imprenditore privato nel dissesto finanziario degli enti locali «la procedura di liquidazione collettiva dei debiti non osta al permanere di pretese esigibili verso il debitore in bonis senza che rilevi – nelle more della prima – l’inesigibilità temporanea del pagamento in capo a quest’ultimo che parte resistente oggi vorrebbe opporre alla pretesa della società ricorrente»;

- il Comune di Santa Venerina ha quindi proposto il presente appello, nel quale premette che l’onere riveniente dal pagamento degli interessi maturati sul credito in linea capitale dopo la dichiarazione del precedente dissesto - quantificati dalla Ingegneria & Appalti nella prima richiesta di pagamento, datata 4 giugno 2018 in € 1.385.676,83, ed € 1.812.677,50 nell’ultima richiesta del 7 febbraio 2020 - è insostenibile per il proprio bilancio e che dovrebbe pertanto essere dichiarato un nuovo dissesto;

- nel merito l’amministrazione appellante, oltre a riproporre l’eccezione di inammissibilità del ricorso della Ingegneria & Appalti, per non avere questa impugnato le proprie note di riscontro negativo alle richieste di pagamento, deduce che il pagamento nella procedura di dissesto degli enti locali dell’intera sorte capitale del credito ne avrebbe determinato l’estinzione;

- la deduzione si fonda sull’assunto secondo cui l’art. 248, comma 4, T.u.e.l., nel disporre che dalla data in cui è deliberato il dissesto dell’ente locale i debiti insoluti «non producono più interessi né sono soggetti a rivalutazione monetaria», prevede un regime di inesigibilità temporanea degli accessori del credito non soddisfatto integralmente per sorte capitale;

- per il Comune di Santa Venerina andrebbero quindi circoscritti a questo caso i principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza del 17 luglio 1998, n. 269 (resa in relazione alla normativa previgente al testo unico di cui al d.lgs. n. 267 del 2000 e in esso trasfusa), posti dalla sentenza appellata a fondamento dell’accoglimento del ricorso;

- secondo l’amministrazione appellante il pagamento del credito per l’intera sorte capitale avrebbe invece «natura transattiva e tombale»;

- a fondamento della tesi viene addotta un’interpretazione dell’art. 248, comma 4, T.u.e.l. di tipo logico-sistematico, imperniata sulla finalità della liquidazione delle passività degli enti locali all’interno della procedura di dissesto finanziario, consistente nel sollecito ripristino della loro piena funzionalità;

CONSIDERATO IN DIRITTO

I) sulla rilevanza ed ammissibilità delle questioni di costituzionalità dell’art. 248, comma 4, T.u.e.l.;

I.1) come si desume dalle censure formulate nell’appello e sopra sintetizzate, nel presente giudizio si verte sull’esatta interpretazione ed applicazione dell’art. 248, comma 4, T.u.e.l., che per quanto rileva nel presente giudizio prevede che dalla data in cui è deliberato il dissesto «e sino all’approvazione del rendiconto di cui all’articolo 256 i debiti insoluti a tale data e le somme dovute per anticipazioni di cassa già erogate non producono più interessi né sono soggetti a rivalutazione monetaria»;

I.2) l’applicazione di tale disposizione di ordinamento degli enti locali non è innanzitutto impedita dall’eccezione di inammissibilità del ricorso riproposta dal Comune di Santa Venerina con il primo motivo d’appello;

I.3) l’eccezione si fonda infatti sulla non condivisibile premessa per cui le sopra menzionate note di riscontro negativo delle richieste della Ingegneria & Appalti di pagamento degli interessi ancora dovuti avrebbero natura di provvedimenti amministrativi, pertanto destinati a consolidarsi se non impugnati nel termine di decadenza ex art. 29 cod. proc. amm., e non già, come invece appare correttamente statuito dalla sentenza di primo grado, di atti riconducibili al rapporto paritetico di credito originato dal lodo arbitrale azionato nel presente giudizio di ottemperanza, emessi quindi dall’amministrazione appellante in qualità di debitore e non già di autorità in posizione di supremazia nei confronti della società creditrice;

I.4) sotto un distinto profilo, non è inoltre percorribile l’opzione interpretativa seguita dall’ente locale appellante secondo cui l’arresto del decorso degli accessori del credito previsto dall’art. 248, comma 4, T.u.e.l. sarebbe definitivo in caso di pagamento integrale della sorte capitale nella procedura di dissesto;

I.5) oltre a non essere suffragata dal tenore letterale della disposizione, che fissa all’approvazione del rendiconto ex art. 256 T.u.e.l. la durata dell’effetto, l’opzione si pone in contrasto con la giurisprudenza costituzionale, espressa nella sopra citata sentenza della Corte costituzionale del 17 luglio 1998, n. 269, con cui sono state dichiarate non fondate le questioni di costituzionalità della previgente disposizione (art. 81, comma 4, del decreto legislativo 25 febbraio 1995, n.77; Ordinamento finanziario e contabile degli enti locali, come modificato dall’art. 21 del “correttivo”, di cui al decreto legislativo 11 giugno 1996, n. 336);

I.6) con pronuncia interpretativa di rigetto la Corte ha affermato che «in coerenza con le caratteristiche di una procedura concorsuale», la disposizione relativa agli accessori del credito ha la finalità di determinare esattamente la consistenza della massa passiva da ammettere al pagamento nell’ambito del dissesto dell’ente locale, ma essa «non implica la “estinzione” dei crediti non ammessi o residui, i quali conclusa la procedura di liquidazione, potranno essere fatti valere nei confronti dell’ente risanato»;

I.7) l’affermazione di principio della Corte è quindi riferibile ad ogni pretesa creditoria rimasta insoddisfatta nella liquidazione delle passività dell’ente dissestato, tanto per sorte capitale che per i relativi accessori;

I.8) nondimeno, questo Consiglio di Stato ritiene che il principio affermato nel precedente costituzionale ora richiamato possa essere rivalutato, quanto meno sotto il profilo della sua perdurante conformità alla Carta fondamentale, alla luce della successiva riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione, approvata con legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, e di ulteriori interventi normativi di seguito richiamati;

I.9) prima di esporre i profili di non manifesta infondatezza dell’art. 248, comma 4, T.u.e.l., va tuttavia precisato che la sua rilevanza nel presente giudizio si desume da quanto osservato in precedenza;

I.10) la disposizione di ordinamento degli enti locali è innanzitutto a fondamento delle censure contenute nel secondo motivo d’appello del Comune di Santa Venerina contro la sentenza di primo grado, di accoglimento del ricorso in ottemperanza, per cui la sua applicazione nella presente vicenda controversa, già oggetto del contraddittorio tra le parti nel giudizio di primo grado, è ritualmente devoluta dall’amministrazione soccombente anche in appello;

I.11) la disposizione è inoltre rilevante perché, come sopra precisato, non appare fondata l’eccezione di inammissibilità del medesimo ricorso riproposta dall’amministrazione resistente;

I.12) infine è rilevante perché, come del pari accennato in precedenza, secondo l’interpretazione datane dalla giurisprudenza costituzionale, con la sopra richiamata sentenza della Corte costituzionale del 17 luglio 1998, n. 269, la stessa disposizione comporta che ogni pretesa creditoria rimasta insoluta nella procedura di dissesto torna ad essere esigibile nei confronti dell’ente locale dissestato una volta cessato il regime di sospensione temporanea strumentale all’attività di rilevazione ed estinzione delle passività di questo, a prescindere se vi sia stato o meno l’integrale pagamento della sorte capitale;

I.13) ed infatti sull’interpretazione ora descritta si fonda dichiaratamente la richiesta di pagamento della Ingegneria & Appalti da cui tra origine il presente giudizio di ottemperanza;

I.14) l’interpretazione dell’art. 248, comma 4, T.u.e.l. data dalla Corte costituzionale nel precedente più volte richiamato non consente inoltre di ritenere, sul distinto piano dell’ammissibilità delle questioni di costituzionalità, che i possibili profili di contrasto della disposizione di legge applicabile nel presente giudizio siano superabili in via interpretativa;

I.15) la Corte costituzionale ha tratto dall’antecedente normativo dell’art. 248, comma 4, T.u.e.l. oggi vigente un regime generalizzato di inesigibilità degli accessori del credito solo temporaneo, strumentale alla liquidazione della massa passiva dell’ente locale nell’ambito della procedura di dissesto, e destinato pertanto a cessare con la chiusura delle attività dell’organo straordinario di liquidazione;

I.16) l’accoglimento delle censure contenute nel secondo motivo d’appello è dunque impedito de iure condito dalla disposizione di ordinamento degli enti locali in questione;

II) sulla non manifesta infondatezza delle questioni di costituzionalità dell’art. 248, comma 4, T.u.e.l.;

II.1) superato quindi il vaglio di ammissibilità e rilevanza imposto dall’art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), con riguardo alla non manifesta infondatezza dell’art. 248, comma 4, t.u.e.l., va innanzitutto ricordato che con la sopra menzionata riforma del titolo V della Costituzione del 2001, da ultimo livello di governo e del decentramento amministrativo, i Comuni hanno visto riconosciuta in modo pieno la loro posizione di ente pubblico territoriale di base, esponenziale delle comunità locali, in attuazione del principio fondamentale del pluralismo autonomistico espresso dall’art. 5 Cost. («La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali»), a sua volta basato sul substrato storico-sociale del Comune quale ente radicato per plurisecolare tradizione nell’organizzazione pubblica territoriale;

II.2) con la riforma del 2001 è stato quindi attribuito ai Comuni il compito di soddisfare in via primaria gli interessi dei cittadini, secondo il principio di sussidiarietà verticale, in un rinnovato contesto ordinamentale che pur nel permanere di un modello di finanza pubblica locale “derivata” dallo Stato è contraddistinto da una maggiore autonomia finanziaria dell’ente locale sul versante tanto delle entrate quanto delle spese, ancorché vincolato a tutti i livelli di spesa dal rispetto dell’equilibrio dei bilanci pubblici per il raggiungimento degli obiettivi derivanti dalla partecipazione della Repubblica all’Unione europea (artt. 114, 118 e 119 Cost.);

II.3) con specifico riguardo al dissesto finanziario degli enti locali, sin dalla sua introduzione nell’ordinamento giuridico (art. 25 del decreto-legge 2 marzo 1989, n. 66, Disposizioni urgenti in materia di autonomia impositiva degli enti locali e di finanza locale; convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 1989, n. 144), l’evoluzione normativa dell’istituto si è connotata per la primaria esigenza di risanamento gli enti locali non in grado di onorare il servizio del debito attraverso la propria capacità di autofinanziamento e quindi di svolgere le funzioni ed i servizi pubblici di loro competenza;

II.4) nell’ambito del carattere derivato della finanza degli enti locali l’obiettivo del risanamento si è manifestato con la previsione di un intervento finanziario dello Stato (mutuo presso la Cassa depositi e prestiti con onere a totale carico dello Stato stesso, erogabile attraverso anticipazioni di liquidità secondo interventi normativi successivi), in concorrenza con misure sul piano delle entrate e delle spese di competenza dello stesso ente locale, intese all’aumento delle prime e alla riduzione delle seconde, oltre che sulla consistenza organica dell’ente;

II.5) in questa prospettiva, con un primo significativo intervento normativo riformatore dell’istituto, con l’art. 21 del decreto-legge 18 gennaio 1993, n. 8 (recante: Disposizioni urgenti in materia di finanza derivata e di contabilità pubblica, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 marzo 1993, n. 68), si è introdotta una separazione tra la nuova gestione, di competenza dell’ente destinato ad essere risanato una volta rimossi in modo permanente gli squilibri di bilancio che hanno condotto al dissesto, e quella passata, affidata ad un organo straordinario di liquidazione di nomina governativa con il compito di accertare e liquidare l’indebitamento;

II.6) a base della descritta separazione si era posta l’esigenza di assicurare massima certezza ed una maggiore rapidità nella soddisfazione del ceto creditorio dell’ente locale, nei confronti dei quali era posta la regola dalla sospensione delle azioni esecutive a tutela dei loro diritti, in conformità ad un principio ordinatore di carattere concorsuale;

II.7) con la medesima separazione tra le attività finalizzate al risanamento e quelle di liquidazione della massa passiva il dissesto ha assunto una fisionomia analoga al fallimento privatistico;

II.8) essa si è ulteriormente accentuata con l’introduzione di limiti al contributo dello Stato per il pagamento dell’indebitamento pregresso in rapporto alla popolazione dell’ente dissestato (artt. 4 e 21 d.l. n. 8 del 1993), da cui è derivata la possibilità che in caso di incapienza della massa attiva - destinata ad essere formata anche attraverso l’alienazione dei beni patrimoniali disponibili dell’ente - i crediti facenti parte della massa passiva subissero una falcidia percentuale;

II.9) di qui corollario per cui la parte del credito insoluta era destinata a gravare nuovamente sull’ente locale tornato in bonis, e dunque dell’effetto solo temporaneo, di carattere sospensivo, del blocco del decorsi degli accessori del credito, ancorato alla chiusura della gestione dell’organo di liquidazione;

II.10) il processo di omologazione tra dissesto degli enti locali e fallimento privatistico si è poi accentuato con i successivi interventi normativi, realizzati con il già citato decreto legislativo 25 febbraio 1995, n. 77 (Ordinamento finanziario e contabile degli enti locali) e il relativo decreto correttivo (decreto legislativo 11 giugno 1996, n. 336), con i quali si sono tra l’altro introdotte delle cause di prelazione dei crediti e si è previsto che l’organo straordinario di liquidazione predisponga un primo piano di rilevazione dei debiti recante l’elenco di quelli esclusi dalla massa passiva della procedura, strumentale all’erogazione del mutuo con la Cassa depositi e prestiti e il pagamento in acconto dei debiti inseriti nel piano di rilevazione;

II.11) con le caratteristiche finora sommariamente tratteggiate, espressive del bilanciamento a livello normativo tra la necessità, da un lato, di ripristinare la continuità di esercizio dell’ente locale incapace di assolvere alle funzioni e i servizi indispensabili per la comunità locale, e dall’altro lato di tutelare i creditori, il dissesto finanziario è stato infine trasfuso nel Testo unico sull’ordinamento degli enti locali di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267;

II.12) sotto il profilo della tutela dei creditori deve peraltro segnalarsi che l’attività contrattuale della pubblica amministrazione è stata assoggettata alla normativa sul contrasto ai ritardi dei pagamenti nelle transazioni commerciali, di cui al decreto legislativo 9 ottobre 2002, n. 231 (Attuazione della direttiva 2000/35/CE relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali), in particolare per effetto delle modifiche introdotte dal decreto legislativo 9 novembre 2012, n. 192 - Modifiche al decreto legislativo 9 ottobre 2002, n. 231, per l’integrale recepimento della direttiva 2011/7/UE relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, a norma dell’articolo 10, comma 1, della legge 11 novembre 2011, n. 180);

II.13) tale normativa è nel caso di specie applicabile, anche in via convenzionale, ad alcune poste risarcitorie accertate nel giudizio arbitrale, come statuito nel lodo oggetto del presente ricorso in ottemperanza;

II.14) il dissesto finanziario degli enti locali si colloca quindi all’interno dell’antitesi Stato-mercato;

II.15) come infatti sopra esposto, per la copertura del disavanzo dell’ente locale e per il suo risanamento è previsto un intervento sia pure non illimitato dello Stato, con funzione tipica di “pagatore di ultima istanza” all’interno del sistema di finanza pubblica che da esso promana; a ciò si contrappone un regime dei debiti commerciali dell’ente locale proprio delle transazioni tra imprese, in cui non sono ordinariamente previsti interventi di sostegno pubblico contro l’insolvenza e nel quale, pertanto, la remunerazione dei crediti attraverso gli interessi di mora ai sensi del citato d.lgs. n. 231 del 2002 ne rifletto il relativo rischio;

II.16) al medesimo riguardo, nel contrapposto ambito della finanza pubblica e del dissesto degli enti locali è ammessa l’ipotesi che l’intervento dello Stato possa non essere sufficiente, ed infatti l’art. 256, comma 12, T.u.e.l. prevede che in caso di massa attiva incapiente, tale «da compromettere il risanamento dell’ente» il Ministro dell’interno «può stabilire misure straordinarie per il pagamento integrale della massa passiva della liquidazione, anche in deroga alle norme vigenti», in questo caso senza tuttavia oneri a carico dello Stato;

II.17) tuttavia, la disposizione ora richiamata, introdotta nel 2016, include tra le misure straordinarie in questione la possibilità che l’ente locale acceda alla «procedura di riequilibrio finanziario pluriennale prevista dall’articolo 243-bis», contraddistinta dall’incapacità solo temporanea di fare fronte al servizio del debito e, al pari del dissesto finanziario, dall’intervento di risorse a carico del bilancio dello Stato, ovvero il Fondo di rotazione per assicurare la stabilità finanziaria degli enti locali di cui all’art. 243-ter T.u.e.l.;

II.18) sulla base della ricognizione normativa finora svolta si ricava quindi che in coerenza con l’obiettivo primario dell’istituto del dissesto finanziario dell’ente locale, consistente nel suo stabile risanamento, un nuovo dissesto costituisce per l’ordinamento giuridico un’evenienza in grado di frustrare le finalità dell’istituto, contro la quale sono pertanto previste soluzioni per quanto possibile in grado di assicurare lo stabile riequilibrio di bilancio;

III) sulla non manifesta infondatezza della questione di costituzionalità dell’art. 248, comma 4, T.u.e.l. in relazione al principio di uguaglianza ex art. 3 Cost.;

III.1) nella misura equipara sul piano normativo situazioni ontologicamente diverse, quali il dissesto finanziario degli enti locali e il fallimento dell’imprenditore privato, il regime di inesigibilità solo temporaneo degli accessori del credito previsto dalla disposizione di legge censurata appare porsi in contrasto con il principio di uguaglianza;

III.2) a differenza del dissesto nel fallimento non è infatti previsto alcun intervento finanziario “esterno” al soggetto in situazione di incapacità di assolvere ai propri debiti con il fine di rimuovere la situazione di squilibrio economico-finanziario che ha portato al dissesto (oggi previsto dall’art. 255 T.u.e.l.);

III.3) scopo del fallimento è infatti la liquidazione dei beni dell’imprenditore insolvente, per il soddisfacimento dei suoi creditori, come oggi reso esplicito dal Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza di cui al decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14, attraverso l’impiego del termine «liquidazione giudiziale»;

III.4) nell’antitetico scopo delle procedure di composizione della crisi determinata rispettivamente dall’indebitamento pubblico e privato si ricava quindi l’assenza di presupposti che giustifichino un trattamento identico per quanto riguarda la sorte degli accessori del credito nei due casi, e cioè per assoggettare gli accessori del credito nei confronti dell’ente locale dissestato, ai sensi dell’art. 248, comma 4. T.u.e.l., allo stesso regime di temporanea inesigibilità relativo ai crediti pecuniari nei confronti dell’imprenditore previsto dall’art. 154 del citato Codice della crisi dell’impresa e dell’insolvenza (in cui è precisato che l’apertura della liquidazione giudiziale «sospende il corso degli interessi convenzionali o legali, agli effetti del concorso, fino alla chiusura della procedura»);

III.5) appaiono in altri termini equiparate sotto il profilo in esame situazioni antitetiche, caratterizzate dal fatto che il risanamento del soggetto insolvente è obiettivo del solo dissesto finanziario dell’ente locale, nondimeno soggetto a regole di matrice civilistica in cui è invece indifferente la sorte del soggetto debitore, quali quelle concernenti in particolare l’attuazione del rapporto obbligatorio (e nello specifico quelle oggetto di giudizio, relative agli interessi sui crediti commerciali e agli effetti del pagamento nell’ambito della procedura di liquidazione della massa passiva);

III.6) per effetto di tale ingiustificata equiparazione l’obiettivo della stabile rimozione degli squilibri di bilancio che hanno determinato il dissesto dell’ente locale, a base dell’intervento statale, è compromesso per via della persistente soggezione dell’ente tornato in bonis al credito per interessi ex art. 248, comma 4, T.u.e.l. residuati dopo il pagamento da parte dell’organo straordinario di liquidazione, fino al rischio che si renda necessario un nuovo intervento straordinario a carico della finanza pubblica;

III.7) portato alle estreme conseguenze, il rischio derivante dal descritto assetto normativo è che ad un dissesto ne seguano ulteriori, come dedotto dal Comune appellante nel caso oggetto del presente giudizio, e che pertanto l’obiettivo del bilancio stabilmente riequilibrato dell’ente locale sia vanificato;

IV) sulla non manifesta infondatezza della questione di costituzionalità dell’art. 248, comma 4, T.u.e.l. in relazione al principio di ragionevolezza ex art. 3 Cost.;

IV.1) l’estensione al dissesto degli enti locali del regime di temporanea inesigibilità degli accessori del credito previsto dalla disposizione censurata attribuisce al creditore una tutela che sembra inoltre eccedere i limiti di un equilibrato bilanciamento delle contrapposte esigenze a base dell’istituto, in precedenza evidenziate (§ II.11);

IV.2) pur a fronte di un adempimento satisfattivo del credito, per la sua intera consistenza al momento della dichiarazione di dissesto, permane infatti il rischio di dissesti in successione e che quindi l’ente locale non sia stabilmente risanato, a causa della perdurante maturazione degli interessi nella pendenza della procedura;

IV.3) tale rischio è aggravato (come nel caso di specie) adlla generalizzata soggezione dei crediti nei confronti della pubblica amministrazione al regime delle transazioni commerciali, fondato su un “premio” che riflette una valutazione di rischiosità di mercato propria di quella svolta nei confronti dell’imprenditore privato, la regolazione dell’insolvenza del quale ha il solo scopo di assicurare il soddisfacimento concorsuale dei creditori, attraverso la liquidazione integrale della massa attiva, e in cui la sorte dell’impresa ha pertanto carattere recessivo;

IV.4) sotto il profilo in questione difettano pertanto le basi logiche per estendere al debitore pubblico quale l’ente locale soggetto al dissesto finanziario ai sensi del Testo unico di cui al d.lgs. n. 267 del 2000 il descritto regime proprio dell’imprenditore privato, posto che come finora evidenziato il dissesto finanziario dell’ente locale persegue l’obiettivo della definitiva rimozione degli squilibri di bilancio dell’ente medesimo e in ragione di ciò è previsto il più volte richiamato intervento dello Stato;

IV.5) la regolazione del credito nei confronti dell’ente locale dissestato nell’ambito del complessivo sistema di finanza pubblica, con l’inerente obiettivo dello stabile risanamento, rende infatti il suo titolare pienamente garantito dalla certezza del ritorno in bonis del debitore, malgrado la relativa remunerazione a tassi di mercato;

IV.6) specularmente il debitore pubblico, le cui obbligazioni sono assimilabili a quelle sovrane grazie all’intervento dello Stato, viene nondimeno assoggettato alla disciplina prevista per il debitore privato, che di tale intervento non beneficia;

IV.7) oltre all’irragionevole equiparazione di trattamento di situazioni differenziate così descritto, si frustra contemporaneamente l’obiettivo di politica legislativa a base del dissesto, con un’iper-protezione a favore del creditore a scapito della collettività di cui l’ente locale è istituzione pubblica esponenziale;

IV.8) il primo beneficia infatti della garanzia di vedere comunque soddisfatto integralmente il proprio diritto dal ritorno in bonis dell’ente, per cui diviene per esso indifferente il tempestivo adempimento e, quindi, la durata della procedura di dissesto;

IV.9) a fronte dell’assenza di rischi di insolvenza vi è per contro una remunerazione del credito che presuppone ed esprime la definitiva incapacità di adempiere del debitore;

IV.10) la soluzione costituzionalmente imposta per rimuovere tale irragionevole equiparazione di situazioni tra loro antitetiche appare quindi quella di considerare inesigibili in via definitiva e non solo temporanea gli accessori del credito nei confronti dell’ente locale integralmente soddisfatto nel dissesto di quest’ultimo al momento dell’apertura della procedura, e dunque assegnare al pagamento dell’organo di liquidazione carattere estintivo;

V) sulla non manifesta infondatezza della questione di costituzionalità dell’art. 248, comma 4, T.u.e.l. in relazione al principio dell’equilibrio di bilancio ex artt. 81 e 97, comma 1, Cost.;

V.1) oltre a non superare il test di ragionevolezza per le ragioni finora descritte, il regime normativo degli accessori del credito nei confronti dell’ente locale dissestato appare porsi in contrato con il principio dell’equilibrio dei bilanci pubblici sancito dalle disposizioni costituzionali da ultimo richiamate;

V.2) il contrasto si profila per il rischio in sé insito - e sopra accennato - di dissesti in successione, tale da compromettere il percorso dell’ente locale verso l’obiettivo primario del definitivo ripristino dell’ordinaria attività una volta rimossi gli squilibri economico-finanziari che ne avevano comportato il dissesto;

V.3) più in radice appare inficiata ab imis la possibilità per l’ente di presentare l’ipotesi credibile di bilancio stabilmente riequilibrato a fronte di un credito per interessi che per tutto il corso della procedura continua a decorrere a tassi di mercato, posto che secondo il diritto vivente l’ente dissestato non può deliberare un nuovo dissesto in pendenza della procedura già avviata, ma casomai richiedere gli interventi previsti dal sopra richiamato art. 256, comma 12, T.u.e.l., in presenza dei relativi presupposti (Corte dei conti, controllo Lombardia, parere 22 dicembre 2020, n. 184);

V.4) si profila pertanto il rischio che l’indebitamento si consolidi in perpetuo e diventi nella sostanza irredimibile, così da rendere irrealizzabile «qualsiasi ragionevole progetto di risanamento, in tal modo entrando in collisione sia con il principio di equità intragenerazionale che intergenerazionale» (Corte costituzionale, sentenza 14 febbraio 2019, n. 18, resa nei confronti di disposizioni di legge intese a consentire la rimodulazione del riequilibrio di bilancio degli enti locali nell’ambito della procedura ex art. 243-bis T.u.e.l. mediante scorporo dei residui accertati all’esito della relativa procedura di revisione straordinaria);

V.5) sul punto deve ritenersi che l’ipotesi oggetto del presente giudizio possa essere assimilato a quella esaminata dalla Corte nel precedente da ultimo richiamato, per il fatto che dal regime di temporanea inesigibilità degli interessi derivante dall’art. 248, comma 4, T.u.e.l. deriva un incremento automatico del deficit di bilancio e dell’indebitamento per la spesa corrente nei confronti dell’ente locale, alimentato dal decorso costante degli interessi di mora sui crediti commerciali per tutta la durata delle procedura di dissesto e degli ulteriori strumenti previsti dall’ordinamento giuridico-contabile degli enti locali per rimediare agli squilibri di bilancio di questi, cui non è pertanto posto alcun rimedio;

V.6) anche sotto il profilo da ultimo accennato il carattere estintivo del pagamento da parte dall’organo straordinario di liquidazione del credito maturato al momento della dichiarazione di dissesto dell’ente locale appare l’unica soluzione imposta dal rispetto in subiecta materia delle disposizioni costituzionali finora esaminate;

VI) sulla non manifesta infondatezza della questione di costituzionalità dell’art. 248, comma 4, T.u.e.l. in relazione al principio del buon andamento ex art. 97, comma 2, Cost.;

VI.1) oltre che rispetto al principio dell’equilibrio dei bilanci pubblici il regime di temporanea inesigibilità degli accessori del credito previsto dalla disposizione censurata appare porsi in contrato con il principio del buon andamento dell’amministrazione, per il fatto di ostacolare il ripristino della piena funzionalità dell’ente locale una volta liquidato l’indebitamento in precedenza accumulato;

VI.2) a questo riguardo va segnalato che la Corte costituzionale ha considerato come obiettivo di politica legislativa afferente al buon andamento dell’amministrazione ex art. 97, comma 2, Cost. l’obbligo per gli enti del Servizio sanitario nazionale che adottano la contabilità finanziaria di stanziare in bilancio un accantonamento denominato “fondo di garanzia debiti commerciali”, qualora l’indicatore di ritardo annuale dei pagamenti non sia rispettoso dei termini di legge (Corte cost., sentenza 24 aprile 2020, n. 78);

VI.3) per quanto esposto in precedenza, con la previsione di tassi di interesse di mercato e la certezza della rimozione degli squilibri di bilancio nell’ambito della procedura di dissesto, il tempestivo adempimento del credito da parte dell’ente pubblico debitore diviene invece indifferente per il creditore privato, dal momento che il primo rimane comunque esposto in perpetuo alle azioni del secondo a tutela del suo diritto;

VI.4) ne deriva una distorsione dell’impianto complessivo non solo del dissesto finanziario degli enti locali, ma anche della normativa contro i ritardi nel pagamento delle transazioni commerciali, che come sopra esposto si fonda sul rischio di insolvenza del debitore privato e sulla conseguente esigenza di mercato di una sua maggiore remunerazione, per cui essa appare ingiustificatamente applicabile in toto anche rispetto all’ente locale in situazione di dissesto e che necessita di essere risanato per il sollecito ritorno alla ordinaria attività amministrativa;

VII) sulla non manifesta infondatezza della questione di costituzionalità dell’art. 248, comma 4, T.u.e.l. in relazione al riconoscimento del principio del “pluralismo autonomistico” di cui all’art. 5 Cost.;

VII.1) per le ragioni da ultimo evidenziate la disciplina sugli accessori dei crediti nei confronti dell’ente locale in dissesto sembra svuotare di contenuti il riconoscimento costituzionale degli enti locali da parte della Repubblica ai sensi dell’art. 5 Cost.;

VII.2) nella misura in cui quest’ultimo è da intendersi quale presa d’atto dell’origine pre-repubblicana degli enti esponenziali delle comunità territoriali, e dunque della loro esistenza necessaria, in funzione dell’inesauribilità delle funzioni e dei servizi pubblici a loro attribuiti quale livello di governo “di prossimità” rispetto a tali collettività, espressivo dei loro bisogni primari, si desume che è del pari conseguenza costituzionalmente vincolata il loro ritorno in bonis;

VII.3) come desumibile anche dal sopra richiamato art. 256, comma 12, T.u.e.l., l’obiettivo del dissesto finanziario degli enti locali è in particolare quello di raggiungere il loro stabile riequilibrio, e dunque che questi siano posto in via definitiva in condizione di esercitare le funzioni e i servizi pubblici ad esso attribuiti;

VII.4) tale obiettivo rischia tuttavia di essere vanificato se all’integrale pagamento del credito per sorte capitale e per gli interessi maturati al momento della dichiarazione di dissesto non venisse attribuito carattere estintivo e quindi il regime degli accessori previsto dall’art. 248, comma 4, T.u.e.l. venisse inteso, come avvenuto finora, di mera inesigibilità di questi ultimi, in analogia al fallimento dell’imprenditore privato, anziché come arresto definitivo in funzione del carattere estintivo del pagamento di competenza dell’organo straordinario di liquidazione;

VIII) sulla non manifesta infondatezza della questione di costituzionalità dell’art. 248, comma 4, T.u.e.l. in relazione alle funzioni amministrative attribuite ai Comuni ai sensi degli artt. 114 e 118 Cost.;

VIII.1) infine, il possibile succedersi di dissesti finanziari dell’ente comunale insito nella soggezione di questo alla disciplina dei crediti commerciali fa emergere un possibile contrasto del regime di inesigibilità solo temporanea desunto dall’art. 248, comma 4, T.u.e.l. con il ruolo costituzionale del medesimo ente, ai sensi dei sopra citati artt. 114 e 118 Cost., di livello di governo esponenziale delle comunità locali, radicato nell’esperienza storico-istituzionale di queste ultime, e pertanto preposto all’esercizio delle funzioni amministrative e dei servizi rispondenti ai bisogni primari della persona;

VIII.2) come finora esposto, l’obiettivo primario del risanamento dell’ente locale dissestato è infatti strumentale al ripristino delle funzioni e dei servizi di competenza dell’ente incapace di assolvervi ex art. 244 T.u.e.l. a causa dell’indebitamento precedentemente accumulato;

VIII.3) con il riespandersi degli accessori del credito, divenuti temporaneamente inesigibili ai sensi dell’art. 248, comma 4, T.u.e.l. per tutta la durata della procedura di dissesto, di esso tuttavia finisce per avvantaggiarsi in primo luogo il singolo creditore commerciale, benché già remunerato a tassi di mercato;

VIII.4) a ciò si contrappone l’ingiustificato sacrificio della collettività di cui il Comune è ente esponenziale, esposto al rischio di un nuovo dissesto e alle negative ripercussioni da esso derivante tanto sul piano della continuità delle funzioni amministrative e dei servizi pubblici quanto sul piano economico, per le azioni di riequilibrio del bilancio rese necessarie dall’apertura della nuova procedura;

VIII.5) la soluzione imposta per superare l’aporia così venutasi a creare è quindi quella di considerare estintivo il pagamento integrale del credito nell’ambito della procedura di dissesto, per sorte capitale ed interessi maturati al momento della sua apertura;

Conclusioni

- per le ragioni sinora esposte il presente giudizio va sospeso e va disposta la trasmissione degli alla Corte costituzionale delle questioni di costituzionalità sollevate con riguardo alla disposizione di legge da ultimo richiamata, ai sensi dell’art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale);

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), non definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, dichiara rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 248, comma 4, del Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, in relazione agli artt. 3, 5, 81, 97, 114 e 118 della Costituzione, nei termini esposti in motivazione;

dichiara pertanto la sospensione del processo e ordina che a cura della cancelleria l’ordinanza sia notificata alle parti in causa e al presidente del Consiglio dei Ministri, ed inoltre comunicata ai presidenti delle due Camere del Parlamento;

Così deciso nella camera di consiglio del giorno 27 maggio 2021, tenuta con le modalità previste dagli artt. 4 del decreto-legge 30 aprile 2020, n. 28, convertito dalla legge 25 giugno 2020, n. 70, e 25 del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, come da ultimo modificato dall’art. 6, comma 1, lett. e), del decreto-legge 1 aprile 2021, n. 44, con l’intervento dei magistrati:

Luciano Barra Caracciolo, Presidente

Fabio Franconiero, Consigliere, Estensore

Valerio Perotti, Consigliere

Stefano Fantini, Consigliere

Alberto Urso, Consigliere

 
 
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Fabio Franconiero Luciano Barra Caracciolo
 
 
 

IL SEGRETARIO


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