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Corte di Cassazione, sez. VI pen., 12/10/2021 n. 37076
La circostanza che una società in house sia soggetta a fallimento non esclude che il legale rappresentante possa essere condannato anche per il reato di peculato, in quanto riveste la qualità di incaricato di pubblico servizio.

Materia: società / amministratori

Corte di Cassazione - copia non ufficiale

 

Penale Sent. Sez. 6 Num. 37076 Anno 2021

Presidente: MOGINI STEFANO

Relatore: RICCIARELLI MASSIMO

Data Udienza: 30/06/2021

 

la seguente

SENTENZA

 sul ricorso proposto da: Omissis, nato il 07/10/1956 a Biancavilla

Omissis , nato il 10/02/1965 a Catania

avverso la sentenza del 10/7/2019 della Corte di appello di Catania

 visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;

 udita la relazione svolta dal consigliere Massimo Ricciarelli;

letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Marco Dall'Olio, che ha concluso: per l'annullamento senza rinvio per entrambi i ricorrenti in riferimento al capo A), con assorbimento del secondo motivo di Omissis e rideterminazione della pena nei confronti di quest'ultimo con detrazione dell'aumento applicato per la continuazione con il reato escluso; per l'annullamento con rinvio nei confronti di Omissis per la rideterminazione della pena in relazione all'esclusione del reato sub A) e all'accoglimento del motivo sul divieto di reformaio in peius; per il rigetto degli altri motivi;

udito il difensore, Avv. Paolo Spanti, anche in sost. dell'Avv. Marina Caltagirone Di Gregorio e Avv. Pietro Ivan Sparavigna, che ha concluso per l'accoglimento dei ricorsi.

 

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 10 luglio 2019 la Corte di appello di Catania ha parzialmente riformato quella del G.I.P. del Tribunale di Catania del 17 luglio 2018, con cui sono stati condannati Omissis e Omissis per il reato di cui agli artt. 416, comma 1, 2 e 3 cod. pen. (capo A) e per quelli di cui agli artt. 319, 319-bis e 321 cod. pen. (capi B e C), nonché il solo Omissis per il reato di cui all'art. 314 cod. pen. (capo D): in particolare la Corte ha riqualificato i fatti contestati ai capi B) e C) ai sensi dell'art. 320 cod. pen. con esclusione dell'aggravante di cui all'art. 319-bis cod. pen., negando sia le attenuanti generiche sia quella di cui all'art. 323-bis, comma secondo, cod. pen. invocata da Omissis e rideterminando la pena per tutti i reati unificati sotto il vincolo della continuazione, con pena base stabilita nei confronti del Omissis in relazione al reato di peculato di cui al capo D).

2. Ha proposto ricorso Omissis tramite il suo difensore.

2.1. Con il primo motivo deduce l'inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità in relazione alla violazione dell'art. 15 cod. pen. La Corte territoriale aveva omesso di motivare in merito all'osservazione difensiva, contenuta nell'atto d'appello, con la quale, premessa l'assoggettabilità al fallimento della società Omissis  S.p.a., si evidenziava come le condotte contestate non potessero, se del caso, integrare reati contro la pubblica amministrazione, essendo astrattamente sanzionabili ai sensi della legge fallimentare.

2.2. Con il secondo motivo denuncia l'erronea applicazione degli artt. 319 e 320 cod. pen., in relazione all'art. 358 cod. pen. La Corte di appello aveva erroneamente qualificato il Omissis come incaricato di pubblico servizio, sul presupposto che lo stesso, nella veste apicale di presidente del consiglio di amministrazione, esercitasse funzioni connotate da interessi pubblicisticamente orientati, seppur non idonee a rendere ipotizzabile la qualità di pubblico ufficiale. In realtà, egli si limitava a svolgere all'interno della suddetta società una normale attività di gestione ed indirizzo, tipica della figura manageriale di una società di capitali, rimanendo sostanzialmente estraneo al rapporto di servizio con il socio pubblico e non ingerendosi in materie e settori operativi di carattere pubblicistico. In altre parole, l'attività posta in essere dal Omissis risultava esclusivamente caratterizzata da profili privatistici, alla stregua di una ordinaria attività societaria disciplinata dal codice civile, non integrando quindi i requisiti richiesti dall'art. 358 cod. pen.

2.3. Con il terzo motivo deduce la erronea applicazione dell'art. 319 cod. pen. in relazione all'art. 10, comma 4 e 5 D.M n. 145 del 2000 e all'art. 106 d.lgs. n. 50 del 2016. Con riferimento alle varianti in corso d'opera, in entrambi i gradi di giudizio la difesa aveva evidenziato la legittima possibilità di ricorrere all'affidamento diretto di lavori anche oltre la soglia di euro 40.000, purché nel rispetto del c.d. "quinto d'obbligo". Tale contestazione, tuttavia, era rimasta priva di riscontro, avendo la Corte territoriale escluso a priori la suddetta possibilità, senza operare alcun approfondimento circa la documentazione acquisita e senza verificare se, nei casi di affidamento diretto "oltre soglia" indicati dall'accusa, potessero sussistere o meno margini di legittimità delle maggiorazioni operate.

2.4. Con il quarto motivo denuncia la erronea applicazione dell'art. 314 cod. pen., per avere la sentenza impugnata qualificato la condotta del Omissis ai sensi dell'art. 314 cod. pen. piuttosto che ai sensi dell'art. 640 cod. pen. Alla luce dei principi enunciati dalla Corte di Cassazione in merito alla distinzione tra le due fattispecie, da ravvisarsi principalmente nella preventiva disponibilità del bene oggetto dell'appropriazione, risultava evidente come il Omissis non avrebbe mai potuto avere il preventivo possesso del patrimonio economico della società, poiché non conosceva direttamente i codici di accesso ai conti aziendali; egli riceveva solo un codice di conferma di avvenuto pagamento una volta conclusa l'operazione. Dunque, guardando al rapporto cronologico tra la disponibilità materiale del denaro e la condotta appropriativa, gli atti compiuti dal Omissis dovevano ritenersi antecedenti all'acquisizione delle somme e giammai successivi alla disponibilità delle stesse. Ciò doveva considerarsi dirimente ai fini della riconducibilità della fattispecie in esame nell'alveo del delitto di truffa, tanto più nell'ipotesi di esclusione della qualifica di incaricato di pubblico servizio. 2.5. Con il quinto motivo deduce la erronea applicazione dell'art. 416 cod. pen., per insussistenza dell'associazione a delinquere e per la mancanza, in capo al ricorrente, dell'elemento psicologico del reato. Invero, dalle risultanze processuali non era emersa la prova di un vincolo associativo tra i soggetti coinvolti, tanto da evidenziare l'esistenza di un coordinamento e di una struttura gerarchica organizzativa, finalizzata alla consumazione dei reati programmati; si trattava, semplicemente, di legami intercorrenti tra soggetti dipendenti della medesima società, per ciò solo non idonei a determinare l'esistenza di un'associazione criminale. Inoltre, non vi era neppure la prova dello speciale rapporto di "mandato" intercorrente tra Omissis e il Omissis , in virtù del quale quest'ultimo si qualificava come organizzatore e mandante. Infine, la sentenza ometteva di dar conto dell'elemento soggettivo consistente nella consapevolezza del ricorrente di far parte di un sodalizio durevole e di operare per l'attuazione del programma criminoso comune. Lo stesso Omissis aveva affermato, nell'ambito delle dichiarazioni spontanee rese alla Procura, come le condotte da lui tenute, sebbene riconosciute e ammesse, non fossero però state realizzate con la consapevolezza della sussistenza di un vincolo associativo con altri soggetti.

2.6. Con il sesto motivo denuncia l'erronea applicazione dell'art. 323-bis, comma secondo, cod. pen., per non avere la Corte di appello concesso l'attenuante di cui al richiamato articolo, nonostante la notevole e proficua collaborazione offerta dal Omissis. Quest'ultimo, infatti, fin dai primi interrogatori, aveva reso spontaneamente una serie di rilevanti e dettagliate dichiarazioni riguardanti la responsabilità dei soggetti coinvolti, la scoperta di ulteriori episodi e di connessioni oggettive e soggettive, tali da veicolare le indagini in corso ed ampliare lo spettro di accertamento. Pertanto, alla luce dell'atteggiamento collaborativo assunto dal Omissis, non poteva non riconoscersi, a favore del ricorrente, l'applicazione della circostanza di cui all'art. 323-bis, comma secondo, cod. pen.

2.7. Con il settimo motivo deduce la inosservanza degli artt. 133, 319-bis e 320 cod. pen. La Corte di appello, nel riformare parzialmente la sentenza di primo grado in merito alla qualifica del Omissis come incaricato di pubblico servizio piuttosto che come pubblico ufficiale, aveva errato nel non riconoscere la diminuzione di pena di cui all'art. 320, comma 2 cod. pen. In particolare, in primo grado, la pena base era stata stabilita in relazione al capo B) e l'aumento per la continuazione era stato calcolato in ragione di anni uno per ciascun ulteriore reato, compreso l'analogo reato sub C): in appello la Corte aveva confermato l'aumento di anni uno anche per il reato sub C) senza tener conto della riqualificazione e dell'esclusione dell'aggravante. Inoltre, contravvenendo ai principi sanciti dall'art. 133 cod. pen., la motivazione della sentenza impugnata risultava fortemente incoerente e contraddittoria rispetto all'ammontare della pena inflitta, avendo determinato la pena base per il reato di peculato in misura nettamente più alta del minimo edittale senza esplicitare il relativo percorso logico.

2.8. Con l'ottavo motivo denuncia la erronea applicazione dell'art. 62 -bis cod. pen., in relazione agli artt. 125 e 533 cod. proc. pen. Come specificato dalla difesa in sede di discussione conclusiva, il Omissis aveva osservato, sin dall'inizio delle indagini e per tutta la durata del processo, un comportamento processuale impeccabile, dimostrando piena resipiscenza per le condotte in passato adottate e mostrandosi sempre collaborativo con l'organo giudicante; in aggiunta a ciò, lo stesso era anche incensurato. La Corte, tuttavia, non aveva fatto buon governo di tali elementi, limitandosi a negare il riconoscimento dell'attenuante di cui all'art. 62 -bis cod. pen., nonostante le sollecitazioni della difesa volte ad indicare gli elementi che avrebbero dovuto suffragarne i relativi presupposti.

2.9. Con il nono motivo deduce la violazione degli artt. 192, 421, comma 4, 422, comma 1 cod. proc. pen., in relazione all'omessa acquisizione in giudizio del verbale integrale delle dichiarazioni rese dall'imputato. Tanto il giudice di prime cure quanto la Corte di appello avevano rigettato, senza congrua motivazione, la richiesta difensiva di integrazione probatoria relativa all'acquisizione in giudizio del verbale integrale delle dichiarazioni rese dal ricorrente, verbale che il Pubblico ministero aveva largamente secretato attraverso plurimi «omissis»: si trattava di dichiarazioni rilevanti e utili al fine di suffragare i presupposti per la concessione delle attenuanti invocate, mentre la Corte aveva escluso di poter dare rilievo ai nuovi contributi dichiarativi in quanto «omissati», ciò che non avrebbe potuto considerarsi valido motivo di rigetto della richiesta, neppure in sede di giudizio abbreviato. 2.10. Con il decimo motivo denuncia la violazione degli artt. 192, comma 2 e 3, 495 e 603 cod. proc. pen., in relazione all'omessa rinnovazione probatoria finalizzata alla escussione del teste di riferimento Omissis . Il suddetto teste avrebbe, invero, fornito utili riscontri alle dichiarazioni etero- accusatorie del Omissis , le quali, trattandosi di dichiarazioni rese da coimputato, avrebbero dovuto valutarsi alla stregua di una testimonianza diretta e, pertanto, il loro valore probatorio avrebbe dovuto considerarsi unitamente ad altri elementi di prova, non potendo di per sé dimostrare il rapporto corruttivo.

2.11. Con l'undicesimo motivo denuncia la mancata assunzione di una prova decisiva, consistente in una conversazione registrata e contenuta in un CD, ascoltata dal Pubblico Ministero nel corso dell'interrogatorio e menzionata nel relativo verbale, da cui si evinceva l'impossibilità di un accordo stabile e di un vincolo associativo sussistente tra Omissis e il Omissis . I Giudici di merito avevano omesso di tener conto di tale elemento e la Corte aveva indebitamente ritenuto che la difesa avesse omesso di indicare specificamente i dati identificativi della conversazione, senza tener conto che non si trattava di conversazione facente parte del compendio delle operazioni di intercettazione ma di registrazione fatta dallo stesso ricorrente e all'uopo prodotta in fase di indagini e dal contenuto all'evidenza rilevante, in quanto in essa il Omissis chiedeva al Omissis conto e ragione del suo comportamento e il Omissis cercava vaghe giustificazioni rispetto alle accuse del Omissis .

 3. Ha proposto ricorso Omissis tramite il suo difensore.

3.1. Con il primo motivo denuncia vizio di motivazione in relazione al reato di cui all'art. 416 cod. pen., per essere la sentenza impugnata completamente disancorata da qualsiasi dato specifico e da una concreta rielaborazione degli elementi emersi dal quadro probatorio. Invero, la Corte di appello, attraverso un percorso motivazionale poco chiaro, aveva ritenuto sussistente l'associazione contestata ed il vincolo associativo permanente attraverso facta concludentia, non specificando né gli elementi materiali del reato né, tanto meno, l'elemento soggettivo.

3.2. Con il secondo motivo deduce l'inosservanza dell'art. 597, comma 3 cod. proc. pen. In virtù del divieto di reformatio in pejus, che investe ogni componente che concorre alla determinazione della pena complessiva, il giudice di appello non avrebbe potuto calcolare la pena in senso più gravoso rispetto a quanto precedentemente operato, in particolare elevando di tre mesi l'aumento operato a titolo di continuazione con il reato associativo.

3.3. Con il terzo motivo deduce l'erronea applicazione della legge penale in merito all'attribuzione della qualifica soggettiva di incaricato di pubblico servizio. La Corte era partita dall'erroneo presupposto che il ricorrente, nominato dal Omissis consulente esterno di Omissis  s,p.a., avesse qualifica di incaricato di pubblico servizio, nel presupposto che la società fosse da considerare in house providing. A tal fine sarebbe occorsa la verifica delle stringenti condizioni richieste, essendo necessario che la società affidataria fosse a una diramazione organizzativa dell'ente, priva di autonomia imprenditoriale e di capacità decisionali distinte. Segnala come la giurisprudenza amministrativa e contabile si fosse uniformata all'insegnamento della Corte di Giustizia dell'Unione europea, individuando i rigorosi criteri cui è subordinato il riconoscimento della società in house, in merito alla partecipazione, ai poteri di controllo e di veto, al potere di direzione, coordinamento e supervisione da parte dell'ente controllante, essendo insufficiente la riproduzione statutaria dell'art. 2364 cod. civ. ma occorrendo il preventivo vaglio dei soci. I criteri avevano trovato espressione nella disciplina dettata dal codice degli appalti, che, recependo alcune direttive UE, aveva previsto una corrispondente nozione di società in house, facendo riferimento ad un controllo analogo, implicante un'influenza determinante sugli obiettivi e sulle decisioni, e ad un controllo congiunto, implicante che gli organi decisionali della persona giuridica siano composti da rappresentanti delle amministrazioni aggiudicatrici partecipanti, che tali amministrazioni siano in grado di esercitare un'influenza determinante sugli obiettivi e sulle decisioni, che la persona giuridica controllata non persegua interessi contrari a quelli delle amministrazioni aggiudicatrici o degli enti aggiudicatori controllanti. A conferma di tale impostazione erano seguite le apposite direttive diramate da A.N.A.C. nel 2017. Su tali basi avrebbe dovuto escludersi che la Omissis  fosse una società in house, in mancanza di vincoli di subordinazione del c.d.a. all'ente controllante e di vagli preventivi o di ingerenza del socio nei termini indicati. Erano inoltre assenti patti parasociali aventi ad oggetto la previsione o la disciplina di forme di controllo. In concreto non vi era traccia di controllo esercitato in via propulsiva o in chiave preventiva o attraverso forme di veto o di divieti di affidamenti a terzi o di modifiche di organigramma. Inoltre era rilevante l'avvio di procedura fallimentare.

3.4. Con il quarto motivo deduce vizio di motivazione in relazione alla contestazione di cui al capo C). Le conversazioni telefoniche intercettate e la deposizione del Giuffrida, dalle quali si sarebbe desunto che la cessione dell'autovettura da parte di quest'ultimo a favore del ricorrente era il frutto di un mercimonio degli atti corruttivi, non erano idonee a ritenere integrata la fattispecie corruttiva e a provare l'elemento soggettivo in capo a Omissis .

3.5. Con il quinto motivo denuncia violazione di legge in relazione al diniego delle attenuanti generiche. La Corte aveva valorizzato la gravità dei fatti e il considerevole arco temporale nel quale si erano svolti, ma aveva indebitamente fatto riferimento alla sottoposizione a misura cautelare, in realtà revocata. Inoltre il ricorrente era incensurato e aveva manifestato disponibilità a rispondere ai pubblici ministeri, avendo mantenuto un comportamento irreprensibile, dovendosi inoltre considerare il precario stato di salute e la circostanza che il predetto avesse avviato un'attività formativa e professionale in un contesto lontano dalla città in cui i fatti si erano verificati.

4. L'Avv. Marina Di Gregorio, quale difensore di Omissis e quale sostituto processuale dell'Avv. Pietro Ivan Maravigna ha inviato memoria nella quale ripercorre il contenuto dei motivi di ricorso.

5. La parte civile Città Metropolitana di Catania ha inviato memoria con nota spese.

 

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi, corredati dalla depositata memoria difensiva, sono nel loro complesso infondati e devono essere rigettati.

2. In primo luogo, devono esaminarsi il primo e il secondo motivo del ricorso di Omissis e il terzo motivo del ricorso di Omissis , aventi ad oggetto il tema della qualificazione della società e dell'attribuibilità al Omissis della qualità di incaricato di pubblico servizio. Si tratta di motivi infondati.

2.1. Deve invero rilevarsi che nel presente processo si trattava di stabilire se fosse o meno ravvisabile in capo al Omissis la qualità richiesta ai fini dell'integrazione dei reati propri di corruzione e peculato. Orbene, la Corte, ampiamente richiamando l'approfondita analisi del primo Giudice, è pervenuta alla conclusione che il Omissis rivestisse la qualità di incaricato di pubblico servizio agli effetti dell'art. 358 cod. pen. E' noto che ai sensi di tale disposizione la qualità spetta a coloro che prestano un pubblico servizio, inteso quale attività non connotata da mansioni di ordine e da prestazioni di opera materiale, disciplinata da norme di diritto pubblico e da atti autoritativi, sebbene non caratterizzata, diversamente dalla pubblica funzione, dalla formazione e dalla manifestazione della volontà della pubblica amministrazione e dal suo svolgersi per mezzo di poteri autoritativi o certificativi. Occorre dunque che, a prescindere dalla qualificazione dell'ente, l'attività del soggetto, sotto il profilo oggettivo, rifletta quelle connotazioni pubblicistiche, proprie del pubblico servizio (sul punto si rinvia all'analisi di Sez. 6, n. 28299 del 10/11/2015, dep. 2016, Bononnelli, Rv. 267045). Correlativamente non è dirimente la circostanza che venga in rilievo una società, operante con gli strumenti del diritto privato, ove possa affermarsi che l'attività è disciplinata da normativa pubblicistica e persegue finalità pubbliche (Sez. 6, n. 36874 del 13/6/2017, Romeo, Rv. 270816; Sez. 6, n. 49286 del 7/7/2016, Di Franco, Rv. 265702; si rinvia anche a Sez. 6, n. 6405 del 12/11/2015, Minzolini, Rv. 265830 in relazione alla posizione rivestita all'interno della R.A.I.).

2.2. In tale quadro è stata valorizzata la circostanza che la Omissis  s.p.a. può qualificarsi come società in house providing. Il primo Giudice ha correttamente richiamato il disposto dell'art. 113 d.lgs. 267 del 2000, che contempla la possibilità per gli enti locali di erogare servizi mediante soggetti all'uopo costituiti in forma di società di capitali con partecipazione totalitaria di capitale pubblico, ove sia previsto un controllo analogo a quello esercitato dall'ente pubblico sui propri servizi e la società svolga la gran parte della propria attività con l'ente controllante. I Giudici di merito hanno inoltre sottolineato come un servizio in house debba essere inteso come erogato dall'ente pubblico mediante una propria articolazione ovvero tramite un soggetto che opera come sua longa manus. E' stato altresì dato conto della nuova direttiva 2014/24/UE, in forza della quale per escludere un appalto pubblico dall'ambito applicativo della direttiva medesima occorre che ricorra un controllo analogo, che l'80% dell'attività della persona giuridica controllata sia effettuato nello svolgimento di compiti affidati dall'amministrazione controllante, che non vi sia partecipazione privata che comporti controllo o potere di veto o implichi un'influenza determinante. A fronte di ciò le disposizioni dettate dall'art. 2 d.lgs. 175 del 2016 e dall'art. 5 d.lgs. 50 del 2016 sono volte a qualificare le società in house, prevedendo la necessità dei controllo analogo e dell'esercizio di un'influenza dominante sugli obiettivi strategici e sulle decisioni significative della controllata, con esclusione del perseguimento da parte di quest'ultima di interessi contrari a quelli delle amministrazioni aggiudicatrici o degli enti aggiudicatori controllanti. Sulla base delle direttive emanate da A.N.A.C. le società in house sono state ritenute direttamente destinatarie delle norme di prevenzione sulla corruzione. A fronte di ciò è stato rimarcato che la Omissis  s.p.a. ha totalitaria partecipazione pubblica, di cui il 99,5% riferibile alla Provincia Regionale di Catania, oggi Città Metropolitana di Catania, che la società opera esclusivamente a beneficio dell'ente controllante, che in forza dell'atto costitutivo, dello Statuto e del contratto (del 14/1/2014) che regola i rapporti con la Provincia, detta società è espressamente costituita al fine di assumere l'esercizio di attività istituzionali e di servizio dell'ente, ispirandosi ai principi generali di interesse pubblico, che la stessa deve conformarsi agli indirizzi della provincia ai fini dell'esercizio delle attività di controllo delle società in house, che è specificamente previsto il c.d. controllo analogo, con le dettagliate modalità di cui all'art. 7 del capitolato d'oneri e il controllo sulla contabilità anche ai fini del controllo analogo. Su tali basi i Giudici di merito hanno ritenuto che la Omissis  s.p.a. potesse qualificarsi a tutti gli effetti come società in house providing, connotata dallo svolgimento di attività di pubblico servizio, corrispondente a quello affidato all'ente pubblico controllante, e dalla previsione sia di una partecipazione totalitaria sia dall'esercizio di un controllo analogo, con strumenti idonei ad assicurare piena influenza sugli indirizzi strategici. Si tratta di un'analisi corrispondente a quella desumibile da plurimi arresti delle Sezioni Unite civili della Corte di cassazione, essendosi in tale ambito ai fini del riparto di giurisdizione rilevato che la società in house deve essere riconducibile ad un quadro statutario che consenta di rilevare la costituzione della società da parte di uno o più enti pubblici, che ne possono essere gli esclusivi soci, per l'esercizio di pubblici servizi con assoggettamento a forme di controllo analogo (Sez. U. civ. n. 26936 del 2/12/2013, Rv. 628673; Sez. U. civ. n. 7171 del 26/3/2014, Rv. 629807), essendo altresì necessario aver riguardo alla disciplina a mano a mano applicabile, non potendosi far riferimento alla direttiva 2014/24/UE prima della sua effettiva vigenza e del termine previsto per il suo recepimento (Sez. U. civ. n. 17188 del 28/6/2018, Rv. 651804).

2.3. Alla luce di tale ricostruzione correttamente i Giudici di merito hanno ritenuto che il Omissis , quale legale rappresentante della società, qualificabile come in house providing e deputata allo svolgimento di pubblici servizi sulla base di una disciplina dettata da norme di diritto pubblico, rivestisse la qualità di incaricato di pubblico servizio: si tratta di conclusione che trova pieno riscontro nella giurisprudenza di legittimità, che ha preso in considerazione la posizione degli amministratori di società in house o addirittura quelli di società interamente partecipata da società in house (sul punto, ex plurimis, Sez. 6, n. 3046 del 10/11/2017, dep. 2018, Aimola, Rv. 272251; Sez. 6, n. 48036 del 14/11/2014, Di Giovanni, Rv. 261223; Sez. 6, n. 58235 del 9/11/2018, Antoniazzi, Rv. 274815). A fronte di ciò va rimarcato come il motivo di ricorso presentato nell'interesse di Omissis sia volto a contestare genericamente la ricostruzione operata dai Giudici di merito ed a negare la ricorrenza dei presupposti per la configurabilità di un controllo analogo o di un'influenza dominante dell'ente pubblico, ma senza un effettivo confronto con l'analisi compiuta nella sentenza impugnata, alla stregua di quella di primo grado, ove è stato posto in luce l'espresso richiamo su base statutaria e contrattuale delle condizioni previste per la configurabilità di una società in house. Deve aggiungersi che non ha formato oggetto di alcun rilievo la circostanza che la società Omissis  s.p.a. applicasse la disciplina in materia di contratti pubblici, di per sé evocativa delle esigenze di garanzia, sottese al rispetto di procedure volte ad assicurare la tutela della concorrenza e l'imparzialità della scelta del contraente, e del tutto coerente con la qualificazione pubblicistica della società.

2.4. Relativamente alle deduzioni formulate nell'interesse di Omissis , deve in primo luogo rimarcarsi che non assume rilievo la circostanza che una società in house sia soggetta a fallimento, come oggi espressamente previsto dalla disciplina applicabile. Va invero sottolineato che la questione è stata esaminata dalla giurisprudenza di legittimità in sede civile, essendosi posto in luce come l'assoggettamento a fallimento e l'eventuale azione di responsabilità esercitata dal curatore fallimentare costituiscono conseguenza della scelta del paradigma privatistico, cui non osta l'eventualità del controllo analogo, tale da rendere il legame assimilabile ad una relazione interorganica, che tuttavia non incide sulla distinzione sul piano giuridico-formale tra P.A. ed ente privato societario, costituente autonomo centro di imputazione di rapporti e posizioni soggettive (Sez. U. civ n. 10019 del 10/4/2019, Rv. 653596; Sez. U. civ. n. 5346 del 22/2/2019, Rv. 653095). Ma tutto ciò non vale ad escludere l'oggettiva connotazione pubblicistica dell'attività, riferibile all'esercizio di un servizio pubblico, finalizzato alla realizzazione di un pubblico interesse, sulla base di una disciplina di diritto pubblico. In tale prospettiva non è dirimente l'eventuale applicabilità della disciplina penale stabilità nei confronti di amministratori di società sottoposte a fallimento, la quale non vale ad escludere lo statuto penale della pubblica amministrazione, in ragione della diversità normativa e strutturale delle fattispecie e delle rispettive qualifiche soggettive. Nel caso di specie deve chiarirsi che la questione è stata proposta in termini aspecifici, non essendosi in alcun modo chiarito se fossero concretamente applicabili le disposizioni penali previste per il caso di fallimento, in quanto dalle sentenze di merito risulta solo l'apertura di una procedura di concordato. Peraltro il tema avrebbe potuto in astratto rilevare solo con riguardo al delitto di peculato ed alle connesse condotte di tipo appropriativo, contestate al solo Omissis, non anche con riguardo al delitto di corruzione, in relazione ad illecite pattuizioni intervenute nella fase della gestione del pubblico servizio. Ma va sul punto richiamato il pienamente condiviso orientamento in forza del quale «è configurabile il concorso formale tra il reato di peculato e quello di bancarotta fraudolenta per distrazione, in quanto essi si differenziano tra loro per il soggetto attivo, per l'interesse tutelato, per le modalità di aggressione del bene giuridico, per il momento della consumazione, per la condizione di punibilità, prevista solo in relazione al reato fallimentare» (Sez. 6, n. 14402 del 5/11/2020, dep. 2021, Rv. 280966).

2.5. Quanto poi alla doglianza riguardante la concreta attività svolta dal Omissis , che, secondo quanto difensivamente prospettato, avrebbe dovuto inquadrarsi come normale attività di gestione di tipo manageriale, estranea al rapporto di servizio con il socio pubblico, deve rilevarsi che si tratta di deduzione disancorata dall'inquadramento della società e del ruolo del ricorrente, al quale, proprio in quanto legale rappresentante, faceva capo lo svolgimento dei pubblici servizi affidati alla società, che non si occupava di attività diverse, fermo restando che i Giudici di merito hanno dato conto della diretta ed effettiva ingerenza del ricorrente nello svolgimento dell'attività, anche attraverso direttive ed interventi volti ad assicurare determinate scelte operative e l'individuazione dei contraenti per l'affidamento dei lavori. Va inoltre sottolineato, con riguardo alla posizione di Omissis, come lo stesso, consulente della società, sia stato chiamato a rispondere del reato di corruzione quale concorrente del Omissis , essendo dunque irrilevante la sua autonoma qualificazione come incaricato di pubblico servizio, dovendosi comunque rimarcare come anche in questo caso siano state poste in luce le plurime ingerenze di tale ricorrente nel concreto svolgimento dell'attività, volta all'espletamento dei servizi demandati alla società.

3. Il terzo motivo del ricorso di Omissis è in parte manifestamente infondato e in parte aspecifico. 3.1. Va al riguardo osservato che il delitto di corruzione, di cui ai capi B) e C), riqualificato ai sensi degli artt. 320 e 319 cod. pen., è stato ravvisato in relazione all'illecito patto intercorso tra il ricorrente, coadiuvato in primo luogo dal Omissis , e gli imprenditori omissis e omissis, esponenti delle società Omissis  il primo, e MA.GI . s.r.l. il secondo, in forza del quale in cambio di denaro e di varie utilità, rappresentate dal pagamento di feste, pranzi, orologi di valore, erano assicurati ai predetti l'affidamento di lavori conferiti dalla Omissis  s.p.a. nell'ambito dei servizi di competenza di quest'ultima e il rapido pagamento dei crediti. I fatti risultano sostanzialmente ammessi dai ricorrenti e comunque sono stati ricostruiti sulla base delle dichiarazioni rese da soggetti in varia guisa coinvolti, come Omissis e i citati omissis e omissis, e delle conversazioni intercettate. Si è dato conto del fatto che il omissis, nella veste di R.U.P., e il omissis, quale dirigente di settore, erano stati indotti, a fronte di vantaggi di carriera, ad assecondare i desiderata del Omissis e del Omissis , così da affidare lavori alle ditte sopra indicate, in violazione dei principi di trasparenza, buon andamento e di imparzialità, evitando il ricorso a procedure comparative mediante l'affidamento diretto di lavori di importo inferiore ad euro 40.000,00 o attivando in modo distorto procedure di cottimo fiduciario per lavori di importo superiore. E' stato inoltre sottolineato come gli imprenditori potessero contare su solleciti pagamenti delle pendenze, diversamente da quanto solitamente avveniva con riguardo ai creditori della società.

3.2. A fronte di ciò, il motivo di ricorso si incentra sulla legittimità di procedure di affidamento diretto, se del caso seguite da atti di sottomissione per lavori integrativi, tali da condurre ad importi superiori alla soglia di euro 40.000,00: è stata a tal fine invocata la disciplina dettata dall'art. 10, comma 4 e 5, d.m. 145 del 2000 e quella desumibile dall'art. 106 d.lgs. n. 50 del 2016 in tema di varianti in corso d'opera. Va sul punto osservato che la vicenda si è evoluta in un ampio arco di tempo e che solo in parte essa ricade nel periodo di vigenza, successiva all'aprile 2016, del d.lgs. 50 del 2016, dovendosi per il periodo precedente aver riguardo alle disposizioni del d.lgs. 163 del 2006. Inoltre si rileva che l'invocato d.m. 145 del 2000 è stato abrogato dal d.P.R. 207 del 2010 con decorrenza dell'8/6/2011, dovendosi per il periodo successivo, fino al 19/4/2016, far riferimento al citato d.P.R. 207 e, in particolare, in materia di varianti, all'art. 311. Sta di fatto che, ferme restando le soglie previste per l'affidamento diretto o per il ricorso a procedure di evidenza pubblica, incentrate almeno sulla comparazione di offerte, avrebbero dovuto comunque osservarsi i principi di imparzialità, trasparenza e rotazione, contemplati dagli artt. 2 d.lgs. 163 del 2006 e 30 d.lgs. 50 del 2016, ciò che nel caso di specie, sulla base della puntuale analisi del primo Giudice, richiamata dalla Corte territoriale, non risulta essere avvenuto, atteso che nei casi esaminati la scelta del contraente era stata ispirata dalla pregiudiziale volontà di favorire i corruttori. Inoltre è stato sottolineato come in taluni casi a lavori computati in misura corrispondente alla soglia prevista per l'affidamento diretto fossero seguiti atti di sottomissione correlati a lavori aggiuntivi implicanti il superamento della soglia: a questo riguardo sono state invocate le previsioni in materia di legittime varianti, tali da consentire l'affidamento allo stesso contraente, senza la necessità, ricorrendo determinate condizioni, di un'autonoma gara. Si tratta, peraltro, di deduzione aspecifica, non accompagnata, se non attraverso il generico richiamo della documentazione prodotta, dall'indicazione degli elementi idonei a dar conto nei singoli casi della ricorrenza delle condizioni per legittime varianti. In ogni caso l'intero assunto difensivo risulta manifestamente infondato, in ragione della pregiudiziale violazione dei doveri di ufficio dei soggetti coinvolti, i quali, secondo la ricostruzione dei Giudici di merito, non si erano limitati a dedurre nel patto un generico asservimento nell'esercizio delle proprie funzioni, ma avevano prospettato un deliberato esito del loro agire, al di fuori di qualsivoglia libero e imparziale esercizio della discrezionalità, fermo restando l'ulteriore profilo del pagamento largamente preferenziale dei crediti. Correttamente dunque, anche a prescindere da una più specifica verifica di singole varianti consentite, è stato ravvisato con riguardo ad entrambe le imputazioni sub B) e C) l'ipotesi della corruzione per atti contrari ai doveri di ufficio. Sulla base di un indirizzo ormai largamente prevalente (Sez. 6, n. 18125 del 22/10/2019, dep. 2020, Bolla, Rv. 279555), può dirsi infatti che, se il mero asservimento, genericamente riferibile alla presa in carico dell'interesse del privato corruttore, non correlato ad atti specifici, è idoneo ad integrare il diverso reato di cui all'art. 318 cod. pen., deve invece ritenersi che ricorra l'ipotesi di cui all'art.319 cod. pen. allorché possa affermarsi che l'attività del pubblico ufficiale sia stata concretamente condizionata da quella presa in carico, tradottasi in una violazione di disposizioni inerenti a contenuti, tempi e modi delle decisioni, al di fuori di qualsivoglia valutazione discrezionale, funzionale al perseguimento del pubblico interesse. Deve aggiungersi che sul piano probatorio si impone la rigorosa determinazione delle obbligazioni assunte dal pubblico agente, influendo a tal fine la condotta tenuta dal predetto, il relativo movente, le specifiche aspettative del privato, le modalità di corresponsione del prezzo della corruzione, elementi nel caso di specie compiutamente e sincronicamente valorizzati e ritenuti non illogicamente convergenti, nel senso della deduzione nel patto corruttivo della violazione dei doveri di ufficio, in varia guisa gravanti sui soggetti coinvolti.

4. Generico e comunque manifestamente infondato risulta il quarto motivo del ricorso di Omissis . Ed invero sulla base di una complessiva analisi degli elementi probatori acquisiti i Giudici di merito hanno sottolineato come il Omissis avesse avuto un ruolo specifico nell'individuazione degli imprenditori da favorire e nella gestione dei rapporti con i predetti, sulla base delle direttive e delle indicazioni del Omissis , in cambio essendo state promesse sia al predetto sia al Omissis cospicue erogazioni in denaro e altre utilità, tra le quali la cessione gratuita di una vettura da parte di Giuffrida al Omissis . L'assunto dell'inidoneità dell'episodio a comprovare il patto corruttivo e il consapevole coinvolgimento del Omissis risulta aspecifico, in quanto non si confronta con la motivazione delle sentenze di merito, nelle quali è stato ampiamente descritto lo sviluppo dell'episodio e il tentativo ex post di schermare con espedienti di vario genere il fatto di quella originaria cessione gratuita, costituente il frutto delle illecite intese fino ad allora concretamente attuate con un significativo tornaconto per tutte le parti interessate.

5. Manifestamente infondato risulta il quarto motivo del ricorso di Omissis , concernente il delitto di peculato. Tale ipotesi delittuosa è stata ravvisata con riguardo alla liquidazione in favore del ricorrente di somme imputate alla veste di capo commessa, che per un certo periodo il Omissis si era indebitamente autoattribuita in assenza di delibera dell'organo collegiale, e di somme superiori al dovuto, imputate al compenso spettante al presidente, che il ricorrente non solo aveva aumentato senza alcuna previa delibera autorizzativa, ma aveva altresì computato artificiosamente con aggiunta di IVA al 22%, non dovuta nel quadro di un importo onnicomprensivo e, peraltro, mai riversata dal ricorrente allo Stato. Il motivo di ricorso non si sofferma sugli elementi probatori e sulla ricostruzione della vicenda, ma sulla qualificazione del fatto, prospettando la configurabilità del diverso reato di truffa, in ragione della mancata disponibilità a monte da parte del ricorrente del denaro di pertinenza della società, che gli veniva erogato dal personale addetto attraverso l'utilizzo di un codice di accesso ai conti aziendali a lui ignoto. Si tratta di una deduzione del tutto infondata, che non tiene conto della rilevanza che assume, ai fini del delitto di peculato, anche la disponibilità giuridica del denaro, intesa quale possibilità di disporre di esso sulla base di proprie determinazioni, rispetto alle quali un diverso organo o ufficio provvede ad operazioni di tipo esecutivo. E' stato del resto affermato che «in tema di peculato, la nozione di possesso, riferita al danaro, deve intendersi come comprensiva non solo della detenzione materiale, ma anche della disponibilità giuridica, con la conseguenza che l'appropriazione può avvenire anche attraverso il compimento di un atto - di competenza del pubblico agente o connesso a prassi e consuetudini invalse nell'ufficio - di carattere dispositivo, che consenta di conseguire l'oggetto della appropriazione» (Sez. 6, n. 16783 del 19/1/2021, Romei, Rv. 281581; in senso analogo Sez. 6, n. 7492 del 18/10/2012, dep. 2013, Bartolotta, Rv. 255529). E' stata inoltre sottolineata l'irrilevanza di eventuali falsificazioni poste in essere dal pubblico agente per giustificare la procedura di pagamento, proprio perché è dirimente la disponibilità giuridica delle somme (sul punto Sez. 6, n. 38535 del 4/5/2018, C., Rv. 274100). Su tali basi il profilo riguardante i codici di accesso risulta privo di qualsivoglia rilievo, a fronte della facoltà del ricorrente, in veste di presidente della società, di disporre la liquidazione delle somme e di far avviare dunque la relativa procedura di pagamento in suo favore.

6. Con riguardo al delitto di associazione per delinquere di cui al capo A), risulta infondato e in parte genericamente formulato il quinto motivo del ricorso di Omissis e risulta invece aspecifico il primo motivo del ricorso di Omissis .

6.1. Il primo Giudice, la cui analisi è stata richiamata e fatta propria dalla Corte territoriale, ha ampiamente dato conto degli interessi intorno ai quali si erano cementati uno stabile accordo e una strutturata base organizzativa, destinati ad assicurare attraverso il compimento, per un tempo indeterminato, di plurime condotte illecite vantaggi di varia specie a tutti i soggetti coinvolti. In particolare è stato sottolineato come il Omissis , il quale coltivava anche aspirazioni politiche ed aveva interesse non solo a realizzare un sistema che ne favorisse l'immagine e le relazioni, ma anche a procurarsi introiti consistenti, al suo avvento alla presidenza della società avesse progressivamente inciso sull'assetto delle cariche all'interno di essa, esautorando soggetti non compiacenti, come omissis , e favorendo per contro coloro che in varia guisa erano disposti ad assecondarne i propositi, come Omissis e omissis. D'altro canto, il Omissis , avvalendosi dell'ausilio indispensabile del Omissis , era venuto in contatto con imprenditori disponibili a riconoscere ad entrambi cospicui compensi corruttivi, in cambio dell'affidamento di lavori, per i quali i predetti dovevano avvalersi degli altri dirigenti della società. I Giudici di merito hanno sottolineato come si fosse progressivamente consolidato un assetto non occasionalmente, ma stabilmente idoneo a propiziare il compimento di plurimi reati contro la pubblica amministrazione, incentrato sul convergente contributo di ciascuno, operante sulla base di un programma comune e attraverso un sistema coordinato di interventi. Il protrarsi per un consistente lasso di tempo di questa strutturata operatività illecita, fondata su un preciso riparto di competenze e ispirata dal conseguimento di vantaggi commisurati alla posizione e alle aspirazioni di ciascuno, ha dunque condotto a ravvisare non solo un concorso di persone in singoli reati bensì una vera e propria associazione per delinquere, promossa e organizzata proprio da chi come il Omissis aveva la possibilità di dare vita ad un sistema organizzativo sensibile alle sue direttive, includente la partecipazione di quanti erano parimenti disponibili a condividere quell'illecito programma, favorendone l'attuazione attraverso plurime erogazioni, comprensive di una festa organizzata da Giuffrida per il compleanno del Omissis .

6.2. Risultano assertive le deduzioni volte a contestare l'esistenza di una vera struttura organizzativa, al di là dei legami esistenti tra dipendenti della stessa società, e quelle volte a negare un rapporto di mandato tra il Omissis e il Omissis : i Giudici di merito hanno invero sottolineato come sulla base del rapporto intercorrente tra Omissis e Omissis fosse stato ordito il progetto illecito, favorito dalla capacità del Omissis di condizionare l'operato dei dirigenti, esautorando coloro che si mostravano recalcitranti, ciò che aveva finito per dare vita ad un assetto dei rapporti non funzionale ad una fisiologica operatività, ma specificamente volto ad assicurare gli illeciti vantaggi posti alla base della complessiva trama. Costituisce del resto principio consolidato che l'associazione per delinquere e il concorso di persone nel reato si distinguono per il carattere dell'accordo criminoso «che nel concorso si concretizza in via meramente occasionale ed accidentale, essendo diretto alla commissione di uno o più reati - anche nell'ambito di un medesimo disegno criminoso - con la realizzazione dei quali si esaurisce l'accordo e cessa ogni motivo di allarme sociale, mentre nel reato associativo risulta diretto all'attuazione di un più vasto programma criminoso, per la commissione di una serie indeterminata di delitti, con la permanenza di un vincolo associativo tra i partecipanti, anche indipendentemente e al di fuori dell'effettiva commissione dei singoli reati programmati» (Sez. 5, n. 1964 del 7/12/2018, dep. 2019, Magnani, Rv. 274442). Inoltre è stato rilevato che «ai fini della configurabilità di un'associazione per delinquere, legittimamente il giudice può dedurre i requisiti della stabilità del vincolo associativo, trascendente la commissione dei singoli reati-fine, e dell'indeterminatezza del programma criminoso, che segna la distinzione con il concorso di persone, dal susseguirsi ininterrotto, per un apprezzabile lasso di tempo, delle condotte integranti detti reati ad opera di soggetti stabilmente collegati» (Sez. 2, n. 53000 del 4/10/2016, Basso, Rv. 268540). Ed ancora si è osservato che non è necessario per la ravvisabilità di un'associazione per delinquere un numero notevole di persone o una netta distinzione di ruoli, occorrendo peraltro un vincolo continuativo, correlato alla consapevolezza di ciascuno di far parte del sodalizio e di partecipare alla realizzazione di un duraturo programma comune, in funzione del quale la struttura è stata predisposta (Sez. 1, n. 34043 del 22/9/2006, D'Attis, Rv. 234800).Alla luce di tali principi deve ritenersi che i Giudici di merito si siano conformati ad essi, dando conto della trasformazione dell'originario assetto amministrativo della società in una struttura stabilmente asservita ad interessi illeciti, da realizzare con il consapevole contributo di ciascuno. Né vale in senso contrario la dichiarazione resa dal Omissis di non aver avuto consapevolezza di agire all'interno di uno strutturato sodalizio per l'attuazione di un programma comune, dovendosi in senso contrario valorizzare quanto osservato dai Giudici di merito in ordine a quanto fatto dal Omissis per assicurarsi la compiacente disponibilità della struttura e per realizzare un sistema destinato ad operare per un tempo indeterminato. Risulta, per contro, generica la deduzione contenuta nel primo motivo di Omissis in ordine alla mancanza di una concreta rielaborazione degli elementi costituenti il quadro probatorio e in ordine alla mancata indicazione di facta concludentia idonei a suffragare l'esistenza di un sodalizio. Deve invero ribadirsi che la ricostruzione si fonda proprio sull'individuazione di elementi destinati a delineare un quadro operativo stabile, controllato da Omissis e idoneo ad assicurare ai partecipi vantaggi differenziati a seconda della rispettiva veste.

7. Il sesto, l'ottavo e il nono motivo del ricorso di Omissis, esaminabili congiuntamente, sono inammissibili.

7.1. In primo luogo si rileva che lo stesso ricorrente ha disvelato nel ricorso il contenuto delle sue dichiarazioni, riportate in un verbale che reca talune parti ancora oscurate da «omissis»: orbene, si tratta di dichiarazioni che non hanno specifico riguardo ai fatti oggetto di contestazione in questa sede e che semmai allargano il quadro delle indagini in relazione a fatti e soggetti ulteriori ma che necessariamente implicano una valutazione di congruità, non formulabile in questa sede, ma solo alla luce delle relative e approfondite indagini. Sta di fatto che non è stato in alcun modo precisato se siano venute meno le ragioni dell'apposizione degli «omissis» e che comunque del tutto genericamente è stata prospettata l'idoneità delle dichiarazioni rese dal Omissis a giustificare il riconoscimento dell'attenuante di cui all'art. 323-bis, comma secondo, cod. pen. o almeno delle attenuanti generiche. Va in proposito rilevato che il contributo necessario ai fini dell'attenuante di cui all'art. 323-bis cod. pen. deve essere volto ad evitare che l'attività delittuosa sia portata ad ulteriori conseguenze e ad assicurare le prove dei reati e l'individuazione degli altri responsabili ovvero a consentire il sequestro delle somme o delle utilità trasferite: ma sul punto i Giudici di merito hanno osservato come le dichiarazioni del Omissis non siano state caratterizzate da un'effettiva e piena collaborazione in relazione ai fatti oggetto di contestazione, ma siano state ispirate dall'intento di ridimensionare il ruolo personale o l'entità dei profitti illeciti conseguiti. Inoltre le ulteriori dichiarazioni rese dal Omissis , relativamente alle quali era stata chiesta l'acquisizione del verbale privo di «omissis» si riferiscono, come detto, a profili non coincidenti con i temi del presente processo e di per sé, anche nella parte disvelata dal ricorrente, non risultano dunque coerenti con la prospettiva di un'interruzione dell'attività illecita e dell'identificazione dei responsabili, dovendosi considerare che le stesse sono intervenute in una fase in cui il quadro probatorio relativo ai fatti oggetto del processo era consolidato in ragione di altri contributi e delle conversazioni intercettate, e che, per il resto, si riferiscono a fatti non oggetto di contestazione in questa sede. Deve inoltre rilevarsi che «nel giudizio abbreviato di appello le parti non hanno un diritto all'assunzione di prove nuove, ma hanno solo il potere di sollecitare l'esercizio dei poteri istruttori di cui all'art. 603, comma 3, cod. proc. pen., essendo rimessa al giudice la valutazione dell'assoluta necessità dell'integrazione probatoria richiesta» (Sez. 6, n. 51901 del 19/9/2019, Graziano, Rv. 278061)

Su tali basi non risulta idoneamente vulnerata dal ricorrente, in funzione di un risultato utile, la valutazione di non necessità formulata dalla Corte, risultando generica e comunque manifestamente infondata la deduzione difensiva relativa all'attenuante di cui all'art. 323-bis cod. pen.

7.2. Ma altrettanto deve dirsi in relazione al riconoscimento delle attenuanti generiche, negate dalla Corte con valutazione tutt'altro che arbitraria, facente leva sulla spregiudicatezza del ricorrente, sul numero dei reati, sulle modalità degli stessi e sull'arco di tempo nel quale i reati sono stati commessi, a fronte della confessione resa in un quadro già contrassegnato da prove ineluttabili e non ulteriormente corroborato in modo significativo da quella confessione. In questo caso i rilievi difensivi sono inammissibili anche perché volti a sovvertire un giudizio di merito sulla base di una prospettazione parimenti inerente al merito e non consentita in questa sede.

8. Parimenti inammissibili risultano il decimo e l'undicesimo motivo del ricorso di Omissis .

8.1. Relativamente all'audizione del teste omissis, deve ancora una volta rilevarsi come l'integrazione dell'istruzione dibattimentale in un giudizio svoltosi con rito abbreviato si fondi su valutazioni discrezionali rimesse alla valutazione del Giudice, che deve basarsi sull'effettiva necessità di integrare lacune decisive emergenti dal quadro probatorio.( Ma nel caso di specie i Giudici di merito hanno dato conto della completezza e della convergenza degli elementi a carico del ricorrente, senza la necessità di ricorrere ad integrazioni. Va ancora rimarcato come il teste Coniglione non avrebbe dovuto dare conferma a dichiarazioni de relato, ma semmai suffragare le dichiarazioni accusatorie del Omissis , le quali secondo la valutazione dei Giudici di merito si inseriscono di per sé in un quadro di convergenti elementi idonei a suffragarle, unitamente alle dichiarazioni rese da altri soggetti coinvolti.

8.2. Quanto poi alla mancata acquisizione del CD contenente la registrazione di una conversazione, che avrebbe dovuto dimostrare l'impossibilità di un accordo stabile e di un vincolo associativo intercorrente tra Omissis e Omissis , deve rilevarsi come la deduzione risulti in questa sede generica, non essendo stata fornita specifica indicazione del contenuto della conversazione e della sua effettiva capacità di disarticolare la trama ricostruttiva, ciò anche a prescindere dal fatto che la conversazione era stata registrata dal soggetto interessato in una fase peculiare in cui i soggetti coinvolti avevano avuto notizia delle indagini.

9. Risulta inammissibile anche il quinto motivo di ricorso di Omissis, relativo alle attenuanti generiche. Come rilevato con riferimento alla posizione di Omissis , le deduzioni difensive sono volte a contestare il merito delle valutazioni della Corte e non possono dunque ritenersi consentite in questa sede, a fronte di un giudizio di merito incentrato sulla gravità dei fatti e sulla professionalità palesata nella commissione degli stessi in un ampio arco di tempo, elementi non idoneamente compensati dalle dichiarazioni confessorie, comunque intervenute quando il quadro probatorio era ormai consolidato da plurime prove a carico.

10. Venendo da ultimo al settimo motivo di ricorso di Omissis e al secondo motivo di ricorso di Omissis , che deducono suggestivamente profili di reformatio in peius nella determinazione della pena, deve nondimeno rilevarsene l'infondatezza.

10.1. Il Omissis si duole del fatto che nel computo dell'aumento per la continuazione con i reati di corruzione non si sarebbe tenuto conto della riqualificazione nell'ipotesi di cui all'art. 320 cod. pen., ciò che avrebbe assunto rilievo specifico con riferimento alla conferma dell'aumento di un anno imputabile alla continuazione con il reato sub C). Il Omissis si duole invece del fatto che l'aumento per la continuazione con il reato di associazione per delinquere era stato calcolato dalla Corte territoriale nella misura di un anno, più elevata rispetto a quella determinata in primo grado.

10.2. Deve al riguardo rilevarsi che in linea generale vale il principio per cui il divieto di reformatio in peius è riferibile anche alle singole componenti in cui si articola la pena e alla pena imputabile a ciascun reato unificato sotto il vincolo della continuazione (cfr. Sez. U. n. 40910 del 27/9/2005, William Morales, Rv. 232066, secondo cui «il divieto di reformatio in peius della sentenza impugnata dall'imputato non riguarda solo l'entità complessiva della pena, ma tutti gli elementi autonomi che concorrono alla sua determinazione, per cui il giudice di appello, anche quando esclude una circostanza aggravante e per l'effetto irroga una sanzione inferiore a quella applicata in precedenza ai sensi dell'art. 597 comma quarto cod.proc.pen., non può fissare la pena base in misura superiore rispetto a quella determinata in primo grado»).

Ma tale regola non è applicabile allorché cambi la struttura del reato continuato, come avviene quando la regiudicanda satellite diventi quella più grave ovvero per quest'ultima muti la qualificazione giuridica (sul punto Sez. U. n. 16208 del 27/3/2014, C., Rv. 2586539.

Orbene, nel caso di specie si sono verificate entrambe le ipotesi: la riqualificazione giuridica delle ipotesi di corruzione ha infatti influito sulla regiudicanda più grave con riguardo al Omissis e ha nel contempo comportato l'individuazione di una diversa regiudicanda più grave, quella relativa al peculato, nei confronti del Omissis .

Ciò significa che nel caso in esame vi era il solo limite dell'applicazione di una pena complessivamente inferiore, come in concreto avvenuto per entrambi i ricorrenti.

10.3. Con riferimento al Omissis è inoltre inammissibile l'ulteriore deduzione riguardante il computo della pena base per il delitto di peculato, a fronte di un giudizio di gravità di tutti i reati, tale da giustificare la determinazione di una pena superiore al minimo edittale, comunque non arbitrariamente computata.

11. In conclusione, i ricorsi devono essere rigettati con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Gli stessi devono essere inoltre condannati in solido a rifondere nella misura di cui al dispositivo le spese di rappresentanza e difesa sostenute nel grado dalla parte civile, che ha depositato al riguardo argomentata memoria.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Condanna, inoltre, i ricorrenti alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile Città Metropolitana di Catania, che liquida in euro 3.015,00, oltre accessori di legge.

Così deciso il 30/6/2021

Il Consigliere estensore Il Presidente

simo R iarejheli Stefano Mogini

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