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Consiglio di Stato, Sez. IV, 9/11/2021 n. 7442
Sulla possibilità per le pubbliche amministrazioni di richiedere anche prestazioni a titolo gratuito: condizioni

Nel quadro costituzionale ed eurounitario vigente la prestazione lavorativa a titolo gratuito è lecita e possibile e che il 'ritorno' per chi la presta può consistere anche in un vantaggio indiretto (arricchimento curriculare, fama, prestigio, pubblicità), la funzione amministrativa, da svolgere nel rispetto dei principi costituzionali di imparzialità e buon andamento, non può non incentrare la sua concreta azione sui cardini della prevedibilità, certezza, adeguatezza, conoscibilità, oggettività ed imparzialità dei criteri di formazione dell'elenco al quale attingere e di affidamento degli incarichi. La tenuta costituzionale del sistema basato sulle richieste di prestazioni gratuite da parte delle Pubbliche Amministrazioni si può ammettere solo se è previamente previsto un meccanismo procedimentale che dia idonee garanzie circa il fatto che la concreta azione amministrativa sia ispirata a criteri, canoni e regole di assoluta imparzialità nella selezione e nella scelta dei professionisti, di modo che in questo 'nuovo mercato' delle libere professioni nessuno abbia ad avvantaggiarsi a discapito di altri.

Materia: pubblica amministrazione / lavoro
Pubblicato il 09/11/2021

N. 07442/2021REG.PROV.COLL.

N. 10701/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

Sul ricorso numero di registro generale 10701 del 2019, proposto dall’Ordine degli Avvocati di Roma, in persona del Presidente pro tempore, e dall’Ordine degli Avvocati di Napoli, in persona del Presidente pro tempore, rappresentati e difesi dagli avvocati Antonio Cordasco e Giorgio Leccisi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Giorgio Leccisi in Roma, via Principessa Clotilde, n. 2;

contro

il Ministero dell’economia e delle finanze, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

e con l'intervento di

ad adiuvandum:
dell’Associazione dei giovani amministrativisti, in persona del Presidente pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Francesco Cataldo e Jacopo D'Auria, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, Sede di Roma, Sezione Seconda, n. 11410/2019, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’economia e delle finanze;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 maggio 2021 il consigliere Daniela Di Carlo e uditi per le parti gli avvocati Giorgio Leccisi, Francesco Cataldo e Jacopo D'Auria, che partecipano alla discussione orale mediante collegamento da remoto ai sensi dell'art. 6, comma 1, lett. e), del d.l. 1/2021;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. L’Ordine degli Avvocati di Roma e l’Ordine degli Avvocati di Napoli hanno impugnato l’avviso pubblico di manifestazione di interesse per il conferimento di incarichi di consulenza a titolo gratuito, attraverso il quale la Direzione IV del Dipartimento del Tesoro “Sistema Bancario e Finanziario - Affari Legali” del Ministero dell’economia e delle finanze ha reso noto di volersi avvalere della consulenza di professionalità altamente qualificate, che uniscano alla conoscenza tecnica una positiva esperienza accademica/professionale, non rinvenibile all’interno della struttura, al fine di avere supporto ad elevato contenuto specialistico nelle materie di competenza .

Più in particolare, la consulenza richiesta ha ad oggetto “la trattazione di tematiche complesse attinenti al diritto – nazionale ed europeo – societario, bancario e/o dei mercati e intermediari finanziari in vista anche dell’adozione e/o integrazione di normative primarie e secondarie ai fini, tra l’altro, dell’adeguamento dell’ordinamento interno alle direttive/regolamenti comunitari”.

L’avviso ha disposto che possono far pervenire la manifestazione d’interesse coloro che, alla data di scadenza del termine di presentazione delle domande (ovverossia, dieci giorni dalla pubblicazione dell’avviso sul sito del Ministero dell’economia e delle finanze; la pubblicazione è avvenuta in data del 27 febbraio 2019), abbiano una consolidata e qualificata esperienza accademica o professionale documentabile (di almeno 5 anni), anche in ambito europeo o internazionale, negli ambiti tematici del diritto societario, bancario, pubblico dell’economia o dei mercati finanziari o dei principi contabili e bilanci societari.

È richiesta, inoltre, la padronanza della lingua inglese fluente.

L’avviso prevede, altresì, che, all’esito della valutazione dei curricula presentati, nonché dell’accertamento dell’insussistenza di cause di incompatibilità ovvero di conflitto di interesse, il Dirigente Generale della Direzione IV stipuli con ciascuno dei professionisti selezionati un apposito accordo contrattuale, con indicazione in sede negoziale dell’oggetto e dei termini di svolgimento dell’incarico proposto.

È prevista una durata biennale, senza possibilità di rinnovo, ma con la facoltà per il professionista di recedere mediante preavviso di trenta giorni, fermo restando l’obbligo, gravante sullo stesso, di portare a termine l’incarico già iniziato.

L’incarico è a titolo gratuito, con esclusione di ogni onere a carico dell’Amministrazione.

2. Gli Ordini professionali forensi hanno ritenuto l’avviso illegittimamente lesivo dei loro interessi e di quelli degli iscritti e lo hanno impugnato (con ricorso rubricato al n.r.g. 3632/2019 dinanzi al T.a.r. del Lazio, sede di Roma), in uno al comunicato stampa fatto pervenire dal Ministero dell’economia e delle finanze in risposta a talune rimostranze promosse dagli stessi professionisti successivamente alla pubblicazione dell’avviso.

3. A sostegno delle proprie pretese, gli Ordini professionali hanno lamentato:

3.1. Violazione degli artt. 1, 3, 35, 36 e 97 Cost., nonché dell’art. 13-bis, comma 3, della legge 31 dicembre 2012, n. 247 (recante “Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense”), inserito dall’art. 19-quaterdecies, comma 1, del d.l. 16 ottobre 2017, n. 148, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 2017, n. 172, applicabile alle Pubbliche Amministrazioni in forza del terzo comma dell’art. 19-quaterdecies, comma 3, del d.l. n. 148/2017.

3.2. Violazione del d.lgs. n. 50/2016 e delle linee guida ANAC n. 12 sull’affidamento dei servizi legali approvate dal Consiglio dell’Autorità con delibera n. 907 del 24 ottobre 2018.

3.3. Eccesso di potere per difetto di istruttoria - Difetto di motivazione.

4. Il T.a.r., con la sentenza impugnata di cui all’epigrafe, ha esaminato partitamente le censure proposte e le ha respinte in toto, compensando le spese di lite.

Più nel dettaglio, il primo giudice:

a) ha escluso che, all’esito della valutazione dei curricula inviati dai professionisti, si instauri alcun rapporto di lavoro tra i suddetti professionisti e la Pubblica Amministrazione, ovvero un obbligo di fornitura di un servizio professionale ai sensi del Codice degli appalti (d.lgs. n. 50/2016 e s.m.i.), dal momento che:

a.1) è prevista la facoltà del professionista di porre fine unilateralmente all’incarico in qualunque momento (ad avviso del T.a.r., il termine di preavviso di durata pari a trenta giorni risponde ad una mera esigenza organizzativa, e non condiziona, né altrimenti limita, la libera facoltà di recesso del professionista);

a.2) non è previamente indicato il numero di incarichi da conferire; non è puntualmente definito l’oggetto della consulenza o dell’affare; l’incarico è conferito al professionista senza svolgimento di procedura selettiva, nemmeno in senso ampio, e senza che sia stata formata alcuna graduatoria. Ad avviso del T.a.r., in sostanza, l’estrema genericità dell’avviso e dell’incarico da – eventualmente – conferire, rappresentano tratti distintivi che connotano e rafforzano la legittimità dell’atto, piuttosto che rappresentare, invece, una causa della sua illegittimità.

b) ha ritenuto che la gratuità dell’attività da prestare è compatibile con le norme e i principi del diritto interno ed europeo, rilevando che:

b.1) non si rinvengono specifici divieti in tal senso nell’ordinamento, neppure sulla base delle previsioni settoriali del Codice deontologico;

b.2) la disciplina dell’equo compenso invocata dagli Ordini ricorrenti a sostegno della propria tesi non si attaglia alla fattispecie concreta e, comunque sia, non è di ostacolo a che i professionisti prestino attività di carattere gratuito. Resta fermo che – ad avviso del T.a.r. - laddove la prestazione si svolga a titolo oneroso, il compenso pattuito debba necessariamente essere equo sulla base del quadro normativo vigente (art. 36 Cost.; art. 13-bis, comma 2, legge n. 247/2012);

b.3) i professionisti ritraggono vantaggi di natura diversa dall’espletamento dell’attività a titolo gratuito, in termini di maturazione di esperienze personali, di arricchimento professionale, curriculare.

b.4) la previsione della gratuità non contrasta neppure con i principi in tema di buon andamento ed efficienza dell’azione amministrativa (art. 97 Cost.), non essendo affatto dimostrato alcun nesso di (negativa) influenza tra l’assunzione di un incarico gratuito da parte del professionista e il suo svolgimento in maniera competente, professionale, decorosa e dignitosa (artt. 9, 19, 25 e 29 del Codice deontologico).

Inoltre, la prestazione offerta dal professionista non si pone in rapporto di alternatività o concorrenzialità con quella che potrebbero prestare altri consulenti.

5. Gli Ordini forensi, nell’impugnare la sentenza, hanno dedotto le seguenti censure:

5.1. Illegittimità della sentenza per erroneità e/o carenza della motivazione, contrasto con gli art. 112 c.p.c. e 101 c.p.a., erronea applicazione delle previsioni di cui all’art. 13-bis, comma 3, della legge 31 dicembre 2012, n. 247 e al D.lgs. n. 50/2016, illogicità e contraddittorietà manifesta.

La sentenza impugnata sarebbe ingiusta sia nella parte in cui ha motivato che la genericità dell’avviso censurata dagli Ordini ricorrenti “non costituisce un vizio dell’avviso ma un elemento che lo caratterizza, in forza del quale anzi esso è assolutamente legittimo”, sia in quella in cui ha concluso che “Alla luce dei rilievi svolti sinora, il carattere gratuito della consulenza appare legittimo”.

Inoltre, la sentenza non spiegherebbe la natura giuridica del rapporto nascente tra l’Amministrazione e il singolo professionista, poiché vengono escluse le tipologie del rapporto di lavoro alle dipendenze e dell’appalto di fornitura di servizi – peraltro, si sostiene, senza alcuna motivazione a supporto da parte del T.a.r. – e non vengono indicate le eventuali diverse fattispecie in cui il rapporto dovrebbe essere inquadrato.

L’avviso pubblico impugnato sarebbe elusivo, invece, a loro dire:

- della normativa in materia di contratti pubblici, e in particolare del d.lgs. n. 50/2016;

- delle linee guida ANAC n. 12 sull’Affidamento dei servizi legali approvate dal Consiglio dell’Autorità con delibera n. 907 del 24 ottobre 2018;

- della disciplina legislativa in materia di equo compenso.

Per di più, il ragionamento logico giuridico seguito dal giudice di prime cure si porrebbe in contraddizione, oltre che con i supremi principi costituzionali contenuti negli artt. 1, 3, 35, 36 e 97 Cost., anche con l’art. 13-bis, comma 3, della legge 31 dicembre 2012, n. 247, (recante “Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense”), inserito dall’art. 19-quaterdecies, comma 1, d.l. 16 ottobre 2017, n. 148, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 2017, n. 172, applicabile alle Pubbliche Amministrazioni a mente del terzo comma dell’art. 19-quaterdecies del d.l. n. 148/2017, che prevede che “La pubblica amministrazione, in attuazione dei princìpi di trasparenza, buon andamento ed efficacia delle proprie attività, garantisce il principio dell’equo compenso in relazione alle prestazioni rese dai professionisti in esecuzione di incarichi conferiti dopo la data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”.

La sentenza non avrebbe specificamente illustrato, inoltre, le ragioni per le quali non sussiste l’eccesso di potere, non recando alcuna motivazione in ordine alle doglianze articolate avverso il comunicato stampa diffuso dal Ministero dell’economia in risposta alle proteste provenienti dai professionisti del libero foro.

In particolare, la sentenza non avrebbe dato conto dell’erroneità dei presupposti da cui avrebbe preso le mosse l’azione amministrativa, ritenendo che la disciplina dell’equo compenso si applicasse soltanto al settore privato.

Il T.a.r. avrebbe inoltre errato a qualificare due importanti elementi di fatto, e cioè il preavviso per il recesso e l’obbligo di portare a termine l’incarico già iniziato, elementi che invece - secondo la prospettazione difensiva seguita dagli ordini professionali - starebbero anzi a comprovare la natura professionale dell’attività prestata.

Anche a volere ritenere, per pura ipotesi, che una remunerazione possa non tradursi in un corrispettivo finanziario, sarebbe comunque illegittima la previsione di un incarico svolto totalmente in perdita (senza quindi neppure una forma di contributo alle spese sostenute), non potendosi nella specie individuare – anche tenuto conto dell’indeterminatezza dell’incarico – quali e quante “utilità economiche lecite e autonome” il professionista possa figurarsi di trarre dalla collaborazione richiesta dal MEF a titolo di corrispettivo non finanziario della prestazione.

Ciò si tradurrebbe, nella pratica, anche in un ulteriore ostacolo alla serietà e qualità del servizio prestato.

5.2. Erroneità della sentenza per contrasto con gli artt. 9, 19, 25 e 29 del Codice Deontologico Forense in relazione quanto previsto dall'art. 36 della legge 31 dicembre 2012, n. 247, nonché dall’art. 362 c.p.c., illogicità, contraddittorietà e perplessità manifesta.

La sentenza sarebbe altresì illegittima nella parte in cui ha statuito che “Nulla impedisce, tuttavia, al professionista, senza incorrere in alcuna violazione, neppure del Codice deontologico, di prestare la propria consulenza, in questo caso richiesta solo in modo del tutto eventuale nei due anni stabiliti, senza pretendere ed ottenere alcun corrispettivo in denaro”.

Si sostiene che il Tar non ha giurisdizione in materia deontologica e sanzionatoria forense.

Ai sensi della legge professionale e del Codice Deontologico Forense, spetta soltanto agli Organi disciplinari forensi la potestà di conoscere, valutare e applicare, nel rispetto delle procedure previste dalle norme pertinenti, la normativa deontologica, anche in via sanzionatoria.

La cognizione esclusiva dei Consigli Distrettuali di Disciplina (in via amministrativa) e del Consiglio Nazionale Forense (in via giurisdizionale, essendo il CNF giudice speciale secondo quanto previsto dall’art. 36 della legge 31 dicembre 2012, n. 247) in ordine agli aspetti disciplinari e alle violazioni del Codice deontologico si configura alla stregua di una giurisdizione domestica.

5.3. Erroneità della sentenza per violazione e/o erronea applicazione della normativa sull’equo compenso, in particolare dell’art. 19-quaterdecies del D.L. n. 148/2017 in relazione agli artt. 35, 36 e 97 della Costituzione. Illogicità, contraddittorietà ed erroneità della motivazione.

La sentenza è criticata anche nella parte in cui ha escluso, a carico dei professionisti, l’esistenza di divieti o impedimenti a rendere prestazioni di natura gratuita.

Non avrebbe senso - si sostiene - che la disciplina sull’equo compenso e i principi ad essa sottesi si applichino ai soli casi in cui il compenso stesso è previsto, sia pure in forma simbolica, e che – viceversa – venissero esclusi in toto dall’ambito di applicazione i casi in cui non è prevista alcuna forma di retribuzione.

Il principio di diritto enunciato dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 4614/2017, al di là della diversità di circostanze (una su tutte quella relativa alla previsione, in quel caso, di un rilevantissimo importo di euro 250.000,00 a titolo di rimborso spese, nella specie inesistente), non potrebbe applicarsi alla fattispecie de qua, poiché relativo ad un contenzioso nato prima dell’introduzione dell’art. 13-bis nel corpo della legge di riforma professionale n. 247 del 2012.

6. Il Ministero dell’economia e delle finanze si è costituito per resistere al gravame ed ha contestato le deduzioni difensive articolate dagli Ordini appellanti, instando per la conferma della sentenza impugnata.

7. L’Associazione dei giovani amministrativisti (associazione nata per la promozione e lo sviluppo dello studio e della pratica del diritto amministrativo, nonché per contribuire a facilitare l’accesso e l’esercizio della professione di avvocato ai giovani professionisti che operano nei settori del diritto pubblico e del diritto amministrativo) è intervenuta ad adiuvandum degli Ordini professionali anche nel presente grado di appello, sostenendone le ragioni dell’impugnazione.

8. Le parti hanno ulteriormente insistito sulle rispettive tesi difensive mediante il deposito di memorie, ed hanno anche interloquito sull’ulteriore tema difensivo indicato a verbale dal Presidente della Sezione all’udienza pubblica del 4 febbraio 2021, ovverossia “che si potrebbe ravvisare un profilo di inammissibilità dell’appello per difetto di interesse, poiché – qualora si dovesse ritenere che l’attività degli avvocati debba essere necessariamente retribuita in linea di principio in base all’avviso pubblico in questione – andrebbe valutata la portata applicativa delle disposizioni sul patrocinio della Avvocatura dello Stato, con la conseguente questione sul ‘se’ sia radicalmente preclusa agli avvocati medesimi ogni forma di consulenza, anche gratuita, a favore delle Amministrazioni dello Stato.”.

9. All’udienza pubblica del 6 maggio 2021, svoltasi mediante collegamento da remoto, la causa è passata in decisione.

La causa è stata decisa a seguito di riconvocazione di ulteriore camera di consiglio in data 29 settembre 2021, anch’essa svoltasi mediante modalità telematica.

10. La Sezione ritiene che l’appello sia in parte fondato e in parte non fondato, nei sensi che di seguito si illustrano.

11. Innanzitutto, va perimetrato l’oggetto dell’impugnazione ai fini della verifica della sussistenza (o meno) dell’interesse a ricorrere da parte degli Ordini professionali forensi.

12. Il ricorso di primo grado ha censurato l’avviso pubblico del Ministero dell’economia e delle finanze sotto diversi profili, tutti in vario modo riconducibili all’illegittimità della pretesa del Ministero stesso - si asserisce – ad ottenere prestazioni professionali gratuite da parte di professionisti dotati di specifiche competenze in talune materie e ambiti di interesse per l’Amministrazione.

In particolare, gli Ordini forensi di Roma e Napoli hanno articolato svariate censure nei limiti del loro interesse all’impugnazione, vale a dire l’interesse collettivo e generale dell’Ordine professionale e l’interesse personale degli iscritti, ovverossia gli avvocati esercenti la libera professione forense (cd. avvocati del libero foro).

Le doglianze hanno riguardato, in sintesi:

a) la disciplina dell’equo compenso recata dalla vigente legge di riforma professionale forense n. 247/2012;

b) la legislazione sugli appalti pubblici di fornitura di servizi, tra cui rientrano i servizi legali ai sensi del codice degli appalti (d.lgs. n. 50/2016), delle direttive europee e dei principi e delle norme dei Trattati;

c) la genericità del contenuto dell’avviso, l’erroneità della motivazione, l’assenza di istruttoria.

13. L’avviso oggetto di impugnazione, tuttavia, non era rivolto soltanto agli avvocati del libero foro, ma anzi ha orientato la selezione - sulla base delle competenze professionali richieste e non presenti all’interno della struttura del MEF - di giuristi che hanno sviluppato competenze specialistiche in determinati ambiti del diritto (“professionalità altamente qualificate che uniscano alla conoscenza tecnica una positiva esperienza accademica/professionale, non rinvenibile all’interno della struttura” in “materia di diritto societario, diritto bancario e dei mercati e degli intermediari finanziari”).

14. L’ampia platea di destinatari presa in considerazione dall’avviso impugnato consente di sgombrare il campo dal dubbio che, alla luce delle disposizioni che definiscono gli ambiti applicativi delle funzioni dell’Avvocatura dello Stato, sia precluso agli avvocati del libero foro di prestare forme di consulenza in favore delle Amministrazioni dello Stato, quale quella – per quanto qui rileva ai fini della decisione – interessata alle prestazioni di cui all’avviso pubblico impugnato, ovverossia il MEF.

In primo luogo, il R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611 (recante “Approvazione del testo unico delle leggi e delle norme giuridiche sulla rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato e sull’ordinamento dell'Avvocatura dello Stato”), distingue tra il patrocinio legale obbligatorio (e le connesse attività di studio e consulenza) e la consulenza lato sensu intesa.

Più nel dettaglio, l’art. 1 prevede che:

1. La rappresentanza, il patrocinio e l'assistenza in giudizio delle Amministrazioni dello Stato, anche se organizzate ad ordinamento autonomo, spettano alla Avvocatura dello Stato.

Gli avvocati dello Stato esercitano le loro funzioni innanzi a tutte le giurisdizioni ed in qualunque sede e non hanno bisogno di mandato, neppure nei casi nei quali le norme ordinarie richiedono il mandato speciale, bastando che consti della loro qualità”.

Il patrocinio obbligatorio non è sempre assoluto o inderogabile.

Per quanto riguarda la rappresentanza e difesa in giudizio, l’art. 2 del cit. R.D. n. 1611 prevede la facoltà di delega “in casi eccezionali anche procuratori legali” esercenti nel circondario dove

si svolge il giudizio “per quanto concerne lo svolgimento di incombenze di rappresentanza nei

giudizi, civili e amministrativi che si svolgono nelle sedi degli uffici dell'Avvocatura generale

dello Stato o delle avvocature distrettuali, relativi a materie riguardanti enti soppressi”.

L’art. 5 del medesimo R.D. n. 1611 prevede, invece, la possibilità di richiedere “l’assistenza di avvocati del libero foro per ragioni assolutamente eccezionali”.

Viceversa, l’attività di consulenza è più ampia e rientra in senso lato nelle “funzioni dell’Avvocatura dello Stato”, ed è disciplinata dal successivo art. 13, per il quale “L'Avvocatura dello Stato provvede alla tutela legale dei diritti e degli interessi dello Stato; alle consultazioni legali richieste dalle Amministrazioni ed inoltre a consigliarle e dirigerle quando si tratti di promuovere, contestare o abbandonare giudizi: esamina progetti di legge, di regolamenti, di capitolati redatti dalle Amministrazioni, qualora ne sia richiesta; predispone transazioni d’accordo con le Amministrazioni interessate o esprime parere sugli atti di transazione redatti dalle Amministrazioni: prepara contratti o suggerisce provvedimenti intorno a reclami o questioni mossi amministrativamente che possano dar materia di litigio”.

In questo caso - diversamente rispetto al patrocinio legale e alla connessa attività di studio, assistenza e consulenza – l’espletamento dell’attività ‘consulenziale’ si ispira al principio della “espressa richiesta” che proviene dall’Amministrazione interessata, piuttosto che al principio dell’obbligatorietà secundum legem.

Ciò significa che, come in effetti è avvenuto nel caso di specie, la Pubblica Amministrazione può decidere di rivolgersi anche a consulenti esterni per affidare incarichi di consulenza.

Il principio è stato enunciato anche da Consiglio di Stato, Sezione VI, sentenza n. 780 del 3 febbraio 2011, in relazione ad un caso pratico concernente la distinzione tra l’attività giudiziale istituzionalmente deputata ad essere svolte dall’Avvocatura dello Stato, e l’attività stragiudiziale, anche precontenziosa.

In particolare, si è affermato che “l’attività stragiudiziale possa essere anche conferita a terzi mediante procedura concorsuale o para concorsuale, ma previa esternazione delle ragioni che inducono ad una scelta siffatta” e che “pur non essendo rinvenibile una norma espressa nel r.d. n. 1611/1933 atta ad imporre il patrocinio obbligatorio all’Avvocatura dello Stato, non di meno era dato ritenere la sussistenza, nell’ordinamento, di una serie di norme idonee a consentire alle amministrazioni statali, prima di rivolgersi al “mercato” dei servizi legali, di avvalersi di organismi istituzionali che, anche per la loro autorevolezza, sono preposti – tra l’altro - ad affiancarle nella soluzione di questioni controverse, attraverso la formulazione di appositi pareri e, in particolare, alla stessa Avvocatura dello Stato o al Consiglio di Stato in sede consultiva; con l’aggiunta che l’art. 7, comma 6, del d.lgs n. 165/2001 prevede la possibilità per le amministrazioni pubbliche, “per esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio, (di) conferire incarichi individuali, con contratti di lavoro autonomo, di natura occasionale o coordinata e continuativa, ad esperti di particolare e comprovata specializzazione anche universitaria…”, che peraltro devono essere affidati attraverso procedure comparative disciplinate secondo i rispettivi ordinamenti (cit. art. 7 comma 6 bis).”.

Nella specie, il MEF ha esplicitato nell’avviso le specifiche ragioni che suggerivano l’opportunità di reperire all’esterno le professionalità competenti negli specifici ambiti di interesse, in quanto non presenti all’interno della struttura ministeriale.

La effettiva sussistenza delle suddette ragioni e delle modalità con le quali le stesse sono state soddisfatte è, per l’appunto, al vaglio della Sezione.

15. Ciò detto, l’interesse a ricorrere degli Ordini professionali sussiste anche per un’altra ragione.

Il conseguimento del titolo di avvocato che abilita alla difesa in giudizio è di pari rango (semmai, anzi, è qualcosa ‘di più’ e non ‘di meno’) rispetto alla qualifica di ‘giurista’, ‘esponente del mondo accademico’, ‘professionista altamente qualificato’, ai quali si rivolge l’avviso.

Non sarebbe possibile ritenere, dunque, che un giurista, per il solo fatto di aver conseguito anche il titolo di avvocato (e di essere iscritto a un Ordine professionale), non possa, per ciò solo, prestare la propria opera professionale ed intellettuale nei confronti delle Amministrazioni statali in ogni ambito stragiudiziale, laddove – invece - tale preclusione non varrebbe per altre figure professionali altamente specializzate (professori universitari, ricercatori o, semplicemente, esperti del settore) alle quali il MEF si è voluto rivolgere senza prevedere requisiti specifici in termini di titoli di studio o di abilitazione.

Sotto questo specifico aspetto, pertanto, sono condivisibili le prospettazioni difensive articolate dagli Ordini appellanti nell’ultima memoria difensiva depositata in data 3 aprile 2021, secondo cui – ove la Sezione giungesse a difformi conclusioni in punto di sussistenza dell’interesse a ricorrere – si prospetterebbe effettivamente un serio dubbio di legittimità costituzionale (sotto il profilo dell’eguaglianza di trattamento tra le varie figure di ‘giuristi’, ‘esperti’ e ‘rappresentanti del mondo accademico’) della normativa sul patrocinio legale e sull’attività di consulenza anche stragiudiziale in favore delle Amministrazioni statali, laddove la stessa venisse interpretata o applicata nel senso di impedire agli avvocati del libero foro di manifestare interesse e rispondere all’invito ad offrire di cui all’avviso impugnato.

16. Ciò detto in punto di sussistenza dell’interesse a ricorrere, va ora esaminato il merito dell’appello.

17. Gli Ordini professionali lamentano, nella sostanza, tre ordini di questioni:

a) la violazione delle norme poste a presidio del decorso e della dignità della professione forense;

b) la violazione delle norme e dei principi, anche europei, in tema di onerosità dei contratti pubblici;

c) la violazione delle norme poste a garanzia della efficienza e del buon andamento dell’azione amministrativa.

18. Per quanto riguarda il profilo sub a), essi richiamano sia le disposizioni di rango costituzionale (art. 36), sia quelle di rango primario (art. 13-bis, comma 3, legge n. 247/2012, inserito dall’art 19-quaterdecies del d.l. n. 148/ 2017), nella parte in cui prevedono, rispettivamente, il diritto del professionista alla retribuzione commisurata alla quantità e qualità del lavoro prestato, e l’obbligo anche per le Pubbliche Amministrazioni di garantire il principio dell’equo compenso in relazione alle prestazioni rese da professionisti in esecuzione di incarichi conferiti.

19. Per quanto concerne il profilo sub b), essi lamentano invece la violazione della disciplina dei contratti pubblici di cui al d.lgs. n. 150/2016 e delle linee guida dell’ANAC n. 12 sull’affidamento dei servizi legali.

A loro giudizio, l’attività di consulenza richiesta configura un contratto pubblico di servizi sub specie di prestazione d’opera professionale, ovvero di servizi di consulenza legale.

Gli appellanti sostengono che la scelta del consulente/contraente prefigurata dal MEF nell’avviso impugnato viola i criteri di aggiudicazione (che, a loro avviso, non devono esaurirsi nella sola valutazione dell’esperienza curriculare) e di selezione (che, sempre a loro avviso, devono presupporre l’offerta di un prezzo, ed anzi, vista l’importanza degli interessi coinvolti, l’applicazione del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa individuata sulla base del miglior rapporto qualità-prezzo anche per gli affidamenti di minor valore).

20. Infine, per quanto concerne il profilo sub c), gli appellanti lamentano l’irragionevolezza e l’illogicità di reperire figure professionali esterne alle quali affidare incarichi solo genericamente indicati, senza una puntuale disciplina della responsabilità giuridica dei professionisti stessi, a tutela dell’erario pubblico.

21. Ad avviso della Sezione, nessuno degli assunti difensivi appena sintetizzati va condiviso, per le ragioni che di seguito si espongono.

22. Per quanto concerne il profilo sub a), la normativa di cui gli appellanti invocano l’applicazione riguarda fattispecie giuridiche del tutto differenti da quella che è oggetto del presente contenzioso, sia in relazione ai presupposti applicativi, sia con riguardo alle conseguenze giuridiche che i medesimi vorrebbero trarne. Segnatamente:

I) l’art. 36 Cost. ha un ambito di efficacia soggettivo e oggettivo ben delimitato, che non riguarda la richiesta di prestazioni lavorative gratuite di cui all’avviso ministeriale impugnato.

Più nel dettaglio, la disposizione costituzionale tutela la proporzionalità e l’adeguatezza della retribuzione in modo da garantire al lavoratore e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa; preserva il sano svolgimento della prestazione lavorativa (sotto il profilo della durata massima della giornata lavorativa e della fruizione del riposo settimanale e delle ferie annuali).

La disposizione è chiaramente costruita intorno al presupposto di fatto (che non sussiste affatto nella fattispecie all’esame) che il lavoratore presti un’attività lavorativa che è (o che deve essere) necessariamente retribuita per potere soddisfare le esigenze minime, basilari, irrinunciabili di vita, per sé o per la propria famiglia.

Nell’ordinamento non è rinvenibile alcuna disposizione che vieta, impedisce o altrimenti ostacola l’individuo nella facoltà (essa sì espressione dei diritti di libertà costituzionalmente garantiti) di compiere scelte libere in ordine all’an, al quomodo e al quando di impiegare le proprie energie lavorative (materiali o intellettuali) in assenza di una controprestazione, un corrispettivo o una retribuzione anche latamente intesa.

Tale divieto, ostacolo o impedimento non può trovare fondamento nell’art. 36 Cost., disposizione che è posta a presidio ed irrinunciabile baluardo di ben altre istanze di tutela dell’individuo.

Altrimenti opinando, si dovrebbe ritenere ex sé illegittima (o addirittura illecita) la prestazione, oltre che delle attività gratuite, anche di quelle liberali, le quali anzi, a differenza delle altre, nemmeno contemplano la possibilità di ricavare dei vantaggi, neppure indiretti, dallo svolgimento delle attività medesime, essendo effettuate in maniera del tutto spontanea e con spirito di arricchire l’altro senza alcun vantaggio per se stessi: ma una tale tesi non è stata sostenuta nemmeno dagli appellanti.

Nel caso di specie, invece, l’adesione del professionista, all’invito ad offrire contenuto nell’avviso impugnato, reca indubbiamente – a chi ha la volontà, il tempo, il modo e la possibilità (oltre alla capacità professionale) di svolgere la consulenza richiesta - una sicura gratificazione e soddisfazione personale per avere apportato il proprio personale, fattivo e utile contributo alla “cosa pubblica”.

II) Il richiamo alla disciplina dell’equo compenso di cui all’art. 13-bis, comma 3, legge n. 247/2012, inserito dall’art 19-quaterdecies del d.l. n. 148/ 2017, è questione che non rileva specificamente per definire la fattispecie in decisione.

La suddetta disposizione prevede che “La pubblica amministrazione, in attuazione dei princìpi di trasparenza, buon andamento ed efficacia delle proprie attività, garantisce il principio dell’equo compenso in relazione alle prestazioni rese dai professionisti in esecuzione di incarichi conferiti dopo la data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”.

Anche in questo caso, il presupposto di fatto - imprescindibile per tentare un confronto fra la fattispecie all’esame e la disciplina dell’equo compenso - è che sia prevista la prestazione retribuita.

Al di fuori di questo perimetro, che è logico prima ancora che giuridico, non può essere effettuato alcun raffronto, proprio perché l’attività di sussunzione di una fattispecie concreta rispetto al paradigma legale generale ed astratto poggia, prima di tutto, sulla raffrontabilità in fatto degli schemi logici.

Pertanto, occorre concludere che la normativa sull’equo compenso sta a significare soltanto che, laddove il compenso sia previsto, lo stesso debba necessariamente essere equo, mentre non può ricavarsi dalla disposizione l’ulteriore (e assai diverso corollario) che lo stesso debba essere sempre previsto (a meno di non sostenere, anche in questo caso, che non vi possa essere alcuno spazio per la prestazione di attività gratuite o liberali da parte dei liberi professionisti).

Il riferimento soggettivo previsto dall’art. 13-bis cit. alla “pubblica amministrazione” e quello oggettivo agli “incarichi conferiti” stanno piuttosto a significare - a tutela del professionista - che il compenso deve essere equo e che l’interesse privato non può essere sacrificato rispetto a quello pubblico e generale fino al punto di travalicare – nel bilanciamento dei contrapposti interessi - l’equità della remunerazione.

La disposizione non esclude il (e nemmeno implica la rinuncia al) potere di disposizione dell’interessato, che resta libero di rinunciare al compenso – qualunque esso sia, anche indipendentemente dalla equità dello stesso – allo scopo di perseguire od ottenere vantaggi indiretti (come nel caso che ci occupa) o addirittura senza vantaggio alcuno, nemmeno indiretto, come tipicamente accade nelle prestazioni liberali (donazioni o liberalità indirette).

III) Piuttosto, occorre osservare come la modifica da ultimo inserita nella legge professionale forense è sorretta da una ratio legis autonoma ed ha voluto rappresentare un equo, ragionevole e ‘giusto’ punto di equilibrio a tutela dei liberi professionisti, ed in particolare dei giovani che si affacciano nel mondo del lavoro, a seguito della abrogazione dei minimi tariffari e dell’apertura al libero mercato, anche nel quadro euro-unionale.

In quest’ottica prospettica, il sopra riportato comma 3 esprime l’attenzione del legislatore ordinario per le libere professioni quando l’attività è esercitata al di fuori dei rapporti di lavoro dipendente, che di per sé ricadono sotto la copertura costituzionale dell’art. 36 Cost., in relazione alla necessità della congruità del compenso, ma ciò sull’evidente presupposto che compenso vi sia.

In altre parole, la disciplina sull’equo compenso ha completato e colmato quello scarto negativo che, nel tempo e a causa di svariati fattori, ha provocato nel settore delle libere professioni una deminutio di tutela per coloro che prestano attività professionale al di fuori degli schemi tipici del rapporto dipendente e della tutela costituzionale salariale e retributiva.

23. Per quanto concerne il profilo sub b), la Sezione ritiene che il giudice di prime cure abbia correttamente escluso la violazione della disciplina dei contratti pubblici di cui al d.lgs. n. 150/2016 e delle linee guida dell’ANAC n. 12 sull’affidamento dei servizi legali.

L’incarico a cui fa riferimento l’avviso impugnato consiste:

a) nel prestare attività di consulenza su tematiche complesse attinenti al diritto, nazionale ed europeo, societario, bancario, dei mercati e degli intermediari finanziari;

b) nel supportare il MEF nel compimento di attività particolarmente complesse ed elevate a livello intellettuale, sia dal punto di vista teorico-dogmatico, sia sul piano pratico, ‘prestando’ competenze professionali di cui spesso le Pubbliche Amministrazioni sono sguarnite;

c) nel collaborare all’adozione o all’integrazione di normative primarie e secondarie, ai fini - tra le altre cose - dell’adeguamento dell’ordinamento interno alle direttive e regolamenti comunitari;

d) nel prestare il proprio impegno per una durata biennale, senza possibilità di rinnovo, e con la facoltà per il professionista di recedere mediante preavviso di trenta giorni, fermo restando l’obbligo, gravante sullo stesso, di portare a termine l’incarico già iniziato.

Più nel dettaglio:

e) lo scopo dell’avviso pubblico di manifestazione di interesse è quello di raccogliere la generica disponibilità di soggetti particolarmente qualificati a dare un contributo, ove mai l’Amministrazione lo ritenesse necessario e sulla base di un impegno di confidenzialità, per consentire un immediato ed agevole scambio di informazioni;

f) la collaborazione richiesta è del tutto eventuale ed occasionale e viene attivata se e quando sia ritenuta necessaria, a discrezione dell’Amministrazione finanziaria;

g) i professionisti che manifestano l’interesse a termini dell’avviso non sono titolari di alcun diritto o situazione di legittimo affidamento a che siano, di poi, effettivamente chiamati a rendere la prestazione indicata;

h) la modalità di effettuazione della prestazione è altamente deformalizzata e può esaurirsi anche in un semplice scambio telefonico, ovvero in una breve interazione per via telematica, e cioè al solo scopo di ottenere un agile ed immediato riscontro, senza ulteriori vincoli;

i) non è richiesta la presenza fisica presso la struttura ministeriale; non sono previsti orari prestabiliti o una disponibilità continuativa; non sono necessarie trasferte, né missioni; anche per questa ragione nell’avviso è espressamente escluso che possano essere posti a carico dell’Amministrazione oneri di qualunque tipo, ivi compresi i rimborsi spese; in altre parole, è esclusa alla radice la possibilità che i professionisti possano ricavare utilità economiche o vantaggi economici, anche indiretti, sotto forma di rimborso spese o gettoni di presenza.

Le caratteristiche sin qui elencate non corrispondono ad alcuno degli elementi costitutivi e caratterizzanti il rapporto di lavoro autonomo o l’affidamento mediante appalto dei servizi legali.

Il rapporto di lavoro autonomo per le Pubbliche Amministrazioni è ammissibile solo se sussistono i presupposti indicati dall’art 7, comma 6 e comma 6-bis, del d.lgs. n. 165/2001.

L’articolo 140, contenuto nel Capo I dedicato agli «Appalti nei settori speciali», assoggetta ad un particolare regime pubblicitario i servizi di cui all’Allegato IX del Codice dei contratti pubblici, nei quali rientrano anche i «Servizi legali, nella misura in cui non siano esclusi a norma dell’articolo 17, comma 1, lettera d)».

I relativi affidamenti costituiscono appalti e comprendono i servizi non ricompresi da un punto di vista prestazionale nell’ambito oggettivo di applicazione dell’articolo 17 (ad esempio, le consulenze non collegate ad una specifica lite), ovvero che, su richiesta delle stazioni appaltanti e nei limiti delle istruzioni ricevute, i fornitori realizzano in modo continuativo o periodico ed erogano organizzando i mezzi necessari e assumendo il rischio economico dell’esecuzione, come nell’ipotesi di contenzioso seriale affidato in gestione al fornitore.

L’Allegato IX individua l’ambito di applicazione non solo delle disposizioni di cui al richiamato articolo 140, ma anche di quelle contenute negli articoli 142, 143 e 144 che, dettando un regime “alleggerito”, complessivamente integrano la Parte II, Titolo VI, Capo II del Codice dei contratti pubblici, rubricato «Appalti di servizi sociali e altri servizi nei settori ordinari».

L’articolo 17, comma 1, lettera d), del Codice dei contratti pubblici, rubricato «Esclusioni specifiche per contratti di appalto e concessione di servizi», elenca alcune tipologie di servizi legali

che esclude dall’ambito oggettivo di applicazione delle disposizioni codicistiche.

Le Linee Guida Anac – che i ricorrenti invocano però a sostegno della propria tesi difensiva – prevedono che:

1.1.1 Rientrano nella disposizione di cui all’articolo 17, comma 1, lettera d), n. 1 gli incarichi di patrocinio legale conferiti in relazione ad una specifica e già esistente lite.

1.1.2 Rientrano nella disposizione di cui all’articolo 17, comma 1, lettera d), n. 2 i servizi di assistenza e consulenza legale preparatori ad un’attività di difesa in un procedimento di arbitrato, di conciliazione o giurisdizionale, anche solo eventuale.

(…).

1.4.1 Rientrano nella disposizione di cui all’articolo 17, comma 1, lettera d), n. 5 del Codice dei contratti pubblici i servizi legali strettamente legati all’esercizio di pubblici poteri, che rappresentano un presupposto logico dell’esercizio del potere, ponendosi alla stregua di una fase del procedimento in cui il potere pubblico è esercitato. A titolo esemplificativo, può considerarsi connesso all’esercizio di pubblici poteri l’affidamento del singolo incarico di collaborazione per la redazione di proposte di elaborati normativi, di natura legislativa e regolamentare”.

Le menzionate Linee Guida sono state redatte, in particolare, sulla base del parere n. 2017 del 3 agosto 2018 del Consiglio di Stato, che ha ritenuto che l’affidamento dei servizi legali costituisce appalto, con conseguente applicabilità dell’allegato IX e degli articoli 140 e seguenti del Codice dei contratti pubblici, qualora la stazione appaltante affidi la gestione del contenzioso in modo continuativo o periodico al fornitore nell’unità di tempo considerata (di regola il triennio).

L’incarico conferito ad hoc costituisce invece un contratto d’opera professionale, consistendo nella trattazione della singola controversia o questione, ed è sottoposto al regime di cui all’articolo 17 (contratti esclusi).

24. L’ultimo profilo sub c) censura, invece, la violazione delle norme poste a garanzia della efficienza e del buon andamento dell’azione amministrativa.

La Sezione ritiene che il profilo sia fondato nella parte in cui lamenta la violazione delle regole che presiedono all’imparzialità dell’azione amministrativa, sia sotto l’aspetto della formazione dell’elenco da cui attingere per i futuri affidamenti di incarichi, sia in relazione ai criteri da applicare di volta in volta per attribuire specificamente gli incarichi ai professionisti.

Se è vero (come è vero) che nel quadro costituzionale ed eurounitario vigente la prestazione lavorativa a titolo gratuito è lecita e possibile e che il ‘ritorno’ per chi la presta può consistere anche in un vantaggio indiretto (arricchimento curriculare, fama, prestigio, pubblicità), la funzione amministrativa, da svolgere nel rispetto dei principi costituzionali di imparzialità e buon andamento, non può non incentrare la sua concreta azione sui cardini della prevedibilità, certezza, adeguatezza, conoscibilità, oggettività ed imparzialità dei criteri di formazione dell’elenco al quale attingere e di affidamento degli incarichi.

La tenuta costituzionale del sistema basato sulle richieste di prestazioni gratuite da parte delle Pubbliche Amministrazioni si può ammettere solo se è previamente previsto un meccanismo procedimentale che dia idonee garanzie circa il fatto che la concreta azione amministrativa sia ispirata a criteri, canoni e regole di assoluta imparzialità nella selezione e nella scelta dei professionisti, di modo che in questo ‘nuovo mercato’ delle libere professioni nessuno abbia ad avvantaggiarsi a discapito di altri.

La Sezione ritiene che l’atto impugnato, sotto questo aspetto, difetti della necessaria determinatezza che – sola – può assicurare la soglia inderogabile dell’imparzialità dell’azione amministrativa, poiché non sono stati testualmente indicati criteri ispirati alla trasparenza e regole oggettive e predeterminate e non disciminatorie.

25. In definitiva, alla luce delle considerazioni appena illustrate, l’appello va accolto limitatamente alla censura di difetto di istruttoria e di motivazione e soltanto circa l’aspetto concernente la formazione dell’elenco dei professionisti e l’affidamento degli incarichi, mentre va respinto per il resto.

Nondimeno, l’accoglimento di tale censura comporta l’annullamento integrale degli atti impugnati, poiché la tipologia del bando impugnato in primo grado può risultare conforme ai principi basilari dell’ordinamento solo se sono contestualmente fissati i criteri ispirati alla trasparenza e sono individuate le regole oggettive predeterminate e non discriminatorie.

26. L’Amministrazione, in sede di esecuzione della presente sentenza, valuterà se o meno riesercitare il proprio potere e potrà bandire un nuovo invito ad offrire manifestazioni di interesse, nel rispetto dei principi affermati con la presente sentenza.

L’Amministrazione, nella sua discrezionalità, qualora ritenga di indire un una nuova selezione, sceglierà le modalità pratiche ed operative più opportune per attuare i principi sopra enunciati, le quali dovranno essere:

a) efficaci, cioè produrre un effetto utile per i soggetti interessati;

b) oggettive, cioè basate su criteri verificabili e attinenti ai dati curriculari;

c) trasparenti, cioè basate su dati e documenti amministrativi accessibili;

d) imparziali, cioè tali da consentire la valutazione equa ed imparziale dei concorrenti;

e) procedimentalizzate, cioè idonee ad assicurare, anche mediante protocolli e modelli di comportamento, che non si verifichino favoritismi o, all’inverso, discriminazioni, nella selezione e nella attribuzione degli incarichi;

f) paritarie, cioè che le distinzioni di trattamento debbono rispondere a criteri di stretta necessità, proporzionalità ed adeguatezza del mezzo rispetto allo scopo;

g) proporzionali, cioè tali da assicurare la rispondenza relazionale tra il profilo professionale scelto e l’oggetto dell’incarico, anche sulla base del dato curriculare e di esperienza;

h) pubbliche, cioè prevedibili e conoscibili;

i) rotative, compatibilmente con la necessità di rendere efficace ed effettiva l’azione amministrativa.

27. Le spese del doppio grado sono compensate per la novità e complessità delle questioni trattate, mentre il pagamento del contributo unificato del doppio grado deve essere posto definitivamente a carico delle Amministrazioni resistenti, pro quota.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull'appello n. 10701/2019, come in epigrafe proposto:

a) accoglie l’appello di cui all’epigrafe limitatamente alla censura di difetto di istruttoria e motivazione e circa l’aspetto concernente la formazione dell’elenco dei professionisti e l’affidamento degli incarichi e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, annulla gli atti impugnati in primo grado;

b) respinge l’appello per il resto;

c) indica al punto 26 della motivazione le modalità per il riesercizio del potere, agli effetti conformativi;

d) compensa le spese del doppio grado;

e) pone il pagamento del contributo unificato del doppio grado definitivamente a carico delle Amministrazioni resistenti, pro quota.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nelle camere di consiglio dei giorni 6 maggio 2021 e 29 settembre 2021, svoltesi entrambe secondo modalità telematiche di collegamento da remoto, con l'intervento dei magistrati:

Luigi Maruotti, Presidente

Daniela Di Carlo, Consigliere, Estensore

Francesco Gambato Spisani, Consigliere

Nicola D'Angelo, Consigliere

Silvia Martino, Consigliere

 
 
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Daniela Di Carlo Luigi Maruotti
 
 
 
 
 

IL SEGRETARIO


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