HomeSentenzeArticoliLegislazionePrivacyRicercaChi siamo
Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana - sez. giurisdizionale, 12/9/2022 n. 947
Sulla rimessione alla Corte costituzionale di alcune questioni in tema di obbligo vaccinale per il personale sanitario

Ritenute le questioni rilevanti e non manifestamente infondate, in relazione alle condizioni dettate dalla Corte in tema di compressione della libertà di autodeterminazione sanitaria dei cittadini in ambito vaccinale, ossia non nocività dell’inoculazione per il singolo paziente e beneficio per la salute pubblica, il CGARS, ai sensi dell’art. 23 comma 2 l. 11 marzo 1953 n. 87, ritenendole rilevanti e non manifestamente infondate, solleva la questione di legittimità costituzionale de:

a) l’art. 4 commi 1 e 2 del d.l. n. 44/2021 (convertito in l. n. 76/2021), nella parte in cui prevedono l’obbligo vaccinale per il personale sanitario, per contrasto con gli artt. 3, 4, 32, 33, 34, 97 della Costituzione, sotto il profilo che il numero di eventi avversi, la inadeguatezza della farmacovigilanza passiva e attiva, il mancato coinvolgimento dei medici di famiglia nel triage pre-vaccinale e comunque la mancanza nella fase di triage di approfonditi accertamenti e persino di test di positività/negatività al Covid non consentono di ritenere soddisfatta, allo stadio attuale di sviluppo dei vaccini antiCovid e delle evidenze scientifiche, la condizione, posta dalla Corte costituzionale, di legittimità di un vaccino obbligatorio solo se, tra l’altro, si prevede che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che è obbligato, salvo che per quelle sole conseguenze “che appaiano normali e, pertanto, tollerabili”;

b) l’art.1 della l. 217/2019, nella parte in cui non prevede l’espressa esclusione dalla sottoscrizione del consenso informato delle ipotesi di trattamenti sanitari obbligatori, e dell’art. 4, del d.l. n. 44/2021, nella parte in cui non esclude l’onere di sottoscrizione del consenso

informato nel caso di vaccinazione obbligatoria, per contrasto con gli artt. 3 e 21 della Costituzione;

c) l’art. 4 comma 4, laddove prevede che l’inadempimento all’obbligo vaccinale comporta la sospensione dall’esercizio delle professioni sanitarie, per contrasto con i principi di ragionevolezza e di proporzionalità, di cui all’art. 3 della Costituzione, anche in riferimento alla violazione degli art. 1, 2, 4, 32 comma 1, 33, 35 comma 1 e 36 comma 1 della Costituzione.

Materia: sanità / salute
Pubblicato il 12/09/2022

N. 00947/2022 REG.PROV.COLL.

N. 00678/2022 REG.RIC.           

REPUBBLICA ITALIANA

Il CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA REGIONE SICILIANA

Sezione giurisdizionale

ha pronunciato la presente

ORDINANZA

sul ricorso numero di registro generale 678 del 2022, proposto da


-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Davide Di Paola e Luca Gioacchino Barone, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;


contro

Ordine degli psicologi della Regione Siciliana, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Alessandro Macaione e Angelo Pisciotta, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma

dell'ordinanza cautelare del Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia (Sezione Seconda) n. 309/2022, resa tra le parti


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ordine degli Psicologi della Regione Siciliana;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 7 settembre 2022 il Cons. Sara Raffaella Molinaro e uditi per le parti gli avvocati come da verbale;


1. L’appellante è psicoterapeuta iscritto all’Albo degli psicologi della Sicilia con il n.-OMISSIS-.

2. In data 21 febbraio 2022 l’appellante ha ricevuto una nota recante “Invito a produrre documentazione ex art. 4, D.L. n. 44/21, come convertito dalla L. n. 76/21”, con la quale il Presidente dell’Ordine degli psicologi della Regione Sicilia lo ha invitato a “produrre, entro e non oltre 5 (cinque) giorni dal ricevimento della comunicazione pec, la documentazione comprovante l’effettuazione della vaccinazione oppure l’attestazione relativa alla omissione o al differimento della stessa rilasciata ai sensi del comma 2 dell’art. 4, ovvero la presentazione della richiesta di vaccinazione da eseguirsi entro un termine non superiore a 20 (venti) giorni dal ricevimento della presente ovvero la documentazione comprovante l’insussistenza dei presupposti per l’obbligo vaccinale di cui al comma 1 del medesimo articolo 4”.

Con nota 25 febbraio 2022 ha comunicato di essere “sin d’ora disponibile alla vaccinazione anti SARS Cov -2” e di essere “in grado di inviare solo lunedì o martedì prossimo il certificato di differimento vaccinale, attesa la momentanea indisponibilità del mio medico di medicina generale sino al prossimo lunedì”, invitando “pertanto, anche in considerazione della circostanza che giorno 26 e giorno 27 febbraio cadono rispettivamente di sabato e di domenica, a voler consentire allo scrivente questa brevissima dilazione”.

Con comunicazione primo marzo 2022 l’appellante ha comunicato, dopo avere ribadito la disponibilità alla vaccinazione anti SARS Cov -2, che non sarebbe stato “in grado di inviare il promesso certificato di differimento vaccinale poiché, il mio Medico di Medicina Generale, dott. -OMISSIS-), ha purtroppo subito un gravissimo lutto ed è pertanto al momento assente dallo studio con rientro a data destinarsi”, allegando “ricetta elettronica del sostituto del dott. -OMISSIS-, il Dott. -OMISSIS-, il quale mi ha prescritto quanto concordato con il dott. -OMISSIS- e cioè, una visita generale allergologica, attese le manifestazioni in età pediatrica dello scrivente, di diversi episodi di reazioni allergiche alcune delle quali esitate in shock anafilattico, per le quali non sono state mai indagate le possibili cause”.

Con nota 7 marzo 2022 l’Ordine professionale ha preso atto di quanto allegato, avvisando che per regolarizzare la posizione era “necessario produrre la certificazione di differimento dalla vaccinazione anti – Covid – 19 in modalità digitale, come previsto dall'art. 5 del DPCM del 4 febbraio 2022 recante “Individuazione delle specifiche tecniche per trattare in modalità digitale le certificazioni di esenzione dalla vaccinazione anti – Covid 19”, in mancanza della quale “saranno applicate le sanzioni previste dal DL 172/21”.

3. Il Presidente dell’ordine degli psicologi della Regione Sicilia, con nota 14 marzo 2022 n. 1382, ha comunicato l’avvenuto, con deliberazione 11 marzo 2022 n. 27, “accertamento dell’”inadempimento obbligo vaccinale all'esito delle verifiche di cui all'art.4, comma 3, D.L. 44/2021, come modificato dal D.L. 171/2021, conv. con Legge 3/2022 e consequenziale sospensione dall'esercizio professionale ed annotazione nell'Albo professionale”.

4. La predetta nota del 14 marzo 2022 n. 1382 e la deliberazione 11 marzo 2022 n. 27 sono state impugnate dall’appellante davanti al Tar Sicilia – Palermo, con contestuale presentazione di istanza cautelare.

5. Il Tar ha respinto l’istanza cautelare con ordinanza 19 maggio 2022 n. 309, ritenendo che:

- “le censure articolate da parte ricorrente non presentano chiari elementi di fondatezza”;

- “a seguito della doverosa valutazione comparativa degli interessi in gioco, appare preminente l’interesse a non mettere a repentaglio la salute pubblica”.

6. L’ordinanza è stata appellata davanti a questo CGARS con ricorso n. 678 del 2022.

7. Con ricorso in appello si è lamentata l’erroneità dell’ordinanza per vizio di motivazione e sono stati riproposti i motivi di ricorso dedotti in primo grado e, in particolare:

- violazione delle prerogative di partecipazione al procedimento amministrativo di cui alla legge n. 241 del 1990 e alla l.r. n. 10 del 1991;

- violazione del principio di proporzionalità quanto all’effetto sospensivo dell’accertamento di inadempimento dell’obbligo vaccinale;

- questione di legittimità costituzionale dell’art. 4 del d.l. 1 aprile 2021, n. 44, convertito con modificazioni nella legge 28 maggio 2021, n. 76, così come modificato dal decreto legge 26 novembre 2021, n. 172, convertito nella legge 21 gennaio 2022, n. 3, con riferimento sia all’imposizione dell’obbligo vaccinale (comma 1 dell’art. 4 del d.l. n. 44 del 2021), sia con riferimento all’effetto sospensivo (comma 4 dell’art. 4 del d.l. n. 44 del 2021).

E ciò in quanto, in base alla giurisprudenza della Corte costituzionale:

- il trattamento sanitario può essere imposto a patto che sia efficace non solo per sé stessi ma anche per gli altri e a patto che esso non sia pericoloso per l’individuo che subisce il trattamento, visto che, in questo caso, si violerebbe direttamente il secondo comma dell’art. 32 Cost. che afferma “la legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”;

- la disposizione non rispetta le prerogative dei diritti della persona allorquando vieta di lavorare senza alcun indennizzo al soggetto non vaccinato;

- il comma 5 dell’art. 33 Cost. condiziona l’esercizio della professione al solo superamento dell’esame di Stato;

- la disciplina emergenziale comportando, quale conseguenza dell’inadempimento all’obbligo vaccinale, l’impossibilità di svolgere la professione di psicologo, appare in contrasto anche con l’art. 35 comma 1 Cost. che tutela il lavoro e i lavoratori, inclusi i liberi professionisti.

- l’impedimento al lavoro quale conseguenza della “scelta di non vaccinarsi con un farmaco oggetto di un’autorizzazione emergenziale condizionata introduce anche una discriminazione, basata sulle opinioni e su una condizione personale, non consentita dall’art. 3 Cost.”.

8. Nel corso del giudizio si è costituito l’Ordine degli psicologi della Regione Sicilia, controdeducendo rispetto alle argomentazioni contenute nel ricorso in appello.

9. Il Collegio ritiene che la questione di legittimità costituzionale sia rilevante nel presente giudizio impugnatorio nei termini che saranno di seguito esposti, in quanto dalla decisione della Corte costituzionale dipende l’esito del secondo e del terzo motivo di ricorso, con i quali il ricorrente ha censurato l’imposizione dell’obbligo vaccinale per gli esercenti le professioni sanitarie e le conseguenze derivanti dall’inadempimento di detto obbligo.

9.1. Né l’interesse della parte appellante può essere soddisfatto mediante “sospensione impropria” del presente giudizio, nelle more della decisione della Corte costituzionale su analogo incidente sollevato da questo stesso CGARS in altro giudizio (ordinanza 22 marzo 2022 n. 351), in quanto tale sospensione impropria, stigmatizzata dalla stessa Corte costituzionale (Corte cost., 23 novembre 2021 n. 218) precluderebbe alla parte la possibilità di partecipare alla discussione dell’incidente davanti la Corte costituzionale, alla luce del vigente regolamento di procedura della Corte stessa.

10. Ai fini della rilevanza della questione di legittimità costituzionale, il Collegio anzitutto osserva che non può rilevare d’ufficio il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo sul provvedimento impugnato, come si argomenta dall’art. 9 e dall’art. 62 comma 4 c.p.a. e quindi non può esimersi dall’esaminare nel merito l’incidente cautelare.

10.1. Sempre ai fini della rilevanza della questione di legittimità costituzionale, deve prioritariamente procedersi all’esame del primo motivo di ricorso, sulla base della valutazione tipica della presente fase cautelare, e del profilo del periculum in mora, in modo da evidenziare come la pronuncia sia rilevante al fine di decidere il ricorso nella presente sede cautelare.

11. Non risulta fondata la censura incentrata sul vizio di violazione delle prerogative di partecipazione al procedimento amministrativo di cui alla legge n. 241 del 1990 e alla l.r. n. 10 del 1991 (ora sostituita dalla l.r. n. 7 del 2019).

Con specifico riferimento al procedimento de quo infatti il legislatore dell’emergenza pandemica ha dettato una disciplina specifica all’art. 4 commi 3 e 4 del d. l. primo aprile 2021 n. 44, convertito in legge 28 maggio 2021 n. 76, nella disciplina ratione temporis vigente (successiva al d.l. 26 novembre 2021 n. 172, convertito in legge 21 gennaio 2022 n. 3, ma precedente alle modifiche apportate dall’art. 8 del d.l. 24 marzo 2022 n. 24, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 maggio 2022 n. 52),

che si riassume di seguito per quanto di interesse nella presente controversia:

- gli Ordini degli esercenti le professioni sanitarie eseguono immediatamente la verifica automatizzata del possesso delle certificazioni verdi COVID-19 comprovanti lo stato di avvenuta vaccinazione anti SARS-CoV-2;

- qualora dalla Piattaforma nazionale-DGC non risulti l'effettuazione della vaccinazione anti SARSCoV-2, l'Ordine professionale territorialmente competente invita l'interessato a produrre, entro cinque giorni dalla ricezione dell'invito, la documentazione comprovante l'effettuazione della vaccinazione oppure l'attestazione relativa all'omissione o al differimento della stessa, ovvero la presentazione della richiesta di vaccinazione, ovvero la documentazione comprovante l'insussistenza dei presupposti per l'obbligo vaccinale di cui al comma 1;

- l'atto di accertamento dell'inadempimento dell'obbligo vaccinale è adottato da parte dell'Ordine professionale territorialmente competente, all'esito delle verifiche di cui sopra: esso ha natura dichiarativa e non disciplinare e determina l'immediata sospensione dall'esercizio delle professioni sanitarie ed è annotato nel relativo Albo professionale.

Il procedimento de quo è quindi caratterizzato da una disciplina specifica, che garantisce la partecipazione procedimentale contemperando le esigenze del contraddittorio con l’urgenza della tutela del bene giuridico della salute, il cui rispetto è sufficiente ad assicurare un’adeguata partecipazione procedimentale del destinatario del provvedimento finale.

La disciplina speciale si applica al procedimento controverso in luogo della disciplina generale del procedimento amministrativo in virtù del principio di specialità.

Nel caso di specie in data 21 febbraio 2022 l’Ordine degli psicologi ha invitato l'interessato a produrre, entro cinque giorni dalla ricezione dell'invito, la documentazione comprovante l'effettuazione della vaccinazione oppure l'attestazione relativa all'omissione o al differimento della stessa, ovvero la presentazione della richiesta di vaccinazione, ovvero la documentazione comprovante l'insussistenza dei presupposti per l'obbligo vaccinale, così rispettando il canone procedimentale di cui all’art. 4 comma 3 del d.l. n. 44 del 2021.

Con nota 25 febbraio 2022 l’appellante non ha inviato alcuna delle attestazioni richieste, limitandosi a comunicare di essere “in grado di inviare solo lunedì o martedì prossimo il certificato di differimento vaccinale, attesa la momentanea indisponibilità del mio medico di medicina generale sino al prossimo lunedì”, invitando “pertanto, anche in considerazione della circostanza che giorno 26 e giorno 27 febbraio cadono rispettivamente di sabato e di domenica, a voler consentire allo scrivente questa brevissima dilazione.

L’appellante, al termine di febbraio e precisamente il primo marzo 2022, non ha inviato alcuna delle attestazioni richieste, limitandosi a rappresentare che non sarebbe stato “in grado di inviare il promesso certificato di differimento vaccinale” per indisponibilità del medico curante e allegando “ricetta elettronica del sostituto del dott. -OMISSIS-, il Dott. -OMISSIS-, il quale mi ha prescritto quanto concordato con il dott. -OMISSIS- e cioè, una visita generale allergologica”.

A quel punto, non essendo integrata, da parte dell’appellante, alcune dalle condizioni che, nel rispetto del termine di cinque giorni, avrebbe potuto impedire all’Ordine di accertare l’inadempimento dell’obbligo vaccinale ai sensi dell’art. 4 comma 3 del d.l. n. 44 del 2021, ha effettuato tale accertamento con il provvedimento impugnato (il Presidente del predetto Ordine regionale, con nota 14 marzo 2022 n. 1382, ha comunicato l’avvenuto, con deliberazione 11 marzo 2022 n. 27, “accertamento dell’”inadempimento obbligo vaccinale all'esito delle verifiche di cui all'art.4, comma 3, D.L. 44/2021, come modificato dal D.L. 171/2021, conv. con Legge 3/2022 e consequenziale sospensione dall'esercizio professionale ed annotazione nell'Albo professionale”).

In particolare non è stata prodotta la documentazione comprovante l'effettuazione della vaccinazione, l’attestazione relativa all'omissione o al differimento della stessa, da effettuarsi da parte del medico di medicina generale ovvero dal medico vaccinatore, ai sensi dell’art. 4 comma 2 del d.l. n. 44 del 2021, ovvero presentazione della richiesta di vaccinazione, ovvero documentazione comprovante l'insussistenza dei presupposti per l'obbligo vaccinale di cui al comma 1. Né costituisce una circostanza impeditiva l’indisponibilità del medico curante, anche in ragione della presenza di un sostituto.

A ciò si aggiunge che il differimento ad altra data dell’accertamento dell’obbligo, o meglio dell’adempimento dell’obbligo vaccinale, è ammesso dal richiamato art. 4, al comma 2, solo con riferimento alla presentazione di una prenotazione per l’effettuazione della vaccinazione, purché nei successivi venti giorni.

Nel caso di specie, invece, è stata presentata una mera ricetta di visita allergologica, non accompagnata neppure dall’attestazione di avvenuta presentazione.

L’Ordine professionale ha quindi rispettato la disciplina speciale del procedimento de quo, recata dall’art. 4 del d.l. n. 44 del 2021, sulla quale non si appuntano le censure di illegittimità costituzionale, riguardanti piuttosto lo stesso obbligo vaccinale e gli effetti sospensivi dell’atto di accertamento e quindi sul comma 1 e sul comma 4 dell’art. 4.

Tanto basta per ritenere non sussistente il vizio procedurale.

12. Una volta ritenuto infondato, ai fini della valutazione del fumus boni iuris, il primo motivo d’impugnazione, diventa rilevante accertare se l’obbligo vaccinale per gli esercenti le professioni sanitarie sia costituzionalmente legittimo, così come l’effetto sospensivo che deriva dal relativo inadempimento.

Lo stesso risultato (cioè ritenere che lo scrutinio del fumus boni iuris imponga l’esame del secondo e terzo motivo di ricorso, rispetto ai quali è rilevante la questione di legittimità costituzionale) si raggiunge ove si consideri che le censure sopra ritenute infondate (riguardanti vizi procedurali o di violazione del principio di proporzionalità quanto all’individuazione delle conseguenze dell’inadempimento dell’obbligo, comunque accertato) attengono comunque a vizi procedimentali dell’atto, in quanto tali meno radicali, nella prospettiva della tutela da offrire all’appellante, rispetto alle censure oggetto del secondo e terzo motivo di ricorso e sono quindi da scrutinare solo in seguito alla reiezione delle doglianze che coinvolgono la stessa adozione del provvedimento in base a una consolidata giurisprudenza, di cui all’Ad. plen. 27 aprile 2015 n. 5.

13. Né la rilevanza della questione di legittimità costituzionale è impedita dal fatto che, nella presente sede cautelare, la decisione della misura cautelare dipenda, oltre al profilo del fumus boni iuris, dal requisito del periculum in mora.

Qualora infatti si ritenesse insussistente il periculum in mora a prescindere dalla questione di legittimità costituzionale detta questione non sarebbe rilevante.

La rilevanza della questione di legittimità costituzionale sussiste infatti innanzitutto se si ritiene sussistente il periculum in mora, in quanto l’accoglimento dell’appello e quindi dell’istanza cautelare richiede comunque di valutare il profilo del fumus boni iuris.

Atteso che, allo stato, il Collegio non può respingere l’appello sulla base di un’asserita mancanza del (solo) periculum, la questione risulta comunque rilevante. Il bilanciamento fra i contrapposti interessi infatti, l’interesse del professionista, da un lato, e l’interesse alla salute del paziente e della collettività, dall’altro lato, può essere contemperato a favore del secondo solo ritenendo sempre prevalente l’interesse alla salute della collettività e del paziente dell’esercente la professione sanitaria. Che altrimenti, contemperando le due posizioni, difficilmente si può negare tutela alla situazione del singolo, che paventa danni alla propria salute e danni retributivi, specie in ragione del fatto che possono essere dettate, per la tutela del paziente, prescrizioni meno incisive della sospensione dell’attività professionale e che, in base alla giurisprudenza della Corte costituzionale (come si illustrerà infra), l’interesse alla salute della collettività cui si ascrive l’imposizione di un trattamento sanitario obbligatorio incontra un limite proprio nella non nocività dell’inoculazione per il singolo.

Sicché il Collegio non è nelle condizioni di decidere l’appello cautelare sulla base della sola mancanza dell’indefettibile presupposto del periculum in mora, con le necessarie conseguenze in punto di rilevanza della questione di legittimità costituzionale e di necessaria riserva della decisione in ordine alla domanda cautelare all’esito dell’incidente di costituzionalità.

14. Nella presente controversia risulta quindi rilevante accertare se l’obbligo di vaccinazione nei termini indicati dall’art. 4 del d.l. n. 44 del 2021 per gli esercenti le professioni sanitarie sia costituzionalmente legittimo e se sia costituzionalmente legittimo l’effetto sospensivo dall’attività professionale, circostanze su cui si appuntano i successivi motivi di ricorso.

Ciò in quanto:

- ai sensi dell’art. 1 della legge 18 febbraio 1989 n. 56 la professione di psicologo, esercitata dall’appellante, che è iscritto al relativo albo, è ricompresa tra le professioni sanitarie;

- allo stato normativo attuale l’obbligo vaccinale non sussiste in caso di accertato pericolo per la salute, in relazione a specifiche e documentate condizioni cliniche, attestate nel rispetto di quanto disposto dalle circolari del Ministero della salute in materia di esenzione dalla vaccinazione anti SARS-CoV-2. tuttavia, dalla documentazione in atti non si evince tale condizione in capo all’appellante.

Non dubitandosi che sia previsto per l’appellante l’obbligo di vaccinazione nei termini indicati dall’art. 4 del d.l. n. 44 del 2021 per gli esercenti le professioni sanitarie e neppure che dall’inadempimento di detto obbligo derivi la sospensione dall’attività professionale, circostanze su cui si appuntano i successivi motivi di ricorso, risulta quindi rilevante accertare se tale obbligo sia costituzionalmente legittimo e se sia costituzionalmente legittimo l’effetto sospensivo.

15. Questo Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana ha già sollevato questione di legittimità costituzionale con ordinanza 22 marzo 2022 n. 351.

Il Collegio non intende decampare da tale decisione, di cui richiama l’ampia motivazione integrata con ulteriori considerazioni.

Con il comma 1 dell’art. 4, nella disciplina ratione temporis vigente, si dispone che “Al fine di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell'erogazione delle prestazioni di cura e assistenza, in attuazione del piano di cui all'articolo 1, comma 457, della legge 30 dicembre 2020, n. 178, gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario di cui all'articolo 1, comma 2, della legge 1° febbraio 2006, n. 43, per la prevenzione dell'infezione da SARS-CoV-2 sono obbligati a sottoporsi a vaccinazione gratuita, comprensiva, a far data dal 15 dicembre 2021, della somministrazione della dose di richiamo successiva al ciclo vaccinale primario, nel rispetto delle indicazioni e dei termini previsti con circolare del Ministero della salute. La vaccinazione costituisce requisito essenziale per l'esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative rese dai soggetti obbligati. La vaccinazione è somministrata altresì nel rispetto delle indicazioni fornite dalle regioni, dalle province autonome e dalle altre autorità sanitarie competenti, in conformità alle previsioni contenute nel piano di cui al primo periodo”.

In base al successivo comma 2 “Solo in caso di accertato pericolo per la salute, in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate, attestate dal medico di medicina generale, nel rispetto delle circolari del Ministero della salute in materia di esenzione dalla vaccinazione anti SARS-CoV-2, non sussiste l'obbligo di cui al comma 1 e la vaccinazione può essere omessa o differita.

Il comma 4 dell’art. 4 del d.l. n. 44 del 2021 dispone in ordine alle conseguenze dell’inadempimento dell’obbligo vaccinale: “Decorsi i termini di cui al comma 3, qualora l'Ordine professionale accerti il mancato adempimento dell'obbligo vaccinale, anche con riguardo alla dose di richiamo, ne dà comunicazione (alla Federazione nazionale competente, all'interessato, all'azienda sanitaria locale competente, limitatamente alla professione di farmacista) e, per il personale che abbia un rapporto di lavoro dipendente, anche al datore di lavoro (ove noto). L'inosservanza degli obblighi di comunicazione di cui al primo periodo da parte degli Ordini professionali verso le Federazioni nazionali rileva ai fini e per gli effetti dell'articolo 4 del decreto legislativo del Capo Provvisorio dello Stato 13 settembre 1946, n. 233 (ratificato dalla legge 17 aprile 1956, n. 561). L'atto di accertamento dell'inadempimento dell'obbligo vaccinale è adottato da parte (dell'Ordine professionale territorialmente competente), all'esito delle verifiche di cui al comma 3, (ha natura dichiarativa e non disciplinare), determina l'immediata sospensione dall'esercizio delle professioni sanitarie ed è annotato nel relativo Albo professionale”.

In materia è altresì rilevante la disciplina del cd. consenso informato, che è contenuta nella l. 22 dicembre 2017, n. 219, la quale, all’art.1 stabilisce che “nel rispetto dei principi di cui agli articoli 2, 13 e 32 della Costituzione e degli articoli 1, 2 e 3 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, tutela il diritto alla vita, alla salute, alla dignità e all'auto-determinazione della persona> < nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata, tranne che nei casi espressamente previsti dalla legge”.

All’affermazione di tali principi è poi correlato il contenuto del comma quinto dell’art. 1, a mente del quale ogni persona capace di agire ha il diritto di rifiutare, in tutto o in parte, qualsiasi accertamento diagnostico o trattamento sanitario.

Quanto alla vaccinazione per la prevenzione dell'infezione da SARS-CoV-2, la previsione della sottoscrizione del modulo di consenso è stata aggiornata con nota prot. n. 12238-25/03/2021-DGPRE e successiva 0012469-28/03/2021-DGPRE-DGPRE-P della Direzione Generale della Prevenzione Sanitaria.

L’art. 5 del d.l. n. 44/2021, poi, ha regolato la manifestazione del consenso al trattamento sanitario del vaccino anti Covid-19 per i soggetti incapaci.

Nel suddetto giudizio il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana ha approfondito il quadro giurisprudenziale in materia di obbligo vaccinale e sono stati disposti approfondimenti istruttori.

16. Quanto al quadro giurisprudenziale, si richiama quanto in quella sede illustrato.

Come affermato da Consiglio di Stato, sezione III, sentenza 20 ottobre 2021, n. 7045, la vaccinazione obbligatoria selettiva introdotta dall’art. 4 del d.l. n. 44 del 2021 per il personale medico e, più in generale, di interesse sanitario risponde ad una chiara finalità di tutela non solo – e anzitutto – di questo personale sui luoghi di lavoro e, dunque, a beneficio della persona, ma a tutela degli stessi pazienti e degli utenti della sanità, pubblica e privata, secondo il principio di solidarietà (art. 2 Costituzione), e più in particolare delle categorie più fragili e dei soggetti più vulnerabili, che sono bisognosi di cura ed assistenza, spesso urgenti, e proprio per questo sono di frequente o di continuo a contatto con il personale sanitario o sociosanitario nei luoghi di cura e assistenza.

Con la richiamata decisione del Consiglio di Stato n. 7045 del 2021 si è ritenuto legittimo l'obbligo vaccinale contro il virus Sars-CoV-2 per il personale sanitario, escludendo (in esito ad ampio e complesso percorso argomentativo), tra l’altro, che i vaccini non abbiano efficacia. In particolare nella richiamata decisione si legge che “la posizione della comunità scientifica internazionale, alla luce delle ricerche più recenti, è nel senso che la fase di eliminazione virale nasofaringea, nel gruppo dei vaccinati, è tanto breve da apparire quasi impercettibile, con sostanziale esclusione di qualsivoglia patogenicità nei vaccinati” e che “la circostanza che i dati acquisiti nella fase di sperimentazione siano parziali e provvisori, […], in quanto suscettibili di revisione sulla base delle evidenze empiriche via via raccolte – sicché l’autorizzazione è, appunto, condizionata all’acquisizione di più completi dati acquisiti successivamente all’autorizzazione stessa che, non a caso, ha durata solo annuale – nulla toglie al rigore scientifico e all’attendibilità delle sperimentazioni che hanno preceduto l’autorizzazione, pur naturalmente bisognose, poi, di conferma mediante i cc.dd. «comprehensive data post-authorisation». Ad avviso della sezione, sulla base non solo degli studi – trials – condotti in fase di sperimentazione, ma anche dell’evidenza dei dati ormai imponenti acquisiti successivamente all’avvio della campagna vaccinale ed oggetto di costante aggiornamento e studio in sede di monitoraggio che […] la profilassi vaccinale è efficace nell’evitare non solo la malattia, per lo più totalmente o, comunque, nelle sue forme più gravi, ma anche il contagio”.

In termini più generali, e in applicazione del principio costituzionale di solidarietà, il Consiglio di Stato ha affermato che, in fase emergenziale, di fronte al bisogno pressante, drammatico, indifferibile di tutelare la salute pubblica contro il dilagare del contagio, il principio di precauzione, che trova applicazione anche in ambito sanitario, opera in modo inverso rispetto all’ordinario e, per così dire, controintuitivo, perché richiede al decisore pubblico di consentire o, addirittura, imporre l’utilizzo di terapie che, pur sulla base di dati non completi (come è nella procedura di autorizzazione condizionata, che però ha seguito le quattro fasi della sperimentazione richieste dalla procedura di autorizzazione), assicurino più benefici che rischi, in quanto il potenziale rischio di un evento avverso per un singolo individuo, con l’utilizzo di quel farmaco, è di gran lunga inferiore del reale nocumento per una intera società, senza l’utilizzo di quel farmaco (in termini, decisione n. 7045 del 2021).

Sui richiamati principi generali, d’altra parte, si segnalano orientamenti analoghi anche nella giurisprudenza di altri Paesi dell’Unione, come in Spagna (si veda, ad esempio, la quasi coeva decisione del Tribunale Supremo, sez. IV, del 14 settembre 2021 n. 1112, in tema di “pasaporte Covid”, secondo la quale non si può chiedere che, secondo l’attuale stato della scienza, un intervento normativo ai fini del contenimento della pandemia sia infallibile nell’impedire in modo assoluto qualunque tipo di contagio, dovendosi, invece, ritenere idoneo un intervento efficace, appropriato e proporzionato alla finalità della protezione della vita e della salute).

17. Si deve tuttavia rilevare che il contenzioso qui in esame solleva anche problemi diversi ed ulteriori rispetto a quelli esaminati dalla richiamata decisione della III sezione del Consiglio di Stato, con specifico riferimento alla validità e sufficienza del sistema di farmacovigilanza nonché alla compatibilità della normativa che introduce l’obbligo vaccinale con il diritto eurounitario, con riferimento, tra gli altri profili, a quello del consenso informato.

In ordine alla prima questione, la stessa decisione n. 7045 del 2021 sottolinea che l’autorizzazione è condizionata all’acquisizione di più completi dati acquisiti successivamente all’autorizzazione stessa e che il rigore scientifico e l’attendibilità delle sperimentazioni che hanno preceduto l’autorizzazione devono trovare conferma mediante i cc.dd. “comprehensive data post-authorisation”.

Sotto ulteriore profilo, viene in rilievo la circostanza che la situazione sanitaria appare in costante divenire e già in parte diversa rispetto quella oggetto di valutazione della citata decisione della III sezione, con specifico riferimento alla diffusione di nuove varianti, rispetto alle quali i vaccini non sono ancora “aggiornati”, o non sono del tutto aggiornati, di guisa che sulla relativa ed attuale efficacia protettiva la comunità scientifica non pare aver raggiunto una conclusione unanime (sebbene l’orientamento prevalente sia favorevole), mentre si profila una reiterazione di somministrazioni, sulla cui opportunità non si ravvisa, parimenti, una posizione unanime, per cui l’attuale obbligo vaccinale pone un (nuovo) problema di proporzionalità, dato che si profila una imposizione di ripetute somministrazioni nell’anno per periodi di tempo indeterminati.

In conclusione, nella vicenda sottoposta al Collegio si ravvisano elementi di diversità e novità rispetto la questione decisa dalla III sezione.

18. La giurisprudenza della Corte costituzionale in materia di vaccinazioni obbligatorie è salda nell'affermare che l'art. 32 Cost. postula il necessario contemperamento del diritto alla salute della singola persona (anche nel suo contenuto di libertà di cura) con il coesistente e reciproco diritto delle altre persone e con l'interesse della collettività.

In particolare, la Corte ha precisato che – ferma la necessità che l’obbligo vaccinale sia imposto con legge - la legge impositiva di un trattamento sanitario non è incompatibile con l'art. 32 Cost. alle seguenti condizioni:

(i) se il trattamento è diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri;

(ii) se si prevede che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che è obbligato, salvo che per quelle sole conseguenze “che appaiano normali e, pertanto, tollerabili”;

(iii) e se, nell'ipotesi di danno ulteriore, sia prevista comunque la corresponsione di una equa indennità in favore del danneggiato, e ciò a prescindere dalla parallela tutela risarcitoria (sentenze n. 258 del 1994 e n. 307 del 1990).

In particolare, come affermato dalla sentenza 22 giugno 1990, n. 307, la costituzionalità degli interventi normativi che dispongano l’obbligatorietà di determinati trattamenti sanitari (nel caso di specie si trattava del vaccino antipolio) risulta subordinata al rispetto dei seguenti requisiti:

il trattamento sia diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri, giacché è proprio tale ulteriore scopo, attinente alla salute come interesse della collettività, a giustificare la compressione di quella autodeterminazione dell'uomo che inerisce al diritto di ciascuno alla salute in quanto diritto fondamentale.

[…] un trattamento sanitario può essere imposto solo nella previsione che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che vi è assoggettato, salvo che per quelle sole conseguenze, che, per la loro temporaneità e scarsa entità, appaiano normali di ogni intervento sanitario, e pertanto tollerabili.

Con riferimento, invece, all'ipotesi di ulteriore danno alla salute del soggetto sottoposto al trattamento obbligatorio […] il rilievo costituzionale della salute come interesse della collettività non è da solo sufficiente a giustificare la misura sanitaria. Tale rilievo esige che in nome di esso, e quindi della solidarietà verso gli altri, ciascuno possa essere obbligato, restando così legittimamente limitata la sua autodeterminazione, a un dato trattamento sanitario, anche se questo importi un rischio specifico, ma non postula il sacrificio della salute di ciascuno per la tutela della salute degli altri”.

E qualora il rischio si avveri, in favore del soggetto passivo del trattamento deve essere “assicurato, a carico della collettività, e per essa dello Stato che dispone il trattamento obbligatorio, il rimedio di un equo ristoro del danno patito”.

Inoltre, le concrete forme di attuazione della legge impositiva di un trattamento sanitario o di esecuzione materiale del detto trattamento devono essere “accompagnate dalle cautele o condotte secondo le modalità che lo stato delle conoscenze scientifiche e l'arte prescrivono in relazione alla sua natura. E fra queste va ricompresa la comunicazione alla persona che vi è assoggettata, o alle persone che sono tenute a prendere decisioni per essa e/o ad assisterla, di adeguate notizie circa i rischi di lesione (.), nonché delle particolari precauzioni, che, sempre allo stato delle conoscenze scientifiche, siano rispettivamente verificabili e adottabili”.

Come affermato con la decisione 18 gennaio 2018 n. 5, il contemperamento di questi molteplici principi lascia spazio alla discrezionalità del legislatore nella scelta delle modalità attraverso le quali assicurare una prevenzione efficace dalle malattie infettive, potendo egli selezionare talora la tecnica della raccomandazione, talaltra quella dell'obbligo, nonché, nel secondo caso, calibrare variamente le misure, anche sanzionatorie, volte a garantire l'effettività dell'obbligo. Questa discrezionalità deve essere esercitata alla luce delle diverse condizioni sanitarie ed epidemiologiche, accertate dalle autorità preposte (sentenza n. 268 del 2017) “e delle acquisizioni, sempre in evoluzione, della ricerca medica, che debbono guidare il legislatore nell'esercizio delle sue scelte in materia (così, la giurisprudenza costante della Corte sin dalla fondamentale sentenza n. 282 del 2002)”.

A tal riguardo, si precisa ancora nella decisione n. 5 del 2018, i vaccini, al pari di ogni altro farmaco, sono sottoposti al vigente sistema di farmacovigilanza che fa capo principalmente all'Autorità italiana per il farmaco (AIFA) e poiché, sebbene in casi rari, anche in ragione delle condizioni di ciascun individuo, la somministrazione può determinare conseguenze negative, l'ordinamento reputa essenziale garantire un indennizzo per tali singoli casi, senza che rilevi a quale titolo - obbligo o raccomandazione - la vaccinazione è stata somministrata (come affermato ancora di recente nella sentenza n. 268 del 2017, in relazione a quella anti-influenzale); dunque “sul piano del diritto all'indennizzo le vaccinazioni raccomandate e quelle obbligatorie non subiscono differenze: si veda, da ultimo la sentenza n. 268 del 2017”.

Già con sentenza 26 febbraio 1998 n. 27 la Corte aveva affermato che “Non vi è […] ragione di differenziare, […] il caso […] in cui il trattamento sanitario sia imposto per legge da quello […] in cui esso sia, in base a una legge, promosso dalla pubblica autorità in vista della sua diffusione capillare nella società; il caso in cui si annulla la libera determinazione individuale attraverso la comminazione di una sanzione, da quello in cui si fa appello alla collaborazione dei singoli a un programma di politica sanitaria.

Una differenziazione che negasse il diritto all'indennizzo in questo secondo caso si risolverebbe in una patente irrazionalità della legge. Essa riserverebbe infatti a coloro che sono stati indotti a tenere un comportamento di utilità generale per ragioni di solidarietà sociale un trattamento deteriore rispetto a quello che vale a favore di quanti hanno agito in forza della minaccia di una sanzione”.

Tale concetto è stato ribadito dalla decisione 23 giugno 2020 n.118, secondo la quale “in presenza di una effettiva campagna a favore di un determinato trattamento vaccinale, è naturale che si sviluppi negli individui un affidamento nei confronti di quanto consigliato dalle autorità sanitarie: e ciò di per sé rende la scelta individuale di aderire alla raccomandazione obiettivamente votata alla salvaguardia anche dell'interesse collettivo, al di là delle particolari motivazioni che muovono i singoli. Questa Corte ha conseguentemente riconosciuto che, in virtù degli artt. 2,3 e 32 Cost., è necessaria la traslazione in capo alla collettività, favorita dalle scelte individuali, degli effetti dannosi che da queste eventualmente conseguano. La ragione che fonda il diritto all'indennizzo del singolo non risiede quindi nel fatto che questi si sia sottoposto a un trattamento obbligatorio: riposa, piuttosto, sul necessario adempimento, che si impone alla collettività, di un dovere di solidarietà, laddove le conseguenze negative per l'integrità psico-fisica derivino da un trattamento sanitario (obbligatorio o raccomandato che sia) effettuato nell'interesse della collettività stessa, oltre che in quello individuale. Per questo, la mancata previsione del diritto all'indennizzo in caso di patologie irreversibili derivanti da determinate vaccinazioni raccomandate si risolve in una lesione degli artt. 2, 3 e 32 Cost.: perché sono le esigenze di solidarietà costituzionalmente previste, oltre che la tutela del diritto alla salute del singolo, a richiedere che sia la collettività ad accollarsi l'onere del pregiudizio da questi subìto, mentre sarebbe ingiusto consentire che l'individuo danneggiato sopporti il costo del beneficio anche collettivo (sentenze n. 268 del 2017 e n. 107 del 2012). (…) la previsione dell'indennizzo completa il "patto di solidarietà" tra individuo e collettività in tema di tutela della salute e rende più serio e affidabile ogni programma sanitario volto alla diffusione dei trattamenti vaccinali, al fine della più ampia copertura della popolazione”.

19. Il Consiglio d’Europa ha avuto occasione di occuparsi della tematica della vaccinazione Covid; con la Risoluzione 2361 (2021) ha, per quanto qui rileva, “esortato” gli Stati membri e l’Unione europea a:

19.1. Garantire elevati standard qualitativi delle ricerche condotte in modo etico, conformemente alle pertinenti disposizioni della Convenzione sui diritti dell’uomo e della biomedicina (ETS n. 164, Convenzione Oviedo) e il suo protocollo aggiuntivo relativo alla ricerca biomedica (CETS n. 195);

19.2. Assicurarsi che gli organismi di regolamentazione incaricati della valutazione e dell’autorizzazione dei vaccini contro Covid-19 siano indipendenti e protetti dalle pressioni politiche;

19.3. Garantire che vengano rispettate le pertinenti minime norme di sicurezza, efficacia e qualità dei vaccini;

19.4. Implementare sistemi efficaci di monitoraggio dei vaccini e della loro sicurezza dopo la prima fase della vaccinazione di popolazione generale al fine di monitorare i loro effetti a lungo termine;

19.5. Attuare programmi di indennizzo indipendenti per garantire il risarcimento dei danni indebiti derivanti dalla vaccinazione;

19.6. Prestare particolare attenzione a possibili fenomeni di insider trading dei dirigenti farmaceutici o aziende farmaceutiche che cercano di arricchirsi indebitamente a spese pubbliche;

19.7. Diffondere informazioni trasparenti sulla sicurezza e sui possibili effetti collaterali del vaccino;

19.8. Comunicare in modo trasparente il contenuto dei contratti con i produttori di vaccini, renderli pubblicamente consultabili per il controllo parlamentare e lo scrutinio pubblico;

19.9. Assicurare il monitoraggio della sicurezza e degli effetti dei vaccini COVID-19 a lungo termine:

19.10. Garantire la cooperazione internazionale per tempestiva individuazione e chiarimenti di eventuali segnali di sicurezza sugli effetti avversi, successivi all’immunizzazione, mediante lo scambio di dati globali in tempo reale (AEFIs);

19.11. Avvicinare la farmacovigilanza ai sistemi sanitari;

19.12. Sostenere il campo emergente della ricerca ‘avversomica’, che studia le variazioni interindividuali nelle reazioni ai vaccini in base delle differenze nell’immunità naturale, nei microbiomi e nell’immunogenetica.

20. Così illustrato il quadro giurisprudenziale, ai fini della valutazione della non manifesta infondatezza della questione di costituzionalità, occorre verificare se l’obbligo vaccinale per il Covid 19 soddisfi le condizioni dettate dalla Corte in tema di compressione della libertà di autodeterminazione sanitaria dei cittadini in ambito vaccinale sopra indicate, ossia non nocività dell’inoculazione per il singolo paziente e beneficio per la salute pubblica, ed in particolare:

- che il trattamento “non incida negativamente sullo stato di salute di colui che vi è assoggettato”, ferma restando la tollerabilità di effetti collaterali di modeste entità e durata;

- che sia assicurata “la comunicazione alla persona che vi è assoggettata, o alle persone che sono tenute a prendere decisioni per essa e/o ad assisterla, di adeguate notizie circa i rischi di lesione […], nonché delle particolari precauzioni, che, sempre allo stato delle conoscenze scientifiche, siano rispettivamente verificabili e adottabili”;

- che la discrezionalità del legislatore sia esercitata alla luce “delle acquisizioni, sempre in evoluzione, della ricerca medica” e quindi che la scelta vaccinale possa essere rivalutata e riconsiderata, nella prospettiva di valorizzazione della dinamica evolutiva propria delle conoscenze medico-scientifiche che debbono sorreggere le scelte normative in campo sanitario (sentenza n. 5 del 2018);

- che sia stata seguita la “raccomandazione” della Corte (decisione n. 258 del 1994) secondo la quale, ferma la obbligatorietà generalizzata delle vaccinazioni ritenute necessarie alla luce delle conoscenze mediche, il legislatore dovrebbe individuare e prescrivere in termini normativi, specifici e puntuali, sebbene entro limiti di compatibilità con le esigenze di generalizzata vaccinazione, “gli accertamenti preventivi idonei a prevedere ed a prevenire i possibili rischi di complicanze”.

21. Seguendo gli indici costituzionali fin qui richiamati, deve ritenersi essenziale, per un verso, che il cittadino riceva informazioni complete e corrette che siano facilmente e liberamente accessibili, e per altro verso che la sperimentazione, la raccolta e la valutazione dei dati (il più possibile ampi e completi) avvengano (o siano almeno validati) da parte di organismi indipendenti, in quanto l’affidamento della raccolta dei dati al produttore del vaccino presenta profili di evidente criticità (in tema di situazioni di conflitto di interessi in relazione ad attività svolta in favore di case farmaceutiche produttrici di vaccini si veda Cons. St., sez. V, 2 aprile 2021 n. 2744).

E del resto tali prescrizioni sono anche contenute nella menzionata Risoluzione 2361 (2021) del Consiglio d’Europa.

22. Questo Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana, nel separato giudizio di cui alla richiamata ordinanza n. 351 del 2022, ha disposto approfondimenti istruttori, di cui si terrà conto anche nell’ambito della presente controversia.

23. Il parametro di legittimità costituzionale.

23.1. La giurisprudenza della Corte costituzionale in materia di vaccinazioni obbligatorie è salda nell'affermare che l'art. 32 Cost. postula il necessario contemperamento del diritto alla salute della singola persona (anche nel suo contenuto di libertà di cura) con il coesistente e reciproco diritto delle altre persone e con l'interesse della collettività.

In particolare, la Corte ha precisato che – ferma la necessità che l’obbligo vaccinale sia imposto con legge - la legge impositiva di un trattamento sanitario non è incompatibile con l'art. 32 Cost. alle seguenti condizioni:

- se il trattamento è diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri;

- se si prevede che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che è obbligato, salvo che per quelle sole conseguenze “che appaiano normali e, pertanto, tollerabili”;

- e se, nell'ipotesi di danno ulteriore, sia prevista comunque la corresponsione di una equa indennità in favore del danneggiato, e ciò a prescindere dalla parallela tutela risarcitoria (Corte cost., sentenze n. 258 del 1994 e n. 307 del 1990).

In particolare, come affermato dalla sentenza 22 giugno 1990 n. 307, la costituzionalità degli interventi normativi che dispongano l’obbligatorietà di determinati trattamenti sanitari (nel caso di specie si trattava del vaccino antipolio) risulta subordinata al rispetto dei seguenti requisiti:

2il trattamento sia diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri, giacché è proprio tale ulteriore scopo, attinente alla salute come interesse della collettività, a giustificare la compressione di quella autodeterminazione dell'uomo che inerisce al diritto di ciascuno alla salute in quanto diritto fondamentale.

……. un trattamento sanitario può essere imposto solo nella previsione che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che vi è assoggettato, salvo che per quelle sole conseguenze, che, per la loro temporaneità e scarsa entità, appaiano normali di ogni intervento sanitario, e pertanto tollerabili.

Con riferimento, invece, all'ipotesi di ulteriore danno alla salute del soggetto sottoposto al trattamento obbligatorio – (…) - il rilievo costituzionale della salute come interesse della collettività non è da solo sufficiente a giustificare la misura sanitaria. Tale rilievo esige che in nome di esso, e quindi della solidarietà verso gli altri, ciascuno possa essere obbligato, restando così legittimamente limitata la sua autodeterminazione, a un dato trattamento sanitario, anche se questo importi un rischio specifico, ma non postula il sacrificio della salute di ciascuno per la tutela della salute degli altri”.

E qualora il rischio si avveri, in favore del soggetto passivo del trattamento deve essere “assicurato, a carico della collettività, e per essa dello Stato che dispone il trattamento obbligatorio, il rimedio di un equo ristoro del danno patito”.

Inoltre, le concrete forme di attuazione della legge impositiva di un trattamento sanitario o di esecuzione materiale del detto trattamento devono essere “accompagnate dalle cautele o condotte secondo le modalità che lo stato delle conoscenze scientifiche e l'arte prescrivono in relazione alla sua natura. E fra queste va ricompresa la comunicazione alla persona che vi è assoggettata, o alle persone che sono tenute a prendere decisioni per essa e/o ad assisterla, di adeguate notizie circa i rischi di lesione (.), nonché delle particolari precauzioni, che, sempre allo stato delle conoscenze scientifiche, siano rispettivamente verificabili e adottabili”.

Come affermato con la decisione 18 gennaio 2018 n. 5, il contemperamento di questi molteplici principi lascia spazio alla discrezionalità del legislatore nella scelta delle modalità attraverso le quali assicurare una prevenzione efficace dalle malattie infettive, potendo egli selezionare talora la tecnica della raccomandazione, talaltra quella dell'obbligo, nonché, nel secondo caso, calibrare variamente le misure, anche sanzionatorie, volte a garantire l'effettività dell'obbligo. Questa discrezionalità deve essere esercitata alla luce delle diverse condizioni sanitarie ed epidemiologiche, accertate dalle autorità preposte (sentenza n. 268 del 2017) “e delle acquisizioni, sempre in evoluzione, della ricerca medica, che debbono guidare il legislatore nell'esercizio delle sue scelte in materia (così, la giurisprudenza costante della Corte sin dalla fondamentale sentenza n. 282 del 2002)”.

A tal riguardo, si precisa ancora nella decisione n. 5 del 2018, i vaccini, al pari di ogni altro farmaco, sono sottoposti al vigente sistema di farmacovigilanza che fa capo principalmente all'Autorità italiana per il farmaco (AIFA) e poiché, sebbene in casi rari, anche in ragione delle condizioni di ciascun individuo, la somministrazione può determinare conseguenze negative, l'ordinamento reputa essenziale garantire un indennizzo per tali singoli casi, senza che rilevi a quale titolo - obbligo o raccomandazione - la vaccinazione è stata somministrata (come affermato ancora di recente nella sentenza n. 268 del 2017, in relazione a quella anti-influenzale); dunque “sul piano del diritto all'indennizzo le vaccinazioni raccomandate e quelle obbligatorie non subiscono differenze: si veda, da ultimo la sentenza n. 268 del 2017”.

Si vedano in proposito le sentenze 26 febbraio 1998 n. 27 e 23 giugno 2020 n. 118, sempre in tema di diritto all'indennizzo.

23.2. Ai fini della valutazione circa la non manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale prospettate dalla parte appellante occorre, quindi, esaminare partitamente i vari profili coinvolti nella regolamentazione dell’obbligo vaccinale (nel caso specifico, relativamente al personale sanitario), anche alla luce delle risultanze dell’istruttoria, dei chiarimenti resi dall’Organo incaricato in sede di udienza camerale, della documentazione allegata alla relazione istruttoria e di quella non allegata ma alla quale la relazione ha fatto riferimento.

24. Il giudizio di non manifesta infondatezza.

24.1. Attualmente si stima che il virus Sars-Cov-2 abbia prodotto, solo in Italia, oltre 157.000 morti.

Quanto all’asimmetria tra la metodologia di conteggio dei decessi, che vengono imputati al Covid-19 quand’anche il paziente soffrisse di altre patologie, e quella relativa al conteggio di eventi fatali in conseguenza della vaccinazione obbligatoria, la cui riconducibilità a quest’ultima viene esclusa in presenza di altre patologie, si osserva quanto segue.

Tralasciando, per un momento, la questione degli eventi avversi da vaccinazione, ad avviso del Collegio non è irrazionale il criterio di imputazione al virus anche dei decessi di soggetti “fragili”, affetti, ad esempio, da patologie cardiovascolari, obesità, patologie oncologiche e respiratorie, tutte condizioni cliniche piuttosto diffuse nelle cd. società del benessere, che (in linea del tutto generale) vengono mantenute sotto controllo dalle opportune terapie farmacologiche, non precludendo significativamente un’adeguata aspettativa di vita, sicché il virus appare effettivamente ad interporsi quale evento scatenante una compromissione delle funzioni vitali che altrimenti sarebbero rimaste in equilibrio.

Il dato ufficiale relativo alla mortalità non può quindi, ad avviso del Collegio, essere seriamente contestato, e deve essere tenuto presente allorquando si contesta, in radice, la stessa introduzione dell’obbligo vaccinale.

La necessità di fronteggiare un fenomeno pandemico di proporzioni drammatiche, tale da travolgere i sistemi sanitari e sociali dei Paesi coinvolti nelle varie “ondate”, ha spinto la comunità scientifica a sforzi titanici nella ricerca.

Molte decine di migliaia di persone si sono rese disponibili per partecipare alle sperimentazioni del vaccino COVID-19 già nel 2020 e sono stati compiuti sforzi finanziari inediti.

I vaccini non hanno omesso alcuna delle tradizionali fasi di sperimentazione; ma, data l’impellenza della situazione pandemica, dette fasi sono state condotte in parallelo, in sovrapposizione parziale, il che ha consentito di accelerare l’immissione in commercio dei farmaci, i quali, comunque, hanno ottenuto un’autorizzazione provvisoria proprio in relazione alla inevitabile assenza di dati sugli effetti a medio e lungo termine.

In proposito, la disciplina generale del procedimento di autorizzazione al commercio di farmaci in Europa e delle autorizzazioni, che vengono rilasciate dopo il normale periodo di sperimentazione, si rinviene nel regolamento numero 726 del 2004 del Parlamento europeo e del Consiglio del 31 marzo 2004 (che ha istituito procedure comunitarie per l'autorizzazione e la sorveglianza dei medicinali per uso umano e veterinario, nonché l'agenzia europea per i medicinali).

Il regolamento (CE) numero 507 della Commissione del 29 marzo 2006 ha invece disciplinato l’autorizzazione all’immissione in commercio condizionata dei medicinali per uso umano, che consente, appunto, lo svolgimento in parallelo, anziché in sequenza, delle fasi di sperimentazione clinica, accelerando, quindi, la normale tempistica di svolgimento delle sperimentazioni.

I farmaci commercializzati in virtù di tale seconda tipologia di autorizzazioni non sono preparati “sperimentali”: sebbene si tratti di vaccini immessi sul mercato in tempi molto più rapidi (rispetto, ad esempio, i 28 anni per la commercializzazione del vaccino per la varicella e i 15 relativi a quello sul papillomavirus), la innovativa tecnica a mRna non costituisce in assoluto una novità, perché da tempo sperimentata dopo l’avvio della ricerca nell’ambito di un efficace approccio alla cura dei tumori; anche gli altri due vaccini (Vaxzevria di AstraZeneca e Johnson&Johnson) sfruttano una tecnologia di più recente introduzione, sperimentata in relazione al grave virus Ebola. In entrambi i casi si tratta di tecnologie destinate ad avere un sempre maggiore impiego, in relazione alla particolare efficacia.

Inevitabilmente, il profilo di rischio a medio e lungo termine è sconosciuto, cosa che, peraltro, è connaturata ad una infinità di preparati, dato che la ricerca scientifica consente l’aggiornamento costante dei farmaci disponibili, i cui effetti vengono verificati in un arco di tempo comunque “finito”.

Come sottolineato nella relazione trasmessa a seguito dell’ordinanza istruttoria n. 38/2022, l’autorizzazione all’immissione in commercio condizionata è lo strumento che permette alle autorità regolatori e di approvare un farmaco rapidamente e in modo pragmatico in presenza di una necessità urgente, garantendo, comunque, che il vaccino approvato soddisfi i rigorosi standard UE quanto a sicurezza, efficacia e qualità, ma senza considerare concluso il processo di valutazione al momento dell’immissione in commercio, in quanto si consente agli sviluppatori di presentare dati supplementari sul vaccino anche successivamente.

Sotto altro profilo, non è seriamente dubitabile la serietà e gravità della patologia da Covid-19: se è vero che nelle forme lievi il sistema immunitario del paziente riesce a controllare la malattia, nelle forme severe si riscontra un’eccessiva risposta immunitaria che può portare alla morte del paziente o a danni irreversibili agli organi; molti sopravvissuti devono affrontare problemi di salute anche gravi a lungo termine, con compromissione delle aspettative e della qualità della vita, generando un carico aggiuntivo sui sistemi sanitari.

La validità dell’approccio vaccinale, sebbene introdotto in una fase emergenziale, pare mantenere la propria legittimità (o meglio, necessità) anche nell’attuale fase, nonostante l’intervenuta approvazione di alcuni farmaci che consentono la terapia dei soggetti contagiati; il problema è che l’efficacia di quasi tutte le terapie in questione dipende dalla tempestività nella somministrazione, cosa che risulta piuttosto difficile, considerato l’esordio della patologia da SARS-COV-2 (che perlopiù presenta una sintomatologia simil-influenzale) e la durata del cd. periodo finestra (allorquando il test presenta un risultato falso-negativo). Per cui è arduo intercettare un ammalato entro la stringente tempistica raccomandata dai produttori.

24.2. In relazione al profilo dell’inutilità della vaccinazione, non impedendo al vaccinato di contagiarsi e contagiare, viene in rilievo la richiamata decisione del Consiglio di Stato n. 7045 del 2021, che ha ritenuto legittimo l'obbligo vaccinale contro il virus Sars-CoV-2 per il personale sanitario, escludendo (in esito ad ampio e complesso percorso argomentativo), tra l’altro, che i vaccini non abbiano efficacia; la richiamata decisione ha ricordato che “la posizione della comunità scientifica internazionale, alla luce delle ricerche più recenti, è nel senso che la fase di eliminazione virale nasofaringea, nel gruppo dei vaccinati, è tanto breve da apparire quasi impercettibile, con sostanziale esclusione di qualsivoglia patogenicità nei vaccinati”.

Come illustrato sopra, in applicazione del principio costituzionale di solidarietà, il Consiglio di Stato abbia affermato che, in fase emergenziale, di fronte al bisogno pressante, drammatico, indifferibile di tutelare la salute pubblica contro il dilagare del contagio, il principio di precauzione, che trova applicazione anche in ambito sanitario, opera in modo inverso rispetto all’ordinario e, per così dire, controintuitivo, perché richiede al decisore pubblico di consentire o, addirittura, imporre l’utilizzo di terapie che, pur sulla base di dati non completi (come è nella procedura di autorizzazione condizionata, che però ha seguito le quattro fasi della sperimentazione richieste dalla procedura di autorizzazione), assicurino più benefici che rischi, in quanto il potenziale rischio di un evento avverso per un singolo individuo, con l’utilizzo di quel farmaco, è di gran lunga inferiore del reale nocumento per una intera società, senza l’utilizzo di quel farmaco (in termini, decisione n. 7045 del 2021).

24.3. Più di recente, con la decisione n. 1381 del 28 febbraio 2022, la Sezione ha sottolineato come i monitoraggi dell’AIFA e dell’ISS abbiano evidenziato l’elevata efficacia vaccinale nel prevenire l’ospedalizzazione, il ricovero in terapia intensiva e il decesso; sicché, l’argomento della scarsa incidenza della vaccinazione nel contrastare la trasmissibilità del virus - tratto dalla constatazione che soggetti vaccinati sono in grado di infettarsi e infettare- è inidoneo a scardinare la razionalità complessiva della campagna di vaccinazione, concepita, certo, con l’obiettivo di conseguire una rarefazione dei contagi e della circolazione del virus, ma anche allo scopo di evitare l’ingravescente della patologia verso forme severe che necessitano di ricovero in ospedale, obiettivo tuttora conseguito dal sistema preventivo in atto, il quale si avvantaggia, proprio grazie alla maggiore estensione della platea dei vaccinati, di una minore pressione sulle strutture di ricovero e di terapia intensiva.

24.4. Tale ragionamento viene condiviso dal Collegio: sebbene empiricamente si debba riconoscere che, in presenza di nuove varianti, la vaccinazione non appaia garantire l’immunità da contagio, sicché gli stessi vaccinati possono contagiarsi e, a loro volta, contagiare, la stessa a tutt’oggi risulta efficace nel contenere decessi ed ospedalizzazioni, proteggendo le persone dalle conseguenze gravi della malattia, con un conseguente duplice beneficio: per il singolo vaccinato, il quale evita lo sviluppo di patologie gravi; per il sistema sanitario, a carico del quale viene allentata la pressione.

Vale la pena di riportare i dati che emergono dalla relazione trasmessa dall’organo incaricato dell’istruttoria nel diverso giudizio di cui alla richiamata ordinanza n. 351 del 2022, in risposta a specifico quesito di questo Consiglio:

Come risulta dal “Report Esteso ISS” sul Covid-19 del 9/02/2021………il tasso di ospedalizzazione standardizzato per età relativo alla popolazione di età = 12 anni nel periodo 24/12/2021-23/01/2022 per i non vaccinati …….. risulta circa sei volte più alto rispetto ai vaccinati con ciclo completo da = 120 giorni …….. e circa dieci volte più alto rispetto ai vaccinati con dose aggiuntiva/booster ……., con prevalenza nello stesso periodo della variante Omicron stimata al 99,1%.

Il tasso di ricoveri in terapia intensiva standardizzato per età, relativo alla popolazione di età = 12 anni, nel periodo 24/12/2021-23/01/2022 per i non vaccinati …… risulta circa dodici volte più alto rispetto ai vaccinati con ciclo completo da = 120 giorni ……. e circa venticinque volte più alto rispetto ai vaccinati con dose aggiuntiva/booster …...

Il tasso di mortalità standardizzato per età, relativo alla popolazione di età = 12 anni, nel periodo 17/12/2021-16/01/2022, per i non vaccinati ………. risulta circa nove volte più alto rispetto ai vaccinati con ciclo completo da = 120 giorni […] e circa ventitré volte più alto rispetto ai vaccinati con dose aggiuntiva/booster […]”.

Con conseguente conferma dell’efficacia del vaccino nel ridurre la percentuale del rischio, quanto meno, ai fini della prevenzione dei casi di malattia severa e del decorso fatale.

In tale ottica, il ragionamento secondo il quale sarebbe ingiusto sottoporre soggetti in età giovanile al rischio degli effetti collaterali da vaccinazione, a fronte di un rischio di conseguenze gravi dell’infezione da Covid -19 basso o addirittura inesistente si rivela fallace sotto duplice profilo: intanto, perché il dato che emerge dallo studio dell’andamento della pandemia è che, a differenza della versione originaria del virus, le attuali varianti colpiscono trasversalmente, tant’è vero che si sono potuti osservare casi di malattia grave e decessi in tutte le fasce di età, anche giovanili ed infantili.

In secondo luogo, perché anche i soggetti in età giovanile possono incorrere in infortuni, sinistri stradali, patologie di vario tipo (dalle cardiovascolari alle oncologiche) che necessitano assistenza e ricovero ospedaliero; ma l’abnorme pressione sulle strutture sanitarie indotta dai pazienti gravi da Covid-19, come noto, impatta in maniera drammatica sull’assistenza alla popolazione in generale.

Di guisa che risulta evidente come la vaccinazione, sostanzialmente, tuteli sia l’interesse dei singoli, sia l’interesse collettivo: quanto al secondo, risulta ovvio; quanto al primo, la vaccinazione comporta il duplice beneficio di prevenire forme gravi di infezione, che ormai interessano qualunque fascia di età, e diminuire la pressione sulle strutture sanitarie, ancora una volta a vantaggio di ciascun cittadino, le cui necessità assistenza sanitaria non possono essere adeguatamente soddisfatte in situazioni di costante emergenza.

Invero, tale concetto pare essere stato ben compreso e condiviso dalla popolazione, come comprova l’elevata adesione volontaria alla campagna vaccinale nella fase anteriore all’introduzione dei vari obblighi (anche, per quello che può rilevare, da parte dei componenti di questo Collegio).

Pertanto, ad avviso del Collegio, appare rispettato il primo degli indici di costituzionalità degli obblighi vaccinali (che il trattamento sia diretto a migliorare o a preservare lo stato di salute sia di chi vi è assoggettato, sia degli altri).

25. Il giudizio di non manifesta infondatezza: profili di criticità della vaccinazione obbligatoria per Covid-19 rispetto agli altri parametri di costituzionalità dei vaccini obbligatori, in particolare gli eventi avversi

Elementi di criticità appaiono emergere, invece, con riferimento agli altri parametri, con specifico riferimento alla problematica degli eventi avversi.

25.1. Occorre premettere che, in ordine a detto profilo, questa decisione deve necessariamente discostarsi (per le motivazioni su cui infra) dal richiamato precedente costituito dalla decisione n. 1381/2022, che ha escluso la ricorrenza di profili di dubbio in ordine alla proporzionalità dell’obbligo vaccinale, richiamandosi alla pronuncia n. 7045 del 2021, ove si è precisato come non risultasse (e non fosse stato dimostrato in giudizio) che il rischio degli effetti avversi non rientrasse “nella media, tollerabile, degli eventi avversi già registrati per le vaccinazioni obbligatorie in uso da anni”.

Dunque, le richiamate pronunzie hanno fondato il proprio convincimento su dati che, però, sono stati recentemente (e successivamente al passaggio in decisione della sentenza n. 1381 del 2022, avvenuto nel gennaio 2022) revisionati, in quanto nel febbraio 2022 è stato pubblicato dall’AIFA il rapporto annuale sulla sicurezza dei vaccini anti Covid-19.

I dati che emergono dalla consultazione del rapporto (richiamato anche nella relazione istruttoria), e dal confronto tra lo stesso ed il rapporto vaccini 2020 (non citato nella richiamata relazione, ma facilmente visionabile dal medesimo sito web dell’AIFA), evidenziano, infatti, una situazione ben diversa.

Il Rapporto Vaccini 2020 descrive le attività di cd. vaccinovigilanza condotte in Italia dall’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) in collaborazione con l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) e con il Gruppo di Lavoro per la vaccinovigilanza. Tali attività consistono nel monitoraggio e nella valutazione delle segnalazioni di sospette reazioni avverse ai vaccini.

Ebbene, dall’esame di tale rapporto si evidenzia che, rispetto al totale delle dosi totali somministrate in Italia di vaccini (sia obbligatori che raccomandati: Esavalenti , Tetravalente, Trivalente, Antipneumococcici, Anti-rotavirus , Antimeningococco, MPR-MPRV-V e Anti-papillomavirus), nel 2020 sono state inserite nella Rete Nazionale di Farmacovigilanza complessivamente 5.396 segnalazioni di sospetti eventi avversi a vaccini, pari a 17,9 segnalazioni ogni 100.000 dosi somministrate, delle quali solo 1,9 costituiscono segnalazioni gravi.

Invece, dall’esame del “Rapporto annuale sulla sicurezza dei vaccini anti-COVID-19” (i cui dati essenziali vengono riportati nella relazione istruttoria, pagg. 13 e ss.) emerge che “complessivamente, durante il primo anno dell’attuale campagna vaccinale, sono state inserite, nella Rete Nazionale di Farmacovigilanza, 117.920 segnalazioni di sospetto evento avverso, successivo alla vaccinazione, su un totale di 108.530.987 dosi di vaccino, con un tasso di segnalazione di 109 segnalazioni ogni 100.000 dosi somministrate, …….., (e) con un tasso di 17,6 eventi gravi ogni 100.000 dosi somministrate”.

Come risulta evidente, non solo il numero di eventi avversi da vaccini anti SARS-COV-2 è superiore alla “media […] degli eventi avversi già registrati per le vaccinazioni obbligatorie in uso da anni”, ma lo è di diversi ordini di grandezza (109 segnalazioni, a fronte di 17,9, e con un tasso di 17,6 eventi gravi ogni 100.000 dosi somministrate, a fronte di un tasso 1,9 segnalazioni gravi).

Le emergenze istruttorie suggeriscono, quindi, una rivisitazione degli orientamenti giurisprudenziali fin qui espressi sulla base di dati ormai superati.

25.2. La Corte ha, come sopra ricordato, ritenuto che la legge impositiva di un trattamento sanitario non è incompatibile con l'art. 32 Cost. a condizione, tra l’altro, che si preveda che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che è obbligato, salvo che per quelle sole conseguenze “che appaiano normali e, pertanto, tollerabili”.

Occorre, quindi, anzitutto chiedersi:

- se lo stato della raccolta di informazioni (connaturata, come sopra spiegato, alle caratteristiche della procedura di immissione in commercio mediante autorizzazione condizionata) sugli eventi avversi da vaccinazione anti-Covid-19 evidenzi o meno fenomeni che trasbordino la tollerabilità;

- in caso affermativo, se e quale rilevanza possa avere, ai fini dello scrutinio di costituzionalità, la percentuale di eventi avversi gravi/fatali;

- in caso di risposta tanto affermativa quanto negativa al primo interrogativo, attendibilità del sistema di raccolta dati in ordine agli effetti collaterali.

Tale ultima questione assume rilievo cruciale, specie per i farmaci sottoposti ad autorizzazione condizionata, per i quali, successivamente alla commercializzazione, prosegue il processo di valutazione (rinviandosi, al riguardo, per maggiori dettagli, ai chiarimenti acquisiti in sede istruttoria), suscettibile di essere inficiato tanto da un’erronea attribuzione alla vaccinazione di eventi e patologie alla stessa non collegati causalmente, quanto da una sottostima di eventi collaterali, specie gravi e fatali.

Tale evenienza comprometterebbe l’indagine volta a confrontare il farmaco la cui somministrazione è imposta legislativamente con il richiamato parametro costituzionale, sotto duplice profilo: sia perché renderebbe incerto l’accertamento circa la normale tollerabilità; sia perché, come sopra ricordato, la giurisprudenza costituzionale ha da tempo chiarito come, nell’ipotesi in cui dalla vaccinazione consegua un danno, deve essere prevista la corresponsione di una equa indennità in favore del danneggiato, indennità che, quanto alla vaccinazione anti Covid-19 obbligatoria, rientrava già nel perimetro della l. n. 210/1992, ed è stata di recente estesa, dall’art. 20 del d.l. n. 4/2022, alla vaccinazione volontaria, ma il cui conseguimento, in concreto, potrebbe essere vanificato (o comunque ostacolato) dal mancato riconoscimento, da parte delle Autorità a ciò deputate, in esito al periodo osservazionale, di un effetto collaterale.

25.3. Si deve premettere che, come relazionato dall’Organo incaricato dell’istruttoria nel separato giudizio di cui alla richiamata ordinanza n. 351 del 2022, l’attività della farmacovigilanza si propone di raccogliere informazioni di sicurezza sul campo, al fine di poter effettuare un costante e continuo aggiornamento del profilo beneficio-rischio dei singoli vaccini, mediante la rilevazione e comunicazione dei sospetti eventi avversi osservati dopo la vaccinazione (AEFI, Adverse Events Following Immunization) e di ogni altro problema inerente alle vaccinazioni (farmacovigilanza passiva) e sulla raccolta di informazioni attraverso opportuni studi indipendenti (farmacovigilanza attiva).

La relazione evidenzia come “le segnalazioni spontanee provengano sia da figure professionali del settore sanitario che da singoli cittadini e sono inserite nella Rete Nazionale di Farmacovigilanza (RNF) dai Responsabili Locali di Farmacovigilanza (RLFV), i quali contribuiscono, insieme ai Centri Regionali (CRFV) e ad AIFA, al corretto funzionamento del sistema nazionale di farmacovigilanza. ….. Una segnalazione non implica necessariamente, né stabilisce in sé, un nesso di causalità tra vaccino ed evento, ma rappresenta un sospetto che richiede ulteriori approfondimenti, attraverso un processo definito appunto “analisi del segnale”. Partendo da un certo numero di segnalazioni, relative a un singolo evento e/o dal riscontro di una disproporzione statistica (cioè la coppia vaccino/reazione che si osserva più frequentemente per quel vaccino rispetto a tutti gli altri vaccini), i Responsabili locali di FV (RLFV) e i Centri Regionali di FV (CRFV) verificano, quotidianamente, la completezza di tutte le informazioni (come ad esempio le date di vaccinazione e il tempo di insorgenza dei sintomi fondamentali).

In riferimento ai casi definiti gravi, il CRFV identifica il nesso di causalità attraverso l’algoritmo dell’OMS, che permette di valutare la probabilità dell’associazione evento/vaccino. Occorre evidenziare che quanto più elevato è il numero delle segnalazioni di sospetto AEFI, tanto maggiore è la probabilità di riuscire a osservare un evento avverso realmente causato da un vaccino, soprattutto se si tratta di un evento raro. Qualora da questo insieme di attività scaturisca l’ipotesi di una potenziale associazione causale fra un evento nuovo e un vaccino, o emergano informazioni aggiuntive su un evento avverso noto, si genera un segnale di sicurezza che richiede un’ulteriore attenta azione di verifica sulla base delle informazioni disponibili (signal management).

………. all’esito dell’identificazione iniziale, ogni segnale viene valutato e discusso a livello europeo dal Pharmacovigilance Risk Assessment Committee (PRAC), costituito da rappresentanti di tutti gli stati membri dell’EU/EEA, oltre che da sei esperti in diversi campi, nominati dalla Commissione Europea e da rappresentanti delle professioni sanitarie e delle associazioni dei pazienti.

Con specifico riguardo, invece, agli studi di farmacovigilanza attiva, ……… questi ultimi si basano sulla stimolazione o sulla raccolta sistematica delle segnalazioni di eventi avversi nel corso di studi osservazionali, spesso condotti in ambienti specifici (p. es. ospedali) o limitatamente a specifiche problematiche di sicurezza o sull’analisi di specifici database (archivi amministrativi, registri farmaco o paziente). Gli eventi raccolti prospetticamente nell’ambito di tali studi vengono, comunque, inseriti nella RNF e contribuiscono alla valutazione dei segnali. L’obiettivo della farmacovigilanza attiva è, dunque, quello di incrementare le segnalazioni e, tramite studi ad hoc, quantificare eventuali rischi emersi dalla farmacovigilanza passiva.

…….. Le segnalazioni raccolte nella Rete Nazionale di Farmacovigilanza ...... sono trasferite quotidianamente in EudraVigilance (il database di farmacovigilanza dell’EMA), tramite il quale, successivamente, transitano anche in VigiBase (database di farmacovigilanza del Centro di Monitoraggio Internazionale dei Farmaci di Uppsala dell’OMS).

Attraverso il surriferito sistema di condivisione europeo e globale, le segnalazioni di reazioni avverse italiane sono, quindi, valutate in un più ampio contesto internazionale. Invero, appare agevole osservare come la discussione condivisa che ne scaturisce e la disponibilità di dati provenienti da tutta Europa, a livello globale, consentono di poter verificare il rischio potenziale su un numero di casi decisamente più elevato rispetto a quelli disponibili nei singoli database nazionali.

Lo scopo della vaccinovigilanza, a livello nazionale, europeo e globale, è, pertanto, quello di monitorare la sicurezza del vaccino nel suo contesto reale di utilizzo, al fine di raccogliere ogni eventuale nuova informazione e mettere in atto delle misure per la minimizzazione del rischio a livello individuale e collettivo. Tali attività, che sono routinariamente condotte per tutti i prodotti medicinali, sono state intensificate nel contesto pandemico in riferimento ai vaccini anti-COVID-19, così come ai farmaci necessari al contenimento della malattia”.

25.4. Tanto premesso, la raccolta dei dati che emergono dalla consultazione della banca dati europea (EudraVigilance, facilmente accessibile attraverso il sito AIFA) permette di rilevare che a fine gennaio 2022 risultavano somministrati in ambito EU/EEA 570 milioni di dosi (ciclo completo e booster) del vaccino Cominarty (BioNTech and Pfizer), in relazione al quale esultano acquisite 582.074 segnalazioni di eventi avversi, dei quali 7.023 con esito fatale; quanto al vaccino Vaxzevria (AstraZeneca), a fronte di 69 milioni di dosi si registravano 244.603 segnalazioni di eventi avversi, dei quali 1447 con esito fatale; quanto al vaccino Spikevax (Moderna), a fronte di 139 milioni di dosi risultavano segnalati 150.807 eventi avversi, dei quali 834 con esito fatale; quanto al Covid-19 Vaccine Janssen, a fronte di 19 milioni di dosi risultavano 40.766 segnalazioni, delle quali 279 con esito fatale.

Indubbiamente, la maggior parte degli effetti collaterali, elencati nel data base, evidenziano sintomi modesti e transitori; gli eventi avversi più seri comprendono disordini e patologie a carico dei sistemi circolatorio (tra cui trombosi, ischemie, trombocitopenie immuni), linfatico, cardiovascolare (incluse miocarditi), endocrino, del sistema immunitario, dei tessuti connettivo e muscolo-scheletrico, del sistema nervoso, renale, respiratorio; neoplasie.

Nel novero di tale elencazione rientrano, evidentemente, anche patologie gravi, tali da compromettere, in alcuni casi irreversibilmente, lo stato di salute del soggetto vaccinato, cagionandone l’invalidità o, nei casi più sfortunati, il decesso.

È, quindi, da dubitarsi che farmaci a carico dei quali si stiano raccogliendo segnalazioni su tali effetti collaterali soddisfino il parametro costituzionale sopra richiamato.

Vero è che le reazioni gravi costituiscono una minima parte degli eventi avversi complessivamente segnalati; ma il criterio posto dalla Corte costituzionale in tema di trattamento sanitario obbligatorio non pare lasciare spazio ad una valutazione di tipo quantitativo, escludendosi la legittimità dell’imposizione di obbligo vaccinale mediante preparati i cui effetti sullo stato di salute dei vaccinati superino la soglia della normale tollerabilità, il che non pare lasciare spazio all’ammissione di eventi avversi gravi e fatali, purché pochi in rapporto alla popolazione vaccinata, criterio che, oltretutto, implicherebbe delicati profili etici (ad esempio, a chi spetti individuare la percentuale di cittadini “sacrificabili”).

Pare, quindi, che, non potendosi, in generale, mai escludere la possibilità di reazioni avverse a qualunque tipologia di farmaco, il discrimen, alla stregua dei criteri rinvenibili dalla richiamata giurisprudenza costituzionale, vada ravvisato nelle ipotesi del caso fortuito e imprevedibilità della reazione individuale.

Ma nel caso in questione, l’esame dei dati pubblicati nel sito EudraVigilance disaggregati per Stato segnalatore evidenzia una certa omogeneità nella tipologia di eventi avversi segnalati dai vari Paesi (in disparte il maggiore o minore afflusso di dati, evidenziato dai Consulenti della parte appellante), il che lascia poco spazio all’opzione caso fortuito/reazione imprevedibile.

In tale condizione, vi è da dubitarsi della coerenza dell’attuale piano vaccinale obbligatorio con i principi affermati dalla Corte, in riferimento, va sottolineato, a situazioni per così dire ordinarie, non ravvisandosi precedenti riferiti a situazioni emergenziali ingenerate da una grave pandemia.

25.5. Con riferimento ai limiti del sistema di monitoraggio, deve essere introdotto un tema oggettivamente importante, quello dell’adeguatezza dei sistemi di monitoraggio dei vaccini anti-Covid-19 al fine di individuare la connessione tra la vaccinazione e gli eventi sfavorevoli che colpiscono la popolazione vaccinata nell’ambito di un piano vaccinale “di massa”.

Ora, all’interno di un determinato intervallo temporale, una percentuale di popolazione è destinata ad incorrere in eventi gravi/fatali (infarto, ictus, cancro e quant’altro).

Qualora in tale arco di tempo intervenga una vaccinazione, la stessa percentuale di soggetti incorrerà nei medesimi eventi, indipendentemente dalla somministrazione del farmaco.

Motivo per cui il sistema di farmacovigilanza passiva (che, come rimarcato nella relazione istruttoria, consente sia a figure professionali del settore sanitario che a singoli cittadini di trasmettere segnalazioni spontanee) espone al rischio dell’inquinamento dei dati da eventuali segnalazioni di effetti collaterali erroneamente attribuiti al vaccino.

Per tale ragione la mole di dati inoltrati deve costituire oggetto ulteriori studi.

Specularmente, è indubbio che detto sistema presenti il rischio di un deficit di attendibilità anche in senso opposto.

Limitandosi alle informazioni desumibili dalla relazione istruttoria e dalla lettura dei report vaccinali recentemente pubblicati, si evince che il flusso dei dati trasmessi viene intercettato dai responsabili locali e dei centri regionali di farmacovigilanza, i quali effettuano diverse scremature, sia in ordine alla completezza delle informazioni inserite nel modulo di segnalazione, sia in merito alla ricerca del nesso di causalità attraverso l’algoritmo dell’OMS, impostato al fine di valutare la probabilità dell’associazione evento/vaccino. Per quello che emerge dalla lettura della relazione istruttoria e dei report vaccinali, un profilo di criticità discende dalla richiesta connessione temporale tra la vaccinazione e la manifestazione dell’evento avverso, congiuntamente alla circostanza che gli operatori sanitari sono tenuti, in base all’art. 22 del decreto del Ministero della salute del 30 aprile 2015, a segnalare tempestivamente “sospette reazioni avverse” dai medicinali di cui vengano a conoscenza nell’ambito della propria attività.

Ma nell’ipotesi di farmaci sottoposti ad autorizzazione condizionata, il profilo di rischio a medio e lungo termine deve emergere proprio dallo studio di fenomeni avversi che possono anche intervenire a distanza di tempo dalla somministrazione del farmaco (collocandosi, quindi, fuori dalla finestra temporale di riferimento tra somministrazione del vaccino e sospetta reazione su cui è impostato l’algoritmo) ed essere imprevisti o inconsueti rispetto gli eventi avversi conosciuti e attesi, e quindi suscettibili di essere scartati dagli operatori sanitari perché erroneamente non ritenuti “sospetti”.

Senza contare che, come confermato dalla lettura della relazione istruttoria, nell’ambito del presente piano vaccinale, non essendovi alcun obbligo di presentare in sede vaccinale una relazione da parte del medico di famiglia, i cittadini possono decidere autonomamente di sottoporsi alla vaccinazione (in hubs vaccinali, farmacie etc.), senza alcuna previa consultazione con il medico di base, il quale può anche non venire a conoscenza del fatto che un proprio paziente si è vaccinato (vero è che l’eseguita vaccinazione viene registrata presso l’anagrafe vaccinale, ma non è verosimile che i medici di medicina generale controllino giornalmente e di propria iniziativa il data base per verificare se e quali tra le migliaia di loro assistiti si siano sottoposti a vaccinazione).

Né possono riporsi eccessive aspettative sulle segnalazioni spontanee dei cittadini, vuoi per l’eterogeneità della popolazione (non tutti, per variegate età e condizioni socio economiche, hanno la dimestichezza con gli strumenti informatici e le procedure burocratiche necessaria per compilare ed inoltrare un modulo di segnalazione eventi avversi completo di tutti i dati richiesti), vuoi perché il cittadino colpito da una patologia grave (per non parlare di quello deceduto) verosimilmente avrà altre preoccupazioni che non inoltrare la segnalazione.

In tali condizioni, rischiano di andare perdute informazioni cruciali per la rilevazione degli eventi avversi e, conseguentemente, per una corretta ed esaustiva profilazione del rapporto rischi-benefici dei singoli vaccini.

Tale limite, ovviamente, è connaturato a tale metodologia di rilevazione che è adottata nella generalità dei paesi, ma che per la tipologia dei farmaci in questione presenta evidenti criticità.

D’altra parte, è lo stesso report sui vaccini Covid-19, recentemente pubblicato dall’AIFA, a segnalare (a proposito della farmacovigilanza passiva) che “la sottosegnalazione […] è infatti un limite intrinseco alla stessa natura della segnalazione, ben noto e ampiamente studiato anche nella letteratura scientifica internazionale, che ha alcuni suoi specifici determinanti nella scarsa sensibilità alla segnalazione di sospette reazioni avverse da parte di operatori sanitari e non e nell’accessibilità dei sistemi di segnalazione”.

Lo stesso utilizzo dell’algoritmo, che espunge la segnalazione di eventi distanti, nel tempo, rispetto alla data della vaccinazione, non pare coerente con le esigenze di studio dei profili di rischio a medio lungo termine dei farmaci sottoposti ad approvazione condizionata.

La metodologia di monitoraggio mediante farmacovigilanza attiva, che integra la farmacovigilanza passiva, consente, invece, di sottoporre ad osservazione per così dire asettica un campione di popolazione, della quale vengono raccolti, nel tempo, tutti i dati relativi allo stato di salute successivi all’assunzione del farmaco, e ,consentendo di acquisire i dati di molte persone vaccinate e confrontarli con quelli che ci si aspetterebbe in quella fascia d'età solo per effetto del caso, consente di evidenziare eventi avversi non attesi potenzialmente gravi e biologicamente plausibili.

La raccolta generale delle informazioni sullo stato di salute delle persone nel tempo, non inquinata dal pregiudizio dell’effetto atteso (vuoi per la ricorrenza statistica di un determinato effetto collaterale, vuoi per la connessione temporale rispetto alla vaccinazione), che può indurre i medici a trascurare la segnalazione di stati patologici che, per proprio convincimento, allo stato delle proprie conoscenze, si ritengono non connessi all’assunzione del farmaco, ed il valutatore all’espulsione di eventi segnalati ma erroneamente ritenuti non pertinenti, consente quel progresso nello studio post vaccinale cruciale ai fini di un’efficace valutazione del profilo di rischio del farmaco, che potrebbe anche modificarsi nel tempo, inducendo ad abbandonare alcuni vaccini a vantaggio di altri, come del resto avvenuto in Italia allorquando, a fronte di alcuni casi di eventi fatali sospetti, è stata prudentemente sospesa la somministrazione del vaccino AstraZeneca.

Lanota AIFA del 9 febbraio 2021, richiamando precedenti comunicazioni, è rivolta a fornire precisazioni sulla gestione delle segnalazioni di sospette reazioni avverse conseguenti l’utilizzo dei vaccini all’interno della rete nazionale di farmacovigilanza, e, tra l’altro, reca la seguente indicazione:

come da precedente nota…… si raccomanda di ricondurre l’operatività delle singole strutture regionali alla gestione delle segnalazioni di sospette reazioni avverse all’interno della RNF e all’adozione degli strumenti resi disponibili da AIFA, seguendo il normale flusso di segnalazione e le tempistiche previste dalla normativa vigente con l’invito a ridurle quanto più possibile, in modo da non generare allarmi ingiustificati o ritardi nelle valutazioni condotte a livello europeo”.

Ad avviso del collegio, l’invito “a ridurle” è riferito (già da un punto di vista strettamente grammaticale) alle tempistiche; tale conclusione è avvalorata dalla lettura delle precedenti note, rinvenibili sul sito web dell’AIFA, come la n. 148253-30 dicembre 2020, ove (più chiaramente) viene indicato che “considerata l'attuale situazione pandemica, si raccomanda di ridurre quanto più possibile il tempo necessario per la registrazione in RNF delle segnalazioni di sospette reazioni avverse ai vaccini COVID-19”; o la 12518 del 3 febbraio 2021, nella quale, premesso che alcune strutture avevano adottato la prassi di utilizzare moduli cartacei o digitali diversi da quelli approvati per la segnalazione degli eventi avversi, viene rilevato che tali segnalazioni potrebbero confluire all’interno della rete nazionale in ritardo o in modo irregolare, ”determinando cluster di reazioni avverse facilmente equivocabili”.

La lettura coordinata delle precedenti comunicazioni, pertanto, induce ad interpretare la nota in questione in senso diverso da quello prospettato dall’appellante.

Il problema, pertanto, va ricondotto alla circostanza che, in presenza di farmaci soggetti a monitoraggio aggiuntivo in relazione all’autorizzazione condizionata, gli studi di vigilanza attiva consentono di avere un quadro più completo di eventuali effetti collaterali importanti ed eventi infausti.

Va precisato che, nell’ambito della relazione istruttoria, viene fatto sintetico riferimento ad alcuni studi di farmacovigilanza attiva; maggiori informazioni si ritraggono dalla lettura del citato rapporto annuale sui vaccini Covid-19, ove viene dato conto più in dettaglio di alcuni studi di farmacoepidemiologia in corso.

Sembra, quindi, che tale attività sia in una fase di implementazione, sebbene non si ritraggano particolari precisi circa l’estensione del monitoraggio e soprattutto circa la sottoposizione dei dati ad organismi composti da soggetti competenti e del tutto indipendenti che si riuniscano con la opportuna periodicità.

Venendo alla questione relativa ad alcune statistiche di altri Paesi circa un supposto aumento di decessi successivamente all’avvio della campagna vaccinale, la relazione istruttoria offre una diversa lettura di detti dati, sottolineando l’anomalo decremento di decessi registrato nel corso del 2020 a causa delle restrizioni imposte dalla pandemia.

Anche in questo caso, adeguati studi di farmacovigilanza attiva risulterebbero idonei al fine di monitorare detti fenomeni, consentendo di osservare l’andamento della mortalità, suddiviso per fasce di età, in un periodo di tempo sufficientemente ampio (quinquennio o decennio) da sterilizzare fenomeni contingenti quali elevata mortalità, per alcune fasce di età, dovuta alle infezioni da Covid-19 nel corso dell’anno 2020, e, specularmente, il decremento dei decessi in fasce giovanili, intuitivamente ascrivibile al lungo periodo di confinamento (lockdown) nel medesimo arco di tempo.

Già i dati ricavabili dalle tavole di mortalità (le tabelle statistiche elaborate dall’ISTAT per individuare le probabilità di morte e di sopravvivenza della popolazione, che indicano per ogni età il numero dei viventi, dei morti, la frequenza di morte, la vita media, e vengono usualmente utilizzate per calcolare la componente demografica dei premi assicurativi) consentirebbero di accertare se sussista, effettivamente, o meno, una variazione statisticamente significativa, territoriale e per fascia di età, nella mortalità che possa essere posta in correlazione temporale con l’andamento delle vaccinazioni.

In tal senso, si veda il provvedimento della Corte costituzionale austriaca emesso il 26 gennaio 2022 con il quale sono stati sottoposti al Ministero federale per la società, la salute, la cura e la tutela dei consumatori una serie di quesiti relativi (oltre all’acquisizione dei dati relativi alle persone ospedalizzate e decedute “a causa” oppure “con” il Covid-19; alla percentuale di incidenza delle vaccinazioni sul rischio di ospedalizzazione e decesso nonché alla efficacia di protezione dei vaccini dal contagio, ripartiti per fasce di età; anche) alla verifica dell’esistenza dell’eccesso di mortalità denunciato dai media locali e, se non legato al virus, come possa spiegarsi.

In conclusione, permane il dubbio circa l’adeguatezza del sistema di monitoraggio fin qui posto in essere, pur dovendosi dare atto che, come si evince dalla lettura del rapporto annuale, risultano ora avviati alcuni studi di farmacovigilanza attiva.

18.6. Ulteriori profili di criticità: la inadeguatezza del triage pre-vaccinale

Ulteriori profili di criticità emergono dalla circostanza che, come emerso dalle risultanze dell’istruttoria, non è prevista, fini della sottoposizione a vaccino, una relazione del medico di base, il quale normalmente ha un’approfondita conoscenza dei propri assistiti. Il triage pre-vaccinale viene, quindi, demandato al personale sanitario che esegue la vaccinazione, che a sua volta deve affidarsi alle (inevitabilmente variabili) capacità del soggetto avviato a vaccinazione di rappresentare (nella ristretta tempistica a ciò destinata) fatti e circostanze rilevanti circa le proprie condizioni generali e lo stato di salute.

Oltretutto, come confermato dall’Organo incaricato dell’istruttoria, non vengono richiesti esami di laboratorio, quali accertamenti diagnostici da eseguire prima della vaccinazione, o test, inclusi quelli di carattere genetico, nonostante le risultanze confluite nel rapporto annuale sui vaccini nonché emergenti dal data base europeo abbiano evidenziato alcuni effetti collaterali gravi come miocarditi e pericarditi (correlabili prevalentemente ai vaccini a base di RNA) ed eventi tromboembolici (più frequenti nei vaccini con vettore virale), che potrebbero essere scongiurati esentando dalla vaccinazione, o sottoponendo preventivamente ad idonea terapia farmacologica, soggetti che evidenzino specifici profili di rischio (come trombofilie ereditarie).

Appare particolarmente critica la circostanza che non è previsto, prima della somministrazione del vaccino, nemmeno un tampone Covid, che potrebbe evidenziare una condizione di infezione in atto, che evidentemente sconsiglia la somministrazione del vaccino, avuto riguardo al rischio di reazione anomala del sistema immunitario, su cui hanno ampiamente argomentato gli studiosi incaricati delle consulenze di parte dell’appellante.

Vero è che in una situazione di vaccinazione di massa risulta oltremodo arduo, e difficilmente sostenibile finanziariamente, uno screening anch’esso di massa; ma un recupero della funzione di filtro dei medici di base, i quali possano, secondo scienza e conoscenza (anche delle situazioni individuali specifiche) prescrivere, o quantomeno suggerire o raccomandare, accertamenti pre-vaccinali, potrebbe verosimilmente abbassare il livello di rischio (per quanto statisticamente contenuto) che il trattamento farmacologico inevitabilmente comporta e, indirettamente, contribuire al superamento del fenomeno di cd. esitazione vaccinale.

Nell’ambito di tale questione rientra la problematica della propria pregressa (e ormai datata) infezione da Covid-19, oggetto di specifico approfondimento nella relazione istruttoria, ove, dopo ampia disamina delle problematiche che solleva il caso dei soggetti già contagiati, si specifica che attualmente non è noto il livello anticorpale necessario per proteggere l’individuo dall’infezione o reinfezione da SARS-COV-2, di guisa che non appare utile misurare il titolo anticorpale, ai fini della definizione del rischio individuale, considerato che, comunque, decorso un certo arco di tempo, la vaccinazione di soggetti che abbiano subito una pregressa infezione non comporterebbe rischi aggiuntivi, anzi, la combinazione di vaccinazione ed infezione, indipendentemente dall’ordine in cui avvengano, secondo recenti studi fornisce un elevato grado di protezione immunitaria contro il virus e le sue potenziali varianti.

Tale impostazione è stata ampiamente contestata dall’appellante attraverso le consulenze tecniche prodotte in giudizio.

Il Collegio osserva che, sebbene alcuni studi abbiano ipotizzato che, al di là della mera conta degli anticorpi specifici, che tendono a ridursi nel tempo, i linfociti T potrebbero dare una lunga protezione a chi ha contratto il Covid-19, in quanto un tipo di cellule immunitarie nel midollo osseo di pazienti guariti dal virus produrrebbe anticorpi di lunga durata, capaci di fornire un’immunità “straordinariamente duratura” (Turner, J.S., Kim, W., Kalaidina, E., et al., SARS-COV-2 infection induces long-lived bone marrow plasma cells in human, Nature 595,421-425, 2021, reperibile in https://www.nature.com/articles/s41586-021-03647-4), per converso si sta osservando come i casi di reinfezione a carico di soggetti precedentemente guariti siano sempre più comuni e numerosi, forse perché le varianti attualmente in circolazione producono una risposta anticorpale più leggera e di breve durata.

25.7. Ulteriori profili di criticità: il consenso informato

Ulteriori profili di criticità emergono dalla normativa in ordine al consenso informato, richiamata nelle premesse, in considerazione del fatto che non viene espressamente esclusa la raccolta del consenso anche nell’ipotesi di somministrazione di un trattamento sanitario obbligatorio.

Come confermato in sede istruttoria, in conformità alla normativa in questione, al momento dell’anamnesi pre-vaccinale viene raccolto il consenso informato.

L’Organismo incaricato dell’istruttoria sottolinea che, nel caso di vaccinazione obbligatoria, il consenso andrebbe inteso quale presa visione da parte del cittadino delle informazioni fornite.

Ma tale interpretazione non può essere condivisa, in quanto, da un punto di vista letterale, logico e giuridico, il consenso viene espresso a valle di una libera autodeterminazione volitiva, inconciliabile con l’adempimento di un obbligo previsto dalla legge.

Risulta, evidentemente, irrazionale la richiesta di sottoscrizione di tale manifestazione di volontà all’atto della sottoposizione ad una vaccinazione indispensabile ai fini dell’esplicazione di un diritto costituzionalmente tutelato quale il diritto al lavoro; e poiché tale determinazione deriva dalla circostanza che la legge, nell’aver introdotto e disciplinato il consenso informato, non ha dettato un’apposita clausola di salvaguardia nell’ipotesi trattamento farmacologico obbligatorio, se ne evince l’intrinseca irrazionalità del dettato normativo.

Né è possibile addivenire alla lettura proposta dall’Amministrazione, come conferma anche il confronto con le disposizioni impartite dal Ministero della salute con la circolare 16 agosto 2017, contenente le prime indicazioni operative per l’attuazione del d.l. n. 73 del 7 giugno 2017, convertito con modificazioni dalla l. 31 luglio 2017, n. 119, ove, correttamente, si precisava:

Le buone pratiche vaccinali prevedono che i genitori/tutori/affidatari siano informati sui benefici e sui rischi della vaccinazione e che, alla fine di questo colloquio, venga consegnato un modulo in cui si attesta che è stato eseguito questo passaggio. Questo modello informativo, in presenza di una vaccinazione raccomandata, ha assunto una valenza di consenso informato, ovvero di scelta consapevole a una vaccinazione raccomandata. Alla luce del decreto legge in epigrafe, si precisa che il modulo di consenso informato dovrebbe essere limitato alle sole vaccinazioni raccomandate; per le vaccinazioni obbligatorie verrà consegnato esclusivamente un modulo informativo”.

26. Ulteriori profili di criticità: la sospensione dall’attività professionale quale conseguenza dell’inadempimento dell’obbligo vaccinale

Neppure la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 4 comma 4 del d.l. n. 44 del 2021 ratione temporis vigente, nella parte in cui dispone la sospensione dall’attività professionale in caso di inadempimento dell’obbligo vaccinale, si presenta come manifestamente infondata.

26.1. Il Collegio dubita innanzitutto della compatibilità della disposizione con l’art. 3 Cost. sotto il duplice profilo della ragionevolezza e della proporzionalità.

Rispetto al principio di ragionevolezza, corollario del principio di eguaglianza sostanziale di cui all’art. 3 comma 2 della Costituzione, e dunque della razionalità dell’estensione del divieto di svolgere l’attività professionale a tutte le attività che richiedono la previa iscrizione nell’albo professionale, incluse quelle che non comportano alcun rischio di diffusione del contagio da Sars-CoV-2, in relazione ai fini primari della tutela della salute pubblica e del mantenimento di “adeguate condizioni di sicurezza nelle prestazioni di cura ed assistenza” durante la situazione epidemica da Sars-CoV-2.

Ciò è tanto più evidente nello specifico ambito psicologico, nel quale molte attività si prestano ad essere svolte senza contatto fisico con il paziente e con modalità a distanza mediante l’utilizzo dei comuni strumenti telematici e telefonici.

La modalità di contatto a distanza non solo è praticabile con successo - analogamente a quanto si è verificato nell’ambito dell’istruzione pubblica o privata - per le attività di ricerca e di didattica ma rappresenta un metodo relazionale economico, sostenibile, semplice, sicuro ed efficace anche per lo svolgimento delle attività di prevenzione, diagnosi, abilitazione, riabilitazione e sostegno in ambito psicologico.

Dette considerazioni disvelano altresì la sproporzione della misura disposta dalla norma censurata.

La verifica del rispetto del principio di proporzionalità impone infatti di valutare se lo strumento impiegato sia adeguato al raggiungimento dello scopo e se il sacrificio imposto tra “più misure appropriate, prescriva quella meno restrittiva dei diritti a confronto e stabilisca oneri non sproporzionati” (Corte cost. 25 luglio 2022 n. 188).

Se la sospensione prevista può ritenersi idonea a conseguire il risultato di tutela della salute del paziente, eliminando il rischio di contagio, il test di proporzionalità non può ritenersi superato con riferimento alla valutazione del minor sacrificio imposto, alla stregua della percentuale di riduzione del rischio di contagio, comunque assicurata da misure alternative, che sono state praticate in altri ambiti (ad esempio quello dell’istruzione).

Nel caso di specie, la discrezionalità del legislatore avrebbe dovuto essere esercitata offrendo maggiore tutela alla posizione del professionista pur assicurando un ragionevole risultato alternativo, volto a diminuire in modo considerevole il rischio di contagio, e addirittura azzerarlo (raggiungendo quindi lo stesso risultato della sospensione) nell’ipotesi in cui la misura alternativa adottata sia quella della seduta psicologica a distanza: la norma censurata invece, praticando una misura sproporzionata, trasmoda in una lesione dell’art. 3 Cost. che ne determina l’illegittimità costituzionale.

26.2. L’art. 4 comma 4 sembra difettare anche di una intrinseca coerenza logica.

Il legislatore, nell’esercizio della sua discrezionalità, può aggravare gli effetti dell’accertamento della violazione di un obbligo ma deve comunque individuare degli specifici presupposti che siano idonei a giustificare detto aggravamento.

Tali presupposti non risultano individuati, atteso che, rispetto alla disciplina previgente, lo scopo primario che la norma intende perseguire, ossia quello di tutelare la salute pubblica in una situazione emergenziale epidemiologica mediante la garanzia dell’accesso alle cure ed alle prestazioni sanitarie in condizioni di sicurezza, è rimasto sostanzialmente immutato.

26.3. Il Collegio riscontra un ulteriore possibile profilo di incoerenza interna della disciplina legislativa, nella parte in cui, all’art. 4 comma 7 impone al datore di lavoro di adibire i lavoratori dipendenti, per i quali la vaccinazione sia stata omessa o differita ai sensi del comma 2, “a mansioni anche diverse, senza decurtazione della retribuzione, in modo da evitare il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-22.

La norma evidenzia come sia possibile in concreto un’organizzazione alternativa e temporanea delle modalità di esercizio della professione sanitaria, che non comporti i paventati rischi di diffusione del contagio da Sars-CoV-2. La circostanza che essa sia prevista nell’ambito del lavoro dipendente, dimostra come a fortiori possa esserlo nell’ambito del lavoro autonomo, in cui gli spazi di autonomia e di assunzione del rischio operativo riservati al professionista consentono senz’altro una maggiore flessibilità nell’esercizio dell’attività professionale.

Ciò di cui dubita il Collegio è dunque la congruità dell’effetto legale della sospensione da qualsivoglia attività lavorativa, senza distinzioni di sorta, rispetto alla peculiare situazione di fatto in cui si trova il professionista che, assumendosene il rischio, ha scelto di esercitare in forma autonoma una professione sanitaria.

La conservazione dell’attuale formulazione dell’art. 4 comma 4 finirebbe dunque per creare un’ingiustificata penalizzazione di quei professionisti che, pur senza incorrere in violazioni disciplinari o penali, subiscono la perdita temporanea di un requisito per l’esercizio della professione, introdotto in via di urgenza dalla disciplina emergenziale ed in una fase successiva alla loro ammissione nell’ordinamento sezionale professionale, a cagione di un paventato danno per la salute del paziente e della collettività che, con riferimento ad altre fattispecie analoghe, il legislatore ha dimostrato di poter disciplinare in modo meno afflittivo.

27. Il Collegio dubita altresì della compatibilità della disposizione dell’art. 4 comma 4 con il principio di proporzionalità di cui all’articolo 3 della Costituzione, sia sotto il profilo dell’adeguatezza della limitazione automatica e totale imposta all’esercizio della professione sanitaria, rispetto al fine di interesse pubblico ad essa sotteso, sia con riferimento all’esito della valutazione comparativa tra i costi ed i benefici dalla stessa ritraibili.

27.1. L’effetto automaticamente ed integralmente preclusivo dello svolgimento dell’attività professionale, previsto per i sanitari che sono iscritti nell’albo professionale, non pare giustificato dalla qualificazione della vaccinazione quale “requisito essenziale per l’esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative dei soggetti obbligati”, le cui conseguenze sono sproporzionate rispetto a quelle contemplate dall’articolo 4, comma 6, che qualifica la vaccinazione come “requisito ai fini dell’iscrizione” per la prima volta negli albi degli Ordini professionali territoriali.

Applicare il medesimo trattamento inibitorio sia al sanitario non vaccinato al quale si nega l’immissione nell’ordinamento sezionale mediante la prima iscrizione nell’albo professionale che al sanitario non vaccinato già iscritto all’albo significa infatti non tenere in adeguata considerazione la differente situazione di quest’ultimo, il quale, proprio in virtù dell’iscrizione all’albo, ha maturato il legittimo affidamento al mantenimento della stessa, ove non incorra in violazioni penali o disciplinari.

L’attuale formulazione della norma rischia pertanto di creare un’irragionevole parità di trattamento a fronte di situazioni francamente disomogenee.

Il mero differimento della prima iscrizione nell’albo, per il termine di sei mesi a decorrere dal 15 dicembre 2021, è infatti un sacrificio tollerabile rispetto ai fini pubblici da perseguire.

Diversamente, la sospensione totale dall’attività, per il medesimo termine semestrale, del libero professionista iscritto all’albo rischia di determinare effetti pregiudizievoli, potenzialmente irreversibili, sull’avviamento professionale, quali la perdita della clientela e delle relazioni professionali nonché l’improvvisa cassazione del flusso reddituale, sul quale il professionista deve poter fare affidamento non solo per il sostentamento personale e familiare ma anche per mantenere integra l’organizzazione professionale di cui si è dotato.

A tal proposito, occorre ricordare che, ai sensi dell’articolo 2231 del codice civile, il contratto stipulato con il professionista che non sia iscritto all’albo è nullo e non gli conferisce alcuna azione per il pagamento della retribuzione, neppure quella sussidiaria di cui all’articolo 2041 del codice civile.

L’esercizio della professione da parte del professionista sospeso dall’albo integra poi il fatto tipico del delitto di esercizio abusivo della professione, previsto e punito dall’art. 348 c.p.

Effetti pregiudizievoli, anche questi potenzialmente irreversibili, sono ravvisabili anche in relazione all’esigenza dei pazienti di non vanificare l’efficacia del percorso psicologico intrapreso con un determinato professionista, la quale presuppone la coltivazione costante di un rapporto fiduciario tra lo psicologo e la persona che domanda sostegno psicologico, oggetto di una prestazione sanitaria non fungibile.

27.2. Il sacrificio totale, sia pure temporaneo, imposto agli interessi antagonisti dei professionisti lavoratori autonomi e dei pazienti sembra dunque non proporzionato al fine di tutela della salute pubblica mediante l’erogazione delle prestazioni sanitarie in condizioni di sicurezza, in quanto l’esito del bilanciamento dei rilevantissimi interessi coinvolti, effettuato dal legislatore nell’esercizio dell’ampia discrezionalità politica, conduce ad un risultato implausibile.

La scelta legislativa di apporre una preclusione assoluta allo svolgimento dell’attività professionale svolta in forma autonoma sembra infatti essere andata di gran lunga oltre il necessario per conseguire l’obiettivo di tutela prefigurato dalla norma, il quale avrebbe potuto essere realizzato, con pari efficacia, anche con il più mite divieto di intrattenere contatti di prossimità con il paziente o dai quali derivi comunque un rischio concreto di diffusione del contagio da Sars-CoV-2.

27.3. Il divieto assoluto di svolgere l’attività professionale, imposto ai professionisti che la esercitano in forma autonoma, non sembra pertanto costituire il mezzo più adeguato e proporzionato per garantire il contestuale parziale soddisfacimento dell’interesse del professionista a svolgere l’attività lavorativa ricompresa nell’ambito settoriale di riferimento, tutelato dagli articoli 1, 2, 4, 33, 35 comma 1 e 36 comma 1 della Costituzione, quale mezzo di esplicazione della propria personalità, di esercizio del diritto al lavoro nella forma della libera professione e di sostentamento personale e familiare, nonché dell’interesse dei pazienti alla continuità dell’erogazione delle prestazioni sanitarie in condizioni di sicurezza, tutelato dall’art. 32 comma 1 della Costituzione, i quali rappresentano valori fondamentali, di cui il legislatore avrebbe dovuto tenere adeguata considerazione, imponendone il sacrificio totale - ancorché temporaneo - quale extrema ratio, ovvero solo ove non fosse stato possibile individuare una soluzione alternativa meno gravosa.

27.4. Il Collegio ritiene che la temporaneità della misura interdittiva adottata dal legislatore non sia idonea, di per sé, a giustificare il sacrificio totale degli interessi antagonisti, atteso che lo stesso è potenzialmente in grado di produrre effetti gravemente pregiudizievoli, a volte irreversibili.

28. L’incidente di costituzionalità

Alla luce della ricostruzione fattuale, normativa e giurisprudenziale di cui ai paragrafi che precedono,

a) ricordato che le condizioni dettate dalla Corte in tema di compressione della libertà di autodeterminazione sanitaria dei cittadini in ambito vaccinale si sostanziano nella non nocività dell’inoculazione per il singolo paziente e beneficio per la salute pubblica, ed in particolare che:

- il trattamento “non incida negativamente sullo stato di salute di colui che vi è assoggettato”, ferma restando la tollerabilità di effetti collaterali di modeste entità e durata;

- sia assicurata “la comunicazione alla persona che vi è assoggettata, o alle persone che sono tenute a prendere decisioni per essa e/o ad assisterla, di adeguate notizie circa i rischi di lesione (…), nonché delle particolari precauzioni, che, sempre allo stato delle conoscenze scientifiche, siano rispettivamente verificabili e adottabili”;

- la discrezionalità del legislatore sia esercitata alla luce “delle acquisizioni, sempre in evoluzione, della ricerca medica” e quindi che la scelta vaccinale possa essere rivalutata e riconsiderata, nella prospettiva di valorizzazione della dinamica evolutiva propria delle conoscenze medico-scientifiche che debbono sorreggere le scelte normative in campo sanitario (sentenza n. 5/2018);

b) ritenuto che:

b.1) seguendo gli indici costituzionali fin qui richiamati, deve ritenersi essenziale, per un verso, che il monitoraggio degli eventi avversi, la raccolta e la valutazione dei dati risultino il più possibile ampi e completi, che avvengano (o siano almeno validati) da parte di organismi indipendenti, ciò che costituisce presupposto essenziale per la stessa verifica dell’ampiezza degli effetti collaterali; per altro verso, che il cittadino riceva informazioni complete e corrette che siano facilmente e liberamente accessibili; e, ancora, che, nel trattamento sanitario obbligatorio, sia rispettato il limite invalicabile imposto “dal rispetto della persona umana” (art. 32 comma 2 Cost.);

b.2) per tutte le ragioni sopra diffusamente esposte, (in disparte la controversa adeguatezza del sistema di monitoraggio, prevalentemente imperniato alla farmacovigilanza passiva) che i parametri costituzionali per valutare la legittimità dell’obbligo vaccinale, come fissati dalla costante giurisprudenza della Corte costituzionale, non sembrano rispettati, in quanto non vi è prova di vantaggio certo per la salute individuale e collettiva superiore al danno per i singoli, non vi è prova di totale assenza di rischio o di rischio entro un normale margine di tollerabilità, e non vi è prova che –in carenza di efficacia durevole del vaccino- un numero indeterminato di dosi, peraltro ravvicinate nel tempo, non amplifichi gli effetti collaterali dei farmaci, danneggiando la salute; non sono state adottate “misure di mitigazione” e “misure di precauzione” ad accompagnamento dell’obbligo vaccinale, quali adeguati accertamenti in fase di triage pre-vaccinale, e adeguata farmacovigilanza post vaccinazione, con il rischio che in nome della vaccinazione di massa risulti sbiadita la considerazione della singola persona umana, che andrebbe invece sostenuta e rassicurata, tanto più quanto riluttante alla vaccinazione, con approfondite anamnesi e informazioni, con costi a carico del Servizio sanitario nazionale;

b.3) non pare possibile pervenire ad una lettura alternativa, costituzionalmente orientata, della normativa di cui infra;

b.4) l’attuale previsione dell’obbligo vaccinale anti SARS-COV-2 presenta profili di criticità, con riferimento alla percentuale di eventi avversi e fatali (ben superiore alla media degli altri vaccini, obbligatori e non), che peraltro allo stato non sembrano oggetto di prevenzione (attraverso un sistematico coinvolgimento dei medici di base e l’esecuzione di test diagnostici pre-vaccinali);

b.5) il sistema di raccolta del consenso informato risulta irrazionale laddove richieda una manifestazione di volontà per la quale non vi è spazio in capo a chi subisce la compressione del diritto all’autodeterminazione sanitaria, a fronte di un dovere giuridico ineludibile;

b.6) il complesso normativo sopra descritto si pone in tensione, per tutte le motivazioni sopra articolate, con i seguenti articoli della Costituzione: 3 (sotto i parametri di razionalità e proporzionalità); 32 (avuto riguardo alla compressione della libertà di autodeterminazione sanitaria in relazione a trattamenti farmacologici suscettibili di ingenerare effetti avversi non lievi né transitori); 97 (buon andamento, anche in relazione alle criticità del sistema di monitoraggio); 4 (diritto al lavoro), nonché art. 33, oggetto di compressione in quanto condizionati alla sottoposizione alla vaccinazione obbligatoria; 21 (diritto alla libera manifestazione del pensiero, che ricomprende il diritto ad esprimere il proprio dissenso), in relazione all’obbligo di sottoscrizione del consenso informato per poter accedere ad un trattamento sanitario imposto; oltre che con il principio di proporzionalità e con il principio di precauzione desumibili dall’art. 32 Cost. (avuto riguardo alle più volte rilevate criticità del sistema di monitoraggio, nonché all’assenza di adeguate misure di attenuazione del rischio quali analisi e test pre-vaccinali e controlli post vaccinazione);

b.7) appare carente un adeguato bilanciamento tra valori tutti di rilievo costituzionale, e in particolare tra tutela della salute da una parte, e tutela del lavoro dall’altra, che soddisfano parimenti bisogni primari del cittadino;

b.8) risulta altresì rilevante nel presente giudizio e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4 comma 4 del decreto legge 1 aprile 2021, n. 44, convertito nella legge 28 maggio 2021, n. 76, per come sostituito dall’articolo 1, comma 1, lettera b), del decreto legge 26 novembre 2021, n. 172, convertito nella legge 21 gennaio 2022, n. 3, nella parte in cui dispone la sospensione dall’esercizio dell’attività professionale per contrasto, nei termini indicati sopra, con i principi di ragionevolezza e di proporzionalità, di cui all’art. 3 della Costituzione, anche in riferimento alla violazione degli art. 1, 2, 4, 32 comma 1, 33, 35 comma 1 e 36 comma 1 della Costituzione;

b.9) ritenute conclusivamente le questioni rilevanti e non manifestamente infondate, in relazione alle condizioni dettate dalla Corte in tema di compressione della libertà di autodeterminazione sanitaria dei cittadini in ambito vaccinale sopra indicate, ossia non nocività dell’inoculazione per il singolo paziente e beneficio per la salute pubblica, il CGARS, ai sensi dell’art. 23 comma 2 l. 11 marzo 1953 n. 87, ritenendole rilevanti e non manifestamente infondate, solleva la questione di legittimità costituzionale de:

a) l’art. 4 commi 1 e 2 del d.l. n. 44/2021 (convertito in l. n. 76/2021), nella parte in cui prevedono l’obbligo vaccinale per il personale sanitario, per contrasto con gli artt. 3, 4, 32, 33, 34, 97 della Costituzione, sotto il profilo che il numero di eventi avversi, la inadeguatezza della farmacovigilanza passiva e attiva, il mancato coinvolgimento dei medici di famiglia nel triage pre-vaccinale e comunque la mancanza nella fase di triage di approfonditi accertamenti e persino di test di positività/negatività al Covid non consentono di ritenere soddisfatta, allo stadio attuale di sviluppo dei vaccini antiCovid e delle evidenze scientifiche, la condizione, posta dalla Corte costituzionale, di legittimità di un vaccino obbligatorio solo se, tra l’altro, si prevede che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che è obbligato, salvo che per quelle sole conseguenze “che appaiano normali e, pertanto, tollerabili”;

b) l’art.1 della l. 217/2019, nella parte in cui non prevede l’espressa esclusione dalla sottoscrizione del consenso informato delle ipotesi di trattamenti sanitari obbligatori, e dell’art. 4, del d.l. n. 44/2021, nella parte in cui non esclude l’onere di sottoscrizione del consenso informato nel caso di vaccinazione obbligatoria, per contrasto con gli artt. 3 e 21 della Costituzione;

c) l’art. 4 comma 4, laddove prevede che l’inadempimento all’obbligo vaccinale comporta la sospensione dall’esercizio delle professioni sanitarie, per contrasto con i principi di ragionevolezza e di proporzionalità, di cui all’art. 3 della Costituzione, anche in riferimento alla violazione degli art. 1, 2, 4, 32 comma 1, 33, 35 comma 1 e 36 comma 1 della Costituzione;

Il processo deve, pertanto, essere sospeso ai sensi e per gli effetti di cui agli artt. 79 e 80 c.p.a. e 295 c.p.c., con trasmissione immediata degli atti alla Corte costituzionale.

La decisione in ordine alla domanda cautelare e ogni ulteriore statuizione in rito, in merito e in ordine alle spese è riservata all’esito del giudizio incidentale promosso con la presente ordinanza.

P.Q.M.

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, in sede giurisdizionale:

- visto l’art. 23 l. 11 marzo 1953 n. 87, dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale de:

a) l’art. 4 commi 1 e 2 del d.l. n. 44/2021 (convertito in l. n. 76/2021), nella parte in cui prevede, da un lato l’obbligo vaccinale per il personale sanitario e, dall’altro lato, per effetto dell’inadempimento all’obbligo vaccinale, la sospensione dall’esercizio delle professioni sanitarie, per contrasto con gli artt. 3, 4, 32, 33, 34, 97 della Costituzione, sotto il profilo che il numero di eventi avversi, la inadeguatezza della farmacovigilanza passiva e attiva, il mancato coinvolgimento dei medici di famiglia nel triage pre-vaccinale e comunque la mancanza nella fase di triage di approfonditi accertamenti e persino di test di positività/negatività al Covid non consentono di ritenere soddisfatta, allo stadio attuale di sviluppo dei vaccini antiCovid e delle evidenze scientifiche, la condizione, posta dalla Corte costituzionale, di legittimità di un vaccino obbligatorio solo se, tra l’altro, si prevede che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che è obbligato, salvo che per quelle sole conseguenze “che appaiano normali e, pertanto, tollerabili”;

b) l’art.1 della l. 217/2019, nella parte in cui non prevede l’espressa esclusione dalla sottoscrizione del consenso informato delle ipotesi di trattamenti sanitari obbligatori, e dell’art. 4, del d.l. n. 44/2021, nella parte in cui non esclude l’onere di sottoscrizione del consenso informato nel caso di vaccinazione obbligatoria, per contrasto con gli artt. 3 e 21 della Costituzione;

c) l’art. 4 comma 4, laddove prevede che l’inadempimento all’obbligo vaccinale comporta la sospensione dall’esercizio delle professioni sanitarie, per contrasto con i principi di ragionevolezza e di proporzionalità, di cui all’art. 3 della Costituzione, anche in riferimento alla violazione degli art. 1, 2, 4, 32 comma 1, 33, 35 comma 1 e 36 comma 1 della Costituzione;

- sospende il presente giudizio ai sensi dell’art. 79 comma 1 c.p.a.;

- dispone, a cura della Segreteria del C.G.A.R.S., l’immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;

- riserva la decisione in ordine alla domanda cautelare all’esito dell’incidente di costituzionalità e rinvia ogni ulteriore statuizione in rito, nel merito e sulle spese all’esito del giudizio incidentale promosso con la presente ordinanza.

Ordina che la presente ordinanza sia notificata, a cura della Segreteria del C.G.A.R.S., a tutte le parti in causa, e che sia comunicata al Presidente del Consiglio dei ministri, al Presidente del Senato della Repubblica ed al Presidente della Camera dei deputati.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui di cui all'art. 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e all'art. 9, paragrafi 1 e 4, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 e all’art. 2-septies del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, come modificato dal d.lgs. 10 agosto 2018, n. 101, manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del presente provvedimento, all'oscuramento delle generalità dell’appellante

Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 7 settembre 2022 con l'intervento dei magistrati:

Rosanna De Nictolis, Presidente

Carlo Modica de Mohac, Consigliere

Sara Raffaella Molinaro, Consigliere, Estensore

Giovanni Ardizzone, Consigliere

Antonino Caleca, Consigliere

 
 
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Sara Raffaella Molinaro Rosanna De Nictolis
 
 
 

IL SEGRETARIO

HomeSentenzeArticoliLegislazioneLinksRicercaScrivici