HomeSentenzeArticoliLegislazionePrivacyRicercaChi siamo
Consiglio di Stato, Sez. V, 26/8/2022 n. 7493
Sui presupposti oggettivi che devono sussistere per la Class action amministrativa per violazione degli standard qualitativi dei servizi

La class action amministrativa ai sensi del d.lgs. 20 dicembre 2009 n. 198, per violazione degli standard qualitativi presuppone la presenza di una definizione dei livelli qualitativi ed economici, che non siano semplicemente desumibili dalla natura e destinazione dei beni di cui si tratta, ma più, specificamente, "stabiliti, per i concessionari di servizi pubblici, dalle autorità preposte alla regolazione ed al controllo del settore", ossia, nel caso di specie, dall'Autorità di Regolazione dei Trasporti (ART).
La destinazione pubblica del servizio non è, infatti, un elemento sufficiente a definire i livelli qualitativi richiesti, atteso che l'azione collettiva non attribuisce la possibilità di agire in via generale avverso forme di inefficienza, ma necessita che i criteri di qualità siano chiaramente stabiliti dalle amministrazioni.

Materia: pubblica amministrazione / attività
Pubblicato il 26/08/2022

N. 07493/2022REG.PROV.COLL.

N. 10099/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 10099 del 2019, proposto da
Associazione Pendolari Piacenza e Confconsumatori APS, in persona dei rispettivi legali rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'avvocato Umberto Fantigrossi, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia;

contro

Grandi Stazioni Rail S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Fabrizio Giovanni Pollari Maglietta, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia;
Grandi Stazioni Retail S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Sonia Macchia, Stefano Vinti, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, Sezione Prima, n. 00956/2019, resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Grandi Stazioni Rail S.p.a. e di Grandi Stazioni Retail S.p.a.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza smaltimento del giorno 21 giugno 2022 il Cons. Annamaria Fasano e uditi per le parti gli avvocati Fantigrossi, Pollari Maglietta, Macchia, in collegamento da remoto;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1.In data 18 novembre 2014 l’Associazione Pendolari Piacenza e la Confederazione Generale dei Consumatori proponevano richiesta di accesso agli atti ex art. 22, l.241/90, relativamente alla documentazione detenuta da Grandi Stazioni Rail S.p.a., concessionaria, sugli impianti pubblicitari presenti in stazione, sui contratti di locazione a terzi e sulla dislocazione di spazi e/o di locali destinati e attrezzati per la sosta degli utenti del servizio ferroviario presso la stazione Centrale di Milano.

Sulla predetta istanza si formava il silenzio-rigetto.

In un primo momento le esponenti adivano la Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi, che dichiarava il ricorso inammissibile, e poi proponevano ricorso dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, che accoglieva l’istanza, disponendo l’accesso a tutti gli elaborati progettuali e grafici in possesso di Società Grandi Stazioni S.p.a..

Dall’analisi della documentazione le istanti ravvisavano l’assenza di un equo rapporto di proporzionalità fra spazi pubblici destinati al servizio ferroviario e spazi pubblici concessi per usi differenti dal primo, a danno dei viaggiatori e degli interessi di carattere generale.

2. In data 8 aprile 2016 l’Associazione Pendolari Piacenza e la Confconsumatori APS (già Confederazione Generale dei Consumatori) inviavano una segnalazione all’ Autorità di Regolazione dei Trasporti che si dichiarava incompetente, non ravvisando alcuna violazione del Regolamento CE 1371/2007, relativo ai diritti dei passeggeri nel trasporto ferroviario.

Pertanto esse adivano il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, ai sensi dell’art. 1 del d.lgs. n. 198/2009 (c.d. class action pubblica), nei confronti della società Grandi Stazioni Retail S.p.a., L’azione era finalizzata ad ottenere l’accertamento della “lesione diretta, concreta e attuale degli interessi degli associati utenti/pendolari per la violazione degli standard qualitativi stabiliti per la concessionaria di servizio pubblico per quanto concerne l’utilizzo degli spazi della Stazione di Milano Centrale” e ad ottenere la condanna della società “ad adeguare l’uso degli spazi in gestione nel pieno rispetto dell’interesse dell’utenza, e quindi ad aumentare le sale e/o spazi attrezzati per l’attesa dei viaggiatori in arrivo ed in partenza, in modo da raggiungere il giusto rapporto proporzionale fra destinazione pubblica e destinazione commerciale dei suddetti locali e a provvedere, altresì, a ripristinare il preesistente sistema d’informazione sugli orari dei treni in arrivo ed in partenza (tabelloni) o comunque a predisporne uno di corrispondente dimensione ed efficacia”.

In particolare, le ricorrenti deducevano che:

- i beni ferroviari attualmente affidati alla gestione della Grandi Stazioni Retail S.p.a. rientravano nella categoria di beni soggetti ad un vincolo di destinazione pubblica. da cui derivavano determinati standard qualitativi;

- Grandi Stazioni S.p.a. prima (e Grandi Stazioni Retail, dopo) avevano deciso illegittimamente di utilizzare la maggior parte degli spazi della stazione per inserire attività commerciali privatistiche (librerie, ristoranti, negozi di abbigliamento), invece di realizzare appositi spazi pubblici di attesa, gratuiti, per i pendolari;

- gli utenti più volte erano stati costretti ad aspettare i treni accalcati nei pochissimi spazi (o meglio, sedie di metallo) a loro destinati all’aria aperta e, quindi, esposti ai freddi invernali e ai caldi estivi.

Le ricorrenti rilevavano che dai mappali della Stazione era evidente una situazione di netta sproporzione tra le aree dedicate alle attività commerciali e quelle dedicate al servizio ferroviario, ovvero all’interesse pubblico. Il rapporto proporzionale fra posti riservati ai viaggiatori e numero di pendolari presenti ogni giorno in loco corrispondeva allo 0,03%.

Le ricorrenti si dolevano degli standard qualitativi insiti, ex lege, nella definizione stessa dei beni a destinazione pubblicistica, ravvisando una lesione diretta, concreta ed attuale degli interessi dei loro rappresentati, come conseguenza del comportamento posto in essere dal gestore.

3. Il Tribunale adito con la sentenza n. 956 del 2019 respingeva il ricorso. In particolare dichiarava infondata l’azione in ragione dell’assenza dei requisiti oggettivi richiesti ai fini della class action dalla legge, in quanto le icorrenti non avevano fornito alcuna indicazione specifica sugli standard qualitativi violati, facendo riferimento a generici livelli di qualità derivanti dalla destinazione pubblica del servizio, e non avevano neppure chiarito quali erano le disposizioni dell’Autorità preposta alla regolazione ed al controllo del settore contenti gli standard asseritamente violati dal gestore.

4. L’Associazione Pendolari Piacenza e la Confederazione Generale dei Consumatori hanno proposto appello avverso la suddetta decisione, lamentando: “Violazione e falsa applicazione dell’art. 1 de D.Lgs. n. 198/2009 e dell’art. 15 della Legge n. 210 del 1985; erroneità sui presupposti di fatto e di diritto”, in quanto l’interpretazione del Tribunale amministrativo sarebbe errata, emergendo con evidenza che l’azione era stata esercitata con riferimento agli standard qualitativi insiti, ex lege, nella definizione stessa di beni destinati al servizio ferroviario.

Le appellanti hanno altresì prospettato una questione di legittimità costituzionale dell’art. 1 del D. Lgs. 20 dicembre 2009, n. 198 per violazione degli artt. 3, 24 e 97 Cost., se interpretato in adesione a quanto affermato dal giudice di prime cure, non rinvenendo alcuna logica giustificazione del trattamento discriminato e meno favorevole di una situazione di disservizio e di danno ai cittadini- utenti del tutto equivalente, se non addirittura connotata di una maggiore gravità.

5. Si sono costituite in resistenza Grandi Stazioni S.p.A. e Grandi Stazioni Retail, chiedendo il rigetto dell’appello.

6. Le parti con successive memorie e repliche hanno articolato in maniera più approfondita le proprie difese.

7. All’udienza pubblica del 21 giugno 2022 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

8. Con l’unico motivo di gravame le appellanti censurano la sentenza impugnata denunciando:

Violazione e falsa applicazione dell’art. 1 d.lgs. n. 198/2009 e dell’art. 15 della legge n. 210 del 1985; erroneità sui presupposti di fatto e di diritto”.

A loro avviso i beni destinati a pubblico servizio non possono essere sottratti alla loro destinazione senza il consenso dell’ente. Il servizio ferroviario deve essere considerato un servizio pubblico e tale qualifica comporta e richiede che la gestione del servizio possa essere conformata (dalla legge o da provvedimenti amministrativi) anche nelle scelte di organizzazione e gestione in modo di soddisfare al meglio le esigenze della collettività. In particolare, è decisivo il risultato a cui deve tendere la gestione del servizio, che è rappresentato dalla qualità delle prestazioni rese agli utenti. Nel caso specifico la ‘qualità’ implicherebbe quanto meno la conservazione del rapporto di servizio tra il compendio immobiliare rappresentato dalla Stazione Ferroviaria e le esigenze minime dei viaggiatori, che comprendono la dotazione adeguata di spazi d’attesa dei treni e di altrettanto adeguati sistemi di informazione sugli orari di arrivo e partenza.

Si contestano le conclusioni raggiunte dal Tribunale, secondo cui gli utenti del servizio ferroviario non avrebbero alcun diritto a disporre di spazi per l’attesa, in assenza della definizione formale di specifici standard, nemmeno in presenza dei fenomeni di cancellazione delle corse e di ritardi che colpiscono, frequentemente, il servizio ferroviario e, particolarmente, quello locale.

Il Tribunale non avrebbe compreso che l’azione era stata esercitata con riferimento agli “standard qualitativi insiti ex lege nella definizione stessa di beni destinati al servizio ferroviario”; la funzione della stazione ferroviaria non potrebbe ridursi al mero transito degli utenti, specie in assenza dei caratteri di efficienza e di puntualità del servizio di trasporto pendolare, un servizio che costringe a lunghe soste, non solo in attesa delle coincidenze, ma, soprattutto, in occasione delle frequenti cancellazioni di singole corse, e dei ritardi che costituiscono, specie nel trasporto locale, evenienze frequenti. Sotto tale profilo la richiesta avanzata al giudice amministrativo sarebbe stata perfettamente conforme alla previsione dell’art. 1 del d.lgs. n. 198 del 2009, perché si domandava una correzione del comportamento dei soggetti attualmente responsabili della gestione degli spazi della Stazione centrale, per riallinearlo al vincolo di destinazione normativamente fissato (art. 15, comma 2, legge n. 210 del 1985). Diversamente opinando e cioè qualora nel caso di specie si ritenesse preclusa l’esperibilità dell’azione in materia di ricorso per l’efficienza delle amministrazioni e dei concessionari del servizio pubblico perché la corretta erogazione del servizio non è delineata da provvedimenti delle Autorità di regolazione, ma ricavabile direttamente dalla legge, diverrebbe rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1 del d. lgs. 20 dicembre 2009, n. 198, per evidente contrasto con gli art. 3, 24 e 97 della Costituzione, non rinvenendosi alcuna logica giustificazione del trattamento discriminato e meno favorevole di una situazione di disservizio e di danno ai cittadini- utenti del tutto equivalente, se non addirittura connotata di una maggiore gravità.

9. Le critiche sono infondate.

L’esame della questione impone l’illustrazione degli istituti di riferimento.

9.1. Le appellanti hanno introdotto nel presente giudizio una class action amministrativa ai sensi del d.lgs. 20 dicembre 2009 n. 198. La normativa consente ai titolari di interessi giuridicamente rilevanti ed omogenei, e ad una pluralità di utenti e consumatori, di agire in giudizio nei confronti delle pubbliche amministrazioni e dei concessionari di servizi pubblici, i quali nello svolgimento delle proprie attività, abbiano leso i loro interessi. La legittimazione all’azione si fonda dunque sull’impatto che ha l’attività amministrativa su beni della vita omogenei per una pluralità di soggetti.

L’azione pubblicistica viene posta in essere al fine di ripristinare i livelli di efficienza prestabiliti e il buon andamento della pubblica amministrazione, a vantaggio della generalità dei consociati. Presupposto soggettivo dell’azione è la presenza di una lesione diretta, concreta e attuale a “interessi giuridicamente rilevanti ed omogenei per una pluralità di utenti”.

Si può agire in giudizio contro la P.A. o i concessionari di pubblico servizio se il danno patito sia dovuto: a) alla violazione di standard qualitativi ed economici; b) alla violazione degli obblighi contenuti nelle Carte dei Servizi; c) all’omesso esercizio dei poteri di vigilanza, di controllo e sanzionatori; d) alla violazione dei termini; e) alla mancata emanazione di atti amministrativi.

9.2. Nella fattispecie le appellanti hanno agito in giudizio al fine di reprimere asserite forme di inadempimento degli standard qualitativi richiesti, lamentando che: 1) i beni ferroviari attualmente affidati alla gestione della Grandi Stazioni Retail S.p.a. rientrano nella categoria di beni soggetti ad un vincolo di destinazione pubblica, che non può essere integralmente soppresso dal gestore per ragioni commerciali e lucrative; 2) Grandi Stazioni S.p.a. prima (e Grandi Stazioni Retail dopo) ha scelto di utilizzare gli spazi della stazione quasi esclusivamente per inserirvi attività commerciali privatistiche (librerie, ristoranti, negozi di abbigliamento), invece di realizzare appositi spazi pubblici di attesa, gratuiti, per i pendolari; 3) i mappali della Stazione evidenziano una situazione di netta divergenza, in termini quantitativi, tra le aree dedicate alle attività commerciali e quelle dedicate al servizio ferroviario, ovverossia all’interesse pubblico (il rapporto proporzionale fra posti riservati ai viaggiatori e numero di pendolari presenti ogni giorno in loco corrisponderebbe allo 0,03%); 4) gli utenti si sarebbero trovati più volte ad aspettare i treni accalcati nei pochissimi spazi ( o meglio, sedie di metallo) a loro destinati, che peraltro sono completamente all’aria aperta e quindi esposti ai freddi invernali e ai caldi estivi.

9.3. Il Collegio ritiene che nel caso di specie non sussistano i presupposti oggettivi della class action pubblica, ai sensi del d.lgs.198/2009. L’azione per la violazione degli standard qualitativi presuppone la presenza di una definizione dei livelli qualitativi ed economici, che non siano semplicemente desumibili dalla natura e destinazione dei beni di cui si tratta, ma più, specificamente, “stabiliti, per i concessionari di servizi pubblici, dalle autorità preposte alla regolazione ed al controllo del settore”, ossia, nella fattispecie, dall’Autorità di Regolazione dei Trasporti (ART).

In difetto di una chiara indicazione degli standard qualitativi circa l’utilizzo degli spazi della Stazione di Milano Centrale, non è consentito individuare la violazione denunciata, atteso che non emerge dai fatti di causa che sussistano delle specifiche disposizioni dell’Autorità proposta alla regolazione ed al controllo.

L’invocata tutela dovrebbe essere, pertanto, attivata a monte, sollecitando il concessionario e/o il gestore alla redazione di Carte di servizi o alla emanazione di disposizioni, che definiscano per gli utenti della stazione i livelli qualitativi dei servizi, atteso che è fatto obbligo alle amministrazioni e ai concessionari di definire i parametri qualitativi nell’erogazione dei servizi pubblici, al fine di assicurare ai viaggiatori, utenti dei servizi ferroviari, il diritto al rispetto e all’osservanza degli standard fissati. Solo a seguito della precisa qualificazione dei livelli qualitativi ed economici è consentito azionare la tutela di siffatta situazione soggettiva, tramite il rimedio collettivo in considerazione, volto al ripristino della corretta erogazione del servizio.

Ciò in ragione della necessità di definire in via preventiva gli obblighi contenuti nelle Carte di servizi e gli standard qualitativi ed economici di cui all’art. 1, comma 1, del d.lgs. n. 198 cit. in genere, e di valutare l’impatto finanziario e amministrativo degli stessi nei rispettivi settori.

La destinazione pubblica del servizio non è un elemento sufficiente a definire i livelli qualitativi richiesti, atteso che l’azione collettiva non attribuisce la possibilità di agire in via generale avverso forme di inefficienza, ma necessita che i criteri di qualità siano chiaramente stabiliti dalle amministrazioni.

Invero, l’articolo 37 del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, che ha istituito, nell'ambito delle attività di regolazione dei servizi di pubblica utilità di cui alla legge 14 novembre 1995, n. 481, l’Autorità di regolazione dei trasporti, prevede, al comma 2, lettera d) che la stessa provveda “a stabilire le condizioni minime di qualità dei servizi di trasporto nazionali e locali connotati da oneri di servizio pubblico, individuate secondo caratteristiche territoriali di domanda e offerta”.

Le appellanti, allora, avrebbero potuto agire nei confronti dell’amministrazione e/o nei confronti del concessionario, al fine di ottenere l’emanazione di provvedimenti per la fissazione dei livelli qualitativi dei servizi che gli utenti hanno diritto di usufruire nelle stazioni ferroviarie. In tal caso, l’azione collettiva pubblica avrebbe avuto la funzione di accertamento con finalità propulsive rispetto alla mancata adozione di atti specificamente indicati nell’art. 1 del d.lgs. n. 198 citato. L’art. 1, comma 1, d.lgs. n. 198 del 2009, consente, infatti, la proponibilità dell’azione per “la mancata emanazione di atti amministrativi generali obbligatori e non aventi contenuto normativo da emanarsi obbligatoriamente entro e non oltre un termine fissato da una legge o da un provvedimento”.

10. Alla luce delle osservazioni svolte non è apprezzabile la prospettata questione di legittimità costituzionale dell’art.1, d. lgs. 20 dicembre 2009 n.198, stante la genericità delle deduzioni e la sostanziale correttezza dell’interpretazione della fattispecie offerta dal Tribunale in conformità con la finalità della legge.

11. In definitiva l’appello va respinto. Tenuto conto delle ragioni della decisione e della peculiarità degli interessi coinvolti, le spese di lite del grado vanno interamente compensate tra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando, respinge l’appello, come in epigrafe proposto.

Compensa integralmente tra le parti le spese di lite del grado.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 giugno 2022, tenuta da remoto ai sensi dell’art. 17, comma 6, del d.l. 9 giugno 2021, n. 80, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2021, n. 113, con l'intervento dei magistrati:

Carlo Saltelli, Presidente

Federico Di Matteo, Consigliere

Elena Quadri, Consigliere

Giorgio Manca, Consigliere

Annamaria Fasano, Consigliere, Estensore

 
 
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Annamaria Fasano Carlo Saltelli
 
 
 
 
 

IL SEGRETARIO


HomeSentenzeArticoliLegislazioneLinksRicercaScrivici