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TAR Lazio, Sez. III ter, 17/10/2022 n. 13186
Le in house seguono la disciplina delle società di diritto privato e non quella, di diritto pubblico

L'art. 1 c. 3 D.lgs 175/2016 ha chiarito come alle società a partecipazione pubblica, ivi comprese le in house, si applichi, in via generale, la disciplina comune di diritto privato. Pertanto, in assenza di deroghe espresse, le in house seguono la disciplina delle società di diritto privato e non quella, di diritto pubblico, relativa agli enti controllanti.
Si consideri, altresì, che il combinato disposto degli artt. 192 e 5 c. 1 lett. b) e c) del D.lgs 50/2016, qualifica le società in house come enti collettivi che possono realizzare fino a quasi un quinto del proprio fatturato operando sul libero mercato, anziché nei confronti dell'ente pubblico controllante. Inoltre, le disposizioni citate, permettono "forme di partecipazione di capitali privati" al patrimonio delle ridette in house. Disposizioni che rimarcano la differenza e l'autonomia operativa, entro certi margini, delle società in discorso rispetto agli enti pubblici controllanti.
Pertanto non può darsi spazio a un'interpretazione dell'art. 22 bis della L. 164/2014.che assimili gli enti locali alle società in house nel trattamento derogatorio ivi previsto ed espressamente riservato dal legislatore, tra i molteplici tipi di pubbliche amministrazioni, esclusivamente alle scuole e agli enti locali.
D'altra parte, ai sensi dell'art. 14 delle Disposizioni sulla legge in generale approvate preliminarmente al Codice civile, le leggi "che fanno eccezione a regole generali o ad altre leggi non si applicano oltre i casi e i tempi in esse considerati".
Né la mancata assimilazione effettuata dal legislatore appare viziata da irragionevolezza, stante la notevole ontologica differenza esistente tra un ente locale territoriale (o una scuola) e una società di diritto privato, ancorché qualificabile, ai fini della disciplina degli appalti, quale società in house. Per cui nessuna questione di legittimità costituzionale può essere sollevata con riguardo al ridetto art. 22 bis cit.

Materia: società / partecipazione pubblica
Pubblicato il 17/10/2022

N. 13186/2022 REG.PROV.COLL.

N. 16307/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Terza Ter)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 16307 del 2014, proposto da Soc. Soelia Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Cesare Mainardis, Cristina Martorana, Eugenio Tranchino, con domicilio eletto presso lo studio Elvezio Santarelli in Roma, piazza Navona, 49;

contro

GSE - Gestore dei Servizi Energetici Spa, non costituito in giudizio; Ministero dello Sviluppo Economico, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l'annullamento

del D.M. 16 ottobre 2014, recante Approvazione delle modalità operative per l’erogazione da parte del Gestore Servizi Energetici s.p.a. delle tariffe incentivanti per l’energia elettrica prodotta da impianti fotovoltaici in attuazione dell’articolo 26, comma 2, del decreto legge 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 116;- del D.M. 17 ottobre 2014, recante Modalità per la rimodulazione delle tariffe incentivanti per l’energia elettrica prodotta da impianti fotovoltaici, in attuazione dell’articolo 26, comma 3, lett. b), del Decreto legge 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 116;- della nota pubblicata dal GSE sul proprio sito istituzionale il 27.10.2014, con cui sono state rese disponibili le tabelle dei fattori moltiplicativi da applicare per il calcolo dell’incentivo rimodulato;- delle istruzioni operative adottate dal GSE ai sensi dell’art. 26, commi 2 e 3, D.L. n. 91/2014, pubblicate sul sito istituzionale il 3.11.2014;- di ogni altro atto presupposto, connesso e consequenziale, tra cui, ove occorrente, l’addendum alla convenzione originaria;

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dello Sviluppo Economico;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 ottobre 2022 il dott. Fabio Belfiori e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Con il ricorso introduttivo la società ricorrente, esercente un impianto fotovoltaico, è insorta avverso quanto previsto dal D.L. 91/2014, dai relativi decreti ministeriali di attuazione e avverso gli atti esecutivi di tali disposizioni adottati dal G.S.E.

Va premesso che la ricorrente aveva stipulato con il Gestore una convenzione pluriennale per il riconoscimento della tariffa incentivante per l'energia elettrica prodotta da conversione fotovoltaica.

Una volta ammessa al beneficio e in costanza del rapporto di incentivazione, il Decreto legge n. 91 del 2014, convertito dalla legge n. 116 del 2014, ha previsto, all'art. 26, comma 3 che, a decorrere dal l° gennaio 2015, la tariffa incentivante per l'energia prodotta dagli impianti di potenza nominale superiore a 200 kW fosse rimodulata secondo percentuali di riduzione prestabilite ed erogata per un periodo di 24 anni dall'entrata in esercizio degli impianti anziché per i 20 anni già stabiliti nella convenzione, salvo che i titolari dell'impianto non avessero optato per una riduzione dell'8 per cento dell'incentivo in atto, per la durata residua del periodo di incentivazione.

La società il 18 dicembre 2014 ha, quindi, notificato gravame, depositato il 22 dicembre 2014, articolato in 11 motivi di diritto.

Con i primi cinque motivi è stato chiesto l’annullamento dei Decreti del Ministero per lo Sviluppo economico del 14 e 16 ottobre 2014, degli atti conseguenti del Gestore, previa disapplicazione della normativa primaria richiamata. È stato, inoltre, domandato proporsi incidente di costituzionalità della stessa, nonché dedotta la violazione del principio del legittimo affidamento.

In particolare, con il terzo motivo si deduceva violazione di legge, per essere asseritamente la ricorrente un ente pubblico assimilabile a un ente locale, quindi, si affermava, beneficiario della deroga alla rimodulazione prevista dall’art. 22 bis L. 164/2014.

Nell’ambito di tale motivo (punto 3.7.2 del ricorso), in via subordinata, si affermava l’illegittimità costituzionale di quest’ultima norma di legge, nella parte in cui non estende la deroga alla rimodulazione anche agli organismi di diritto pubblico, quale è la ricorrente e quindi, in via derivata, l’illegittimità degli atti amministrativi impugnati.

Il sesto motivo criticava i decreti ministeriali sopra riportati, per aver disatteso la normativa statale nel procedimento delineato; con il settimo motivo è stata, invece, dedotta la diretta violazione dell’art. 26 D.L. 91/2014; con l’ottavo motivo si contestava la rimodulazione effettuata oltre il 2019; con il nono motivo si lamentava la determinazione tabellare della producibilità media degli impianti; con il decimo motivo si allegava la nullità per carenza di potere degli atti del Gestore; con l’undicesimo motivo si deduceva violazione dei diritti procedimentali della ricorrente.

Il 14 gennaio 2016 si costituiva per resistere il Ministero per lo Sviluppo economico.

Con ordinanza n. 1660/2020, ai sensi dell’art. 267 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea, la Sezione ha rimesso alla Corte di giustizia dell’Unione europea questione pregiudiziale inerente la compatibilità del diritto eurounitario con la suesposta normativa nazionale, sospendendo il giudizio fino alla definizione della questione sottoposta.

L’11 aprile 2022 è stata depositata istanza di fissazione udienza per la prosecuzione del processo, ai sensi dell’art. 80 c.p.a., essendo nel frattempo intervenuta la decisione della Corte di Giustizia (ordinanza della CGUE dell’1.3.2022 emessa nelle cause riunite C-306/19, C-512/19, C-595/19 e da C-608/20 a C-611/20).

Il 2 settembre 2022 la ricorrente ha depositato memoria affermando che “L’unico Motivo di ricorso - rinunciato espressamente a tutti gli altri - su cui dunque si insiste è quello di cui al punto 3.7 del Ricorso originario”.

In relazione a tale tema, con la memoria, richiamando quanto già versato in atti, la società “si rimette al Collegio quanto alla possibilità di interpretare estensivamente la disposizione legislativa in esame, intendendo ricompresa nella espressione “enti locali” la categoria delle società interamente partecipate da Enti Locali, qualificabili come società in house ecc. e procedere così all’annullamento degli atti impugnati ed indicati analiticamente nel ricorso originario”. Alternativamente, chiede sollevarsi questione di legittimità costituzionale dell’art. 22 bis sopra citato, per le ragioni sopra viste (punto 3.7.2. del ricorso introduttivo).

All’udienza del 5 ottobre 2022 il ricorso è stato posto in decisione.

Il ricorso non merita accoglimento per le ragioni che seguono.

Considerata l’espressa rinuncia a tutti i motivi di ricorso, fuorché a quello sopra richiamato, il Collegio limita a questo il suo esame.

Il motivo è privo di pregio, nella misura in cui propone una inammissibile estensione della deroga ex art. 22 bis cit. prevista per gli enti locali, alle società in house. In disparte ogni valutazione sulla effettiva riconducibilità della ricorrente a tale categoria, va rilevato che tale nozione, come noto a partire dalla sentenza Teckal della Corte di Giustizia dell’Unione europea (Causa C-107/98 del 18 novembre 1999), ha avuto origine, genesi e rilievo nell’ambito della qui non rilevante disciplina degli appalti pubblici.

Va, anche, rilevato che l’art. 1 c. 3 D.lgs 175/2016 (“Per tutto quanto non derogato dalle disposizioni del presente decreto, si applicano alle società a partecipazione pubblica le norme sulle società contenute nel codice civile e le norme generali di diritto privato”; disposizione che ripropone quanto già stabilito in precedenza dall’art. 4, c. 13, D.L. n. 95 del 2012, conv., con modif., dalla L. n. 135 del 2012) ha chiarito come alle società a partecipazione pubblica, ivi comprese le in house, si applichi, in via generale, la disciplina comune di diritto privato. Pertanto, in assenza di deroghe espresse, le in house seguono la disciplina delle società di diritto privato e non quella, di diritto pubblico, relativa agli enti controllanti.

Va, altresì, tenuto in considerazione che il combinato disposto degli artt. 192 e 5 c. 1 lett. b) e c) del D.lgs 50/2016, qualifica le società in house come enti collettivi che possono realizzare fino a quasi un quinto del proprio fatturato operando sul libero mercato, anziché nei confronti dell’ente pubblico controllante. Inoltre, le disposizioni citate, permettono “forme di partecipazione di capitali privati” al patrimonio delle ridette in house. Disposizioni che rimarcano la differenza e l’autonomia operativa, entro certi margini, delle società in discorso rispetto agli enti pubblici controllanti.

Pertanto non può darsi spazio a un’interpretazione del citato art. 22 bis cit. che assimili gli enti locali alle società in house nel trattamento derogatorio ivi previsto ed espressamente riservato dal legislatore, tra i molteplici tipi di pubbliche amministrazioni, esclusivamente alle scuole e agli enti locali.

D’altra parte, ai sensi dell’art. 14 delle Disposizioni sulla legge in generale approvate preliminarmente al Codice civile, le leggi “che fanno eccezione a regole generali o ad altre leggi non si applicano oltre i casi e i tempi in esse considerati”.

Né la mancata assimilazione effettuata dal legislatore appare viziata da irragionevolezza, stante la notevole ontologica differenza esistente tra un ente locale territoriale (o una scuola) e una società di diritto privato, ancorché qualificabile, ai fini della disciplina degli appalti, quale società in house. Per cui nessuna questione di legittimità costituzionale può essere sollevata con riguardo al ridetto art. 22 bis cit.

Alla luce delle esposte considerazioni, il ricorso va respinto.

Le spese possono essere compensate per la particolarità della vicenda e la ridotta attività difensiva di parte resistente costituita.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza Ter), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 5 ottobre 2022 con l'intervento dei magistrati:

Elena Stanizzi, Presidente

Paola Patatini, Consigliere

Fabio Belfiori, Referendario, Estensore

 
 
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Fabio Belfiori Elena Stanizzi
 
 
 
 
 

IL SEGRETARIO


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