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Consiglio di Stato, Sez. VII, 28/10/2022 n. 9328
La sottoposizione ai principi di evidenza pubblica trova il suo presupposto sufficiente nella circostanza che con la concessione di area demaniale marittima si fornisce un'occasione di guadagno a soggetti operanti sul mercato.

Materia: concessioni / disciplina
Pubblicato il 28/10/2022

N. 09328/2022REG.PROV.COLL.

N. 09566/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Settima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9566 del 2020, proposto dalla
Porto di Lavagna S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Stefano Zunarelli, Andrea Giardini, Vincenzo Cellamare, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Vincenzo Cellamare in Roma, piazza dei Santi Apostoli 66;

contro

la Regione Liguria, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Leonardo Castagnoli, Marina Crovetto, Valerio Tallini, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, il Ministero per i Beni e Le Attività Culturali e per il Turismo, il Comando Provinciale Vigili del Fuoco di Genova, l’Agenzia del Demanio, la Capitaneria di Porto di Genova, l’Agenzia delle Dogane - Direzione Interregionale per la Liguria il Piemonte e La Valle D'Aosta – Sed., l’Agenzia del Demanio - Filiale Liguria, il Provveditorato Interregionale Opere Pubbliche Piemonte Valle D'Aosta Liguria - Sede di Genova, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Il Comune di Lavagna, la Città Metropolitana di Genova, l’Azienda Sanitaria Locale 4 Chiavarese, la Ireti S.p.A., l’Agenzia Regionale per la Protezione dell'Ambiente Ligure, non costituiti in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria n. 133/2020, resa tra le parti


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Liguria, del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, del Ministero per i Beni e Le Attivita' Culturali e per il Turismo, del Comando Provinciale Vigili del Fuoco di Genova, dell’Agenzia del Demanio, della Capitaneria di Porto di Genova, dell’Agenzia delle Dogane - Direzione Interregionale per la Liguria il Piemonte e La Valle D'Aosta – Sed, dell’Agenzia del Demanio - Filiale Liguria e del Provveditorato Interregionale Opere Pubbliche Piemonte Valle D'Aosta Liguria - Sede di Genova;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 ottobre 2022 il Cons. Maurizio Antonio Pasquale Francola e uditi per le parti gli avvocati Stefano Zunarelli per la società appellante e Valerio Tallini per la Regione Liguria appellata;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con il ricorso introduttivo di primo grado, l’appellante domandava al T.A.R. Liguria l’annullamento, oltre che degli atti prodromici espressamente indicati, anche e soprattutto, del provvedimento con il quale il Comune di Lavagna, in data 29 settembre 2017, adottava la determinazione di conclusione negativa ai sensi dell’art.14 quater l. n.241/1990 della Conferenza di Servizi indetta per la decisione sulla proroga della concessione demaniale richiesta al fine di realizzare nuovi interventi strutturali sull’area di interesse.

L’appellante lamentava l’illegittimità dell’impugnata decisione, oltre che degli atti presupposti, per i seguenti motivi:

1. – falsa ed erronea applicazione dell’art.10 D.P.R. n.509/1997, dell’art.37 cod. nav., violazione dell’art.3 Cost., omessa o insufficiente motivazione – poiché: 1.1) la richiamata normativa sarebbe ancora in auge, non essendo stata abrogata da altra norma nazionale, né superata dagli effetti della Direttiva 2006/123/CE in quanto concernenti servizi nel mercato interno ai quali non sarebbero riconducibili le concessioni di beni demaniali marittimi; 1.2) sussisterebbero i presupposti previsti per la concessione della chiesta proroga; 1.3.) il gestore del vicino porto turistico di Rapallo (GE) avrebbe ottenuto la proroga della concessione proprio in virtù della richiamata disposizione normativa, a riprova della sua concreta operatività ed applicabilità; 1.4) la Regione Liguria ed il Comune di Lavagna, negando il rilascio del chiesto provvedimento sull’erroneo convincimento secondo cui la proroga dell’attuale concessione demaniale sarebbe in contrasto con il reale interesse pubblico dell’Amministrazione identificabile con l’esigenza di evitare il danno erariale scaturente dall’impossibilità di applicare al concessionario in proroga i maggiori canoni previsti dalla Legge Finanziaria 2007 in relazione alle pertinenze commerciali, avrebbero violato anche l’art.37 cod. nav., non potendosi identificare come pubblico il mero interesse economico dichiaratamente perseguito dalle predette Autorità nella prospettiva di voler garantire l’applicazione della più favorevole disciplina, nelle more sopravvenuta, per le casse regionali e comunali; 1.5) il provvedimento impugnato non sarebbe motivato sul piano del preminente interesse pubblico contrario alla concessione della chiesta proroga, non essendo stato, peraltro, in modo alcuno contemperato l’interesse economico del richiedente;

2. – violazione dell’art.41 Cost., dell’art.97 Cost. dell’art.24 Cost. ed eccesso di potere per violazione dei principi di ragionevolezza, buon andamento, imparzialità e parità di trattamento – poiché: 2.1) l’omessa proroga non consentirebbe all’appellante di recuperare l’investimento già effettuato o da effettuarsi per la realizzazione delle opere indicate e preannunciate, con conseguente compromissione dell’equilibrio economico-finanziario della concessione; 2.2) l’omessa proroga sarebbe indicativa di una condotta illegittima in quanto viziata da eccesso di potere per disparità di trattamento, essendo contraria alla prassi amministrativa sin lì seguita favorevole alla prosecuzione del rapporto con i concessionari di beni del demanio marittimo a fronte di ulteriori investimenti programmati o realizzati nell’ottica di garantire interventi strategici per il bene pubblico e per il territorio; 2.3) il riferimento alla sentenza n.91/2017 del T.A.R. Liguria non sarebbe pertinente, poiché il potere discrezionale dell’Amministrazione soggiacerebbe, comunque, al rispetto dei principi di buon andamento e ragionevolezza che avrebbero giustificato la concessione della chiesta proroga ai sensi dell’art.10 co.3 D.P.R. n.509/1997; 2.4) irrilevante sarebbe, inoltre, il richiamo ai contenziosi intercorrenti tra le parti in causa, in ragione dalla non condivisibile prospettazione di un contrasto con l’interesse pubblico perseguito dal Comune di Lavagna del diritto di difesa esercitato dall’appellante nella qualità di concessionaria;

3. – violazione del legittimo affidamento ed erroneità e falsità dei presupposti in ordine alla compatibilità dell’art.10 co.3 D.P.R. n.509/1997 con i principi in tema di concorrenza – poiché le molteplici riunioni istituzionali finalizzate alla conclusione di un accordo di programma (poi non stipulato) e la sottoscrizione del Protocollo d’intesa del 12 dicembre 2007 avevano ingenerato nell’appellante il legittimo affidamento in ordine alla prosecuzione della concessione, inducendolo ad investire in opere non assimilabili ad attività di mera manutenzione, anche a fronte della proroga disposta nel vicino porto di Rapallo;

4. – erronea a falsa applicazione dell’art.10 co.3 D.P.R. n.509/1997 sotto altro profilo, contrasto con il pubblico interesse, assenza o illogicità della motivazione – poiché: 4.1) gli Enti interessati dalla richiesta di proroga avrebbero erroneamente considerato gli interventi eseguiti e programmati dall’appellante come attività di manutenzione straordinaria; 4.2) la funzionalità degli interventi in relazione alla garanzia di una maggiore redditività dell’attività svolta dal concessionario sarebbe del tutto compatibile con l’interesse pubblico in ragione del quale è stata rilasciata la concessione; 4.3) il Comune si sarebbe obbligato al riconoscimento della proroga a fronte dei maggiori investimenti preannunciati dall’appellante; 4.4) non pertinenti, infine, sarebbero i richiami del Comune, nella motivazione del provvedimento impugnato, alle “numerose sentenze del Tribunale Civile (Tribunale di Chiavari in data 10/10/2003, Tribunale di Genova 16/05/2005”, in quanto non vincolanti nei confronti dell’appellante;

5. – Contraddittorietà ed illogicità dell’agire amministrativo sotto altro profilo, violazione e falsa applicazione dell’art.10 co.3 D.P.R. n.509/1997, eccesso di potere sotto altri profili – poiché l’Amministrazione sarebbe incorsa in errore nel ritenere che gli interventi eseguiti e preventivati fossero prevedibili sin dal tempo del subentro dell’appellante nel rapporto concessorio, posto che, oltre al completamento dei lavori previsti nella concessione e richiesti dalla Capitaneria, erano stati eseguiti ulteriori investimenti di carattere innovativo, consistenti nel rifacimento completo della diga foranea, in quanto necessari per assicurare la piena efficienza all’approdo, anche in relazione al problema della c.d. tracimazione;

6. – Violazione e falsa applicazione dell’art.10 co.3 D.P.R. n.509/1997, contraddittorietà ed eccesso di potere sotto altri profili – poiché: 6.1) anche il rifacimento integrale dei pontili, effettuato dal 2001-2002 ed all’epoca ancora in corso, non era prevista nella concessione originaria del 1974 in cui l’appellante era subentrata e non poteva, quindi, considerarsi neanche prevedibile, né qualificabile come manutenzione straordinaria, se si considera il costo complessivo dell’intervento pari ad € 10.183.744,35 oltre I.V.A.; 6.2) inoltre, sarebbe contraddittoria la motivazione del provvedimento impugnato nella parte in cui esprime condivisione in ordine all’effettiva rispondenza, completezza ed idoneità delle opere eseguite per poi negare la chiesta proroga;

7. – Violazione e falsa applicazione dell’art.10 co.3 D.P.R. n.509/1997, contraddittorietà ed eccesso di potere sotto altri profili – poiché: 7.1) l’Amministrazione avrebbe erroneamente ritenuto un’opportunità anziché una necessità la proposta di proroga implicante un intervento pienamente rispondente al superiore interesse pubblico connesso all’uso dei beni demaniali marittimi, tenuto conto, peraltro, del notevole importo dei lavori di riorganizzazione delle vasche di alaggio e varo propedeutici ad aumentare la capacità di accoglienza della struttura in favore di unità da diporto di dimensioni maggiori; 7.2) la decisione controversa sarebbe in contrasto con il parere della Capitaneria di porto espresso il 27 luglio 2017, secondo cui gli interventi proposti dovevano ritenersi necessari per la sicurezza dell’intera struttura.

8. – In via subordinata, qualora i provvedimenti impugnati non fossero ritenuti illegittimi per i motivi dedotti, l’appellante domandava la condanna delle Amministrazioni intimate al pagamento di una somma a titolo di indennizzo, previa rimessione alla Corte Costituzionale della questione di legittimità dell’art.49 cod. nav. per contrasto con gli artt. 3 e 41 Cost. qualora la richiamata disposizione codicistica fosse interpretata in senso ostativo al riconoscimento di qualsivoglia compenso o rimborso in favore del concessionario per le opere non amovibili acquisite dallo Stato.

La Regione Liguria, il Comune di Lavagna ed il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti si opponevano all’accoglimento del ricorso.

Con sentenza n.133/2020 pubblicata il 18 febbraio 2020 e non notificata da nessuna delle parti in causa, il T.A.R. Liguria, sezione prima, rigettava il ricorso, compensando le spese processuali, poiché:

1) in relazione ai primi due motivi, non sussisterebbe la violazione dell’art.10 co.3 D.P.R. n.509/1997, riconoscendo la norma all’Amministrazione un potere discrezionale e non vincolato alla concessione della proroga; 1.2) inoltre, la proroga costituirebbe un atto eccezionale poiché in contrasto con la disciplina europea statuente l’obbligo di indire una gara per l’affidamento della concessione; 1.3) erroneo sarebbe, poi, il riferimento all’art.37 cod. nav., disciplinante il caso della presentazione di più domande di concessione e non quello diverso della chiesta proroga; 1.4) l’art.10 co.3 D.P.R. n.509/1997 concepirebbe la proroga nell’ottica di favorire non tanto gli interessi economici del concessionario, quanto quelli pubblici dell’Amministrazione competente, non essendo un espediente idoneo a consentire l’ammortamento dei costi sostenuti dal concessionario per le opere di manutenzione e le innovazioni; 1.5) nessuna violazione, dunque, si configurerebbe in relazione all’art.41 Cost.; 1.6) non sarebbe, quindi, illegittima la motivazione nella parte in cui considera i vantaggi legati ad una differente regolamentazione dei canoni concessori e contempera gli interessi coinvolti nell’ottica della più proficua utilizzazione del bene demaniale; 1.7) la prospettiva di una gara, infatti, è strumentale alla scelta del miglior contraente possibile per l’Amministrazione, con tutti i vantaggi conseguenti e quindi la motivazione del provvedimento impugnato non sarebbe illogica; 1.8) non rileverebbe, poi, il paragone con il porto di Rapallo, trattandosi di una fattispecie concernente un’Amministrazione diversa da quella direttamente parte in causa; 1.9) il riferimento, poi, ai pregressi contenziosi indicati nella motivazione dell’impugnato provvedimento non rileverebbe ai fini del decidere, poiché il provvedimento contestato si fonda anche su altre argomentazioni non illegittime;

2) il terzo motivo sarebbe privo di fondamento, considerato che: 2.1) né l’accordo di programma (peraltro neanche concluso), né il Protocollo d’intesa del 2007, né la condivisione dell’iter amministrativo indicato dal Ministero per le Infrastrutture ed i Trasporti costituirebbero atti idonei ad ingenerare un legittimo affidamento in ordine alla proroga della concessione demaniale; 2.2) la proroga del rapporto decretata con riguardo al limitrofo porto di Rapallo costituirebbe, poi, circostanza non rilevante ai fini del decidere, in quanto atto concernente un territorio differente ed imputabile ad un’Autorità Amministrativa differente;

3) gli altri quattro motivi, congiuntamente esaminati in quanto afferenti alla corretta interpretazione ed applicazione dei presupposti di cui all’art.10 co.3 D.P.R. n.509/1997, sarebbero destituiti di fondamento, considerato che:

3.1) la richiamata normativa consentirebbe la proroga se satisfattiva dei preminenti interessi pubblici perseguiti dall’Amministrazione; 3.2) non sarebbe possibile valorizzare le opere relative alla diga foranea per il prolungamento della durata della concessione perché già concluse al momento dell’adozione del provvedimento impugnato e, comunque, prima della scadenza della concessione stessa, non venendo, quindi, in rilievo alcun nuovo intervento rispetto al quale la proroga sarebbe funzionale; 3.3) i lavori inerenti ai pontili costituirebbero opere previste in corso di rapporto, tanto che parte ricorrente ne ha confermato l’inizio nel 2001-2002, senza, però, dimostrarne le ragioni a lei non imputabili ostative al completamento entro il termine di scadenza della concessione; 3.4) peraltro, il piano economico-finanziario per gli anni 2000-2024 prevedeva già il necessario intervento sui pontili in un arco di tempo più che ventennale, donde la ragione per la quale le opere in questione e quelle relative alla darsena non sono state considerate nuove ed imprevedibili, come, invece, richiesto dall’art.10 co.3 D.P.R. n.509/1997; 3.5) l’Amministrazione ha, dunque, correttamente qualificato gli interventi in esame quali opere previste e non quali nuovi interventi; 3.6) non è, poi, illogica la motivazione del provvedimento impugnato nella parte in cui non riconosce la necessità degli interventi eseguiti sulle vasche di alaggio e quindi l’inidoneità degli stessi ad integrare i presupposti dell’art.10 co.3 D.P.R. n.509/1997, posto che le nozioni di adeguamento delle strutture portuali e mantenimento della loro funzionalità richiamate nella norma menzionata qualificano in senso conservativo l’intervento rilevante per la concessione della proroga, rievocando una nozione di opera quale attività edile propedeutica ad adeguare la struttura alla mutata realtà tecnica e giuridica esistente al momento della cessazione del rapporto concessorio; 3.7) le vasche di alaggio, sebbene idonee a favorire uno sviluppo dell’area sul piano dello sfruttamento economico per il concessionario, non integrano, dunque, la nozione di opera necessaria né per l’adeguamento delle strutture portuali, né per il mantenimento in funzione delle stesse;

4) anche l’ottavo motivo sarebbe infondato, in quanto: 4.1) le censure di incostituzionalità dedotte in relazione all’art.49 cod. nav. non supererebbero il vaglio della non manifesta infondatezza, non essendo esclusa la possibilità per il concessionario di ottenere il rimborso o un compenso per le opere non amovibili realizzate sul bene demaniale, limitandosi la norma in esame a rimettere all’autonomia privata e, quindi, alla contrattazione tra le parti l’inserimento o meno di una specifica pattuizione nella concessione; 4.2) l’art.2041 c.c. non sarebbe, poi, applicabile in quanto norma residuale superata dalla speciale disciplina contemplata dall’art.49 cod. nav.

Con appello notificato il 12 novembre 2020 e depositato in segreteria il 9 dicembre 2020, l’appellante domandava la riforma della predetta sentenza con conseguente annullamento degli atti impugnati per i medesimi motivi già dedotti in primo grado.

Si costituiva la Regione Liguria, opponendosi all’accoglimento dell’appello in quanto inammissibile ed infondato.

Anche il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, il Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo, l’Agenzia delle Dogane e l’Agenzia del Demanio si costituivano, sebbene con memoria di mero stile.

L’appellante depositava delle memorie conclusive.

All’udienza pubblica del 4 ottobre 2022, il Consiglio di Stato, dopo avere udito i procuratori delle parti costituite presenti come da verbale in atti, tratteneva l’appello in decisione.

DIRITTO

1. Con il primo motivo di appello si lamenta l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui ha dichiarato infondati i primi due motivi di ricorso poiché la discrezionalità di cui all’art.10 co.3 D.P.R. n.509/1997, quand’anche configurabile, sarebbe tutt’al più di tipo tecnico e non di natura amministrativa, dovendosi, dunque, ritenere il rilascio della proroga dipendente dall’esercizio di un potere sostanzialmente vincolato.

L’Amministrazione, infatti, avrebbe potuto rigettare la richiesta di proroga in esame soltanto giudicando non necessarie le opere realizzate e progettate dalla ricorrente ai fini dell’adeguamento strutturale o del mantenimento della funzionalità del porto turistico, senza considerare, peraltro, che la Capitaneria di Porto di Genova si era già espressa in favore della necessità dei predetti interventi. Né, inoltre, potrebbe ritenersi la proroga un atto di natura eccezionale, come sostenuto dal giudice di primo grado, costituendo, infatti, un atto propedeutico a garantire l’equilibrio economico-finanziario caratterizzante il rapporto tra l’Amministrazione ed il titolare di una concessione demaniale.

La motivazione, quindi, dell’impugnato provvedimento amministrativo sarebbe incongrua ed incompleta.

Il T.A.R. avrebbe, poi, erroneamente ritenuto la proroga di cui all’art.10 co.3 D.P.R. n.509/1997 preordinata a soddisfare gli interessi pubblici dell’Amministrazione e non anche quelli economici del concessionario, rientrando, infatti, tra i primi anche il migliore sfruttamento del bene demaniale proposto e prospettato dall’appellante ed in modo alcuno considerato nel provvedimento impugnato.

Inoltre, l’interpretazione dell’art.10 co.3 D.P.R. n.509/1997 seguita dal T.A.R. non considererebbe quanto previsto in generale dall’art.165 D.Lgs. n.50/2016 in relazione all’equilibrio economico-finanziario della concessione. Donde, l’insufficienza e contraddittorietà della decisione del giudice di primo grado e dell’impugnato provvedimento non annullato.

L’erronea interpretazione della norma in esame enunciata dal T.A.R. si coglierebbe, poi, anche in relazione all’art.37 cod. nav., non considerando che l’unico criterio ivi indicato per la valutazione di un’istanza di rilascio o di proroga di una concessione sarebbe soltanto la garanzia di proficua utilizzazione della concessione stessa.

Il T.A.R., inoltre, avrebbe erroneamente valutato anche il richiamo all’art.41 Cost., poiché l’omessa proroga precluderebbe alla concessionaria la possibilità di recuperare gli investimenti effettuati o da effettuare, così pregiudicando il rispetto dei principi concorrenziali e la parità di trattamento, stante la contrarietà della decisione contestata con la prassi amministrativa seguita in altre realtà portuali (in tal senso deponendo anche la sentenza n. 6472/2020 del Consiglio di Stato).

Il T.A.R., quindi, avrebbe erroneamente ritenuto soltanto indirettamente tutelato l’interesse del concessionario alla prosecuzione del rapporto, poiché secondo quanto affermato dal Consiglio di Stato “l’atto di concessione demaniale marittima affida la res a soggetti particolari (c.d. uso particolare) ma non per loro uso esclusivo bensì ai fini di un uso stimato convergente con l’interesse pubblico e a questi scopi il concessionario realizza investimenti e sostiene costi in vista di un’utilizzazione prefigurata per un tempo nel quale egli può ammortizzare e portare a utilità economica i costi medesimi” (Cons. Stato, V, nn. 2070 e 2074 del 2018, richiamati da Consiglio di Stato, Sez. V, n.6472/2020). Ne consegue che in relazione a tali rapporti sarebbe, comunque, immanente la necessità di garantire l’equilibrio economico-finanziario calibrando formalmente la durata effettiva del rapporto in modo da consentire al concessionario, mediante la sua attività, di poter almeno recuperare gli investimenti compiuti; il che vale a maggior ragione nel caso in cui il concessionario si trovi suo malgrado a dover eseguire, in vista dell’esercizio futuro di quella stessa attività, interventi superiori a quelli originariamente previsti.

1.1. Il Consiglio di Stato, anzitutto, osserva che le doglianze dell’appellante essenzialmente afferiscono alla corretta interpretazione ed applicazione della disposizione regolamentare transitoria contemplata dall’art.10 co.3 D.P.R. n. 509/1997, secondo cui «Gli atti di concessione in vigore alla data del 1° gennaio 1990 possono essere prorogati, ferma restando ogni altra condizione della concessione, su istanza del concessionario, qualora risulti che questi non abbia potuto realizzare, per fatti a lui non addebitabili, opere o parti sostanziali delle opere previste ovvero qualora si rendano necessari nuovi interventi finalizzati all'adeguamento delle strutture portuali o al mantenimento della loro funzionalità. Il periodo di proroga è determinato dall'autorità concedente tenuto conto dell'entità dell'investimento originario e di quello aggiunto. A tali interventi si applicano le disposizioni di cui all'articolo 10 del decreto del Presidente della Repubblica 12 aprile 1996».

La norma pone due condizioni alternative per la concessione della proroga: da un lato, l’omessa realizzazione di opere previste o parti sostanziali di esse per cause non imputabili al concessionario e, dall’altro, il necessario adeguamento o la necessaria manutenzione delle esistenti strutture portuali, con la precisazione che la durata del prolungamento del rapporto concessorio, non essendo predeterminata, sarà stabilita dall’Amministrazione in ragione dell’entità dell’investimento originario e di quello aggiuntivo.

Occorre, però, precisare che quand’anche ricorresse una delle due condizioni previste, l’Amministrazione non sarebbe obbligata a concedere la chiesta proroga, essendole espressamente riconosciuto dalla disposizione regolamentare in esame un chiaro potere discrezionale nella parte in cui si prevede che, su istanza dell’interessato, le concessioni in vigore alla data del 1° gennaio 1990 possono (e non devono) essere prorogate.

Secondo l’appellante la norma contemplerebbe un’ipotesi di discrezionalità soltanto tecnica, mentre il giudice di primo grado ha ritenuto trattarsi di una discrezionalità anche amministrativa.

Il Consiglio di Stato condivide il secondo assunto.

Ed invero, sebbene la valutazione dell’istanza di proroga coinvolga senz’altro profili anche tecnico-discrezionali, il tenore letterale della disposizione regolamentare è indicativo del riconoscimento all’Amministrazione di un significativo potere valutativo che, proprio in quanto tale, deve ritenersi propriamente amministrativo, non essendo connesso, né limitato all’accertamento dei presupposti di fatto in presenza dei quali il previsto potere possa essere esercitato.

1.1.1. Come noto, ogni potere amministrativo deve soddisfare il principio di legalità sostanziale, posto a base dello Stato di diritto. Il che non consente «l'assoluta indeterminatezza» del potere conferito dalla legge ad una autorità amministrativa, che produce l'effetto di attribuire, in pratica, una «totale libertà» al soggetto od organo investito della funzione (Corte Cost. sentenza n. 307 del 2003; in senso conforme, ex plurimis, sentenze n. 32 del 2009 e n. 150 del 1982). Non è sufficiente che il potere sia finalizzato dalla legge alla tutela di un bene o di un valore, ma è indispensabile che il suo esercizio sia determinato nel contenuto e nelle modalità, in modo da mantenere costantemente una, pur elastica, copertura legislativa dell'azione amministrativa (Corte Cost. n. 115/2011). Il che, quindi, non implica la legittimità soltanto di poteri rigidamente vincolati in ogni loro aspetto, in ragione dell’impossibilità per il legislatore di prevedere e valutare a priori ogni possibile sviluppo ed implicazione o riflesso tanto per l’interesse pubblico perseguito, quanto per gli interessi pubblici e privati eventualmente coinvolti dall’esercizio di un determinato potere. Donde, la legittima facoltà per il legislatore di riconoscere alla competente Autorità Amministrativa margini di operatività, più o meno ampi, idonei a consentire una corretta calibrazione del potere esercitato in base alle peculiarità del caso concreto, nell’ottica del migliore soddisfacimento dell’interesse pubblico da soddisfare. E poiché spesso l’agire autoritativo dell’Amministrazione coinvolge interessi (pubblici e privati) anche confliggenti di non agevole, né (a volte) prevedibile composizione a livello normativo, le leggi attributive disciplinanti poteri pubblici solitamente riconoscono alle Autorità competenti una certa discrezionalità in relazione a quei profili dell’esercizio del potere (ed ossia l’an, il quid, il quomodo, il quando) sui quali è opportuno demandare ad una valutazione caso per caso il suo concreto determinarsi.

Nell’ambito, quindi, di un settore contraddistinto dall’accoglimento del principio di legalità in senso forte (Corte Cost. n.115/2011) in cui cioè la legge deve determinare tutti gli aspetti fondamentali dell’esercizio del potere in modo da mantenere costantemente una pur elastica copertura legislativa dell'azione amministrativa, devono ritenersi sussistenti margini di discrezionalità implicanti valutazioni di opportunità presupponenti un contemperamento degli interessi pubblici ed eventualmente anche privati coinvolti, ogniqualvolta il legislatore non vincoli l’agire autoritativo dell’Amministrazione in tutti i suoi aspetti, dovendosi seguire, quindi, il criterio interpretativo secondo cui ubi lex noluit tacuit.

Può, dunque, affermarsi che, in linea di principio, il potere pubblico amministrativo è discrezionale, salvo che non risulti diversamente dalla norma che lo prevede o che ne regolamenta l’esercizio.

1.1.2. Diversa dalla discrezionalità amministrativa è, poi, la c.d. discrezionalità tecnica che, come noto, rileva (a monte) sul diverso piano della verifica dei presupposti normativamente previsti per l’esercizio del potere (discrezionale o vincolato che sia), allorché il relativo accertamento presupponga l’applicazione di una regola tecnica dai concetti indeterminati o, comunque, suscettibili di apprezzamenti opinabili financo implicanti l'attribuzione di un giudizio di valore (Cons.Stato, sez. IV, 19 ottobre 2007, n. 5468).

1.1.3. L’opinabilità, infatti, è altro rispetto all’opportunità. Sul punto basti considerare che la prima rileva nell’ambito della valutazione di fatti suscettibili di vario apprezzamento costituenti presupposto del potere esercitato e quindi presupposto di legittimità del provvedimento amministrativo emanato dall’Autorità amministrativa competente, mentre la seconda opera in un momento successivo, traducendosi in una scelta fra interessi contrapposti una volta già ritenuti sussistenti i presupposti per l’esercizio di quel potere.

Se, dunque, la discrezionalità tecnica concerne (a monte) i presupposti del potere, la discrezionalità amministrativa (o pura), invece, riguarda le modalità (a valle) di esercizio del potere, identificabile nella normativamente riconosciuta (in modo espresso o implicito) facoltà di scelta tra più soluzioni possibili, in ordine all’an o al quid o al quomodo o al quando o a tutti o soltanto ad alcuni dei predetti profili dell’agire autoritativo.

1.1.4. Ciò chiarito, con riguardo all’applicazione dell’art.10 co.3 D.P.R. n.509/1997 ricorrono entrambe.

Laddove, infatti, la predetta disposizione regolamentare subordina la concessione della proroga all’accertamento della non imputabilità al concessionario dell’omessa realizzazione (in tutto o in parte) delle opere previste o alla necessità di interventi di adeguamento o di manutenzione delle opere già esistenti si impongono valutazioni suscettibili di apprezzamenti opinabili riconducibili nell’ambito della c.d. discrezionalità tecnica.

Ma il dato non completa l’esame, poiché quand’anche si accertasse la sussistenza di uno dei richiamati presupposti, l’Amministrazione competente non sarebbe obbligata a rilasciare la chiesta proroga, potendo anche negarla. Il che è indicativo di un potere discrezionale puro, o in senso ampio, implicante valutazioni di opportunità presupponenti un contemperamento di interessi (pubblici e privati coinvolti) non sindacabile in sede giurisdizionale se non per eccesso di potere dipendente da manifesta contraddittorietà, illogicità, irragionevolezza o sproporzionalità della decisione.

Sussistono, dunque, profili valutativi ulteriori rispetto a quelli espressamente desumibili dalla menzionata disposizione regolamentare ed, in quanto tali, indicativi di una significativa discrezionalità amministrativa, presupponente una motivata ponderazione degli interessi coinvolti.

Pertanto, la decisione impugnata non è affetta dal dedotto error in iudicando nella parte in cui rinviene nell’art.10 co.3 D.P.R. n.509/1997 il riconoscimento all’Amministrazione competente di un potere anche discrezionale amministrativo, oltre che tecnico-discrezionale.

1.2. Non è, poi, condivisibile la censura dell’appellante volta a contestare la natura eccezionale della proroga delle concessioni affermata dal giudice di primo grado nella sentenza impugnata.

1.2.1. Ed invero, occorre rammentare che la Corte Costituzionale (sent. 4 luglio 2013 n.171) ha accolto la questione di incostituzionalità sollevata con riguardo all’art.1 della legge della Regione Liguria n. 24 del 2012 statuente, a determinate condizioni, una proroga automatica delle concessioni del demanio marittimo a favore del soggetto già concessionario, senza nemmeno determinarne la durata temporale, poiché, come ripetutamente affermato in ipotesi del tutto analoghe, il rinnovo o la proroga automatica delle concessioni viola l'art. 117, primo comma, Cost., per contrasto con i vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario in tema di libertà di stabilimento e di tutela della concorrenza, determinando altresì una disparità di trattamento tra operatori economici, in violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera e), dal momento che coloro che in precedenza non gestivano il demanio marittimo non avrebbero la possibilità, alla scadenza della concessione, di prendere il posto del vecchio gestore se non nel caso in cui questi non chieda la proroga o la chieda senza un valido programma di investimenti. Al contempo, la disciplina regionale impediva l'ingresso di altri potenziali operatori economici nel mercato, ponendo limiti all'accesso, tali da alterare la concorrenza (sentenze n. 213 del 2011, nn. 340, 233 e 180 del 2010).

1.2.2. Le conclusioni alle quali è pervenuta la Corte costituzionale, peraltro, sono avvalorate anche dai rilievi formulati dalla Commissione europea nella procedura di infrazione 2008/4908, secondo cui la Repubblica italiana, prevedendo un diritto di preferenza a favore del concessionario uscente nell'ambito della procedura di attribuzione delle concessioni del demanio pubblico marittimo, sarebbe venuta meno agli obblighi che le incombono ai sensi dell'art. 49 del TFUE e dell'art. 12 della direttiva 2006/123/CE.

Il che avvalora la tesi, in linea di principio, della natura del tutto eccezionale della proroga delle concessioni demaniali giunte alla loro scadenza.

1.2.3. Sul punto occorre sottolineare, inoltre, che, prima ancora della nota sentenza della Corte di Giustizia UE del 14 luglio 2016 (in cause riunite C-458/14, Promoimpresa S.r.l. e C-67/15, Mario Melis e altri), la giurisprudenza nazionale aveva già largamente aderito all'interpretazione dell'art. 37 cod. nav. che privilegia l'esperimento della selezione pubblica nel rilascio delle concessioni demaniali marittime, derivante dall'esigenza di applicare le norme conformemente ai principi comunitari in materia di libera circolazione dei servizi, di par condicio, di imparzialità e di trasparenza, derivanti dalla direttiva 123/2016 (c.d. Bolkestein), essendo pacifico che tali principi si applicano anche a materie diverse dagli appalti, in quanto riconducibili ad attività suscettibili di apprezzamento in termini economici.

1.2.4. In tal senso, infatti, si è espresso, già da tempo risalente, il Consiglio di Stato, ritenendo applicabili i detti principi "anche alle concessioni di beni pubblici, fungendo da parametro di interpretazione e limitazione del diritto di insistenza di cui all'art. 37 del codice della navigazione", sottolineandosi, in particolare, che "la sottoposizione ai principi di evidenza trova il suo presupposto sufficiente nella circostanza che con la concessione di area demaniale marittima si fornisce un'occasione di guadagno a soggetti operanti sul mercato, tale da imporre una procedura competitiva ispirata ai ricordati principi di trasparenza e non discriminazione"(cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 25 gennaio 2005 n. 168 e, nello stesso senso, in epoca più recente Cons. Stato, Sez. VI, 31 gennaio 2017 n. 394), segnalando l'esigenza di una effettiva ed adeguata pubblicità per aprire il confronto concorrenziale su un ampio ventaglio di offerte (cfr., in epoca ancora antecedente ed in via generale, Cons. Stato, Sez. VI, 15 febbraio 2002 n. 934).

1.2.5. Sul punto, inoltre, la Commissione Europea aveva affermato che "la circostanza che le direttive comunitarie in materia di appalti siano attuative dell'art. 81 del Trattato porta in sostanza a ritenere che queste norme siano puramente applicative, con riferimento a determinati appalti di principi generali che essendo sanciti in modo universale dal Trattato, sono ovviamente valevoli anche per contratti e fattispecie diverse da quelle concretamente contemplate" (così nella Comunicazione 29 aprile 2000 nonché la pressoché coeva sentenza della Corte di giustizia UE 7 dicembre 2000, in causa C-324/98).

1.2.6. Da ultimo detti principi sono stati riaffermati dalla Corte di Giustizia UE, nella sentenza Sez. V, 14 luglio 2016, in cause riunite C-458/14 e C-67/15, ad avviso della quale "L'articolo 12, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno, deve essere interpretato nel senso che osta a una misura nazionale, come quella di cui ai procedimenti principali, che prevede la proroga automatica delle autorizzazioni demaniali marittime e lacuali in essere per attività turistico-ricreative, in assenza di qualsiasi procedura di selezione tra i potenziali candidati".

1.2.7. L’appellante dubita dell’applicabilità della direttiva 2006/123/CE nel caso di specie, sembrando richiamare il considerando 21 secondo cui i servizi di trasporto, compresi i trasporti urbani, i taxi, le ambulanze nonché, per quanto in questa sede di interesse, i servizi portuali, sono esclusi dall’ambito di applicazione della direttiva stessa.

1.2.7.1. Sul punto occorre osservare che la censura appare apprezzabile nella sua essenza, poiché l’attività da diporto esercitata dal concessionario rientrerebbe nella nozione di servizi portuali, con conseguente esclusione della vicenda in esame dall’ambito di operatività della richiamata direttiva.

1.2.7.2. Tuttavia, la disciplina europea, nella sua complessità, affermerebbe, comunque, la sussistenza dell’obbligo di gara quale regola generale scaturente dalla scadenza delle concessioni portuali.

Ed invero, con specifico riferimento ai porti, si rileva che il Regolamento UE 2017/352, disciplinante il complesso settore dei servizi portuali e comunque applicabile ai soli porti ivi indicati, fa salva la possibilità per il legislatore nazionale di estenderne l'ambito applicativo (art.1 co.6) e lascia impregiudicate le direttive 2014/23/UE e 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio e la direttiva 2014/25/UE (art.1 co.7).

1.2.7.3. Con riguardo, poi, a queste ultime, se il considerando 15 della direttiva 2014/23/UE sulle concessioni sembra escludere l'operatività del regime concessorio dalla stessa recato allorché venga assegnato l'utilizzo di determinati spazi pubblici, in particolare nel settore dei porti marittimi o interni o degli aeroporti, la direttiva 2014/25/UE sui settori speciali stabilisce, invece, espressamente che il proprio ambito applicativo comprende le attività relative allo sfruttamento di un'area geografica per la messa a disposizione di aeroporti, porti marittimi o interni e di altri terminali di trasporto ai vettori aerei, marittimi e fluviali (art. 12). Nondimeno l'ambito applicativo di quest'ultima sconta comunque la necessità che il contratto da appaltare riguardi l'acquisizione di lavori, forniture o servizi (art. 1).

1.2.7.4. A livello nazionale il d. lgs. n. 50 del 2016 individua il proprio ambito applicativo in ragione, da un lato, dell'oggetto della prestazione che deve essere affidata, quindi lavori, servizi e forniture, e, dall'altro lato, dei settori speciali delineati, ricomprendendo anche le attività relative allo sfruttamento di un'area geografica per la messa a disposizione di porti marittimi ai vettori.

In ogni caso, allorquando non si tratti di acquisire un servizio e prevalga la sola concessione del bene pubblico in una tipica manifestazione di contratto attivo, il relativo affidamento avviene comunque nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità, pubblicità, tutela dell'ambiente ed efficienza energetica (art. 4 del d. lgs. n. 50 del 2016).

1.2.7.5. E quand’anche dalle richiamate disposizioni europee non si desumesse la sussistenza di un obbligo di gara, l'Amministrazione sarebbe comunque tenuta, in caso di interesse transfrontaliero, a rispettare le regole fondamentali del TFUE, in generale, e, soprattutto, il principio di non discriminazione.

1.2.7.6. Donde, il carattere eccezionale della proroga disciplinata dall’art.10 co.3 D.P.R. n.509/1997 di cui il provvedimento impugnato costituisce proiezione applicativa, con conseguente doverosa adozione di criteri di stretta interpretazione, non essendo consentita alcuna applicazione o estensione analogica della richiamata disposizione regolamentare in ragione del divieto statuito dall’art.14 disp. prel. c.c.

1.3. Il Consiglio di Stato ritiene, poi, non condivisibile la censura dedotta in relazione all’omessa considerazione dell’interesse economico del concessionario quale componente rilevante sul piano degli interessi pubblici perseguiti dall’Amministrazione.

L’appellante, infatti, ritiene che l’art.10 co.3 D.P.R. n.509/1997 debba essere interpretato in combinato disposto con l’art.165 D.Lgs. n.50/2016 nella parte in cui considera l’equilibrio economico-finanziario il presupposto per la corretta allocazione dei rischi caratterizzanti la concessione.

1.3.1. Come noto, la matrice di rischio costituisce un elemento incidente sulla concessione sin dalla sua origine, inerendo alla convenienza e sostenibilità economica dell’operazione per il concessionario.

Sennonché, nel provvedimento impugnato l’Amministrazione conferma l’avvenuta valutazione della circostanza, precisando, infatti, che l’appellante aveva presentato nel 2000, ossia al tempo dell’istanza di subingresso nella concessione, il Piano economico-finanziario per gli anni 2000-2024 tendente a dimostrare l’effettiva capacità della società di produrre redditi ragionevoli derivanti dalla gestione portuale, pur nella consapevolezza che, al fine di garantire una perfetta fruibilità dell’intero porto, sarebbero stati necessari dei lavori per risanare, dal punto vista strutturale e funzionale, l’intero bacino portuale, la diga foranea, le banchine e i pontili, in conformità a quanto prescritto dalle Autorità Marittime per la messa in sicurezza del porto.

Non può dirsi, quindi, non valutato, dal concessionario e dall’Amministrazione, al tempo del subentro il profilo economico-finanziario caratterizzante la matrice di rischio della concessione, peraltro, in un periodo coperto al momento della richiesta di proroga, essendo stato concepito il predetto piano finanziario con durata sino al 2024.

1.3.2. Con riguardo, poi, all’art.10 co.3 D.P.R. n.509/1997, il Consiglio di Stato osserva che l’interesse economico del concessionario è stato già considerato in astratto dal legislatore, essendo standardizzato nei due presupposti legittimanti la richiesta di proroga, in quanto preordinati a mantenere proprio l’equilibrio economico-finanziario della concessione alterato da cause non imputabili al concessionario o da fattori sopravvenuti che impongano l’adeguamento o il mantenimento della funzionalità delle opere esistenti.

1.3.3. Tuttavia, rimane pur sempre il potere discrezionale dell’Amministrazione che, a fronte di un’istanza fondata, potrebbe egualmente negare la chiesta proroga dando atto, con adeguata motivazione, delle ragioni di interesse pubblico ritenute ostative.

1.3.4. Nel caso in esame, l’Amministrazione non ha omesso di considerare l’incidenza dell’interesse economico del concessionario, essendosi premurata di ritenerlo non preminente rispetto a valutazioni di carattere erariale dipendenti proprio dai presunti vantaggi patrimoniali che la proroga della concessione avrebbe precluso qualora fosse stata consentita, ostando, infatti, all’applicazione dei maggiori canoni previsti per le pertinenze commerciali dalla Legge Finanziaria 2007 rispetto a quelli ancora applicabili all’entrata in vigore del D.P.R. n. 509/1997.

1.3.4. Peraltro, il carattere eccezionale della proroga esplica i suoi riflessi anche sulla motivazione del provvedimento, poiché, costituendo deroga alla regola generale contraria al prolungamento delle concessioni, imponendo all’Amministrazione che intenda accogliere l’istanza del concessionario di adottare una motivazione rafforzata delle ragioni della decisione. Diversamente, la scelta (pur sempre discrezionale nel caso in esame) di non prorogare la concessione, in quanto conforme alla regola generale, implica soltanto la necessità di una motivazione adeguata, ma non anche rafforzata, essendo immanenti nell’ordinamento giuridico le ragioni di ordine generale giustificanti la decisione, a fronte dei prevedibili vantaggi scaturenti per l’Amministrazione e la collettività dall’eventuale instaurazione di un nuovo rapporto con un concessionario scelto all’esito di una procedura comparativa che tenga conto anche delle rinnovate esigenze della collettività da soddisfare con il peculiare utilizzo del bene demaniale ad altri concesso.

1.3.5. Con riguardo, poi, all’entità dell’investimento originario e di quello aggiunto, la sua rilevanza presuppone il superamento della fase di accertamento dei presupposti e di valutazione degli interessi pubblici soddisfatti dall’eventuale concessione della chiesta proroga, costituendo, infatti, espresso parametro di riferimento per la quantificazione della durata della proroga stessa da concedere ed incidendo, quindi, non sull’an del provvedimento preteso, ma sul quantum temporale degli effetti del provvedimento stesso.

E poiché l’Amministrazione non ha ritenuto sussistenti i presupposti per il rilascio della chiesta proroga, il provvedimento di reiezione costituisce conseguenza di una valutazione non favorevole sull’an che preclude qualsivoglia valutazione successiva sul quantum.

1.3.6. Né, peraltro, rileverebbe, ai fini della decisione, il migliore sfruttamento del bene demaniale prospettato dall’appellante, poiché delle due ipotesi previste dall’art.10 co.3 D.P.R. n.509/1997, applicato nella circostanza, la prima è del tutto estranea (in quanto limitata soltanto alla mancata realizzazione di opere già previste) e la seconda presuppone la necessità, e non anche l’opportunità, di opere di adeguamento o di manutenzione.

Pertanto, la doglianza è priva di fondamento.

1.4. Con riguardo, poi, all’erronea interpretazione dell’art.37 cod. nav., il Consiglio di Stato precisa che il richiamo alla norma non appare pertinente nel caso in esame, posto che l’istanza di proroga è stata formalmente presentata dall’appellante ai sensi dell’art.10 D.P.R. n.509/1997 e che siffatta disposizione regolamentare costituisce, come già detto, una norma transitoria ed eccezionale, come tale suscettibile soltanto di stretta interpretazione.

Pertanto, l’istanza dell’appellante doveva essere decisa, come lo è stata, soltanto con riferimento alla norma regolamentare evocata nella domanda di proroga e di cui il provvedimento impugnato costituisce proiezione applicativa, non potendosi desumere da una norma generale, qual è l’art.37 cod. nav., un criterio interpretativo applicabile ad una norma eccezionale ed anche transitoria, come l’art.10 co.3 D.P.R. n.509/1997.

1.5. Analoghe considerazioni valgono, poi, in relazione alla dedotta violazione dell’art.41 Cost., poiché, sebbene l’appellante abbia correttamente rinvenuto nell’equilibrio economico-finanziario un elemento caratterizzante la concessione demaniale, la disciplina pertinente rimane sempre quella dell’art.10 co.3 D.P.R. n.509/1997 che, come detto, subordina la proroga a precisi parametri di riferimento già presupponenti un certo interesse economico del concessionario, sebbene standardizzato in relazione all’an, ed adeguatamente valorizzato sul diverso e successivo piano del quantum, ossia della durata temporale del provvedimento richiesto.

Né, peraltro, potrebbe ritenersi la censura diretta a lamentare l’illegittimità dell’art.10 co.3 D.P.R. n.509/1997 nella parte in cui non ascrive preminente rilievo proprio all’interesse economico del concessionario, deponendo, in senso contrario, il principio di autoresponsabilità che preclude a colui il quale invochi una certa disciplina la possibilità di lamentarne, poi, l’illegittimità in sé della stessa, potendone al più soltanto censurare la corretta interpretazione ed applicazione.

1.6. Non pertinente, poi, è la dedotta violazione dei principi di concorrenza, posto che la proroga in sé ne costituisce un’eccezione ammissibile negli stretti ambiti in cui può essere consentita, secondo quanto già precisato.

Il primo motivo di appello, pertanto, è infondato.

2. Con il secondo motivo di appello si lamenta l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto la condotta dell’Amministrazione non in contrasto con il legittimo affidamento del concessionario in ordine alla prosecuzione del rapporto.

L’appellante, infatti, ritiene che sia il Procotollo di intesa del 2007, sia le molteplici riunioni finalizzate alla conclusione di un Accordo di programma poi non concluso per la riqualificazione urbanistica del porto turistico l’avrebbero indotta ad investire ingenti somme per la realizzazione di interventi destinati a preservare la funzionalità del porto, tanto più considerato che la prassi amministrativa seguita in un contesto portuale limitrofo era favorevole alla concessione della proroga.

2.1. Il Consiglio di Stato ritiene, in primo luogo, non rilevante il riferimento all’Accordo di programma non perfezionatosi tra le parti in causa, non potendo ascriversi rilievo ad un atto non sussistente.

2.1.1. Con riguardo, poi, al Protocollo di intesa del 2007 (allegato n.21 del fascicolo di parte ricorrente di primo grado), il Consiglio di Stato ritiene che si tratti di un atto complesso, in parte di carattere transattivo (in ordine alle controversie pendenti tra il Comune e l’appellante) ed in parte riconducibile ad un accordo endoprocedimentale che avrebbe dovuto condurre all’adozione dei provvedimenti ivi previsti, tra i quali la proroga della concessione a fronte di un più complesso intervento strutturale da eseguire per la rivalutazione dell’area.

Ed invero, secondo quanto desumibile dal documento in esame offerto in comunicazione, il rapporto concessorio tra l’appellante ed il Comune si era sviluppato sin lì in modo poco sereno, come comprovato dalle molteplici cause indicate alle lettere G ed H del Protocollo di intesa del 2007 e che, alla fine, le parti si erano impegnate a non proseguire nei termini concordati.

Quanto, poi, all’incidenza del Protocollo di intesa del 2007, nelle premesse si precisa che, in linea di massima, il comune obiettivo concordato avrebbe implicato due fasi procedimentali: una prima, di carattere preliminare, in cui l’appellante avrebbe presentato, all’esito di un confronto con il Comune, un nuovo progetto di sviluppo e rilancio del porto turistico “basato sull’equilibrio fra i nuovi investimenti a carico della Società e l’eventuale proroga della concessione” ed una seconda fase, di attuazione, in cui si sarebbero espletate le procedure amministrative occorrenti per la realizzazione del progetto.

Lo scopo, dunque, del Protocollo di intesa del 2007 era proprio il superamento delle pregresse reciproche contestazioni a fronte della comune volontà di rivalutare l’intera zona demaniale in questione mediante la realizzazione di determinate opere di cui, però, sembrerebbe non aver tenuto conto il provvedimento impugnato. Donde, la prospettata violazione del principio di affidamento.

Sennonché, la risposta dell’Amministrazione deve essere parametrata all’istanza dell’appellante.

Ed invero, con una prima istanza del 2008 (allegato n.22 del fascicolo di parte ricorrente di primo grado), l’appellante aveva già chiesto la proroga della concessione, dopo avere presentato il progetto di rilancio del porto turistico concordato nel predetto Protocollo di intesa del 2007, dando atto della prospettata necessità di considerare l’ingente investimento complessivo preventivato in una somma pari € 48.412.639,87. Nell’istanza, l’appellante precisava, inoltre, che una parte dei costi preventivati nel progetto erano già stati sostenuti per l’esecuzione delle opere di rifacimento della diga foranea eccedenti rispetto a quelle dovute secondo quanto stabilito nella concessione. L’appellante concludeva, quindi, formalizzando una richiesta di proroga di ulteriori 35 anni della concessione, con differimento dell’originaria scadenza fissata per il 10 aprile 2024 alla successiva data del 21 giugno 2059.

Dopo di che, l’appellante rinunciava, con atto formale del 9 luglio 2010 (allegato n.24 del fascicolo di parte ricorrente di primo grado), all’istanza di proroga già presentata, riformulandola nuovamente in data 22 aprile 2013 (allegato n.26 del fascicolo di parte ricorrente di primo grado) con la precisazione di avere effettuato dal 2005 lavori ulteriori rispetto a quelli richiesti per garantire la manutenzione del porto, e di avere individuato nuovi interventi anch’essi non riconducibili agli obblighi di manutenzione di cui all’art.10 della concessione.

Nella seconda istanza, però, non si menziona il Protocollo di intesa del 2007, così mostrando l’appellante di voler prescindere dallo stesso al fine di ottenere la proroga, basandosi esclusivamente sulla disciplina di cui all’art.10 co.3 D.P.R. n.509/1997 ed, in particolare, sul convincimento che le opere in questione fossero finalizzate all’adeguamento della struttura portuale o al mantenimento della sua funzionalità.

Il che assume rilevanza decisiva ai fini della controversia, poiché costituisce chiara manifestazione della volontà dell’appellante di non confidare nell’attuazione del Protocollo d’intesa e di ritenere sussistenti i presupposti per il rilascio della chiesta proroga esclusivamente in virtù della richiamata disposizione regolamentare.

Donde, l’infondatezza della doglianza, non essendo stato leso dall’Amministrazione, con il provvedimento impugnato, alcun affidamento sul quale l’appellante abbia legittimamente confidato, avendo quest’ultima ritenuto di poter prescindere dagli accordi di cui al Protocollo d’intesa del 2007 per poter conseguire la chiesta proroga.

Il motivo, pertanto, è infondato.

3. Con il terzo motivo si lamenta l’error in iudicando in cui sarebbe incorso il giudice di primo grado in relazione alla qualificazione degli interventi eseguiti dall’appellante, essendo incontestato che la realizzazione della nuova diga foranea ed il rifacimento dei pontili non fossero contemplati nella originaria concessione (né fossero prevedibili all’epoca) ed essendo indubbio che siffatti interventi fossero finalizzati all’adeguamento delle strutture portuali o al mantenimento della loro funzionalità.

3.1. Il Consiglio di Stato, anzitutto, precisa che, quand’anche il motivo fosse fondato, non giustificherebbe, di per sé, l’accoglimento dell’appello ed il conseguente annullamento del provvedimento impugnato, previa riforma della sentenza appellata, poiché, come già chiarito, l’art.10 co.3 D.P.R. n.509/1997 riconosce all’Amministrazione un potere discrezionale così ampio da legittimare il diniego della chiesta proroga, con adeguata motivazione, nonostante la sussistenza dei presupposti fattuali normativamente previsti e di cui l’appellante intende provare la sussistenza.

E poiché le ragioni di interesse pubblico ostative alla proroga della concessione in questione sono state legittimamente ed adeguatamente palesate dall’Amministrazione nella motivazione del provvedimento impugnato in funzione del migliore vantaggio ritraibile dall’instaurazione di un rapporto concessorio tanto più nell’auspicabile prospettiva di un’eventuale procedura comparativa tra più soggetti potenzialmente interessati, non occorrerebbe soffermarsi anche sull’esame delle doglianze formulate con il motivo in questione.

Tuttavia, per completezza, il Consiglio di Stato ritiene opportuno pronunciarsi anche sulle censure dedotte dall’appellante in relazione ai presupposti previsti dall’art.10 co.3 D.P.R. n.509/1997.

3.2. Con una prima doglianza si lamenta l’erronea concezione della prevedibilità dei lavori in questione con riguardo al momento del subingresso dell’appellante anziché al tempo della stipula della concessione, ossia l’anno 1974.

Il Consiglio di Stato condivide le motivazioni della sentenza sul punto, considerato, infatti, che la significativa durata temporale del rapporto tra le parti in causa giustifica la concezione della “previsione” di un’opera in relazione non soltanto al momento dell’instaurazione del rapporto ma anche durante la vigenza della concessione, tanto più che, nella circostanza, la prospettazione degli interventi sia era palesata molto prima della scadenza della concessione stessa.

Al riguardo, infatti, la documentazione offerta in comunicazione non comprova in modo univoco e certo la fondatezza della doglianza, sembrando, invero, che le opere di cui si discute, quali la diga foranea, le banchine, e i pontili, fossero già interventi previsti come necessari sin dal momento del subentro dell’appellante nella concessione.

In tal senso, infatti, appare significativa la motivazione del provvedimento impugnato nella parte in cui chiarisce che il piano economico-finanziario inerente agli anni 2000-2024 presentato dall’appellante a corredo dell’istanza di subentro e realizzato da Fidirevisa & Partners prevedeva, al fine di garantire la perfetta fruibilità dell’intero porto, “una serie di lavori necessari per risanare, sia dal punto di vista strutturale che funzionale, l’intero bacino portuale, la diga foranea, le banchine e i pontili”, precisandosi, poi, che una relazione tecnica redatta da uno studio di ingegneria illustrava le opere primarie, sia a terra che a mare, necessarie al risanamento ed alla messa in sicurezza del porto, da realizzare nell’ambito di un ampio programma di investimenti che avrebbe implicato un certo impegno di spesa dal 2000 fino al 2002.

Non essendo, quindi, stato provato che le opere in questione costituiscano interventi nuovi necessari per l’adeguamento delle strutture portuali per il mantenimento della loro funzionalità, non può ritenersi soddisfatta la condizione prevista dall’art.10 co.3 D.P.R. n.509/1997, in quanto, trattandosi di opere “previste” e non nuove, l’appellante non ha dimostrato che l’omessa realizzazione delle stesse sia dipesa da una causa a lei non imputabile.

Inoltre, le opere relative alla diga foranea erano state concluse prima dell’adozione del provvedimento impugnato, come affermato nella sentenza appellata e non contestato dall’appellante in questa sede, sostenendo quest’ultimo che si tratti di un intervento eseguito per il rafforzamento e la riqualificazione dell’area volto a garantire una protezione adeguata e completa per preservare la funzionalità del Porto di Lavagna. Ma, come detto, trattandosi di un intervento già eseguito, non costituisce attività riconducibile né tra le opere previste e non realizzate per causa non imputabile al concessionario, né tra le opere nuove da realizzare per l’adeguamento delle strutture portuali o il mantenimento della loro funzionalità.

Con riguardo, poi, alle vasche di alaggio e varo si condividono le argomentazioni del giudice di primo grado, trattandosi di interventi non necessari in funzione conservativa, ma propedeutici a favorire un maggiore sfruttamento economico del bene da parte del concessionario, come anche devono ritenersi gli interventi di recupero dei 116 posti barca, trattandosi di opere tendenti a perseguire una nuova e diversa funzionalità e non a mantenere quella originaria, ossia la stagionalità dell’utilizzo del porto.

In ogni caso, va precisato che quand’anche si ritenessero siffatti interventi satisfattivi della condizione prevista dalla richiamata disposizione regolamentare, l’Amministrazione avrebbe, comunque, adeguatamente motivato, nell’esercizio della discrezionalità riconosciutale, la scelta di non prorogare la concessione, preferendo la cessazione del rapporto anche nell’ottica dell’indizione di una futura procedura di affidamento della concessione volta alla selezione del miglior candidato offerente.

8. Anche l’ottavo motivo, con il quale si eccepisce l’illegittimità costituzionale dell’art.49 cod. nav. nella parte in cui non prevede la corresponsione di un indennizzo a favore del concessionario che abbia realizzato sul suolo demaniale opere non amovibili, non può essere accolto.

8.1. Come, infatti, correttamente argomentato dal giudice di primo grado, la norma è contraddistinta da un’efficacia sussidiaria, essendo applicabile soltanto qualora le parti non abbiano diversamente previsto nella concessione.

La scelta, quindi, dell’appellante di subentrare in un rapporto concessorio già precostituito in cui non era prevista la corresponsione di alcun indennizzo per le opere in questione non legittima la censura sull’applicazione di una norma dispositiva non derogata per volontà delle parti. In tal senso, quindi, l’appellante patisce un pregiudizio di fatto non idoneo ad incidere sulla costituzionalità della norma in esame.

La questione, quindi, dell’eccepita illegittimità costituzionale non può essere sollevata per manifesta infondatezza.

8.2. Né, peraltro, può poi invocarsi l’applicazione dell’art.2041 c.c., poiché difetta l'elemento della residualità che ne costituisce il presupposto per l'utile esperimento della relativa azione. Ed invero, il ricorso all'azione generale di indebito arricchimento è consentito, per costante giurisprudenza, soltanto a condizione che la parte interessata non abbia a sua disposizione un'azione titolata, poiché «l’azione generale di arricchimento ingiustificato ha natura sussidiaria, potendo essere esercitata solo quando manchi un titolo specifico sul quale possa essere fondato un diritto di credito, con la conseguenza che il giudice, anche d'ufficio, deve accertare che non sussista altra specifica azione, per le restituzioni ovvero per l'indennizzo del pregiudizio subito, contro lo stesso arricchito o contro altra persona» (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 16594 del 05/08/2005, Rv. 584746; conf. Cass. Sez. 6 - 1, Ordinanza n. 26199 del 03/11/2017, Rv. 647016; cfr. anche, ex multis, Cass. Sez. 1, Sentenza n. 3941 del 13/12/1969, Rv. 344362; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1819 del 19/06/1974, Rv. 370019; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 5682 del 01/12/1978, Rv. 395469). Ciò vale, a fortiori, quando l'azione titolata, se esistente, sia stata esperita e sia risultata, in concreto, carente di taluno dei suoi requisiti (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 3897 del 19/06/1980, Rv. 407774), a nulla rilevando che l'interessato sia stato dichiarato decaduto da essa o sia rimasto soccombente in giudizio per ragioni di rito o di merito, purché queste ragioni non attengano proprio all'originaria possibilità dell'azione (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 7285 del 08/08/1996, Rv. 499048). La valutazione circa la sussistenza, o meno, di altre azioni tipiche, dunque, va condotta in astratto, e non in concreto (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 20747 del 03/10/2007, Rv. 599822), e quindi a prescindere dall'eventuale condotta inerte o malaccorta dell'interessato.

Nel caso in esame, il rapporto tra l’Amministrazione e l’appellante è regolamento da una concessione demaniale marittima che, in quanto tale, soggiace alla disciplina di cui all’art.49 cod. nav. e, quindi, alla libera scelta delle parti di concordare o meno un indennizzo per le opere non amovibili presenti sul bene demaniale alla scadenza della concessione stessa. Il che esclude la possibile applicazione dell’art.2041 c.c., in quanto norma sussidiaria applicabile soltanto quando non lo sia altra disposizione.

Ed infatti, va rilevato che, in ipotesi di concessione di un bene del demanio marittimo, l'art. 49 cod. nav. prevede la devoluzione gratuita allo Stato della proprietà del manufatto costruito e sussistente alla cessazione della concessione, con possibilità di deroga convenzionale in relazione soltanto alla gratuità connessa all’effetto, nel senso che, fermo il predetto acquisto da parte dello Stato, è possibile una regolamentazione pattizia delle spese richieste per l’eventuale demolizione della costruzione, o nel senso di riconoscere al concessionario un diritto a conseguire i materiali di demolizione, dovendo, invece, ritenersi preclusa ogni possibilità di riconoscimento in favore del concessionario di un indennizzo corrispondente al valore della costruzione, stante l'inapplicabilità della norma di cui all'art. 936 c.c., che riconosce il diritto all'indennizzo per il costruttore in caso di ritenzione delle opere da parte del proprietario, nella diversa ipotesi di opere fatte da un terzo sul fondo altrui al di fuori di ogni abilitazione negoziale o normativa.

Detti principi non soffrono deroga financo per il caso in cui, prima dell'estinzione della concessione, il bene demaniale sia stato sdemanializzato ed acquisito al patrimonio disponibile dello Stato, ai sensi dell'art. 35 cod. nav., e ciò in quanto la sdemanializzazione, facendo venire meno, con effetto ex nunc, la concessione, legittima l'ente proprietario ad ottenere il rilascio del bene, ma non incide sull'operatività, per il passato, del titolo negoziale, ai fini della disciplina legale del rapporto estinto, che resta perciò regolato dalla disposizione di cui al menzionato art. 49 cod. nav. (cfr. Cass. n. 2701 del 1981).

La norma in esame, del resto, nello stabilire l'acquisizione gratuita da parte dello Stato delle opere non amovibili edificate su suolo demaniale dato in concessione - in mancanza di diversa previsione, nel senso sopra specificato, nel titolo - individua il tempo di tale acquisto nel momento in cui "venga a cessare la concessione" senza ulteriori precisazioni in relazione alle relative cause, ed esprime un principio di ordine generale (cfr. Cons. Stato n. 5123 del 2012), in base al quale le opere costruite sull'area demaniale vengono acquisite ipso iure: il successivo atto amministrativo, di "incameramento" o altro equivalente, ha, infatti, natura meramente ricognitiva ed non è assolutamente necessario affinché l'Amministrazione possa essere considerata titolare delle opere stesse.

Pertanto, tenuto conto dello specifico regime legale anzidetto, una volta perfezionatosi l’acquisto gratuito in assenza di specifica pattuizione di segno contrario prevista nella concessione, non è ammissibile l’applicazione dell’art.2041 c.c. per insussistenza del requisito della sussidiarietà, non potendo la specifica disciplina prevista dall’art.49 cod. nav. essere elusa mediante l'esperimento dell'azione generale di arricchimento (Cass. civ. sez. I, 14/02/2017, n.3842).

8.3. Il motivo è, dunque, infondato come l’intero appello che, pertanto, deve essere respinto.

9. Le questioni sopra vagliate esauriscono la vicenda, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cass. civ., Sez. II, 22 marzo 1995 n. 3260 e, per quelle più recenti, Cass. civ., Sez. V, 16 maggio 2012 n. 7663 e Consiglio di Stato, Sez. VI, 20 aprile 2020 n. 2522; Consiglio di Stato, Sez. VI, n.5254/2021).

Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Consiglio di Stato ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

10. La peculiare complessità delle questioni di diritto giustifica l’integrale compensazione delle spese processuali tra le parti costituite.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Settima), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese processuali del grado di appello compensate.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 4 ottobre 2022 con l'intervento dei magistrati:

Roberto Giovagnoli, Presidente

Daniela Di Carlo, Consigliere

Sergio Zeuli, Consigliere

Maurizio Antonio Pasquale Francola, Consigliere, Estensore

Rosaria Maria Castorina, Consigliere

 
 
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Maurizio Antonio Pasquale Francola Roberto Giovagnoli
 
 
 
 
 

IL SEGRETARIO


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