HomeSentenzeArticoliLegislazionePrivacyRicercaChi siamo
Tribunale di Napoli, 13/9/2022 n. 00
Sull'insussistenza per le partecipate c.d. strumentali della responsabilità ex art. 2497 cod. civ.

Materia: società / partecipazione pubblica

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE di NAPOLI

Sezione specializzata in materia di impresa

Il Tribunale di Napoli, III sezione civile specializzata in materia di impresa, nelle

persone dei seguenti magistrati:

dott. Nicola Graziano Presidente rel.

dott. Ilaria Grimaldi Giudice

dott. Viviana Criscuolo Giudice

riunito in camera di consiglio, ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

nella causa civile iscritta al n. 225 del Ruolo Generale degli Affari Contenziosi dell’anno 2018, avente ad oggetto: Cause di responsabilità ex art. 2497 c.c., pendente

 

TRA

CURATELA del FALLIMENTO della Società SOCIAL INNOVATION SERVICES S.p.a. in liquidazione, in persona dei Curatori p.t.,

PARTE ATTRICE

CONTRO

CITTA METROPOLITANA DI NAPOLI, successore universale ex lege n. 56/14 dell’Amministrazione Provinciale di Napoli, in persona del Sindaco metropolitano p.t., r e

PARTE CONVENUTA

Conclusioni: come in atti.

Rimessa in decisione in data 26 aprile 2022, previa concessione dei termini di cui

all’art. 190 c.p.c. per il deposito di comparse conclusionali e repliche.

 

MOTIVI DELA DECISIONE

La odierna parte attrice Curatela del fallimento della società Social Innovation Services S.p.a. in liquidazione (di seguito anche solo S.I.S.) ha convenuto dinanzi al Tribunale di Napoli, sezione specializzata in materia di impresa, la Città Metropolitana di Napoli successore universale ex lege n. 56/14 dell’Amministrazione Provinciale di Napoli, onde sentire accogliere le seguenti conclusioni: 1. “Accertare e dichiarare la responsabilità della Città Metropolita di Napoli (già Provincia di Napoli), in persona del legale rappresentante p.t., ex art. 2497c.c. in relazione all’abuso dell’attività di direzione e coordinamento esercitata nei confronti della Social Innovation Services s.p.a. in liquidazione; 2.

Accertare e dichiarare, in ogni caso, la responsabilità della Città Metropolita di Napoli (già Provincia di Napoli), in persona del legale rappresentante p.t., ex artt. 1218 – 1173 c.c., o, in subordine, ex art. 2043, per il danno causato al patrimonio della Social Innovation Services s.p.a. in liquidazione in virtù dell’illecito comportamento – sia contrattuale che extracontrattuale - nei confronti della controllata per le motivazioni già espresse in atti; 3. Per effetto dell’accertamento della responsabilità, comunque accertata, condannare la Città Metropolita di Napoli (già Provincia di Napoli), in persona del Sindaco Metropolitano p.t. e legale rappresentante, al risarcimento dei danni tutti prodotti a favore della Curatela della Social Innovation Service s.p.a. in liquidazione, come quantificati e precisati in atti nella somma di € 2.062.308,00, anche per l’aggravamento del dissesto della fallita, ovvero in quella somma maggiore o diversa che sarà precisata in corso di causa, oltre rivalutazione monetaria ed interessi, e spese di procedura, ovvero condannare la stessa al risarcimento del danno, oltre rivalutazione ed interessi, che sarà ritenuto attribuibile dall’On.le Tribunale se del caso anche a mezzo C.T.U. ed, in estremo subordine in via equitativa; 4. In subordine condannare la Città Metropolita di Napoli (già Provincia di Napoli), in persona del Sindaco Metropolitano p.t. e legale rappresentante, al risarcimento dei danni tutti prodotti a favore della Curatela della Social Innovation Service s.p.a. in liquidazione, come quantificati e precisati in atti nella somma di € 2.084.066,31, pari alla differenza tra il passivo e l’attivo patrimoniale alla dichiarazione di fallimento ovvero in quella somma maggiore o diversa che sarà precisata in corso di causa, oltre rivalutazione monetaria ed interessi, e spese di procedura, ovvero condannare la stessa al risarcimento del danno, oltre rivalutazione ed interessi, che sarà ritenuto attribuibile dall’On.le Tribunale se del caso anche a mezzo C.T.U. ed, in estremo subordine in via equitativa; 5. In subordine condannare la Città Metropolitana di Napoli al risarcimento di € 1.342.873,00 per l’aggravamento del dissesto della fallita sino al momento in cui è stata iscritta la messa in liquidazione della Social Innovation Services s.p.a. in liquidazione, ovvero in quella somma maggiore o diversa che sarà precisata in corso di causa, oltre rivalutazione monetaria ed interessi, e spese di procedura, ovvero condannare la stessa al risarcimento del danno, oltre rivalutazione ed interessi, che sarà ritenuto attribuibile dall’On.le Tribunale se del caso anche a mezzo C.T.U. ed, in estremo subordine in via equitativa; 6. Condannare la convenuta al pagamento delle spese e competenze del presente giudizio, oltre IVA e c.p.a. come per legge”. A sostegno della propria azione l’odierna parte attrice, dopo una ampia ricostruzione dei fatti, deduceva la responsabilità da abuso di direzione e coordinamento della Città metropolitana stante il controllo analogo esercitato nei confronti della S.I.S. s.p.a., una società in house con committente esclusivo identificabile nella stessa Città metropolitana, avendo il suo agire determinato danni al patrimonio della fallita.

Si costituiva in giudizio la parte convenuta che, ancor prima di contestare nel merito gli addebiti che fonderebbero la responsabilità invocata dalla attrice anche per mancanza di prova dei presupposti della responsabilità, deduceva la insussistenza dei presupposti normativi per l’applicazione della responsabilità ex art. 2497 c.c. invocata non potendosi tale norma riferire alle società strumentali, quali la stessa anche alla luce delle disposizione contenute nel proprio Statuto.

Solo in sede di comparsa conclusionale ed quindi in modo del tutto tardivo la parte convenuta eccepiva la prescrizione della domanda attorea risalendo i fatti alla stessa addebitati (e come sopra detto contestati) al più al 2011 laddove la domanda attorea era stata introdotta in data 14 luglio 2017.

Ammessa ed espletata CTU tecnico contabile, all’udienza del 24 aprile 2022 la causa veniva assegnata in decisione, previa concessione dei termini di cui all’art. 190 c.p.c.

Osserva il Collegio, ferma restando la intempestività della proposta eccezione di prescrizione dell’azione da parte della convenuta, che la domanda deve essere rigettata non potendosi ritenere sussistenti, nel caso in esame, i presupposti normativi della responsabilità ex art. 2497 c.c. invocata nei confronti della odierna parte convenuta.

Giova ricostruire, sia pure brevemente, il quadro fattuale per meglio comprendere la vicenda giuridica.

Con delibera di Consiglio Provinciale n. 205 del 29.11.05, la società oggi fallita veniva costituita al fine di svolgere per conto dell’Ente partecipante, in regime di affidamento in house ex art. 113 D. Lgs. n. 267/2000, servizi riconducibili alle seguenti tipologie: servizi ausiliari di vigilanza e sicurezza del patrimonio scolastico, storico-edilizio, ambientale ed infrastrutturale dell’Amministrazione Provinciale; servizio di accompagnamento e trasporto intercomunale a chiamata dei soggetti diversamente abili residenti nella Provincia di Napoli; servizio di call center 24 ore su 24 per la sicurezza stradale e le emergenze della viabilità delle strade provinciali. In altri termini la società veniva costituita, conformemente al disposto di cui all’art. 113 D. Lgs. n. 267/200, al fine di gestire servizi afferenti alle funzioni fondamentali dell’Ente, quali evincibili dalla normativa di riferimento, utilizzando e così stabilizzando una serie di LSU.

In concreto l’attività di programmazione dell’Ente socio si era concretizzata nell'assegnazione alla società di commesse continuative, remunerative, progressivamente adeguate ai mutamenti economici. Emerge dagli atti, infatti, che la prima commessa assegnata alla società aveva ad oggetto il servizio di vigilanza e disciplina affluenza agli Istituti Scolastici di competenza della Provincia di Napoli (affidato con delibera di G.P. n. 114 del 02.03.06 e contratto n. 11793 del 28.04.2006, successivamente prorogato ed esteso ad altri istituti, con conseguente aumento di canone).

Al fine, poi, di rispondere con ulteriori finanziamenti alla crisi che aveva interessato la società nel 2010, l'Ente affidava alla stessa un’ulteriore commessa, avente ad oggetto il servizio di sorveglianza dei beni del patrimonio provinciale e pulizia delle relative aree verdi (affidato con delibera di G.P. n. 1109 del 30.12.10 e contratto n. 13687 del 18.02.11, prorogato e successivamente esteso alla Reggia di Portici, con conseguente aumento del corrispettivo).

Dette commesse erano state originariamente affidate con pagamento del corrispettivo “a canone”, ma con deliberazione n. 331 del 25.5.2012 venivano trasformate in servizi a misura, giusta contratti n. 14034 e n. 14035 del 31.5.12, prorogati fino al 30.06.14.

Da quanto esposto emerge: a) che entrambi i servizi erano stati affidati per una durata continuativa ed ininterrotta, ed in particolare, il primo dal 28.04.06 al 30.06.14 (ossia dalla costituzione alla messa in liquidazione della società), ed il secondo dal 18.02.11 al 30.06.14; b) che i contratti di affidamento arano stati, altresì, adeguati alla progressiva crisi economica della società, in quanto sono stati più volte oggetto di estensioni ad ulteriori immobili e, dunque, di aumenti di corrispettivo.

In altre parole per l’intero periodo dal 28.04.06 al 30.06.14, ossia dalla costituzione alla messa in liquidazione della società, l’Amministrazione aveva, in maniera continua ed ininterrotta, assegnato alla società numerose commesse, provvedendo a reiterarne la durata, in modo da non consentire soluzioni di continuità sia nei servizi espletati, sia nell’erogazione dei corrispettivi, che venivano contrattualizzati sulla base dei costi preventivamente indicati dalla società, e, dunque, non potevano non essere remunerativi. Così descritta la natura della società e dei servizi espletati, il Collegio ritiene che manchi il presupposto della responsabilità di cui all’invocato art. 2497 c.c.

Va ricostruito il quadro normativo così come nel tempo delineato dal Legislatore.

Recita l’art. 2497, I comma c.c. che “le società o gli enti che, esercitando attività di direzione e coordinamento di società, agiscono nell'interesse imprenditoriale proprio o altrui in violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società medesime, sono direttamente responsabili nei confronti dei soci di queste per il pregiudizio arrecato alla redditività ed al valore della partecipazione sociale, nonché nei confronti dei creditori sociali per la lesione cagionata all'integrità del patrimonio della società. Non vi è responsabilità quando il danno risulta mancante alla luce del risultato complessivo dell'attività di direzione e coordinamento ovvero integralmente eliminato anche a seguito di operazioni a ciò dirette”. Non si dubita che la locuzione utilizzata società ed altri enti non comporta alcuna possibilità di escludere, dall’ambito applicativo della normativa, gli enti pubblici ed anzi ciò ha trovato conferma nella disposizione di interpretazione autentica contenuta nella legge n. 102/2009. In effetti la portata applicativa dell’art. 2497 del codice civile in relazione alle società partecipate dagli enti locali ha avuto un chiarimento da una disposizione di interpretaizone autentica, contenuta nell’art. 19, comma VI del d.l. n. 78/2009, convertito nella legge n. 102/2009. In base a questo dato legislativo, il comma I dell’art. 2497 del codice civile si interpreta nel senso che “per enti si intendono i soggetti giuridici collettivi, diversi dallo Stato, che detengono la partecipazione sociale nell’ambito della propria attività imprenditoriale ovvero per finalità di natura economica o finanziaria.”

La norma specifica, quindi, che per enti si intendono i soggetti giuridici collettivi, diversi dallo Stato, che detengono la partecipazione sociale nell'ambito della propria attività imprenditoriale ovvero per finalità di natura economica o finanziaria.

Dalla lettura della norma si evince che, sotto il profilo del soggetto che sottopone a direzione e coordinamento viene prevista espressamente l’esclusione dello Stato, mentre rientrano nella nozione di “enti” di cui all’art. 2497 cod. civ. i soggetti giuridici collettivi per i quali la partecipazione sociale è finalizzata all’esercizio della propria attività imprenditoriale ovvero per finalità di natura economico finanziaria.

Tale distinzione sembra avvalorare la tesi in base alla quale gli enti pubblici locali (province e comuni) non potevano essere sottoposti alle disposizioni dell’art. 2497 cod. civ. in quanto svolgono eminentemente fini istituzionali e solo in parte anche attività riconducibili ai criteri dell’impresa. La norma di interpretazione autentica è più precisa e fa riferimento sia all’attività imprenditoriale propria che, in alternativa, a finalità di natura economica (conseguire ricavi superiori a costi) che finanziaria (lucrare rendite di natura finanziaria).

Va quindi interpretato l’art. 2497 del codice civile alla luce delle novità nel caso di società detenute dagli enti locali che ai sensi dell’art. 3 comma 27 e seguenti della legge n. 244/2007 (Legge finanziaria 2008) debbono unicamente: - prestare servizi di interesse generale nei limiti di competenza dell’ente locale socio; - svolgere servizi o attività strumentali per il perseguimento dei fini istituzionali dell’ente locale socio, la cui disciplina di riferimento è l’art. 13 del d.l. n. 223/2006 (c.d. decreto Bersani, convertito nella legge n. 248/2006).

Sulla base di tale distinzione, così come interpretata anche dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 326/2008 il Collegio ritiene possibile ripartire la partecipazioni comunali in due categorie:

a) le società che gestiscono servizi di interesse generale e svolgono un’attività d’impresa;

b) le società che prestano servizi o attività strumentali per il perseguimento dei fini istituzionali dell’ente locale socio, non svolgono un’attività d’impresa ma funzioni amministrative (cd. società semi amministrazioni).

A fronte di tali elementi, quindi: - qualora l’ente locale detenga partecipazioni di categoria a) l’ente locale e la sua società partecipata sono sottoposte a tutta la disciplina dell’art. 2497 e seguenti del codice civile al pari di ogni altro socio “privato” che esercita attività di direzione e coordinamento sulle proprie controllate; - qualora l’ente locale detenga partecipazioni di categoria b) non si applicano le disposizioni dell’art. 2497 del cod. civ. Tale posizione riflette le valutazioni espresse dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili (CNDCEC) nel proprio studio del maggio 2010 sulla costituzione delle holding da parte di enti locali, nel quale si precisa che nel caso della costituzione di una società holding sembra plausibile l’applicazione dell’art. 2497 del codice civile in capo alla società holding medesima, mentre non sembra applicabile, secondo la novella interpretazione, in capo all’ente locale che detiene unicamente la partecipazione in una società (la holding) che svolge per suo conto un’attività meramente strumentale né per finalità economiche che di natura finanziaria.

Del resto l’interpretazione oggi proposta dal Collegio trova conferma in due autorevoli precedenti che è importante citare.

Il primo riguarda la Corte di Appello di Napoli, sentenza n. 5428/19 che, partendo proprio dall'esame dell’art. 19 VI co, che, con finalità di interpretazione autentica, ha rimarcato che gli Enti soggetti a responsabilità ex art. 2497 c.c. sono quelli che “detengono la partecipazione sociale nell'ambito della propria attività imprenditoriale ovvero per finalità di natura economica o finanziaria”, e ha conseguentemente ritenuto che: “Dalla lettura della norma può affermarsi che “ l'interesse imprenditoriale”, quale criterio per individuare i soggetti attivi dell'attività di direzione e coordinamento di società, è riscontrabile in capo agli enti pubblici (in linea generale chiamati ad agire in vista di finalità di interesse generale, in astratto incompatibili con la funzione di holding di chi dirige e coordina con la sottesa funzione imprenditoriale) che esercitano, per il tramite di una o più società, l'attività di produzione di beni o servizi secondo un “criterio di obiettiva economicità”: così inteso, l'interesse patrimoniale può addirsi (oltre agli enti pubblici economici) anche agli enti pubblici locali le cui attività (definibili) “ economiche” sono dirette a realizzare pubbliche finalità; un simile interesse non è invece ravvisabile nei confronti dello Stato, in quanto portatore di un interesse politico attinente al governo dell'economia, né degli altri enti pubblici che agiscono secondo criteri di pura erogazione (cd. enti pubblici di protezione sociale). Più in particolare tale interesse potrebbe ravvisarsi laddove l'ente pubblico partecipi in società che erogano servizi pubblici di rilevanza economica, quali i servizi di distribuzione di energia elettrica e del gas, il servizio idrico integrato, i servizi di spazzamento delle strade comunali, la gestione della raccolta di rifiuti solidi urbani, il trasporto pubblico effettuato in favore dei cittadini e la gestione dei parcheggi comunali; non anche qualora l'ente partecipi in società che erogano servizi pubblici privi di rilevanza economica. In maniera sostanzialmente analoga, nell'ambito di applicazione dell'art. 2497 c.c. dovrebbero rientrare gli enti pubblici territoriali detentori di partecipazioni in società che erogano servizi rivolti al pubblico in regime di concorrenza, restandone esclusi gli enti pubblici territoriali esercenti attività amministrativa strumentale a favore degli enti medesimi (cd. società semi-amministrazioni ex art. 13 della L. n. 248/2006)”.

E’ quindi la natura imprenditoriale dell’attività espletata dalla società controllata che è dirimente ai fini dell’applicazione, all’Ente controllante, della responsabilità ex art. 2497 c.c., ma tale natura imprenditoriale non ricorre allorquando la controllata sia una società meramente strumentale. E detti principi hanno trovato recentissima applicazione anche nella sentenza Tribunale delle Imprese di Roma n. 689/21 che, nel premettere l’applicabilità dell'art. 2497 c.c. anche agli enti pubblici, secondo quanto chiarito dall'art. 19 co. VI, del D.L. n. 78/09, conv. in L. n. 102/09 - ossia sempre che la detenzione della partecipazione sociale avvenga nell'ambito della propria attività imprenditoriale o per finalità di natura economica o finanziaria - ha, come la Corte territoriale partenopea, concluso nel senso che, al fine della configurabilità della responsabilità ex art. 2947 c.c., occorre che la società controllata eserciti “attività di produzione di beni e servizi destinati ad utenza esterna” e non si tratti di società costituita per il mero svolgimento di attività di “autoproduzione” esclusivamente a favore degli enti pubblici soci.

In particolare, il Tribunale di Roma ha rilevato che l'applicabilità dell'art. 2497 c.c. richiede “requisiti oggettivi, tra loro alternativi (detenzione della partecipazione sociale nell'ambito della propria attività imprenditoriale ovvero per finalità di natura economica o finanziaria), par d'uopo rimarcare che, secondo un condivisibile indirizzo dottrinario, i cennati requisiti oggettivi possono ritenersi sussistenti anche con riferimento alle società controllate da Enti locali, ed, in generale, da amministrazioni pubbliche diverse dallo Stato - che pure, di regola, non svolgono attività di impresa con scopo di lucro - quante volte dette società eroghino servizi di interesse economico generale, destinati ad un'utenza esterna all'ente socio, o, comunque, siano gestite con “ il metodo economico” proprio dell'impresa. In tale ordine di concetti questo Tribunale, pur non ignorando l'indirizzo di segno contrario espresso da una parte della dottrina, ritiene che la disposizione di cui all'art. 2497 c.c. possa essere invocata anche con riferimento alla penetrante attività di direzione e controllo esercitata, da enti pubblici diversi dallo Stato, sulle società in house providing, naturalmente a condizione che ricorrano i requisiti oggettivi sopra richiamati, e che, dunque, non si sia in presenza di una società costituita per il solo svolgimento di attività di “ autoproduzione” di beni e servizi destinati, in via diretta ed esclusiva, agli enti pubblici soci”.

Osserva il Collegio, alla luce di principi di diritto sopra riportati, che nel caso di specie la natura strumentale della società fallita emerge chiaramente dall’atto costitutivo della stessa. Infatti ai sensi dell'art. 1 dello Statuto, la società è stata “costituita per l'esercizio di attività e servizi strumentali per i soci ai sensi dell'art. 13 D. L. n. 223/06 e con espressa esclusione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica”

La fattispecie è, pertanto, speculare a quella sottoposta alla Corte di Appello di Napoli che ha concluso nel senso che la circostanza per cui la società risultasse costituita “per la prestazione di servizi ed attività strumentali esclusivamente nei confronti dell'Amministrazione provinciale di Napoli, con espressa esclusione dei servizi pubblici di rilevanza economica” ... “ne delinea le finalità eminentemente istituzionali, non riconducibili a criteri dell'impresa, il che consente di escludere l'applicazione della indicata disposizione codicistica” (Sent. Corte di Appello di Napoli n. 5428/19 citata).

Non cogli nel segno, quindi, l’eccezione di parte attrice secondo cui in tale ipotesi ci sarebbe la giurisdizione del Giudice ordinario a conoscere di questa responsabilità perché una cosa è la questione di giurisdizione nel caso di azione di responsabilità ex art. 2947 c.c. proposta nei confronti dell’ente pubblico unico socio della società fallita altra cosa sono i presupposti per l’applicazione di tale norme che, come sopra ricordato, non sussistono nel caso di specie. Del resto l’ente in posizione di controllo contro il quale si agisce per essere ritenuto responsabile deve essere, come chiarito, portatore di un interesse di impresa (il Tribunale di Roma sopra richiamato precisa poi che la mera titolarità di una posizione di controllo tuttavia non è di per sé sola sufficiente a far sorgere la responsabilità in quanto è necessario che vengano integrati anche gli altri presupposti richiesti dalla norma. Affermano i giudici romani che detta responsabilità “presuppone la prova, a carico della parte che la invoca, della esistenza “cumulativa” non solo a) della titolarità, in capo ad una società o ad un ente, di un potere di direzione e di coordinamento nei confronti di altra società, ma anche degli ulteriori elementi quali b) la violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale della eterodiretta; c) l’agire nell’interesse imprenditoriale proprio o altrui; d) il pregiudizio arrecato alla redditività e al valore della partecipazione e/o la lesione cagionata all’integrità del patrimonio della società; d) lo stretto nesso di causalità tra la condotta di eterogestione abusiva ed il pregiudizio prospettato”) che va qualificato come detenzione di partecipazione societaria per svolgere attività imprenditoriale ovvero per finalità economiche o finanziarie, cioè deve perseguire finalità latu sensu lucrative. Va da se che non è esclusa la responsabilità erariale (la cui conoscenza spetta alla giurisdizione della Corte dei Conti) mentre evidentemente nel caso in esame forse era necessario andare alla ricerca di responsabilità del management aziendale vista la inapplicabilità del sopra detto articolo con riferimento ad una società strumentale che non svolgeva attività di produzione di beni e servizi destinati ad una utenza esterna ma solo attività di autoproduzione a favore dell’ente pubblico unico socio.

Ne deriva l’assorbimento delle altre questioni di merito prima fra tutte quelle relative all’accertamento della responsabilità vista la ritenuta impossibilità della società di poter raggiungere l’equilibrio finanziario senza i ripetuti apporti finanziari dell’unico socio e del mancato anticipato scioglimento sussistendone i presupposti con maggiore aggravamento della crisi economico – finanziaria. Su questi quesiti ha dato risposta positiva il CTU nella relazione peritale laddove lo stesso ha chiarito che la prosecuzione dell’attività della società a partire dal 2012 fino alla data del fallimento ha generato ingenti perdite ma per le cose dette la questione è rimasta assorbita essendo piuttosto riferibile al management aziendale o essendo frutto di responsabilità per danno erariale. Se ne ricava quindi che la domanda deve essere rigettata con compensazione delle spese del presente giudizio stante la particolare complessità della materia trattata e l’incertezza interpretativa cui si presta la normativa di settore che regola la peculiare materia affrontata.

Resta ferma la liquidazione al CTU delle spese per la redazione dell’elaborato peritale come poste a carico di entrambe le parti ed in solido fra loro da precedente provvedimento di liquidazione che viene pienamente confermato.

 

P.Q.M.

Il Tribunale di Napoli, sezione specializzata in materia di impresa, definitivamente pronunciando sulla controversia come sopra proposta tra le parti, ogni altra istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone:

- Rigetta la domanda;

- Compensa le spese del presente giudizio e provvede come in dispositivo quanto alla liquidazione della CTU Così deciso in Napoli, lì 13 settembre 2022.

Il Presidente relatore

dott. Nicola Graziano

 

HomeSentenzeArticoliLegislazioneLinksRicercaScrivici