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TAR Lazio, sez. IV, 19/10/2022 n. 13434
Sulla rimessione alla Corte di giustizia dell'Ue di alcune questioni pregiudiziali sulla prosecuzione della gestione della rete autostradale di Autostrade per l’Italia s.p.a. senza una procedura di evidenza pubblica

Vanno rimessi alla Corte di giustizia UE i seguenti quesiti interpretativi:
a) se sia, o meno, contrastante con il diritto comunitario l’interpretazione della normativa nazionale nel senso che l’Amministrazione concedente possa istruire un procedimento di modificazione soggettiva ed oggettiva di una concessione autostradale in corso di validità, o di sua rinegoziazione, senza valutare ed esprimersi sull’obbligo di indire una procedura di evidenza pubblica;

b) se sia, o meno, contrastante con il diritto comunitario l’interpretazione della normativa nazionale nel senso che l’Amministrazione concedente possa istruire un procedimento di modificazione soggettiva ed oggettiva di una concessione autostradale in corso di validità, o di sua rinegoziazione, senza valutare l’affidabilità di un concessionario che si sia reso autore di un grave inadempimento;

c) se in caso di rilevata violazione del principio di evidenza pubblica e/o di rilevata inaffidabilità del titolare di una concessione autostradale, la normativa comunitaria imponga l’obbligo della risoluzione del rapporto.


Materia: concessioni / disciplina
Pubblicato il 19/10/2022

N. 13434/2022 REG.PROV.COLL.

N. 06020/2022 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA NON DEFINITIVA

sul ricorso numero di registro generale 6020 del 2022, proposto da
AIPE (Associazione italiana pressure equipment), CONFIMI INDUSTRIA ABRUZZO (Associazione dell'industria manifatturiera e dell'impresa privata dell'Abruzzo), ADUSBEF (Associazione difesa utenti servizi bancari e finanziari), rappresentate e difese dagli avvocati Daniele Granara, Davide Mazzola, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dell'economia e delle finanze, Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili, Dipe - Dipartimento Programmazione e Coordinamento della Politica Economica, Autorità di Regolazione dei Trasporti, Corte dei Conti, Avvocatura Generale dello Stato, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti

Atlantia S.p.A., rappresentata e difesa dagli avvocati Sara Biglieri, Ilaria Gobbato, Lorenzo Ugolini, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Autostrade per l’Italia S.p.A., rappresentata e difesa dagli avvocati Marco Annoni, Luisa Torchia, Francesco Giovanni Albisinni, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto in Roma, viale Bruno Buozzi;

e con l'intervento di

ad adiuvandum:
Codacons, Associazione Utenti Autostrade, rappresentata e difesa dagli avvocati Gino Giuliano, Carlo Rienzi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto in Roma, viale Giuseppe Mazzini n. 73;
ad opponendum:
Holding Reti Autostradali S.p.A., rappresentata e difesa dagli avvocati Aristide Police, Alessandro Parini, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto in Roma, viale Liegi, 32;

per l'annullamento

della deliberazione del Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile (CIPESS) del 22.12.2021, avente oggetto “Autostrade per l'Italia S.p.a. - Parere sul terzo atto aggiuntivo alla convenzione unica del 12 ottobre 2007 e sul Piano economico finanziario, ai sensi dell'articolo 43 del decreto-legge n. 201 del 2011. (Delibera n. 75/2021)”, pubblicata sulla G.U. del 30.3.2022, serie generale n. 75; del decreto del Ministro delle infrastrutture e della mobilità sostenibili di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze n. 37 del 22.2.2022, con cui è stato approvato l'Accordo transattivo, sottoscritto il 14.10.2021, tra il Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili e la società Autostrade per l'Italia S.p.A. (ASPI S.p.A.), al fine di definire la procedura di contestazione per grave inadempimento agli obblighi di manutenzione e custodia della rete autostradale da parte del concessionario ASPI S.p.A., avviata dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti con nota n. 17664 del 16.8.2018; della deliberazione della Corte dei Conti - Sezione centrale del controllo di legittimità sugli atti del Governo e delle Amministrazioni dello Stato n. SCCLEG/2/2022/PREV depositata in Segreteria il 29.3.2022; del parere favorevole dell'Avvocatura Generale dello Stato, trasmesso con nota 24.9.2021, relativo allo schema di accordo sopra indicato; dell'Accordo del 14.10.2021, sottoscritto tra il Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili (MIMS) e la società ASPI S.p.A., con cui è stata definita la procedura di contestazione per grave inadempimento agli obblighi di manutenzione e custodia della rete autostradale, intrapresa nei confronti dello stesso concessionario; della nota del 5.11.2021, n. 19135, con cui la società ASPI ha trasmesso al MIMS la proposta di piano economico-finanziario (PEF) aggiornata; del parere 22.12.2021, n. 3, del Nucleo di consulenza per l'attuazione delle linee guida per la regolazione dei servizi di pubblica utilità (NARS), sullo schema di terzo Atto aggiuntivo alla Convenzione Unica e il relativo PEF; del parere 14.10.2020, n. 8 e della nota 16.12.2021 dell'Autorità di regolazione dei trasporti (ART); dei verbali delle sedute del 14 e 15 luglio 2020 del Consiglio dei Ministri; nonché per la declaratoria di nullità e/o annullamento di tutti gli atti presupposti, consequenziali e connessi.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del Ministero dell'economia e delle finanze, del Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili, Dipe - Dipartimento programmazione e coordinamento della politica economica, dell’Autorità di regolazione dei trasporti, della Corte dei Conti, dell’Avvocatura Generale dello Stato; nonché delle intervenienti Codacons, Associazione utenti autostrade e Holding Reti Autostradali S.p.A.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 ottobre 2022 il dott. Angelo Fanizza e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Visto l'art. 36, co. 2, cod. proc. amm.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

L’Associazione italiana pressure equipment (AIPE), l’Associazione dell'industria manifatturiera e dell'impresa privata dell'Abruzzo (Confimi Industria Abruzzo) e l’Associazione difesa utenti servizi bancari e finanziari (Adusbef) hanno impugnato e chiesto l’annullamento della deliberazione del Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile (CIPESS) del 22.12.2021, avente oggetto “Autostrade per l'Italia S.p.a. - Parere sul terzo atto aggiuntivo alla convenzione unica del 12 ottobre 2007 e sul Piano economico finanziario, ai sensi dell'articolo 43 del decreto-legge n. 201 del 2011. (Delibera n. 75/2021)”, pubblicata sulla G.U. del 30.3.2022, serie generale n. 75; del decreto del Ministro delle infrastrutture e della mobilità sostenibili di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze n. 37 del 22.2.2022, con cui è stato approvato l'Accordo transattivo, sottoscritto il 14.10.2021, tra il Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili e la società Autostrade per l'Italia S.p.A. (ASPI S.p.A.), al fine di definire la procedura di contestazione per grave inadempimento agli obblighi di manutenzione e custodia della rete autostradale da parte del concessionario ASPI S.p.A., avviata dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti con nota n. 17664 del 16.8.2018; della deliberazione della Corte dei Conti - Sezione centrale del controllo di legittimità sugli atti del Governo e delle Amministrazioni dello Stato n. SCCLEG/2/2022/PREV depositata in Segreteria il 29.3.2022; del parere favorevole dell'Avvocatura Generale dello Stato, trasmesso con nota 24.9.2021, relativo allo schema di accordo sopra indicato; dell'Accordo transattivo del 14.10.2021, sottoscritto tra il Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili (MIMS) e la società ASPI S.p.A., con cui è stata definita la procedura di contestazione per grave inadempimento agli obblighi di manutenzione e custodia della rete autostradale, intrapresa nei confronti dello stesso concessionario; della nota del 5.11.2021, n. 19135, con cui la società ASPI ha trasmesso al MIMS la proposta di piano economico-finanziario (PEF) aggiornata; del parere 22.12.2021, n. 3, del Nucleo di consulenza per l'attuazione delle linee guida per la regolazione dei servizi di pubblica utilità (NARS), sullo schema di terzo Atto aggiuntivo alla Convenzione Unica e il relativo PEF; del parere del 14.10.2020, n. 8 e della nota del 16.12.2021 dell'Autorità di regolazione dei trasporti (ART); dei verbali delle sedute del 14 e 15 luglio 2020 del Consiglio dei Ministri. Le ricorrenti hanno, inoltre, chiesto la declaratoria di nullità e/o l'annullamento di tutti gli atti presupposti, connessi e consequenziali.

La controversia interessa, dunque, la concessione della società Autostrade per l’Italia (ASPI) S.p.A..

In particolare, in data 11.10.2007 è stata sottoscritta tra Autostrade per l’Italia S.p.A. e ANAS S.p.A. la Convenzione Unica per l’affidamento in concessione di una pluralità di tratte autostradali (dell’estensione di oltre 2800 km), approvata mediante l’emanazione dell’art. 8 duodecies del DL 59/2008 convertito con modificazioni dalla legge 101/2008. Ai sensi dell’art. 4 della convenzione “la scadenza della concessione è fissata al 31 dicembre 2038”.

Ad ANAS S.p.A., originario concedente, è poi succeduto il Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili (MIMS) a far data dall’1.10.2012, e ciò ai sensi dell’art. 11, comma 5 del DL 216/2011, convertito con modifiche dalla legge 14/2012.

Nel corso del tempo sono sopravvenute alcune disposizioni che hanno inciso sulla regolazione del rapporto concessorio.

Per quanto più interessa i fatti di causa, l’art. 43 del DL 201/2011, convertito nella legge 214/2011 (ed integrato dal successivo art. 16 del DL 109/2018, convertito nella legge 130/2018) ha previsto che “gli aggiornamenti o le revisioni delle convenzioni autostradali vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto, laddove comportino variazioni o modificazioni al piano degli investimenti ovvero ad aspetti di carattere regolatorio a tutela della finanza pubblica, sono trasmessi, sentita l'Autorità di regolazione dei trasporti per i profili di competenza di cui all'articolo 37, comma 2, lettera g), in merito all'individuazione dei sistemi tariffari, dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti al CIPE che, sentito il NARS, si pronuncia entro trenta giorni e, successivamente, approvati con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, da emanarsi entro trenta giorni dalla avvenuta trasmissione dell'atto convenzionale ad opera dell'amministrazione concedente” (comma 1); che “gli aggiornamenti o le revisioni delle convenzioni autostradali vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto che non comportano le variazioni o le modificazioni di cui al comma 1 sono approvate con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, da emanarsi entro trenta giorni dall'avvenuta trasmissione dell'atto convenzionale ad opera dell'amministrazione concedente” (comma 2); che, ancora, “nei casi di cui ai commi 1 e 2 il concedente, sentita l'Autorità di regolazione dei trasporti, verifica l'applicazione dei criteri di determinazione delle tariffe, anche con riferimento all'effettivo stato di attuazione degli investimenti già inclusi in tariffa” (comma 2 bis); che, inoltre, “gli aggiornamenti o le revisioni delle convenzioni autostradali, i cui schemi di atti aggiuntivi sono già stati sottoposti al parere del CIPE alla data di entrata in vigore del presente decreto, sono approvati con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, da emanarsi entro trenta giorni dall'avvenuta trasmissione dell'atto convenzionale ad opera dell'amministrazione concedente” (comma 3).

Le ricorrenti hanno, preliminarmente, esposto di essere: un’associazione di “produttori italiani operanti nel settore degli Apparecchi in pressione e del suo indotto, che sviluppano un fatturato su tutto il territorio nazionale pari a circa 3,5 miliardi di euro, impiegando oltre 25.000 addetti” (AIPE); un consorzio che “rappresenta il settore manifatturiero abruzzese e i servizi alla produzione” (Confimi Industria Abruzzo) e “un’associazione a difesa dei consumatori e degli utenti di ogni settore consumerista, con particolare specializzazione nel settore bancario” (Adusbef) e di vantare un “preciso e qualificato interesse a che il servizio autostradale sia reso in modo efficiente, in condizioni di equità ed a costi equilibrati e sostenibili” (cfr. pag. 4).

Hanno, diffusamente, riepilogato le vicende che hanno condotto alla “convenzione unica ANAS – ASPI, stipulata il 12 ottobre 2007, nonostante il parere negativo del Nucleo di consulenza per l'attuazione delle linee guida per la regolazione dei servizi di pubblica utilità (NARS) del 26 novembre 2007” ed “approvata con l’art. 8-duodecies della Legge 6 giugno 2008, n. 101, di conversione del D. L. 8 aprile 2008, n. 59 insieme con tutti gli schemi di convenzione con la società Anas S.p.a. già sottoscritti dalle società concessionarie autostradali” (cfr. pag. 6); nonché hanno per sommi capi ripercorso la disciplina – legislativa e convenzionale – che riguarda, in particolare, la risoluzione della convenzione, evidenziando criticamente la regolazione della clausola relativa all’obbligo del concedente di corrispondere, anche in caso di risoluzione anticipata del rapporto, “un indennizzo-risarcimento pari all'importo corrispondente al valore attuale netto dei ricavi della gestione prevedibile dalla data del provvedimento sino alla scadenza della concessione, al pagamento del quale è espressamente subordinata la cessazione degli effetti della concessione” (cfr. pag. 7).

Tanto premesso, in data 22.2.2018 è stato sottoscritto tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e Autostrade per l'Italia S.p.A. l’Atto Aggiuntivo II alla Convenzione Unica stipulata nel 2007, divenuto efficace con decreto dello stesso MIMS di concerto con il Ministero dell’Economia e della Finanze n. 128 del 16.3.2018.

È, però, accaduto che il 14.8.2018 si è verificato il cedimento di una sezione del Viadotto Polcevera sull'Autostrada A10 in concessione ad ASPI (il c.d. Ponte Morandi a Genova): e nell’occasione, come risulta pubblicamente noto, sono decedute 43 persone.

A seguito di tale evento, la Direzione generale di vigilanza sulle concessionarie autostradali, con nota del 16.8.2018, ha avviato formalmente la contestazione di grave inadempimento agli obblighi di manutenzione e custodia nei confronti della concessionaria: un procedimento nell’ambito del quale con DM n. 119 del 29.3.2019 è stato istituito un Gruppo di Lavoro interistituzionale con il mandato di accertare la sussistenza dell'inadempimento del concessionario ed esplicitare i correlati profili amministrativi e giuridici; tale organo – si legge nell’accordo impugnato – ha espresso un parere in data 29.6.2019, nel quale “ha da un lato ritenuto sussistere il grave inadempimento del concessionario agli obblighi di custodia e di manutenzione dell'infrastruttura autostradale e i presupposti per la risoluzione della Convenzione Unica, e dall'alto lato ha rimesso alle Amministrazioni la valutazione se procedere alla rinegoziatone della stessa Convenzione Unica, laddove maggiormente tutelante per gli interessi dello Stato, al fine di ricondurre ad equilibrio il rapporto concessorio e ripristinare la piena sicurezza della rete autostradale, evidenziando al § 11 i potenziali rischi di contenzioso e delle ricadute operative risultanti dal provvedimento di risoluzione contrattuale”.

A ciò sono seguiti, a partire dal 10.7.2019, alcuni incontri tra il concessionario, il MIMS, il MEF e la Presidenza del Consiglio dei Ministri, in esito ai quali sono state inizialmente formulate dalla società “diverse ipotesi negoziali che le Amministrazioni non hanno ritenuto accoglibili” (cfr. pag. 6 dell’accordo), pure a fronte del parere del 19.2.2020, con cui l'Avvocatura Generale dello Stato, su istanza del MIMS, “ha ritenuto da un lato che si prefigurano profili di grave inadempimento agli obblighi di manutenzione custodia e dall'auto lato ha evidenziato i rischi del contenzioso instaurata dal concessionario a seguito della contestazione dell’evento”: una fase alla quale ha fatto seguito la nota dell’11.7.2020, con cui lo stesso concessionario “ha presentato una nuova proposta di soluzione negoziale della procedura di contestazione, ulteriormente affinata con le note del 13, 14 e 15 luglio 2020, relativa anche alla ridefinizione delle regole convenzionali di concessione in materia di adempimento degli obblighi del concessionario e alla accettazione di un nuovo regime tariffario fissato dall'Autorità di regolazione dei trasporti”, competente a seguito dell’entrata in vigore del DL 28 settembre 2018, n. 109, convertito con legge 16 novembre 2018, n. 130 (che ha modificato gli artt. 37 e 43 del DL 201/2011, convertito nella legge 214/2011).

Nella “nuova proposta” il concessionario ha “espresso la propria disponibilità ad un intervento finanziario compensativo non remunerato in tariffa per 3.400 milioni di euro; formulato precisi impegni volti, tra l’altro, ad assicurare un considerevole aumento degli standard di sicurezza della rete autostradale concessa e un elevato grado di affidabilità circa la loro effettiva realizzazione; rappresentato, d'intesa con il proprio azionista di controllo, la disponibilità a realizzare un'operazione di complessivo riassetto societario, con il coinvolgimento di Cassa Depositi e Prestiti SpA, e di investitori dalla stessa graditi, a cui verrebbe trasferito il controllo di Autostrade per l'Italia S.p.A.; individuato in allegato alla nota dell’11 luglio 2020 i contenziosi che sarebbero venuti meno a seguito della soluzione concordata dalla procedura di contestazione”.

L’esame di tale proposta ha condotto alla “lettera congiunta del 23 settembre 2020 del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, del Ministero dell'Economia e delle Finanze e delle Presidenza del Consiglio dei Ministri”, con cui “è stato trasmesso al concessionario il testo dell'Accordo per la definizione negoziale della Proceduta di Contestazione (di seguito, "Accordo del 23 settembre 2020") nel quale sono definite le misure a carico del concessionario e gli altri obblighi dallo stesso assunti per la definizione negoziale della procedura di contestazione stessa”; e, a stretto giro, è stata avviata una “interlocuzione finalizzata alla conseguente rinegoziazione della Convenzione Unica al fine, tra l'altro, di dare seguito a quanto evidenziato dal citato Gruppo di Lavoro interistituzionale, di ricondurre le attività di verifica, saturazione e manutenzione alle migliori pratiche e di adeguare la disciplina tariffaria al mutato contesto normativo” (cfr. pag. 7 dell’accordo).

Cosicché, in data 15.7.2021 il concessionario ha “inoltrato lo schema di Atto Aggiuntivo alla Convenzione Unica, con i relativi allegati”, quale parte integrante dell’accordo, presentando, quindi, il piano economico-finanziario relativo al periodo regolatorio 2020 - 2024 e alle proiezioni economico-finanziarie definite per i periodi regolatori successivi fino a scadenza della concessione; e sull’accordo l’Avvocatura ha espresso parere favorevole in data 24.9.2021, ancorché “con osservazioni e con proposte di modifica del testo negoziale”.

Le ricorrenti hanno, poi, richiamato pedissequamente le valutazioni poste a base della decisione di proseguire il rapporto concessorio (così indicate: prosecuzione senza soluzione di continuità di tutte le attività connesse alla progettazione e esecuzione degli interventi di potenziamento e riqualificazione della rete autostradale gestita; immediato avvio all'esecuzione del programma di investimenti sulla rete autostradale per un valore complessivo di 13.600 milioni di euro, comprensivo sia di opere di interesse strategico per il Paese, sia di interventi di adeguamento infrastrutturale e di riqualificazione delle infrastrutture alle normative vigenti; accelerazione del programma di manutenzione, con una spesa stimata di 7.000 milioni di euro nel periodo 2020 - 2038; accelerazione dei piani di investimento relativi alla transizione ecologica e alla mobilità sostenibile attraverso il know-how della società; mantenimento e sviluppo dell'attuale capacità occupazionale pari a circa 7.000 dipendenti; adozione di iniziative per la collettività per complessivi 3.400 milioni di euro a completo carico della società, da destinare per iniziative di rilancio del Paese, tenendo conto delle priorità indicate direttamente dall'Amministrazione; certezza nei pagamenti dei lavori per la ricostruzione del ponte sostitutivo del viadotto Polcevera; superamento dei contenziosi pendenti tra il concessionario verso le Amministrazioni; continuità nel servizio autostradale; esclusione di ogni soluzione di continuità nell’erogazione di un servizio essenziale per la collettività e superamento di situazioni di possibile criticità in termini di regolare prosecuzione della gestione della rete autostradale, con implementazione dei livelli qualitativi del servizio; adeguamento delle pattuizioni convenzionali della concessione, mediante il superamento delle clausole ritenute ingiustificatamente favorevoli agli interessi del concessionario; introduzione di un sistema sanzionatorio rafforzato rispetto a quello contemplato dalla Convenzione Unica del 2007, con incremento degli importi a titolo di sanzioni e penali per le principali fattispecie, nonché l'attivazione di procedura di inadempimento al superamento di determinate soglie); nel preambolo dell’accordo si è, infine, fatto cenno alla comunicazione con cui la Commissione europea ha sottolineato l’importanza di garantire, nel settore in questione, i principi di libertà di stabilimento, libera circolazione dei capitali, certezza del diritto, tutela del legittimo affidamento e rispetto delle disposizioni comunitarie relative alle concessioni di servizio, sottolineandosi – in particolare – che “le medesime parti intendono, con l'Accordo, prevenire qualsiasi controversia fondata sulla eventuale contrarietà delle dette disposizioni al diritto dell'Unione europea ovvero ad altri fonti sovraordinate alla legge statale”.

L’accordo transattivo – hanno proseguito le ricorrenti – è composto di “dieci articoli e, per ciò che interessa la presente controversia, contempla tra l’altro: l’obbligo del concessionario di adottare misure finalizzate alla soddisfazione dell'interesse pubblico per un importo finanziario complessivo, a proprio esclusivo carico, corrispondente a 3.400 milioni di euro, secondo la ripartizione tra varie voci di spesa indicate all’art.3; la rinuncia ai contenziosi dallo stesso intentati, come elencati nell’allegato alla convenzione (art. 4); la definizione della Procedura di Contestazione avviata con atto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti del 16 agosto 2018, in sostituzione del provvedimento finale, anche ai sensi dell’art. 11 della legge n. 241 del 1990 (art. 5); i casi di risoluzione dell’Accordo per inadempimento (art. 5); la clausola risolutiva espressa di cui al conclusivo art. 10, per mancato avveramento delle condizioni indicate nel 1° comma dello stesso articolo (registrazione da parte della Corte dei Conti del decreto di approvazione dell’Accordo, dell'Atto Aggiuntivo e del Piano economico finanziario; compimento di tutti gli atti, comprese le necessarie delibere societarie, di autonome negoziazioni tra il Concessionario, Atlantia S.p.A., Cassa Depositi e Prestiti S.p.A. e gli investitori dalla stessa indicati)” (cfr. pag. 12).

La Delibera del CIPESS del 22.12.2021, n. 75 ed il Decreto del Ministro delle infrastrutture e della mobilità sostenibili, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, n. 37 del 22.2.2022, con cui è stato, appunto, approvato l’Accordo transattivo, sono stati impugnati, unitamente agli ulteriori provvedimenti, per i seguenti motivi:

1°) violazione dell’art. 8 duodecies della legge 6 giugno 2008, n. 101, di conversione del D.L. 8 aprile 2008, n. 59, degli artt. 70 e ss. della Costituzione; eccesso di potere per difetto assoluto del presupposto e di istruttoria e per contraddittorietà ed illogicità manifeste, travisamento, sviamento; difetto di attribuzione (carenza assoluta di potere) e nullità.

Le ricorrenti hanno contestato, in prima battuta, che “ogni modifica sostanziale, che non sia di semplice manutenzione, alla Convenzione Unica approvata con l’art. 8-duodecies del D.L. n. 59/2008, deve avvenire con legge, a seguito del prescritto procedimento legislativo”, e ciò sul presupposto che “il D.L. n. 262/2006 ed il D.L. n. 59/2008” sarebbero da qualificare alla stregua di “leggi provvedimento, aventi destinatari determinati e disciplinanti situazioni specifiche, attraendo alla forza legislativa il contenuto di preesistenti provvedimenti amministrativi” (cfr. pag. 14).

La diretta conseguenza della peculiare natura delle normative illustrate sarebbe, da un lato, l’esclusione della “giustiziabilità della Convenzione, in quanto tale, dalla giurisdizione sia ordinaria, sia amministrativa, rendendola, in pratica, immune dall’esercizio del potere giurisdizionale”; e, dall’altro lato, l’assoggettamento della regolazione del rapporto ad un “apprezzamento politico, in relazione al mutare delle circostanze, tra le quali in particolare il grave inadempimento in cui ASPI è incorsa” (cfr. pag. 17).

2°) Violazione del principio del contrarius actus; sotto ulteriore profilo, violazione dell’art. 8 duodecies della legge 6 giugno 2008, n. 101, di conversione del D.L. 8 aprile 2008, n. 59, degli artt. 70 e ss. della Costituzione; eccesso di potere per difetto assoluto del presupposto e di istruttoria e per contraddittorietà ed illogicità manifeste, travisamento, sviamento; difetto di attribuzione (carenza assoluta di potere) e nullità.

In stretta correlazione con il primo motivo, le ricorrenti hanno censurato la legittimità del procedimento che ha condotto alla modifica della Convenzione Unica.

3°) Violazione dell’art. 2, commi 82 e seguenti del D.L. 3 ottobre 2006, n. 262, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2006, n. 286, e successive modificazioni; eccesso di potere per difetto assoluto del presupposto e di istruttoria, contraddittorietà, illogicità manifesta, travisamento e sviamento.

Le ricorrenti hanno stigmatizzato la violazione del principio di legittimità procedurale (prospettando la doverosità delle successive fasi di redazione concordata di uno schema di Convenzione Unica tra MIMS e concessionario da fondarsi sull’espressione del parere del NARS; sull’accordo tra le parti sullo schema di convenzione; sull’esame e parere del CIPESS; sull’esame e parere delle commissioni parlamentari infrastrutture, trasporti e bilancio; sull’adozione della convenzione da parte del MIMS, cfr. pag. 20), richiamando, a sostegno di tale tesi, il contenuto della deliberazione della sezione di controllo della Corte dei Conti n. 2 del 29.3.2022.

4°) Violazione dell’art. 175 del d.lgs. 50/2016, dell’art. 43 della Direttiva 2014/23/UE; eccesso di potere per irragionevolezza, irrazionalità, illogicità, erronea valutazione dei presupposti di fatto e di diritto, travisamento, manifesta ingiustizia, disparità di trattamento e contraddittorietà, difetto di motivazione.

Le ricorrenti hanno censurato la violazione delle disposizioni legislative che, in materia di contratti pubblici e concessioni, prescrivono il rispetto del principio di concorrenza, nella specie violato in ragione dell’omesso espletamento di una procedura di aggiudicazione.

5°) Violazione dell’art. 178 del d.lgs. 50/2016, dell’art. 44 della Direttiva 2014/23/UE; eccesso di potere per irragionevolezza, irrazionalità, illogicità, erronea valutazione dei presupposti di fatto e di diritto, travisamento, manifesta ingiustizia, disparità di trattamento e contraddittorietà, difetto di motivazione.

Le ricorrenti hanno, altresì, lamentato che la proroga dell’affidamento sarebbe illegittima, avendo le Amministrazioni intimate “elusivamente ed illegittimamente perpetuato il sistema di aggiudicazione a procedura negoziata (all'epoca denominata trattativa privata) che, dopo l'entrata in vigore della normativa europea non è più consentito, tantomeno per l’affidamento di una concessione delle dimensioni di quella per cui è causa” (cfr. pag. 26).

6°) Violazione dell’art. 80 del d.lgs. 50/2016, dell’art. 38 della Direttiva 2014/23/UE; eccesso di potere per irragionevolezza, irrazionalità, illogicità, erronea valutazione dei presupposti di fatto e di diritto, travisamento, manifesta ingiustizia, disparità di trattamento e contraddittorietà, difetto di motivazione.

Le ricorrenti hanno, poi, dedotto che “la società concessionaria si è indiscutibilmente resa responsabile di un gravissimo illecito professionale accertato e riconosciuto non soltanto dalla stessa ma soprattutto dall'autorità concedente e da tutti gli organi tecnici amministrativi che si sono occupati della vicenda”; e che, “oltretutto pende un procedimento penale per accertare le gravi responsabilità della concessionaria e dei suoi agenti, ma ne è indiscutibilmente già accertata la responsabilità amministrativa, oltretutto diffusamente richiamata nelle premesse dei provvedimenti impugnati e negli atti preordinati. Questo illecito-inadempimento è di tali dimensioni che giustifica ampiamente il venir meno del requisito di prosecuzione del concessionario nel rapporto con la concedente, e tantomeno avrebbe potuto consentire la prosecuzione del rapporto con lo stesso concessionario controllato da diversa compagine azionaria” (cfr. pag. 27).

7°) Violazione dell’art. 9 del d.lgs. 231/2001, dell’art. 32-ter del codice penale e dei considerando 68 - 69 della Direttiva 2014/23/UE; eccesso di potere per irragionevolezza, irrazionalità, illogicità, erronea valutazione dei presupposti di fatto e di diritto, travisamento, manifesta ingiustizia, disparità di trattamento e contraddittorietà, difetto di motivazione.

Sul presupposto della gravità delle responsabilità che hanno investito la società concessionaria, le ricorrenti hanno ribadito che sarebbero ravvisabili le condizioni per disporre la risoluzione del rapporto piuttosto che la sua prosecuzione.

8°) Violazione dell’art. 80, comma 5, lett. c-ter) del d.lgs. 50/2016; eccesso di potere per difetto o insufficienza di motivazione.

Le ricorrenti hanno, da ultimo, evidenziato che le responsabilità ascrivibili alla società concessionaria deporrebbero per una valutazione esattamente contraria a quella che, sulla scorta di un apprezzamento disancorato dalla gravità dell’evento occorso il 14.8.2018, ha condotto a procrastinare la validità e l’efficacia della concessione oggetto del contendere.

Si sono costituiti in giudizio la società Autostrada per l’Italia S.p.A. (1.6.2022); il Ministro delle infrastrutture e della mobilità sostenibili unitamente alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, al Ministero dell'economia e delle finanze, all’Autorità di Regolazione dei Trasporti, alla Corte dei Conti ed all’Avvocatura Generale dello Stato (6.6.2022); la società Atlantia S.p.A. (14.6.2022).

Le predette Amministrazioni pubbliche, nella memoria depositata il 17.6.2022, hanno preliminarmente eccepito l’inammissibilità del ricorso per difetto di legittimazione attiva delle associazioni ricorrenti per mancata titolarità di un interesse qualificato, nonché il difetto di legittimazione passiva della Corte dei Conti, la quale avrebbe svolto “una funzione assimilabile più a quella giurisdizionale che a quella di controllo” (cfr. pag. 6); hanno, ancora, eccepito l’inammissibilità del ricorso avverso il parere espresso dal NARS e quello espresso dall’Avvocatura dello Stato, trattandosi di atti endoprocedimentali; nel merito hanno opposto che l’art. 8 duodecies del DL 58/2009 costituirebbe una legge provvedimento e che le normative sopravvenute (art. 2, commi 82 e seguenti del DL 252/2006; art. 43, comma 1, del D.L. n. 201/2011) avrebbero disciplinato gli adeguamenti, gli aggiornamenti e le revisioni della convenzione unica; hanno, altresì, eccepito l’infondatezza della dedotta violazione degli artt. 175 e 178 del codice dei contratti pubblici, mentre, per quanto riguarda l’art. 80 del medesimo codice, hanno evidenziato che si riferirebbero “alla partecipazione alle gare per l’aggiudicazione di nuovi contratti di appalto e concessioni, e quindi pro futuro” (cfr. pag. 12), fermo restando che, nella specie, la società concessionaria avrebbe posto in essere misure di self cleaning; quanto, poi, alla dedotta violazione dell’art. 9 del d.lgs. 231/2001, dei considerando 68 e 69 della Direttiva 2014/23/UE e dell’art. 32 ter del codice penale, hanno eccepito che tali disposizioni non potrebbero trovare applicazione “in quanto risulta che - rispetto alle contestazioni inerenti al d.lgs. 231/2001 avanti il Tribunale Penale di Genova - è sopravvenuto accordo di patteggiamento che, ai sensi dell’art. 445, comma 1-bis, cod. proc. pen., non esplica efficacia nei giudizi civili o amministrativi” (cfr. pag. 13).

Con atto di intervento ad opponendum (17.6.2022) la società Holding Reti Autostradali (HRA) S.p.A., qualificatasi come “veicolo societario costituito nel contesto dell’operazione avente ad oggetto l’acquisizione della partecipazione di controllo di Autostrade per l’Italia S.p.A., in precedenza detenuta da Atlantia S.p.A.” (cfr. pag. 5) ha, parimenti, eccepito il difetto di legittimazione attiva delle ricorrenti; ha, inoltre, opposto: che il rapporto convenzionale sarebbe puntualmente disciplinato dalla normativa speciale; che sarebbe legittimo, perché connotato dalla sequenza di atti previsti dalla normativa speciale, il procedimento che ha condotto all’approvazione, in data 22.3.2022, del terzo Atto aggiuntivo; nel merito ha contestato l’infondatezza dei motivi di ricorso, perché concentrati “su presunti vizi di legittimità connessi tuttavia a previsioni di legge che non trovano applicazione in relazione alle concessioni autostradali, che si collocano fuori dal campo oggettivo di applicazione del codice”; ed ha soggiunto che “la peculiarità del regime giuridico della convenzione unica e, con essa, anche del terzo Atto Aggiuntivo qui indirettamente impugnato, comporta l’inapplicabilità delle previsioni di cui all’art. 121 c.p.a.” (cfr. pag. 26); ha, poi, sottolineato che non vi sarebbe stata alcuna novazione nel rapporto concessorio, quanto, piuttosto, una modificazione soggettiva prevista dall’art. 10 bis della convenzione; che, in ogni caso, la decisione di consentire la prosecuzione del rapporto concessorio sarebbe stata assunta dopo accurata istruttoria.

Sempre in vista dell’udienza in Camera di Consiglio del 22 giugno 2022 la società ASPI S.p.A. ha depositato una memoria (17.6.2022), nella quale ha preliminarmente eccepito il difetto di legittimazione attiva e di interesse delle ricorrenti; ha riepilogato il contenuto dell’accordo transattivo, sottolineando come “tali impegni non hanno trovato attuazione con l’Accordo bensì con l’Atto Aggiuntivo sottoscritto il 21 marzo 2022 con cui è stato anche regolato l’aggiornamento quinquennale del piano economico finanziario della concessione in applicazione della disciplina convenzionale (il Terzo Atto Aggiuntivo). L’Accordo e il Terzo Atto Aggiuntivo con l’aggiornamento del PEF sono atti tra loro autonomi e distinti pur essendo tra loro collegati, come attestato dall’art. 10 lett. a) e b) dell’Accordo medesimo” (cfr. pag. 12); ha sottolineato che l’approvazione dell’Atto aggiuntivo sarebbe il risultato dell’applicazione della regolazione convenzionale e della normativa sopravvenuta all’approvazione della Convenzione Unica nel 2008; si è motivatamente opposta ai motivi di ricorso richiamando le fasi in cui si è strutturato il procedimento che ha condotto all’accordo transattivo, all’approvazione dell’Atto aggiuntivo e all’aggiornamento del PEF.

Anche la società Atlantia, nella memoria depositata il 17.6.2022, ha eccepito il difetto di legittimazione delle ricorrenti e l’irricevibilità del ricorso “per essere stato proposto decorsi 30 giorni dalla pubblicazione del Parere CIPESS”, pubblicato sulla G.U. del 30.3.2022, e ciò sul presupposto che, secondo le ricorrenti, si sarebbe perpetuato una modalità di affidamento secondo una procedura negoziata (cfr. pag. 11); nel merito ha opposto che la decisione assunta dalle Amministrazioni intimate costituirebbe una “scelta di merito” che esulerebbe dal sindacato del giudice amministrativo, in quanto l’art. 44 della Direttiva 2014/23 prefigurerebbe non l’obbligo, bensì la “possibilità per le amministrazioni aggiudicatrici (…) di porre termine alle concessioni in vigenza” (cfr. pag. 17); ha, inoltre, eccepito che non sarebbe intervenuto alcun accertamento, né di natura penale né di natura civile, né di natura amministrativa, in merito ad eventuali responsabilità correlate al viadotto Polcevera: il che escluderebbe di poter contestare ad ASPI la violazione dell’art. 80 del codice dei contratti.

Si sono costituiti, con atto di intervento ad adiuvandum, il Codacons e l’Associazione utenti autostrade (18.6.2022), rimettendosi alle deduzioni sviluppate dalle ricorrenti ed alle richieste di rinvio pregiudiziale delle questioni che afferiscono la dedotta violazione delle disposizioni comunitarie in materia di concorrenza.

In esito all’udienza in Camera di Consiglio del 22 giugno 2022 la Sezione ha emesso l’ordinanza n. 8590 del 24 giugno 2022, nella quale ha preso atto che “nell’imminenza dell’odierna udienza in Camera di Consiglio le ricorrenti hanno depositato (21.6.2022, ore 18,37) un’istanza istruttoria finalizzata ad ottenere l’ordine di deposito di documenti la cui produzione in giudizio sarebbe a loro dire “indispensabile”; che all’odierna udienza la difesa erariale, in rappresentanza delle parti pubbliche patrocinate, nonché i difensori della società ASPI S.p.A. e dell’interveniente Holding Reti Autostradali S.p.A. si sono opposti alla predetta istanza, e ciò, primariamente, sulla base della preliminare eccezione di difetto di legittimazione attiva delle ricorrenti”; ed ha evidenziato che “l’ordinamento consente di attivare rimedi di carattere sostanziale (accesso ordinario, accesso civico, accesso civico generalizzato) e processuale (accesso difensivo, istanza ai sensi dell’art. 116, comma 2 c.p.a.) diretti ad ottenere documenti ritenuti rilevanti ai fini di un pieno esercizio del diritto di difesa”; ha, quindi, statuito che “l’istanza istruttoria – nei termini contenutistici proposti e, non secondariamente, in ragione della circostanza che il difensore delle ricorrenti non ha manifestato interesse ad una pronuncia cautelare – non può trovare accoglimento; che alla luce del proposito del Collegio di definire la controversia in tempi rapidi, attesa la rilevanza delle questioni dibattute, va fissata sin d’ora l’udienza pubblica dell’11 ottobre 2022 per la discussione del ricorso nel merito; che al fine di una completa cognizione il Collegio ritiene, nondimeno, necessario che la Presidenza del Consiglio dei Ministri depositi in giudizio, entro il 30 luglio 2022, copia della nota 16 agosto 2018, n. 17664, “con la quale la Direzione generale per la vigilanza sulle concessionarie autostradali ha avviato la contestazione di gravissimo inadempimento del concessionario ASPI agli obblighi di manutenzione e custodia a seguito del crollo di una sezione del viadotto Polcevera localizzato sull'autostrada A10 Genova – Savona”; nonché copia dell’accordo negoziale del 14 ottobre 2021, sottoscritto tra il MIMS e ASPI “con il quale si definisce, in continuità con quanto sottoposto al CdM del 14-15 luglio 2020, la procedura di contestazione per grave inadempimento agli obblighi di manutenzione e custodia della rete autostradale da parte del concessionario ASPI, avviata dal Ministero con nota 16 agosto 2018, n. 17664, prevedendo fra l'altro la modifica delle misure compensative per gli eventi del ponte Polcevera a carico di ASPI per 3,4 miliardi, non remunerati nel PEF, rideterminate in particolare a favore dell'area di Genova, colpita dalla tragedia del 2018, d'intesa con le amministrazioni di riferimento del territorio ligure”.

In vista dell’udienza di discussione del ricorso nel merito le parti hanno depositato le rispettive memorie e repliche.

In particolare: nella memoria conclusiva del 9.9.2022 la società Atlantia S.p.A. ha eccepito l’inammissibilità dell’intervento ad adiuvandum del Codacons e dell’Associazione utenti autostrade, per il resto riportandosi a quanto in precedenza eccepito; nella memoria conclusiva del 9.9.2022 la società HRA S.p.A. ha, parimenti, eccepito l’inammissibilità del predetto intervento; nella memoria conclusiva del 10.9.2022 le ricorrenti si sono riportate alle argomentazioni sviluppate nel ricorso, insistendo per il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia per violazione degli artt. 38, 43 e 44 della Direttiva 2014/23; nella memoria di replica del 19.9.2022 il Codacons e l’Associazione utenti autostrade hanno controdedotto alle eccezioni preliminari di inammissibilità del proprio intervento, richiamando, nel merito, le risultanze della relazione della Commissione Ispettiva Mit del 14.9.2018, oltre che la disciplina di cui all’art. 35 del DL 162/2019, il tutto a sostegno del difetto d’istruttoria che avrebbe caratterizzato il procedimento che ha condotto all’adozione degli atti impugnati.

Nessuna, sostanziale, novità è stata prospettata nelle repliche delle società Codacons e Associazione utenti autostrade (19.9.2022), ASPI S.p.A. (20.2.2022), HRA S.p.A. (20.2.2022), Atlantia S.p.A. (20.2.2022) e delle ricorrenti (20.2.2022).

Le società ricorrenti, in data 6.10.2022, hanno depositato un’istanza di rinvio dell’udienza di discussione, richiamando l’istanza istruttoria depositata il 21.6.2022, finalizzata ad acquisire alcuni documenti; hanno soggiunto che, dopo l’emissione dell’ordinanza della Sezione n. 8590 del 24 giugno 2022, hanno presentato, in data 8.9.2022, un’istanza di accesso al Ministero per le infrastrutture e la mobilità sostenibili, alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, alla Corte dei Conti, all’Autorità di Regolazione dei Trasporti – A.R.T. ed all’Avvocatura Generale dello Stato, volta a “poter prendere visione ed estrarre copia dei seguenti atti e provvedimenti: 1. DM n. 37 del 22 febbraio 2022 di approvazione dell'Accordo transattivo 14 ottobre 2021 tra il Ministero per le infrastrutture e la mobilità sostenibili e la società Autostrade per l'Italia S.p.A.; 2. Rilievo della Corte dei conti prot. n. 6863 del 28 febbraio 2022; 3. Nota MIMS prot. 4278 del 2022 (e relativi allegati) avente ad oggetto “Autostrade per l'Italia S.p.A. (ASPI) - Definizione della procedura di contestazione del grave inadempimento - Rilievi degli Uffici di controllo della Corte dei Conti concernenti il decreto del Ministro delle infrastrutture e mobilità sostenibili di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze del 21 febbraio 2022 di approvazione dell'accordo del 14 ottobre 2021 fra ASPI e il Ministero delle Infrastrutture e mobilità sostenibili (MIMS) e della delibera CIPESS n. 75/2021 del 22 dicembre 2021”; 4. Elenco del contenzioso “rinunciato” di cui all’allegato al D.M. 37/2022; 5. Parere del cd. Gruppo di lavoro interistituzionale del 28 giugno 2019; 6. Parere dell’Autorità di regolazione dei trasporti (ART) n. 8 del 14 ottobre 2020; 7. Pareri dell'Avvocatura generale dello Stato Ct 383/20 Sez AG (prot. nn. 7501 del 19 febbraio 2020 e 34803 del 24 settembre 2021)”; hanno, inoltre, rappresentato che “è sopraggiunta in corso di causa l’esigenza, sempre al fine di accertare la legittimità degli atti impugnati, di acquisire il patto parasociale sottoscritto in data 26 luglio 2017 (tacitamente rinnovato fino al 26 luglio 2023) da parte di Atlantia S.p.A., Appia Investments S.r.l. e Silk Road Fund Co., avente ad oggetto il 100% delle azioni ordinarie di Autostrade per l’Italia”; hanno, quindi, concluso che la conoscenza di tali atti sarebbe “necessaria ai fini di una piena ed effettiva tutela delle posizioni giuridiche azionate dalle ricorrenti, in quanto solo dall’esame di detti atti è possibile apprendere le ragioni per le quali le Amministrazioni intimate si sono determinate nella prosecuzione del rapporto concessorio con ASPI, anziché per la risoluzione o la declaratoria di decadenza dello stesso, con conseguente possibile emergenza della necessità di proporre atto di motivi aggiunti”.

Da ultimo, in data 11 ottobre 2022, alle ore 9,24, le ricorrenti hanno depositato copia del ricorso, iscritto al RG 11567/2022, con cui l’associazione Adusbef ha chiesto, ai sensi dell’art. 116 c.p.a., la declaratoria di illegittimità del “silenzio diniego serbato dal Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili sull’istanza di accesso agli atti avanzata dall’associazione ricorrente in data 8.09.2022, nonché la nota del Segretario Generale dell’Avvocatura Generale dello Stato in data 22.09.2022”.

All’udienza dell’11 ottobre 2022 la causa è stata trattenuta per la decisione.

DIRITTO

1) A fini di chiarezza occorre preliminarmente esaminare e definire due questioni.


1.1.) Anzitutto, il Collegio respinge l’istanza di rinvio presentata dalle ricorrenti in data 6.10.2022, tenuto conto:

a) che le ricorrenti hanno richiamato l’istanza istruttoria depositata in giudizio in data 21.6.2022, alla quale ha fatto seguito l’ordinanza collegiale n. 8590 del 24 giugno 2022, con cui la Sezione ha rilevato che “l’ordinamento consente di attivare rimedi di carattere sostanziale (accesso ordinario, accesso civico, accesso civico generalizzato) e processuale (accesso difensivo, istanza ai sensi dell’art. 116, comma 2 c.p.a.) diretti ad ottenere documenti ritenuti rilevanti ai fini di un pieno esercizio del diritto di difesa” ed ha, pertanto, disposto che tale istanza, “nei termini contenutistici proposti e, non secondariamente, in ragione della circostanza che il difensore delle ricorrenti non ha manifestato interesse ad una pronuncia cautelare”, non potesse trovare accoglimento, anche alla luce “del proposito del Collegio di definire la controversia in tempi rapidi, attesa la rilevanza delle questioni dibattute”, a tal fine essendosi, appunto, fissata l’odierna udienza pubblica e nel contempo essendosi disposta l’acquisizione di alcuni documenti, puntualmente depositati;

b) che le ricorrenti hanno esposto di aver presentato, in data 8.9.2022, un’istanza di accesso finalizzata ad ottenere i medesimi documenti oggetto dell’istanza istruttoria depositata in giudizio il 21.6.2022 ed hanno, altresì, allegato in atti il ricorso iscritto al RG 11567/2022, proposto dall’associazione Adusbef (la quale, peraltro, è una delle odierne ricorrenti) ed avente ad oggetto l’annullamento del silenzio diniego formatosi sulla predetta istanza di accesso;

c) che la richiesta di rinvio dell’udienza pubblica dell’11 ottobre 2022 è stata espressamente motivata sulla “possibile emergenza della necessità di proporre atto di motivi aggiunti”.

Ciò esposto, registra il Collegio che avendo le ricorrenti presentato una domanda di accesso (segnatamente: di accesso ordinario ai sensi dell’art. 22 e ss. della legge 241/1990 e di accesso civico ai sensi dell’art. 5 del d.lgs. 33/2013) in data 8.9.2022, ad oltre due mesi dall’emissione dell’ordinanza collegiale n. 5890/2022, non sembrano essere state mosse da una particolare urgenza ostensiva.

E che, comunque, è stato proposto un separato ricorso ai sensi dell’art. 116 c.p.a.

Di conseguenza, alla luce dell’impregiudicata possibilità che, in caso di accoglimento del ricorso iscritto al RG 11567/2022, sia ordinata l’ostensione dei documenti in questione e che risulta, dunque, parimenti impregiudicata la possibilità di proporre ricorso per motivi aggiunti nell’ambito del presente giudizio (come pure in via autonoma), il Collegio reputa che il rigetto della domanda di rinvio non determini alcuna conseguenza pregiudizievole per le parti ricorrenti.

Mentre, all’opposto, resta certamente prevalente – per l’importanza dell’oggetto della controversia – l’interesse ad una sollecita definizione del giudizio.


1.2.) Sempre in via preliminarmente va esaminata, quale profilo pregiudiziale ai fini del decidere, l’eccezione di inammissibilità del ricorso per difetto di legittimazione attiva delle ricorrenti, opposta dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e dalle altre Amministrazioni pubbliche, nonché dalla società HRA S.p.A., da ASPI S.p.A. e dalla società Atlantia S.p.A.

Tale eccezione è parzialmente fondata, vale a dire nei soli confronti delle ricorrenti Associazione italiana pressure equipment (AIPE) e Associazione dell'industria manifatturiera e dell'impresa privata dell'Abruzzo (Confimi Industria Abruzzo).

Tale eccezione va, di contro, respinta relativamente alla posizione della ricorrente Adusbef e, per analoghe ragioni, dell’associazione interveniente ad adiuvandum Codacons, nei cui confronti le società Atlantia S.p.A. e HRA S.p.A. hanno, pure, eccepito l’inammissibilità dell’intervento per difetto di legittimazione attiva; e va parimenti respinta l’eccezione di inammissibilità dell’intervento, sempre opposta in via preliminare dalle società Atlantia S.p.A. e HRA S.p.A., nei confronti dell’Associazione utenti autostrade.

Il tutto per le ragioni di seguito esplicitate.

L’Adunanza plenaria n. 6 del 20 febbraio 2020 si è pronunciata sulla questione – rimessa dalla Sezione VI con ordinanza n. 7208 del 23 ottobre 2019 – “se alla luce dell’evoluzione dell’ordinamento, fermo il generale divieto di cui all’art. 81 c.p.c., possa ancora sostenersi la sussistenza di una legittimazione generale degli enti esponenziali in ordine alla tutela degli interessi collettivi dinanzi al giudice amministrativo, o se sia piuttosto necessaria, a tali fini, una legittimazione straordinaria conferita dal legislatore”.

In particolare, nella pronuncia della plenaria si è fatto richiamo all’orientamento secondo il quale la legittimazione a ricorrere debba essere accertata in concreto mediante la verifica di sussistenza di tre presupposti: “gli organismi devono perseguire statutariamente in modo non occasionale obiettivi di tutela ambientale, devono possedere un adeguato grado di rappresentatività e stabilità e devono avere un’area di afferenza ricollegabile alla zona in cui è situato il bene a fruizione collettiva che si assume leso (ex plurimis, Cons. Stato., IV, 16.2.2010, n. 885)”.

Nella specie, dall’esame dello statuto dell’associazione AIPE non si rinviene alcuna previsione che riguardi il settore del trasporto autostradale, né tantomeno la finalità di ottenere il rilascio di concessioni, quanto, piuttosto, è palesato l’intento di offrire agli associati “aggiornamenti adeguati in merito sulle metodologie e sulle tecniche nei processi di sviluppo ed ingegnerizzazione del prodotto”, ovvero di poter disporre delle “tecnologie più moderne ed innovative per l’esecuzione dei processi produttivi della propria azienda, attraverso la presenza dell’associazione a fiere di settore, convegni e seminari”; l’unico riferimento all’aggregazione degli associati è, peraltro, articolato con riguardo al “fine di creare un’associazione forte che possa rappresentare al meglio e con vigore le problematiche del settore e creare un canale di promozione della caldareria nazionale”.

Non dissimilmente, neanche l’associazione Confimi Industria Abruzzo prevede, nel proprio statuto, interessi correlabili al settore autostradale, concentrandosi l’attività nel “negoziare, stipulare e sottoscrivere contratti collettivi nazionali di lavoro, nonché concorrere alla definizione degli accordi interprofessionali ed intercategoriali”, ovvero “assistere le unioni territoriali quando esse negoziano e stipulano accordi sindacali locali”, o, ancora, “tutelare e promuovere anche in sede istituzionale ad ogni livello i diritti e gli interessi della categoria delle imprese metalmeccaniche, impiantistiche, dell’installazione di impianti e affini” e “negoziare e sottoscrivere accordi, convenzioni e contratti con terzi per l’erogazione di beni e servizi a vantaggio delle imprese associate”.

L’Adunanza plenaria 6/2020, di contro, ha espresso il principio di diritto secondo cui “gli enti associativi esponenziali, iscritti nello speciale elenco delle associazioni rappresentative di utenti o consumatori oppure in possesso dei requisiti individuati dalla giurisprudenza, sono legittimati ad esperire azioni a tutela degli interessi legittimi collettivi di determinate comunità o categorie, e in particolare l’azione generale di annullamento in sede di giurisdizione amministrativa di legittimità, indipendentemente da un’espressa previsione di legge in tal senso”.

Il che, pianamente, consente di affermare la legittimazione dell’associazione ricorrente Adusbef e dell’associazione interveniente ad adiuvandum Codacons, entrambe iscritte nell’elenco nazionale di cui all'art. 137 del decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206 (c.d. codice del consumo), pubblicato dal Ministero dello sviluppo economico per l’anno 2021.

Senza contare, inoltre, che, comunque, nel proprio statuto l’Adusbef espressamente “promuove ed assicura la tutela, sul piano informativo - preventivo, contrattuale e giudiziale - risarcitorio, dei fondamentali diritti (…) di natura sociale generale, quali il diritto alla tutela della salute, alla sicurezza e alla qualità dei prodotti dei servizi, alla erogazione di servizi pubblici secondo standard di qualità ed efficienza, con particolare riguardo al servizio sanitario, al servizio postale, alla funzione pubblica di vigilanza e controllo del credito, delle assicurazioni, del mercato mobiliare, del servizio farmaceutico, dei trasporti”; e che, nello statuto Codacons, si fa espresso cenno alla tutela di “tutti i diritti e gli interessi individuali e collettivi dei consumatori, degli utenti e dei contribuenti, nei confronti di qualsiasi soggetto, promuovendo azioni giudiziarie”, ponendosi, tra gli obiettivi perseguiti, “la vigilanza sulla corretta gestione del territorio da parte della Pubblica Amministrazione in materia di pubblici servizi, ivi compresi il credito, la vigilanza sulle assicurazioni, il mercato mobiliare, il servizio farmaceutico, i trasporti, le telecomunicazioni e servizi in materia urbanistica e edilizia”; e che, relativamente alla posizione dell’Associazione utenti autostrade, lo statuto prevede all’art. 2 che tale associazione “ha lo scopo di tutelare o diffondere gli interessi degli utenti delle autostrade e strade pubbliche e private di qualsiasi genere e classifica al fine di garantire la disciplina e la sicurezza del traffico stradale”.

Conseguentemente, il ricorso va dichiarato parzialmente inammissibile, nei limiti e nei sensi espressi in motivazione.


2) Venendo al merito, il Collegio ritiene di disporre, ai sensi dell’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE, con sospensione del presente giudizio, e ciò per le ragioni di seguito esplicitate.


2.1.) Con riguardo all’oggetto della controversia ed all’illustrazione dei fatti pertinenti, il Collegio richiama integralmente la parte in fatto della presente sentenza.

Si può, quindi, passare all’indicazione delle disposizioni nazionali e comunitarie applicabili al caso di specie ed ai motivi del rinvio pregiudiziale.


2.2.) La questione interpretativa che si sottopone all’esame della Corte di Giustizia dell’Unione europea prende le mosse dalla disciplina dell’art. 43 del DL 201/2011, convertito nella legge 214/2011: una disposizione che regola il procedimento riguardante gli “aggiornamenti” e/o le “revisioni” delle convenzioni autostradali “vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto” (dal 20.11.2018, tenuto conto che tale disposizione è stata novellata dal DL 109/2018), distinguendo a seconda che le concessioni in questione comportino, o meno, “variazioni o modificazioni al piano degli investimenti ovvero ad aspetti di carattere regolatorio a tutela della finanza pubblica”.

In entrambi i casi, comunque, il procedimento si conclude con l’adozione di un decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze.

Il punto significativo della questione è, pertanto, rappresentato dal contenuto e dall’ampiezza che devono caratterizzare l’istruttoria di tale procedimento e, soprattutto, se l’esercizio del potere delineato dal predetto art. 43 debba tenere conto, o meno, delle disposizioni e dei principi del diritto dell’Unione europea; e se, nel concreto caso della concessionaria ASPI, le decisioni scaturite dall’esercizio del potere in questione abbiano, o meno, violato o eluso l’applicazione delle norme e dei principi di diritto comunitario.

Per quanto concerne la presente controversa, dopo l’adozione della deliberazione del Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile (CIPESS) del 22.12.2021, avente ad oggetto “Parere sul terzo atto aggiuntivo alla convenzione unica del 12 ottobre 2007 e sul piano economico finanziario, ai sensi dell'articolo 43 del decreto-legge n. 201 del 2011”, con decreto n. 37 del 22.2.2022 del MIMS, di concerto con il MEF, si è approvato l’Accordo transattivo, sottoscritto il 14.10.2021, tra il Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili e la società ASPI S.p.A.: un accordo che, come si è innanzi precisato, ha bonariamente definito il procedimento di contestazione per grave inadempimento avviato dallo stesso Ministero delle infrastrutture e dei trasporti con nota n. 17664 del 16.8.2018.

Occorre, inoltre, considerare che, dopo l’avvio del procedimento di contestazione, in data 11.7.2020 la società ASPI S.p.A. ha presentato una “nuova proposta”, in sostanza afferente “ad un intervento finanziario compensativo non remunerato in tariffa per 3.400 milioni di euro”, all’aumento degli standard di sicurezza ed alla realizzazione di “un'operazione di complessivo riassetto societario, con il coinvolgimento di Cassa Depositi e Prestiti SpA, e di investitori dalla stessa graditi, a cui verrebbe trasferito il controllo di Autostrade per l'Italia S.p.A.”.

Si è detto che il riscontro a tale “nuova proposta” ha condotto alla definizione del procedimento di contestazione senza pervenirsi alla risoluzione della concessione o, per meglio dire, ha condotto a disporre – in accoglimento di quanto offerto dalla concessionaria – la prosecuzione del rapporto concessorio.

In particolare, dagli atti del giudizio risulta che le valutazioni istruttorie si sono sostanziate nell’esplicitazione, per un verso, delle conseguenze che sarebbero derivate da un’eventuale risoluzione del rapporto concessorio; e, per altro verso, dalla considerazione di alcune “possibili evenienze” correlate alla prosecuzione del rapporto.

È necessario, a questo punto, esaminare partitamente tali aspetti.

Per quanto riguarda le conseguenze negative della risoluzione del rapporto, nell’accordo transattivo sono state indicate:

- la discontinuità nelle attività attualmente in corso riferibili allo sviluppo dei progetti, alle procedure di approvazione degli interventi, alle procedure di affidamento per gli interventi approvati e alla prosecuzione dei lavori per interventi appaltati;

- il trasferimento della titolarità della concessione ad altri operatori, mediante procedure ad evidenza pubblica e previo frazionamento della rete autostradale secondo i criteri dell'Autorità di regolazione dei trasporti, e con gestione provvisoria da affidare ad Anas S.p.A., secondo le modalità contemplate dall'articolo 35 del decreto legge 162/2019;

- possibili oneri aggiuntivi per l'Amministrazione derivanti dal riconoscimento di penali a favore di terzi, titolari di rapporti attualmente in essere con ASPI;

- possibili limiti alla prosecuzione di attività afferenti il servizio autostradale derivanti dal mancato trasferimento di rapporti contrattuali non ricompresi nel perimetro dell'articolo 35 del decreto legge 162/2019;

- soprattutto, quale imponente deterrente, il “rischio di contenzioso per l'Amministrazione connesso alle contestazioni formalizzate sull'operato dì ASPI, dalla stessa costantemente respinte; rischio di contenzioso connesso alla determinazione dell'indennizzo da subentro secondo i criteri stabiliti dall'articolo 35 del decreto legge n. 162/2019, e prosecuzione dei giudizi pendenti in sede nazionale e comunitaria, vertenti sul rispetto delle vigenti pattuizioni convenzionali: nell'eventualità, espressamente segnalata dal Gruppo di lavoro Interistituzionale, che in un'eventuale sede giudiziaria fosse riconosciuta l'efficacia della clausola di cui all'articolo 9 bis della Convenzione Unica, che regola la quantificazione dell'indennizzo al concessionario decaduto, gli oneri economici a carico dello Stato conseguenti alla risoluzione della concessione potrebbero eccedere significativamente quelli contemplati dall’articolo 35 del decreto legge n. 162/2019”;

- l’obbligo da parte dello Stato di corrispondere al concessionario decaduto un indennizzo da subentro da determinare, fatta salva ogni differente determinazione in via giudiziaria, secondo la modalità prevista dall'articolo 35 del decreto legge 162/2019, con necessità di reperimento della provvista finanziaria a carico della finanza pubblica;

- il rischio di crisi finanziarie degli appaltatori e dei fornitori di ASPI.

Per quanto riguarda le “possibili evenienze” correlate alla prosecuzione del rapporto, nell’accordo transattivo sono state indicate:

- la prosecuzione senza soluzione di continuità di tutte le attività connesse alla progettazione e esecuzione degli interventi di potenziamento e riqualificazione della rete autostradale gestita;

- l’immediato avvio all'esecuzione del programma di investimenti sulla rete autostradale per un valore complessivo di 13.600 milioni di euro, comprensivo sia di opere di interesse strategico per il Paese, sia di interventi di adeguamento infrastrutturale e di riqualificazione delle infrastrutture alle normative vigenti;

- l’accelerazione del programma di manutenzione, con una spesa stimata di 7.000 milioni di euro nel periodo 2020 - 2038;

- l’accelerazione dei piani di investimento relativi alla transizione ecologica e alla mobilità sostenibile attraverso il know-how della società;

- il mantenimento e sviluppo dell'attuale capacità occupazionale pari a circa 7.000 dipendenti; l’adozione di iniziative per la collettività per complessivi 3.400 milioni di euro a completo carico della società, da destinare per iniziative di rilancio del Paese, tenendo conto delle priorità indicate direttamente dall'Amministrazione;

- la certezza nei pagamenti dei lavori per la ricostruzione del ponte sostitutivo del viadotto Polcevera;

- il superamento dei contenziosi pendenti tra il concessionario verso le Amministrazioni;

- la continuità nel servizio autostradale;

- l’esclusione di ogni soluzione di continuità nell’erogazione di un servizio essenziale per la collettività e superamento di situazioni di possibile criticità in termini di regolare prosecuzione della gestione della rete autostradale, con implementazione dei livelli qualitativi del servizio;

- l’adeguamento delle pattuizioni convenzionali della concessione, mediante il superamento delle clausole ritenute ingiustificatamente favorevoli agli interessi del concessionario;

- l’introduzione di un sistema sanzionatorio rafforzato rispetto a quello contemplato dalla Convenzione Unica del 2007, con incremento degli importi a titolo di sanzioni e penali per le principali fattispecie, nonché l'attivazione di procedura di inadempimento al superamento di determinate soglie.

Nel preambolo si legge, inoltre, che “le medesime parti intendono, con l'Accordo, prevenire qualsiasi controversia fondata sulla eventuale contrarietà delle dette disposizioni al diritto dell'Unione europea ovvero ad altri fonti sovraordinate alla legge statale”.

Reputa il Collegio che si tratti, però, di valutazioni istruttorie che sono rimaste confinate in un ambito del tutto interno al rapporto prestazionale, per giunta in una prospettiva prevalentemente prognostica, ma che hanno, comunque, condizionato il procedimento condotto ai sensi dell’art. 43 del DL 201/2011, nel quale – questo è il punto critico che rende necessario il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione europea – è stato eluso l’assoggettamento di tali valutazioni, appunto veicolate mediante la “nuova proposta” presentata da ASPI, alle disposizioni legislative comunitarie.


2.3.) In linea di principio, occorre, infatti, osservare che la Direttiva 2014/23 del 26 febbraio 2014 sull’aggiudicazione dei contratti di concessione ha ribadito il principio dell’evidenza pubblica, e ciò:

a) al considerando n. 68, in cui si precisa che “di norma le concessioni sono accordi complessi di lunga durata con i quali il concessionario assume responsabilità e rischi tradizionalmente assunti dalle amministrazioni aggiudicatrici e dagli enti aggiudicatori e rientranti di norma nell’ambito di competenza di queste ultime. Per tale ragione, fatta salva l’osservanza della presente direttiva e dei principi di trasparenza e di parità di trattamento, dovrebbe essere lasciata alle amministrazioni aggiudicatrici e agli enti aggiudicatori un’ampia flessibilità nel definire e organizzare la procedura di selezione del concessionario. Tuttavia, al fine di garantire parità di trattamento e trasparenza durante l’intera procedura di aggiudicazione, è opportuno prevedere garanzie minime per quanto riguarda la procedura di aggiudicazione, ivi comprese informazioni sulla natura e l’ambito di applicazione della concessione, la limitazione del numero di candidati, la diffusione delle informazioni ai candidati e agli offerenti e la disponibilità di registrazioni appropriate. È altresì necessario disporre che vengano rispettate le condizioni iniziali previste dal bando di concessione, per evitare disparità di trattamento tra i potenziali candidati”;

b) al considerando n. 75, in cui si precisa che “i contratti di concessione generalmente comportano disposizioni tecniche e finanziarie complesse e di lunga durata, soggette ai mutamenti delle circostanze. È pertanto necessario precisare, tenendo conto della giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea in materia, le condizioni alle quali le modifiche di una concessione durante la sua esecuzione richiedono una nuova procedura di aggiudicazione della concessione. Una nuova procedura di concessione è necessaria quando vengono apportate modifiche sostanziali alla concessione iniziale, in particolare al campo di applicazione e al contenuto dei diritti e degli obblighi reciproci delle parti, inclusa la ripartizione dei diritti di proprietà intellettuale. Tali modifiche dimostrano l’intenzione delle parti di rinegoziare termini o condizioni essenziali della concessione in questione”.

Tali enunciazioni sono preordinate a rendere effettivo l’assunto di cui al considerando n. 3, secondo cui “i contratti di concessione rappresentano importanti strumenti nello sviluppo strutturale a lungo termine di infrastrutture e servizi strategici in quanto concorrono al miglioramento della concorrenza in seno al mercato interno, consentono di beneficiare delle competenze del settore privato e contribuiscono a conseguire efficienza e innovazione”.

Tale, rigoroso, regime è compendiato dalla giurisprudenza comunitaria, ad avviso della quale il “principio di parità di trattamento e l’obbligo di trasparenza che ne deriva ostano a che, dopo l’aggiudicazione di un contratto di concessione di lavori pubblici, l’amministrazione aggiudicatrice concedente e il concessionario apportino alle disposizioni del loro contratto modifiche tali che dette disposizioni presentino caratteristiche sostanzialmente diverse rispetto a quelle iniziali. È quanto avviene se le modifiche previste hanno per effetto o di estendere la concessione di lavori pubblici, in modo considerevole, a elementi non previsti, o di alterare l’equilibrio economico contrattuale in favore del concessionario, oppure se tali modifiche sono atte a rimettere in discussione l’aggiudicazione di lavori pubblici nel senso che, se esse fossero state previste nei documenti disciplinanti la procedura originaria, o sarebbe stata accolta un’altra offerta oppure avrebbe potuto essere ammessi offerenti diversi. Pertanto, in linea di principio, una modifica sostanziale di un contratto di concessione di lavori pubblici deve dar luogo a una nuova procedura di aggiudicazione relativa al contratto modificato” (cfr. Corte di Giustizia dell’Unione Europea, 18 settembre 2019, n. C-526/17).

In tema di evidenza pubblica nelle concessioni autostradali, utili approfondimenti sono stati operati dalla Corte dei Conti - Sezione centrale di controllo sulla gestione delle Amministrazioni dello Stato, che, nella deliberazione del 18 dicembre 2019, n. 18, ha rilevato come “nel corso degli anni, è stato serrato il confronto con l’Unione europea per ottenere deroghe all’affidamento tramite gara; peraltro, il mancato ricorso al mercato ha provocato, già nel 1997, la dichiarazione di illegittimità, da parte della Sezione di controllo della Corte dei conti, dell’attribuzione della più importante concessione. Effetti del tutto simili alla proroga formale conseguono dall’eccessivo valore di subentro, dalla proroga di fatto a seguito di mancato tempestivo riaffidamento della concessione e dalla revisione contrattuale attraverso la gestione unificata di tratte interconnesse, contigue o complementari se consentono di modificare i rapporti esistenti senza nuovo affidamento alla scadenza. In tale contesto, – si sottolinea – nel 2018 è stata anche limitata al 60 per cento la percentuale di affidamenti esterni cui le concessionarie sono obbligate, in deroga alla disciplina di maggior rigore dettata per gli altri settori”. L’analisi della Sezione pone in evidenza come il mantenimento dello status quo abbia accentuato le tante inefficienze riscontrate nel sistema, quali l’irrazionalità degli ambiti delle tratte, dei modelli tariffari, di molte clausole contrattuali particolarmente vantaggiose per le parti private. Inoltre, costante è risultata, nel tempo, la diminuzione degli investimenti”.


2.4.) E’, inoltre, necessario soffermarsi su un profilo di notevole rilevanza, prospettato, proprio con riferimento alla concessione di cui risulta titolare ASPI, dalla Corte Costituzionale, la quale ha espresso una valutazione di carattere perentorio sul regime di favore riservato a tale concessionario, e ciò pronunciandosi nell’ambito del giudizio sulla legittimità costituzionale delle disposizioni (artt. 1, commi 3, 5, 6, 7, 8 e 8 bis, e 1 ter, comma 1, del DL 109/2018, convertito, con modificazioni, nella legge 130/2018) che, nel recente passato, hanno assegnato ad un commissario straordinario il compito di garantire tempestivamente l’avvio dei lavori di demolizione e ricostruzione del ponte Morandi.

In particolare, nella sentenza n. 168 del 27 luglio 2020 il Giudice delle Leggi ha osservato che, “come emerge anche dalla relazione sulle concessioni autostradali recata dalla delibera della Corte dei Conti, sezione centrale di controllo sulla gestione delle amministrazioni dello Stato, 18 dicembre 2019, n. 18/2019/G, ASPI è concessionaria di circa la metà della rete autostradale italiana da molti decenni, senza peraltro avere ottenuto tale qualità a seguito di una gara. La sua posizione è stata da ultimo rafforzata dal già rammentato art. 8-duodecies del d.l. n. 59 del 2008, che ha legificato la convenzione del 2007, prorogando la durata del rapporto concessorio fino al 31 dicembre del 2038. La decadenza e la revoca della concessione è stata in tal modo resa straordinariamente onerosa per la parte pubblica, soggetta, in base ai già citati artt. 9 e 9-bis della convenzione, ad un regime indennitario del tutto eccezionale e derogatorio, a favore della concessionaria, delle regole di diritto comune attinenti a tale genere di rapporto. Basti pensare che l’art. 9 della convenzione, in tema di decadenza dalla concessione, per grave inadempimento del concessionario, subordina il subentro del concedente al pagamento di un importo corrispondente al valore attuale netto dei ricavi di gestione «sino alla scadenza della concessione», preservando così l’utile che il concessionario avrebbe tratto dal rapporto, benché quest’ultimo sia cessato per causa imputabile allo stesso concessionario. In un tale contesto, che di fatto paralizza per lunghi anni iniziative volte all’apertura del mercato di riferimento, la Corte di giustizia dell’Unione europea, con sentenza 18 settembre 2019, in causa C-526/17, ha condannato lo Stato italiano, per avere prorogato una concessione di tratto autostradale conseguita a suo tempo senza gara, ribadendo la piena soggezione di tale segmento del mercato al principio di concorrenza. Tale soggezione è ora affermata anche dall’art. 178 cod. contratti pubblici”.

Tutto quanto illustrato prova che nel corso del procedimento di contestazione fossero agevolmente ravvisabili degli indici sintomatici che – in vista della possibile decisione di procrastinare, in ragione della “nuova proposta” di ASPI, il rapporto concessorio – avrebbero dovuto rendere l’istruttoria procedimentale particolarmente attenta ai profili di possibile violazione del principio di concorrenza e del suo più naturale corollario, ossia l’obbligo di indire e svolgere una procedura di evidenza pubblica.


2.5.) Nella specie, è incontestato tra le parti, ai sensi dell’art. 64, comma 2 c.p.a., che la “nuova proposta” ha comportato un “riassetto societario, con il coinvolgimento di Cassa Depositi e Prestiti S.p.A., e di investitori dalla stessa graditi, a cui verrebbe trasferito il controllo di Autostrade per l'Italia S.p.A.” (cfr. pag. 7 dell’accordo transattivo): a tal riguardo, negli atti di causa sono reperibili documenti idonei a chiarire in quali termini tale assetto è stato realizzato: ci si deve riferire all’atto di Sindacato Ispettivo n. 4-07445, depositato dalle ricorrenti, nel quale si è fatto richiamo ad un articolo giornalistico nel quale sarebbe stato riportato che la società Altantia avrebbe venduto l’88% di ASPI a una holding di cui la Cassa Depositi e Prestiti Equity deterrebbe la maggioranza (51%) e due fondi esteri - Macquarie e Blackstone - deterrebbero il 24,5% a testa; e, in modo ancor più esplicito, tali indicazioni sono confermate dall’esame della deliberazione della Corte dei Conti, Sezione centrale del controllo di legittimità sugli atti del Governo e delle Amministrazioni dello Stato del 29 marzo 2022, n. 2.

È, quindi, oggi radicalmente mutato l’assetto proprietario che aveva contraddistinto la compagine concessionaria nella vigenza della regolazione di cui al II Atto aggiuntivo, sottoscritto in data 22.2.2018, nella quale la società Atlantia deteneva l’88,06 delle azioni e la restante parte (6,94 % + 5%) era detenuta da due fondi diversi da quelli indicati nell’atto ispettivo sopra menzionato (cfr. Corte dei Conti, Sezione centrale di controllo sulla gestione delle Amministrazioni dello Stato, delibera n. 18/2019).

Tanto premesso, l’art. 43 della Direttiva 2014/23 (“modifica di contratti durante il periodo di validità”) prevede un temperamento dell’obbligo di indire procedure di evidenza pubblica, nel senso che “le concessioni possono essere modificate senza una nuova procedura di aggiudicazione della concessione a norma della presente direttiva nei casi seguenti: (…) d) se un nuovo concessionario sostituisce quello a cui l’amministrazione aggiudicatrice o l’ente aggiudicatore avevano inizialmente aggiudicato la concessione a causa di una delle seguenti circostanze: (…) ii) al concessionario iniziale succede, in via universale o parziale, a seguito di ristrutturazioni societarie, comprese rilevazioni, fusioni, acquisizione o insolvenza, un altro operatore economico che soddisfi i criteri di selezione qualitativa stabiliti inizialmente, purché ciò non implichi altre modifiche sostanziali al contratto e non sia finalizzato ad eludere l’applicazione della presente direttiva”.

La disposizione di cui all’art. 43 della Direttiva è stata trasposta, in modo pressoché identico, nell’art. 175 del d.lgs. 50/2016 (codice dei contratti pubblici): tale norma, rubricata “modifica dei contratti durante il periodo di efficacia”, è inserita nel capo III (“esecuzione delle concessioni”) del titolo I (“principi generali e situazioni specifiche”) della Parte III (“contratti di concessione”) del codice.

Nella specie, va anzitutto escluso che Cassa Depositi e Prestiti – socio maggioritario della nuova compagine concessionaria – possa essere qualificato alla stregua di un ente pubblico. Come ha rilevato recentemente la giurisprudenza contabile, “sul piano genetico, la legge 20.3.1975 n.70 dispone che “nessun nuovo ente pubblico può essere istituito o riconosciuto se non per legge”: orbene né CDP s.p.a. né il Fondo (…) sono stati istituiti come enti pubblici da una legge. La Cassazione ha avuto modo di sottolineare come questa norma sancisca, con estrema chiarezza, il principio secondo cui l'esistenza di un ente pubblico dipende dall'espresso conferimento di tale qualifica da parte del legislatore, statale o regionale: in altri termini, perché un soggetto possa essere qualificato come pubblico, non si può prescindere da una base legislativa che sottoponga quel soggetto ad un regime pubblicistico (Cass., sez.un., 19 aprile 2021 n.10244; Cass., sez.un., 27 ottobre 1995, n. 11179; Cass., sez.un.m 24 febbraio 1998, n. 1987, e Cass., sez.un., 9 marzo 2000, n. 2677), nella specie mancante. Ed anche l’art.1, co.2, del d.lgs. n.165 del 2001 non annovera la CDP s.p.a. (né le sue partecipate) nell’elenco tassativo delle “pubbliche amministrazioni” ivi menzionate” (cfr. Corte dei Conti, sez. Lombardia, 11 ottobre 2021, n. 283).

Sull’ingresso di tale soggetto, oltre che dei due fondi esteri, l’Amministrazione non ha operato alcuna valutazione istruttoria in ordine alla possibile elusione del principio di evidenza pubblica.

Neppure vi è menzione, nell’accordo transattivo, di una verifica circa i presupposti e le condizioni previste dall’art. 10 bis della Convenzione Unica (rubricato “autorizzazioni per modificazioni soggettive e/o oggettive del concessionario”), ossia l’applicazione della procedura di autorizzazione preventiva da svolgersi “ai sensi della direttiva del Ministro delle infrastrutture, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, in data 30 luglio 2007”: una direttiva nazionale, assai anteriore alla Direttiva 2014/23, disciplinante i “criteri di autorizzazione alle modificazioni del concessionario autostradale derivanti da concentrazione comunitaria” e che – come si legge relativamente al “mutamento soggettivo del concedente autostradale” – ha lo “scopo di assicurare che gli eventi che riguardano il concessionario in nessun caso comportino il pregiudizio dell'interesse pubblico alla gestione dell'autostrada in piena sicurezza per gli utenti e con l'effettuazione dei necessari investimenti di mantenimento e sviluppo della rete autostradale in relazione al mutamento delle esigenze del traffico”: dunque una finalità (interna al rapporto) di controllo efficientistico, pure in sé rilevante, ma comunque avulsa dalla verifica sul rispetto del principio di evidenza pubblica.

L’unico riferimento alla modifica societaria, desumibile dall’esame della deliberazione n. 2/2022 della sezione di controllo della Corte dei Conti, riguarda il chiarimento che l’Amministrazione avrebbe reso in merito alla tesi della “non operatività automatica, nel caso di specie, della causa di esclusione di cui all’articolo 80, comma 1, del d.lgs. n. 50 del 2016”, rappresentandosi che “le attività di riorganizzazione poste in essere da ASPI S.p.A., che includono anche la modifica dell’assetto proprietario ed il superamento dei limiti operativi contestati dal Concedente, delineano i presupposti per la prosecuzione del rapporto concessorio, concorrendo ad una generale operazione di self cleaning”.

Pare, quindi, che ad avviso dell’Amministrazione concedente le condizioni per la “prosecuzione” del rapporto sarebbero da reputare sussistenti per effetto (soltanto) del self cleaning al quale la pregressa struttura societaria della concessionaria ASPI sarebbe stata sottoposta.

Alla luce della totalitaria trasformazione della compagine concessionaria è, pertanto, necessario accertare in via pregiudiziale se l’applicazione dell’art. 43 della Direttiva 2014/23 imponesse, o meno, di stabilire – nell’ambito del procedimento condotto ai sensi dell’art. 43 del DL 201/2011 – se fosse, o meno, obbligatorio indire una procedura di evidenza pubblica.

Il Collegio è dell’avviso che tale incombente dovesse essere senz’altro assolto; il che rileva, ai fini del decidere, sia nella prospettiva di un possibile eccesso di potere per difetto d’istruttoria e di motivazione, sia in chiave di violazione grave e manifesta del diritto comunitario.

Risulta conseguenziale che, nell’ipotesi in cui la Corte di Giustizia statuisse la doverosità dell’indizione della procedura di evidenza pubblica, in violazione dell’art. 43 della Direttiva, lo stesso giudice comunitario dovrebbe pronunciarsi, altresì, sull’applicazione del successivo art. 44, rubricato “risoluzione delle concessioni”, secondo cui “gli Stati membri assicurano che le amministrazioni aggiudicatrici e gli enti aggiudicatori abbiano la possibilità, alle condizioni fissate dal diritto nazionale applicabile, di porre termine alla concessione in vigenza della stessa, se una o più delle seguenti condizioni sono soddisfatte: a) la concessione ha subito una modifica che avrebbe richiesto una nuova procedura di aggiudicazione della concessione ai sensi dell’articolo 43”.


2.6.) Sempre l’art. 43 della Direttiva (“modifica di contratti durante il periodo di validità”) prevede che “le concessioni possono essere modificate senza una nuova procedura di aggiudicazione della concessione a norma della presente direttiva nei casi seguenti: (…) c) ove siano soddisfatte tutte le seguenti condizioni: i) la necessità di modifica è determinata da circostanze che un’amministrazione aggiudicatrice o un ente aggiudicatore diligente non ha potuto prevedere; ii) la modifica non altera la natura generale della concessione; iii) nel caso di concessioni aggiudicate dall’amministrazione aggiudicatrice allo scopo di svolgere un’attività diversa da quelle di cui all’allegato II, l’eventuale aumento di valore non è superiore al 50 % del valore della concessione iniziale. In caso di più modifiche successive, tale limitazione si applica al valore di ciascuna modifica. Tali modifiche successive non sono intese ad aggirare la presente direttiva”.

Nell’art. 175 del d.lgs. 50/2016 le condizioni contemplate sono state ridotte a due (“1) la necessità di modifica derivi da circostanze che una stazione appaltante non ha potuto prevedere utilizzando l'ordinaria diligenza; 2) la modifica non alteri la natura generale della concessione”).

Nella specie, ad avviso del Collegio le modificazioni presentate mediante la “nuova proposta” non possono ritenersi determinate da “circostanze che un’amministrazione aggiudicatrice o un ente aggiudicatore diligente non ha potuto prevedere”.

Risulta, infatti, evidente che una condotta inadempiente suscettibile di incidere sulla sicurezza stradale o, addirittura, di determinare, in misura esclusiva o concorrente, la verificazione di un evento tragico come quello occorso agli utenti della strada che in data 14.8.2018 transitavano sul ponte Morandi, non potesse affatto considerarsi alla stregua di una circostanza imprevedibile; diversamente opinando, non sarebbe stato posto, quale obbligo del concessionario, il “mantenimento della funzionalità delle infrastrutture concesse attraverso la manutenzione e la riparazione tempestiva delle stesse” (art. 3, comma 1, lett. b) della Convenzione Unica, cui espressamente il successivo art. 9 correla, in caso di inadempimento, l’irrogazione del provvedimento di decadenza).

Neppure questa valutazione è stata, però, esperita dall’Amministrazione in relazione alla decisione di modificare la concessione in assenza di gara: la modifica del contenuto convenzionale, cioè, sembra essere stata disposta come se la verificazione di un evento dannoso causato da incuria manutentiva costituisse una circostanza imprevedibile.

Altro, connesso, aspetto investe il “collegamento negoziale” – indicato dalla Corte dei Conti nella deliberazione n. 2/2022 – tra la cessione delle quote, l’accordo transattivo e ciò che la stessa Corte ha definito la “nuova convenzione”.

La Sezione di controllo, in proposito, ha rilevato che “il collegamento viene così a tradursi in una contestuale formazione dei singoli componenti attraverso il meccanismo giuridico dell’apposizione delle condizioni sospensive dell’efficacia ai singoli atti, in modo da garantire che la volontà dei contraenti possa trovare completa attuazione nell’intera operazione. Di qui il collegamento negoziale sotto il profilo causale. Difatti, se non intervenisse la transazione, non potrebbe trovare attuazione la nuova convenzione; se non fosse approvata la modifica della convenzione, verrebbe meno il significato della cessione delle quote”.

Alla stregua di tali rilievi, l’Amministrazione avrebbe dovuto sondare la compatibilità comunitaria per verificare se l’operazione, effettivamente, non alterasse “la natura generale della concessione”: una verifica prevista dall’art. 43 della Direttiva quale condizione per la deroga al principio dell’evidenza pubblica.

Ma neppure tale verifica è stata compiuta.

In aggiunta a ciò, occorre considerare che la permanenza del termine finale (31 dicembre 2038) della concessione non costituisce elemento sufficiente ad escludere una modifica sostanziale della concessione.

È, piuttosto, decisivo considerare – come è stato, recentemente, rilevato dal Tribunale dell’Unione europea nella sentenza del 15 settembre 2021 (causa T 24/19) – che la Commissione europea ha preso atto, nell’ambito dell’esame di una serie di misure riguardanti un piano d’investimento per le autostrade italiane, che:

a) “la società Autostrade per l’Italia (...) ha presentato una nuova proposta di aggiornamento del rapporto concessorio, che non contempla l’estensione del termine di concessione, attualmente in fase istruttoria”;

b) che, però, “la Repubblica italiana ha affermato che la Autostrade per l’Italia doveva ancora effettuare taluni investimenti nella rete da essa gestita. A seguito di talune decisioni adottate dalle autorità competenti in merito alle caratteristiche degli investimenti in questione, il costo stimato degli stessi ammonta a circa EUR 8 miliardi. Di tale importo, EUR 4,908 miliardi sono destinati a lavori considerati come «già previsti» nel contratto di concessione quale esso era in vigore prima della modifica controversa, tra cui «la Gronda di Genova» (circonvallazione di Genova) nella misura di EUR 4,32 miliardi. I rimanenti EUR 3,03 miliardi sono destinati a «lavori aggiuntivi», vale a dire non previsti nel contratto di concessione quale esso era in vigore prima della modifica controversa. Orbene, secondo il contratto di concessione vigente, la realizzazione degli investimenti in questione richiederebbe un aumento del costo dei pedaggi a livelli esorbitanti per gli utenti. In tale contesto, la Repubblica italiana ha proposto, in primo luogo, di prorogare la durata della concessione, in secondo luogo, di limitare l’aumento del costo dei pedaggi e, in terzo luogo, di prevedere un’indennità di subentro (takeover value) da versare al concessionario alla scadenza della concessione da parte dell’eventuale nuovo concessionario. Così, secondo tale piano, la durata della concessione sarebbe prorogata di quattro anni, fino al 31 dicembre 2042, e un’indennità di subentro con un massimale compreso tra 1,3 e 1,5 volte il risultato lordo di gestione sarebbe versata al concessionario attuale da qualsiasi eventuale concessionario subentrante dopo tale data” (cfr. Commissione europea, decisione del 27 aprile 2018, n. 2435, punti da 36 a 43);

c) che per quanto concerne la posizione della concessionaria ASPI “se i lavori di costruzione della «Gronda di Genova» e delle interconnessioni delle autostrade A7/A10/A12 non fossero stati avviati entro il 1° gennaio 2020, l’estensione della concessione della Autostrade per l’Italia sarebbe stata integralmente abbandonata”;

d) che i lavori della Gronda di Genova non sono ad oggi ancora iniziati.

È, pertanto, necessario accertare in via pregiudiziale – anche in questo caso – se l’applicazione dell’art. 43 della Direttiva 2014/23 imponesse, o meno, gli incombenti sopra indicati – e ciò nell’ambito del procedimento condotto ai sensi dell’art. 43 del DL 201/2011 – per stabilire se fosse, o meno, obbligatorio indire una procedura di evidenza pubblica.

Anche in questo caso il Collegio è dell’avviso che tale incombente dovesse essere senz’altro assolto; il che rileva, ai fini del decidere, sia nella prospettiva di un possibile eccesso di potere per difetto d’istruttoria e di motivazione, sia in chiave di violazione grave e manifesta del diritto comunitario.

Risulta conseguenziale che, nell’ipotesi in cui la Corte di Giustizia statuisse la doverosità dell’indizione della procedura di evidenza pubblica, in violazione dell’art. 43 della Direttiva, lo stesso giudice comunitario dovrebbe pronunciarsi, altresì, sull’applicazione del successivo art. 44, rubricato “risoluzione delle concessioni”, secondo cui “gli Stati membri assicurano che le amministrazioni aggiudicatrici e gli enti aggiudicatori abbiano la possibilità, alle condizioni fissate dal diritto nazionale applicabile, di porre termine alla concessione in vigenza della stessa, se una o più delle seguenti condizioni sono soddisfatte: a) la concessione ha subito una modifica che avrebbe richiesto una nuova procedura di aggiudicazione della concessione ai sensi dell’articolo 43”.


2.7.) Un terzo, possibile, profilo di violazione del diritto comunitario va collegato ai due precedenti profili indicati ai punti 2.5 e 2.6 ed è rinvenibile nel preambolo dell’accordo transattivo, ove espressamente si è dato atto che “il Gruppo di Lavoro interistituzionale con parere del 28 giugno 2019 ha da un lato ritenuto sussistere il grave inadempimento del concessionario agli obblighi di custodia e di manutenzione dell'infrastruttura autostradale e i presupposti per la risoluzione della convenzione unica, e dall'alto lato ha rimesso alle Amministrazioni la valutazione se procedere alla rinegoziatone della stessa convenzione unica, laddove maggiormente tutelante per gli interessi dello Stato, al fine di ricondurre ad equilibrio il rapporto concessorio e ripristinare la piena sicurezza della rete autostradale, evidenziando al § 11 i potenziali rischi di contenzioso e delle ricadute operative risultanti dal provvedimento di risoluzione contrattuale”.

Il profilo di responsabilità evidenziato dal Gruppo di Lavoro rinvia alle disposizioni della Direttiva 2014/23 che attengono alla selezione qualitativa dei concessionari, e ciò sia come fondamento dell’indizione di una procedura di gara per l’affidamento delle concessioni (art. 38), sia quale criterio volto a regolare l’applicazione, o meno, del principio di evidenza pubblica nell’ipotesi in cui si debba modificare il contenuto di rapporti concessori durante il periodo di validità (art. 43).

Tanto premesso, il Collegio registra che nella deliberazione n. 2/2022 la Corte dei Conti ha ritenuto che “l’intento dell’Amministrazione appare (…) ragionevolmente indirizzato verso una soluzione che ha tenuto conto primariamente dell’interesse pubblico, costituito, per un verso, dalla necessità di recuperare l’affidabilità e la fiducia nei confronti del concessionario del servizio autostrade, mediante appunto la modifica della struttura sociale di ASPI S.p.A., per altro verso, dall’esigenza di ridurre i possibili costi diretti e indiretti connessi all’operazione, unitamente alla necessità di incrementare il sistema dei controlli e di monitoraggio della rete autostradale”.

Ma tale valutazione non sembra aver tenuto conto della caduta di fiducia inevitabilmente determinatasi per effetto della responsabilità manutentiva posta a base del procedimento di contestazione, indipendentemente dalla decisione finale di definire tale procedimento in maniera bonaria.

Chiare, se non decisive, indicazioni provengono, ancora una volta, dall’apprezzamento – concreto e perentorio – espresso dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 168/2020, citata in precedenza.

In particolare, il Giudice delle Leggi ha sottolineato come sia “essenziale rammentare che il crollo del Ponte Morandi, causando ben 43 vittime, ha segnato profondamente la coscienza civile nella comunità, e ha aperto una ferita nel rapporto di fiducia che non può mancare tra i consociati e lo stesso apparato pubblico, cui è affidata la cura di beni primari tra i quali, in primo luogo, la salute e l’incolumità. Esso, inoltre, ha causato gravissimi danni alla rete di trasporto, in un ganglio fondamentale per lo sviluppo economico del paese, per di più di fatto tagliando a metà la città di Genova. In un tale contesto, segnato da un grado eccezionale di gravità, è tutt’altro che irragionevole, incongrua o sproporzionata la scelta legislativa di affidare la ricostruzione a terzi, anziché al concessionario, il quale, in quanto obbligatovi contrattualmente e custode del bene, avrebbe dovuto provvedere alla manutenzione dell’infrastruttura, e prevenirne il disfacimento”.

Dunque, è singolare rilevare – in conclamato contrasto con le statuizioni della Corte Costituzionale – che la società ASPI è stata ritenuta inaffidabile per la ricostruzione del Ponte Morandi e, all’opposto, affidabile per la (prosecuzione della) gestione dell’intera infrastruttura in concessione.

L’affidabilità costituisce il filo rosso dell’art. 38 della Direttiva 2014/23, in cui si prevede che “le amministrazioni aggiudicatrici o gli enti aggiudicatori possono escludere o possono essere obbligati dagli Stati membri a escludere dalla partecipazione all’aggiudicazione di concessioni un operatore economico, se si verifica una delle condizioni seguenti: (…) se l’operatore economico ha evidenziato gravi o persistenti carenze nell’esecuzione di un requisito sostanziale nel quadro di una precedente concessione o di un precedente contratto con un’amministrazione aggiudicatrice o un ente aggiudicatore secondo la definizione di cui alla presente direttiva o alla direttiva 2014/25/UE che hanno causato la cessazione anticipata di tale contratto precedente, un risarcimento danni o altre sanzioni comparabili”.

La citata disposizione prevede, altresì, che ai fini della comprova del requisito di affidabilità “l’operatore economico dimostra di aver risarcito o di essersi impegnato a risarcire qualunque danno causato dal reato o dall’illecito, di aver chiarito i fatti e le circostanze in modo globale collaborando attivamente con le autorità investigative e di aver adottato provvedimenti concreti di carattere tecnico e organizzativo e relativi al personale idonei a prevenire ulteriori reati o illeciti. Le misure adottate dagli operatori economici sono valutate considerando la gravità e le particolari circostanze del reato o dell’illecito. Se si ritiene che le misure siano insufficienti, l’operatore economico interessato riceve una motivazione di tale decisione”.

Nella specie, l’esercizio dei poteri istruttori regolati dall’art. 43 del DL 201/2011 avrebbe dovuto investire anche la questione della persistente affidabilità di un operatore che dovrebbe gestire una rete autostradale composta di 28 tratte per una estensione di circa 2850 km.

Nella decisione n. 2435 del 27 aprile 2018, relativa all’aiuto di Stato concesso ai fini del piano d’investimento per le autostrade italiane, la Commissione europea ha, infatti, già evidenziato in chiave critica (cfr. punto 36) che ad avviso del Governo italiano non sarebbe possibile per la concessionaria ASPI completare i propri investimenti nell'ambito dell'attuale contratto di concessione a meno che non si applichi un onere tariffario molto elevato agli utenti, come di seguito dettagliatamente descritto, e ciò in quanto ad oggi il concessionario deve ancora realizzare gli investimenti per i lavori relativi alla Gronda di Genova (pari a 4,32 miliardi di euro dal 2017) e alle restanti opere del IV Atto Aggiuntivo (pari a 588 milioni di euro dal 2017 2017), nonché gli altri investimenti previsti (es. terza e quarta corsia/barriere antirumore, pari a 3,03 miliardi di euro dal 2017).


3) In conclusione, si rimettono alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea le seguenti questioni pregiudiziali di interpretazione dell’art. 43 del DL 201/2011, convertito nella legge 214/201 in rapporto alla disciplina prevista dagli artt. 38, 43 e 44 della Direttiva 2014/23:


3.1.) se sia, o meno, contrastante con il diritto comunitario l’interpretazione della normativa nazionale nel senso che l’Amministrazione concedente possa istruire un procedimento di modificazione soggettiva ed oggettiva di una concessione autostradale in corso di validità, o di sua rinegoziazione, senza valutare ed esprimersi sull’obbligo di indire una procedura di evidenza pubblica;


3.2.) se sia, o meno, contrastante con il diritto comunitario l’interpretazione della normativa nazionale nel senso che l’Amministrazione concedente possa istruire un procedimento di modificazione soggettiva ed oggettiva di una concessione autostradale in corso di validità, o di sua rinegoziazione, senza valutare l’affidabilità di un concessionario che si sia reso autore di un grave inadempimento;


3.3.) se in caso di rilevata violazione del principio di evidenza pubblica e/o di rilevata inaffidabilità del titolare di una concessione autostradale, la normativa comunitaria imponga l’obbligo della risoluzione del rapporto.


3.4.) Alla luce della rilevanza nazionale della questione controversa, il Tribunale chiede l’applicazione del procedimento accelerato ai sensi dell’art. 105, paragrafo 1 del regolamento di procedura.

In attuazione delle raccomandazioni "all’attenzione dei giudici nazionali, relative alla presentazione di domande di pronuncia pregiudiziale" (2012/C 338/01), si dispone la trasmissione alla cancelleria della Corte di Giustizia di copia del fascicolo della causa.

Il presente giudizio viene sospeso fino alla pronuncia della Corte di Giustizia, e ogni ulteriore decisione, anche in ordine alle spese, è riservata alla pronuncia definitiva.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Quarta), non definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, così provvede:

1) dichiara parzialmente inammissibile il ricorso, nei sensi espressi al punto 1.2.) della motivazione;

2) dispone la rimessione alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea delle questioni pregiudiziali indicate ai punti 3.1.), 3.2.) e 3.3.) della motivazione;

3) dispone, a cura della segreteria, la trasmissione degli atti alla Corte di Giustizia dell’Unione europea ai sensi dell’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea e dell’art. 105, paragrafo 1 del regolamento di procedura, nei sensi e con le modalità di cui in motivazione, e con copia del fascicolo di causa;

4) dispone la sospensione del presente giudizio;

5) riserva alla decisione definitiva del giudizio ogni ulteriore statuizione in rito, in merito e in ordine alle spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 ottobre 2022 con l'intervento dei magistrati:

Roberto Politi, Presidente

Angelo Fanizza, Consigliere, Estensore

Giuseppe Grauso, Referendario

 
 
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Angelo Fanizza Roberto Politi
 
 
 
 
 

IL SEGRETARIO


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