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Consiglio di Stato, Sez. IV, 22/11/2022 n. 10275
Sul principio di sinteticità e sul rapporto tra accesso documentale e accesso civico

Non può essere concessa l'autorizzazione postuma al superamento dei limiti dimensionali qualora non sussistano, o comunque la parte richiedente non alleghi, i gravi e giustificati motivi di cui all'art. 7 del d.P.C.S. 22 dicembre 2016 .

La pubblica amministrazione destinataria di un'istanza di accesso a documenti amministrativi che sia formulata in modo generico (ossia senza riferimento all'accesso c.d. tradizionale oppure all'accesso civico generalizzato) ovvero che contempli il richiamo di entrambi i predetti istituti (c.d. istanza cumulativa), ha il potere - dovere di esaminarla nella sua interezza e, dunque, anche con riferimento alla disciplina dell'accesso civico generalizzato. Tuttavia, tale regola non deve essere seguita nel caso in cui l'interessato abbia fatto inequivoco riferimento alla disciplina dell'accesso oggetto della l. n. 241 del 1990: in tale ipotesi l'istanza dovrà essere esaminata unicamente sotto i profili dettati da tale ultima legge e non anche con riferimento all'accesso civico generalizzato.

L'accesso alle informazioni ambientali, di cui all'art. 1 d.lgs. n. 195 del 2005, è finalizzato a far conoscere al pubblico e quindi alla collettività le informazioni che riguardano l'ambiente in un'ottica di trasparenza e di massima diffusione; dunque, non può essere qualificato come tale l'accesso chiesto da un'impresa per la difesa dei propri interessi in giudizio, in relazione ai procedimenti civili, penali e amministrativi pendenti a suo carico diretti a verificare eventuali impatti dell'attività gestita sulle matrici ambientali circostanti.


Materia: giustizia amministrativa / processo
Pubblicato il 22/11/2022

N. 10275/2022REG.PROV.COLL.

N. 00181/2022 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 181 del 2022, proposto dalla ditta Aseco s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Gabriele Sabato, con domicilio digitale come da registri di Giustizia;

contro

il Comune di Ginosa, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Giuseppe Misserini, con domicilio digitale come da Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sede di Lecce, sezione seconda, n. 1819 del 14 dicembre 2021.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Ginosa;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatrice nella camera di consiglio del giorno 28 luglio 2022 il consigliere Emanuela Loria;

Uditi per le parti gli avvocati Gabriele Sabato e Giuseppe Misserini;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. L’oggetto del giudizio in esame è costituito dall’accertamento dell’illegittimità del silenzio diniego opposto dal comune di Ginosa all’istanza di accesso difensivo, ex art. 22 l. n. 241 del 1990 s.m.i., proposta in data 14 luglio 2020 dalla ditta Aseco (società interamente partecipata dall’Acquedotto pugliese s.p.a., che gestisce, nel territorio del comune di Ginosa, un impianto di trattamento dei rifiuti finalizzato alla produzione di compost ) relativamente ai seguenti atti:

a) segnalazione o richiesta da cui è stata originata l’attività ispettiva del comune di Ginosa sul terreno in disponibilità della ditta;

b) verbale di sopralluogo redato sull’ispezione del 19 marzo 2019;

c) verbali di campionamento;

d) referti analitici relativi ai campioni prelevati;

e) atto conclusivo del procedimento.

1.1. L’istanza di accesso agli atti è stata presentata a seguito di un sopralluogo disposto dal Comune in data 19 marzo 2019.

1.2. Con una seconda istanza dell’8 ottobre 2020, prot. 160 lp/MC 10.2020, la ditta ha reiterato la richiesta di accesso diffidando l’Amministrazione a consentire l’accesso entro trenta giorni dal ricevimento della stessa.

1.3. Il 28 gennaio 2021 prot. 16 Ip/MC 01.2021 la ditta ha presentato una terza istanza di accesso, ex art. 22 l. n. 241 del 1990 s.m.i., agli atti del procedimento, rappresentando che all’interesse all’accesso per motivi difensivi dei propri interessi in giudizio, “si aggiunge l’interesse a conoscere lo stato dell’ambiente limitrofo all’attività gestita, per un raffronto con le informazioni in proprio possesso e l’assunzione di eventuali iniziative conseguenti, ai sensi e per gli effetti di cui alla l. n. 195 del 2005 (diritto all’informazione ambientale)”.

2. In assenza di riscontro da parte dell’amministrazione, la ditta ha proposto ricorso al T.a.r. per la Puglia, sede di Lecce, sostenuto da unico complesso motivo (da pagina 2 a pagina 8) dove sono frammisti elementi in fatto e motivi di censura.

3. La sentenza impugnata – T.a.r per la Puglia, Lecce, sez. II, n. 1819 del 14 dicembre 2021 - ha dichiarato irricevibile il ricorso e ha condannato la ditta al pagamento delle spese di lite, quantificate in euro 1.000,00, a favore del comune.

4. La ditta ha proposto l’appello in esame, affidato a cinque complessi mezzi di gravame estesi da pagina 7 a pagina 29 del ricorso.

5. Si è costituito in giudizio il comune per resistere al gravame.

6. Il 1 febbraio 2022 l’appellante ha depositato istanza di autorizzazione al superamento dei limiti dimensionali ai sensi dell’art. 7 del decreto del Presidente del Consiglio di Stato n. 167 del 22 dicembre 2016, avendo quasi raddoppiato (40.387 caratteri) nell’atto di appello i limiti dimensionali previsti dall’art. 3, comma 1, lett. a), del citato d.P.C.S. come modificato dal decreto del 16 ottobre 2017.

6.1. L’11 luglio 2022 il comune ha depositato memoria difensiva.

6.2. Il 15 luglio 2002 l’appellante ha depositato memoria di replica.

7. Alla camera di consiglio del 28 luglio 2022 la causa è stata trattenuta in decisione.

8. Preliminarmente il Collegio deve pronunciarsi sull’istanza dell’appellante di autorizzazione postuma al superamento del limite dimensionale massimo stabilito dall’art. 3, comma 1, del d.P.C.S. 22 dicembre 2016, essendo di competenza dell’organo giudicante la decisione sulla istanza presentata dopo l’instaurazione del giudizio (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 18 maggio 2021, n. 826).

8.1. In base ai principi generali elaborati sulla rilevanza del dovere di chiarezza, specificità e sinteticità degli scritti difensivi (ex plurimis cfr. Cons. Stato, sez. IV, sentenza n. 4413 del 20 luglio 2018) e in particolare degli atti di impugnazione nonché sulla eccezionalità delle deroghe ai limiti dimensionali ed al carattere preventivo dell’autorizzazione (cfr. decreto pres. C.g.a., sez. giurisd., nn. 196/2021 in r.g.n. 1209/2021 e 122/2021 in r.g.n. 686/2021; Cons. stato, sez. IV, n. 803 del 2020, n. 2190 del 2018), l’istanza in esame deve essere respinta, poiché non si ravvisano (né sono stati allegati) i “gravi e giustificati motivi” che, ai sensi dell’art. 7 d.P.C.S. cit., consentono l’autorizzazione postuma al superamento dei limiti dimensionali.

8.2. In via ulteriormente preliminare, il Collegio dà atto che a seguito dell’appello della ditta Aseco s.p.a. è riemerso il thema decidendum del giudizio di primo grado e che il perimetro del giudizio di appello è circoscritto dalle censure ritualmente sollevate in primo grado (ex plurimis, Cons. Stato, sez. IV, n. 1130 del 2016; sez. V, n. 5865 del 2015; sez. V, n. 5868 del 2015), sicché non possono trovare ingresso le censure nuove dell’appellato, proposte per la prima volta in questa sede in violazione del divieto dei nova sancito dall’art. 104 c.p.a.

9. Nel merito, il ricorso, proposto ex art. 117 c.pa., è da respingere.

9.1. Con un primo motivo la ditta sostiene che il comune avrebbe violato il diritto di accesso civico riconosciuto dal d.lgs. n. 33 del 2013 che ha “tracciato un ambito di tutela “più ampio”, sostanzialmente e processualmente, del diritto di accesso tradizionale (ex art. 22 L. 241/1990)”, per cui rispetto alla mancata risposta allo scadere del termine per provvedere non si sarebbe formato il silenzio diniego all’accesso impugnabile ai sensi degli artt. 116 c.p.a. e 25 della l. n. 241 del 1990 s.m.i., bensì si sarebbe realizzata una inerzia dell’amministrazione rispetto alla quale il privato sarebbe stato legittimato ad esercitare l’azione nel termine lungo annuale ex art. 117 c.p.a.

9.2. Il motivo è infondato.

Come chiarito dalla sentenza dell’Adunanza plenaria n. 10 del 2 aprile 2020, su un piano generale la pubblica amministrazione destinataria di un’istanza di accesso a documenti amministrativi che sia formulata in modo generico (ossia senza riferimento all’accesso c.d. tradizionale oppure all’accesso civico generalizzato) ovvero che contempli il richiamo di entrambi i predetti istituti (c.d. istanza cumulativa), ha il potere – dovere di esaminarla nella sua interezza e, dunque, anche con riferimento alla disciplina dell’accesso civico generalizzato.

Tuttavia, tale regola non deve essere seguita nel caso in cui l’interessato abbia fatto inequivoco riferimento alla disciplina dell’accesso oggetto della l. n. 241 del 1990: in tale ipotesi l’istanza dovrà essere esaminata unicamente sotto i profili dettati da tale ultima legge e non anche con riferimento all’accesso civico generalizzato.

9.3. Tale seconda ipotesi è quella in cui rientra il caso in esame.

Infatti, dall’esame testuale delle istanze presentate dall’appellante si desume in modo chiaro che la prima istanza di accesso agli atti, recante la data 14 luglio 2020, è stata formulata con espresso e univoco riferimento all’accesso documentale disciplinato dagli artt. 22 ss. della l. n. 241 del 1990; peraltro, la successiva istanza dell’8 ottobre 2021 costituisce una mera diffida, per mezzo della quale la ditta ha intimato all’amministrazione di “consentire l’accesso” richiesto con l’istanza del 14 luglio 2020, senza che la diffida abbia caratteri innovativi rispetto alla precedente istanza.

Inoltre, la natura del diritto di accesso fatto valere si desume, dalla enunciazione dell’interesse sotteso all’accesso agli atti, che è quello di “consentire alla società di difendere i propri interessi in giudizio, considerato che pendono a suo carico procedimenti civili, penali ed amministrativi diretti a verificare eventuali impatti dell’attività gestita sulle matrici ambientali circostanti, nelle more dell’adeguamento impiantistico alle BAT che si sta cercando da tempo di realizzare, in ottemperanza alle prescrizioni AIA n. 18 e n. 19 della determinazione AIA n. 2/2016”.

Peraltro, anche la sentenza dell’Adunanza plenaria n. 4 del 2021 ha riaffermato che, in relazione all’accesso difensivo di cui alla l. n. 241 del 1990, l’amministrazione detentrice dei documenti deve verificare che vi sia “uno stretto collegamento” tra gli atti richiesti e le difese da apprestare in un processo già pendente o eventualmente da instaurare, fermo restando il limite per la pubblica amministrazione di esprimere valutazioni ulteriori circa l’influenza o la decisività del documento ai fini della risoluzione della controversia.

Un ulteriore elemento che connota l’interesse all’accesso, nel caso di specie, quale accesso difensivo è il fatto che gli atti richiesti hanno riguardato terreni nella esclusiva disponibilità dell’appellante.

I richiamati profili, tutti rinvenibili nella istanza del 14 luglio 2021 e reiterati nella successiva diffida, connotano l’interesse fatto valere come “un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso”, e quindi esattamente rispondente alla tipologia di posizione giuridica di cui all’art. 22 legge n. 241 1990.

Così ricostruito l’interesse fatto valere, risulta chiaro che l’istante ha, da un lato, illegittimamente azionato il ricorso ex art. 117 c.p.a., e, dall’altro, è incorso nella decadenza dal termine previsto dall’art. 116 c.p.a. giacché deve essere escluso che egli abbia azionato l’accesso civico generalizzato non trovandosi nella posizione del quisque de populo e non potendo pertanto essergli riconosciuto un interesse ancipite.

10. Con il secondo motivo di ricorso viene dedotta la violazione degli artt. 5, comma 2, e 40 del d.lgs. n. 33 del 2013 nonché dell’art. 2 della l. n. 241 del 1990 poiché le istanze di accesso agli atti (pec dell’8 ottobre 2020 e nota del 25 gennaio 2021) avrebbero come oggetto informazioni di carattere ambientale, per cui l’accesso sarebbe da ricondurre (anche) all’istituto di cui al d.lgs. n. 195 del 2005.

Sotto questo profilo sarebbe stato correttamente azionato nel termine il ricorso ex art. 117 c.p.a.

10.1. Il motivo è destituito di fondamento.

In primo luogo, la ratio della disciplina relativa all’accesso al pubblico alle informazioni ambientali che si rinviene, segnatamente, nell’art. 1 del d.lgs. 19 agosto 2005 n. 195 non si attaglia alle istanze presentate dalla ricorrente: la disciplina emanata in attuazione della direttiva 2003/4/CE è principalmente volta a far conoscere al pubblico e quindi alla collettività le informazioni che riguardano l’ambiente in un’ottica di trasparenza e di massima diffusione, al fine “di contribuire sensibilizzare maggiormente il pubblico alle questioni ambientali, a favorire il libero scambio di opinioni, ad una più efficace partecipazione del pubblico al processo decisionale in materia e, infine, a migliorare l’ambiente” (I considerando della direttiva 2003/4/Ce), laddove l’interesse che connota la ditta istante è tutt’altro giacché è quello di difendere i propri interessi in giudizio in relazione ai procedimenti civili, penali e amministrativi pendenti a sui carico diretti a verificare eventuali impatti dell’attività gestita sulle matrici ambientali circostanti (così l’istanza del 14 luglio 2020)

In secondo luogo, sotto un profilo formale, la disciplina in materia di informazioni ambientali è stata soltanto genericamente indicata nell’istanza del 14 luglio 2020 e in quella del 28 gennaio 2021 senza che sia stata in alcun modo circostanziato l’interesse all’informazione ambientale, in tesi fatto valere.

11. Con un autonomo motivo d’appello (il quinto) è stata dedotta la erroneità della sentenza gravata per violazione e falsa applicazione dell’art. 26 c.p.a. nonché degli artt. 91 e 92 c.p.c. in relazione alla condanna alle spese di giudizio.

In particolare l’appellante ha chiesto che le spese del doppio grado di giudizio siano poste a carico dell’amministrazione (in ragione della asserita fondatezza dell’appello) o, in subordine, siano compensate in considerazione della novità delle questioni oggetto del contenzioso, quanto meno in primo grado, “dato che la normativa applicabile è stata oggetto di un intervento giurisprudenziale di natura nomofilattica, con la sentenza dell’Adunanza plenaria n. 10 del 2 aprile 2020, in un periodo coevo al momento in cui è stata presentata l’istanza di accesso agli atti”.

11.1. Il motivo è infondato poiché l’art. 92 comma 2 c.p.a. nel testo novellato nel 2014 aveva stabilito che il giudice può compensare le spese tra le parti solo “se vi è soccombenza reciproca ovvero nel caso di assoluta novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti”.

Nonostante la decisione 19 aprile 2018 n. 77 della Corte costituzionale abbia dichiarato la illegittimità dell’art. 92, c. 2, c.p.c. nella parte in cui non prevede che il giudice possa compensare le spese tra le parti anche qualora sussistano altre “analoghe gravi ed eccezionali ragioni”, tuttavia tale decisione non ha ripristinato tal quale la previgente clausola generale delle “gravi ed eccezionali ragioni”, in quanto ha aggiunto il quid pluris che le “gravi ed eccezionali ragioni” devono essere “analoghe” rispetto alle ipotesi tipizzate, e quindi appartenere al novero delle sopravvenienze o di situazioni di assoluta incertezza.

Pertanto, deve ritenersi che, nel caso in esame, la sentenza in materia di diritto di accesso dell’Adunanza plenaria n. 10 del 2 aprile 2020 sopra richiamata non valga ad integrare il presupposto delle “analoghe gravi ed eccezionali ragioni” giacché ciò che rileva ai fini della “novità delle questioni” è l’instaurazione del contenzioso da parte della ditta appellante e, nel caso in esame, il ricorso di primo grado è stato notificato il 20 maggio 2021 e depositato il successivo 25 maggio 2021, per cui anche l’intervento nomofilattico a cui fa riferimento l’appellante è anteriore rispetto alla instaurazione del contenzioso.

12. A tanto consegue il rigetto dell’appello e la condanna della parte appellante al pagamento delle spese di giudizio, liquidate in dispositivo tenuto conto dei parametri di cui al regolamento n. 55 del 2014 e dei criteri di cui all’art. 26 comma 1 c.p.a.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello r.g.n. 181/2022, lo respinge.

Condanna l’appellante alla rifusione, in favore del Comune di Ginosa, delle spese del giudizio che liquida in euro 5.000,00 (cinquemila), oltre agli accessori di legge (I.V.A., C.P.A. e rimborso spese generali al 15%).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 luglio 2022 con l'intervento dei magistrati:

Vito Poli, Presidente

Alessandro Verrico, Consigliere

Silvia Martino, Consigliere

Giuseppe Rotondo, Consigliere

Emanuela Loria, Consigliere, Estensore

 
 
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Emanuela Loria Vito Poli
 
 
 
 
 

IL SEGRETARIO


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