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Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 29/12/2022 n. 22
Sui presupposti e sui limiti del riconoscimento, da parte del Ministero dell’istruzione, dell’abilitazione all’insegnamento acquisita in Stati membri UE

Spetta al Ministero competente verificare se, e in quale misura, si debba ritenere che le conoscenze attestate dal diploma rilasciato da altro Stato o la qualifica attestata da questo, nonché l’esperienza ottenuta nello Stato membro in cui il candidato chiede di essere iscritto, soddisfino, anche parzialmente, le condizioni per accedere all’insegnamento in Italia, salva l’adozione di opportune e proporzionate misure compensative ai sensi dell’art. 14 della Direttiva 2005/36/CE.

Materia: istruzione / disciplina
Pubblicato il 29/12/2022

N. 00022/2022REG.PROV.COLL.

N. 00021/2022 REG.RIC.A.P.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale n. 21 del 2022 dell’Adunanza Plenaria, proposto dal Ministero dell’Istruzione, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

contro

la signora Monica Donvito, rappresentata e difesa dall’Avvocato Biancamaria Celletti, dall’Avvocato Silvia Maria Cinquemani e dall’Avvocato Francesco Vannicelli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e con domicilio eletto presso lo studio dello stesso Avvocato Francesco Vannicelli in Roma, via Varrone, n. 9;

e con l'intervento di

ad opponendum
dei signori Erika Fornari, Maria Luisa Scibetta, Lucia Pistone, Valentina Depetro, Cristina Cicero, Tiziana Paola Giaquinta, Rita Cornelli, Miriam Vittoria, Cristina Iemulo, Michele Vanella, Nella Casabella, Aldo Di Martino, Veraelisa Guarrera, Chiara Antonia Mauceri, Flavia Puma, Alba Varcadipane, Maria Teresa Chisari, Antonino Portale, Maria Orsola Calandra, Ettore Talio, Martina Di Natale, rappresentati e difesi dall’Avvocato Biancamaria Celletti e dall’Avvocato Francesco Vannicelli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e con domicilio eletto presso lo studio dell’Avvocato Francesco Vannicelli in Roma, via Varrone, n. 9;

per la riforma

della sentenza n. 6173 dell’8 giugno 2020 del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma, sezione III-bis, resa tra le parti.


visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

visto l’atto di costituzione in giudizio dell’appellata;

visti gli atti di intervento ad opponendum dei soggetti in epigrafe indicati;

visti tutti gli atti della causa;

relatore nell’udienza pubblica del giorno 16 novembre 2022 il Consigliere Massimiliano Noccelli e uditi per il Ministero dell’Istruzione l’Avvocato dello Stato Giovanni Greco e per l’appellata, nonché per gli interventori, l’Avvocato Francesco Vannicelli e l’Avvocato Maurizio Danza, in sostituzione dell’Avvocato Silvia Maria Cinquemani;

viste le conclusioni delle parti come da verbale;

ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. L’odierna appellata ha conseguito il titolo di formazione professionale relativo al ciclo di studi post-secondari presso un’Università rumena, ai fini dell’esercizio della professione di docente in Romania.

1.1. Il titolo conseguito era denominato “Programului de studi psichopedagogice, Nivel I e Nivel II” e l’originaria parte ricorrente vi poteva accedere solo a seguito di riconoscimento della formazione accademica (laurea) non conseguita in Romania.

1.2. Successivamente al conseguimento, in Romania, del titolo di formazione professionale, l’appellata ha presentato al Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca unaistanza volta al riconoscimento del suindicato titolo in Italia.

1.3. Il Ministero, con la nota n. 5636 del 2 aprile 2019, fornendo chiarimenti e informazioni ai cittadini italiani (come l’appellata) che hanno concluso, in Romania, i percorsi denominati “Programului de studi psichopedagogice, Nivel I e Nivel II” chiedendone il riconoscimento in Italia, ha comunicato che i suddetti titoli «non soddisfano i requisiti giuridici per il riconoscimento della qualifica profesisonale di docente ai sensi della Direttiva 2205/36/CE e successive modifiche, e pertanto le istanze di riconoscimento presentate sulla base dei suddetti titoli sono da considerarsi rigettate».

1.4. Il Ministero ha spiegato che il presupposto necessario al fine di ottenere il riconoscimento professionale dei titoli consiste nel possedere una qualifica professionale che, in base alle disposizioni del Paese ove è stata conseguita, consenta l’esercizio della professione di docente abilitato all’insegnamento.

1.5. Il Ministero ha chiarito che l’art. 13, comma 1, della Direttiva 2013/55/UE, che disciplina l’accesso alla professione regolamentata, prevede che, se in uno Stato membro ospitante, l’accesso alla professione regolamentata o al suo esercizio sono subordinati al possesso di determinate qualifiche professionali, l’autorità competente di tale Stato membro dà accesso alla professione e ne consente l’esercizio, alle stesse condizioni dei suoi cittadini, ai richiedenti in possesso dell’attestato di competenza o del titolo di formazione di cui all’art. 11, richiesto da un altro Stato membro per accedere alla stessa professione ed esercitarla sul suo territorio.

1.6. Il Ministero appellante ha rilevato che aveva esaminato l’ordinanza del Ministero rumeno dell’educazione nazionale e della ricerca scientifica n. 5414/2016 relativa alla metodologia da utilizzare per il rilascio dell’Attestato di conformità degli studi con le disposizioni della Direttiva 2005/36/CE sul riconoscimento delle qualifiche professionali e si era avviata una interlocuzione con l’Amministrazione rumena, che nel novembre 2018 inviava una ‘nota ufficiale’ a firma del Segretario di Stato rumeno per l’educazione nazionale e la ricerca scientifica.

1.7. Il Ministero ha specificato che la ‘nota’ ha chiarito che «il possesso del certificato di conseguimento della formazione psicopedagogica costituisce condizione necessaria, ma non sufficiente al fine di ottenere la qualifica professionale di docente in Romania (…) essendo la condizione principale aver conseguito gli studi post liceali o universitari in Romania» (p. 2 della nota prot. n. 5636).

1.8. Posto che il Ministero rumeno non riconosceva la formazione svolta da cittadini italiani, quest’ultima non poteva essere riconosciuta dal Ministero.

1.9. Il Ministero ha concluso per il rigetto delle richieste di riconoscimento della qualifica professionale basate su titoli conseguiti in Romania.

2. Con la nota poi impugnata, il Ministero ha comunicato all’appellata l’impossibilità di accoglimento della avanzata richiesta di riconoscimento della qualifica professionale per «difetto dei requisiti di legittimazione al riconoscimento dei titoli, ai sensi della Direttiva 2013/55/UE, per l'esercizio della professione docente, conseguiti in paese appartenente all'Unione Europea, Romania nel caso di specie».

2.1. Il Ministero ha richiamato il contenuto dell’Avviso pubblicato in data 2 aprile 2019, in quanto il provvedimento di rigetto dell’istanza dell’appellata altro non rappresentava che l’applicazione, al caso di specie, dell’iter motivazionale espresso in via generale nell’avviso con riguardo a tutti i cittadini italiani che avevano conseguito in Romania i percorsi denominati “Programului de studi psichopedagogice, Nivel I e Nivel II”, chiedendone il riconoscimento in Italia.

3. L’appellata ha proposto il ricorso di primo grado al TAR per il Lazio, chiedendo l’annullamento, previa sospensione dell’efficacia, delle note suindicate.

3.1. Il Ministero intimato si è costituito nel primo grado del giudizio, chiedendo la reiezione del ricorso.

3.2. Il Tribunale, con la sentenza n. 6173 dell’8 giugno 2020, ha accolto il ricorso ed ha annullato i provvedimenti impugnati.

3.3. Il TAR, nel richiamare l’orientamento della Sesta Sezione del Consiglio di Stato, ha rilevato che:

a) l’interessata è in possesso sia del titolo di studio conseguito in Italia sia dell’abilitazione all’insegnamento conseguita in Romania;

b) il richiesto riconoscimento dell’operatività di quest’ultimo in Italia è stato negato dal Ministero in base alla valutazione delle autorità rumene, le quali escludono il riconoscimento delle qualifiche professionali per coloro che non hanno conseguito il titolo di studio in Romania.

3.4. Per il TAR, una volta acquisita la documentazione che attesta il possesso del certificato conseguito in Romania, non può negarsi il riconoscimento dell’operatività in Italia, altro Paese UE, per il mancato riconoscimento del titolo di studio – laurea – conseguito in Italia e l’eventuale errore delle autorità rumene sul punto non può costituire ragione e vincolo per la decisione amministrativa italiana.

3.5. Per di più, nel caso di specie il titolo di studio reputato insufficiente dalle autorità di altro Stato membro è la laurea conseguita presso una università italiana.

3.6. Ad avviso del TAR, le autorità nazionali sarebbero chiamate a valutare la congruità delle formazioni conseguite all’estero, nei termini chiariti dalla giurisprudenza europea e sopra richiamati.

4. Avverso tale sentenza ha proposto appello il Ministero, lamentandone l’erroneità, e ne ha chiesto la riforma, con il rigetto del ricorso proposto in prime cure.

4.1. Secondo il Ministero appellante, infatti, bisognerebbe considerare che, a differenza di quanto accade in Italia, in cui per ottenere l’abilitazione è necessaria la laurea e un corso di formazione post universitaria (laurea+ corso postuniversitario), in Romania la laurea rumena è già di per sé titolo abilitante (purché conseguita sempre in Romania all’esito degli studi universitari).

4.2. In sostanza, per un cittadino italiano che, una volta laureato, voglia abilitarsi all’insegnamento in Romania, non è sufficiente l’avere conseguito corsi di formazione psico-pedagogica (i c.d. “Programului de studii psihopedagogice, Nivelul I e Nivelul II”), ma deve avere svolto gli studi universitari in detto Paese (anche solo questi, visto che è la laurea rumena che abilita all’insegnamento).

4.3. Di conseguenza, la sentenza del Tribunale qui impugnata sarebbe sicuramente errata (oltre che contraddittoria rispetto alla motivazione che lo precede) nella parte in cui ha ritenuto che, una volta che la laurea italiana venga riconosciuta in Romania, la circolare impugnata – v., supra, § 1.3. – non sia applicabile, visto che – sbagliata o meno che sia la condotta delle autorità rumene – l’unico effetto, che consegue al riconoscimento della laurea italiana dalla Romania, è che il ricorrente può essere ammesso a frequentare il corso di studi universitari rumeni (al cui esito egli avrà diritto all’abilitazione).

4.4. In sintesi, il corso formativo rumeno che, secondo il Tribunale, dovrebbe passare per abilitativo, in realtà non ha questo effetto, perché in Romania non esistono corsi abilitativi al di fuori della laurea (rumena, ovviamente).

4.5. Ebbene, come è evidente, dalla circostanza secondo cui il ricorrente avrebbe ottenuto il riconoscimento della laurea italiana in Romania il giudice amministrativo ha dedotto l’inapplicabilità alla “peculiare” situazione della parte ricorrente della nota prot. n. 5636 del 2 aprile 2019.

4.6. La Romania riconosce, infatti, solo a fini accademici, e non, quindi, ai fini professionali, nei sensi richiesti dalla Direttiva 2013/53/UE ai corsi seguiti dagli italiani, in quanto questi corsi non hanno nessuna valenza abilitativa, in quanto, per il sistema didattico rumeno, solo la laurea rumena è titolo abilitativo.

4.7. Inoltre, pur ad ammettere che l’amministrazione possa supplire all’omesso riconoscimento attivando una valutazione comparativa dei corsi rumeni c.d. abilitativi, rispetto a quelli abilitativi (nel vero senso del termine) italiani, il relativo confronto presupporrà, necessariamente, che i corsi rumeni da valutare siano provvisti della qualificazione “professionale”, e, cioè, della certificazione rilasciata dall’autorità rumena che ne attesti la validità ai fini professionali (e non semplicemente accademici), precondizione che, invece, nel caso in esame, non si verifica affatto.

4.8. Di qui, ad avviso del Ministero appellante, l’erroneità della sentenza impugnata, che ha riconosciuto efficacia abilitante alla frequenza di un corso che, invece, non abilita all’insegnamento in Romania.

4.9. L’appellata si è costituita con memoria depositata il 30 dicembre 2020, con cui ha chiesto la reiezione dell’appello.

5. Con l’ordinanza n. 5310 del 27 giugno 2022, la Settima Sezione ha rimesso la controversia all’esame di questa Adunanza Plenaria.

5.1. La Settima Sezione rileva la sentenza appellata si fonda si è basata sul’orientamento della Sesta Sezione del Consiglio di Stato (v., ex plurimis, sez. VI, 3 novembre 2021, n. 7343, Cons. St., sez. VI, 17 febbraio 2020 n. 1198), che in materia di riconoscimento del valore dei corsi di formazione rumeni “cd. Programului Nivelul I e Nivelul II” ritiene che il provvedimento di rigetto, così come la nota generale del 2 aprile del 2019 del Ministero dell’Istruzione, siano in contrasto con principi europei oramai consolidati in giurisprudenza.

5.2. Alla luce di tale maggioritario orientamento, i provvedimenti impugnati in primo grado non avrebbero considerato che l’iter per conseguire l’abilitazione all’insegnamento in Romania si articola su due fasi:

a) il conseguimento della laurea (esclusivamente in Romania, secondo l’ordinamento di quel Paese);

b) la frequenza dei corsi di formazione, i ridetti “Programmuli” per essere ammessi ai quali è necessario essere in possesso di laurea (anche non conseguita in Romania).

Pertanto, il mancato riconoscimento nel diritto rumeno della laurea italiana al fine di ottenere l’abilitazione all’insegnamento nelle istituzioni scolastiche rumene non potrebbe avere un rilievo escludente automatico per l’ordinamento italiano.

5.3. Obietta la Sezione rimettente che in base a tale orientamento si riconoscerebbe valore abilitante per l’insegnamento ad un titolo di formazione straniero che nel Paese di origine quel valore abilitante non ha.

L’ordinanza di rimessione ha osservato che non si potrebbero disapplicare, nel corso di un procedimento amministrativo o di un giudizio pendente in Italia gli atti amministrativi di un ordinamento straniero di cui gli interessati lamentano il contrasto con il diritto dell’Unione, potendosi anche dubitare che il giudice nazionale dell’altro Stato membro possa disapplicare gli atti per attuare la primazia di tale diritto.

5.4. La Settima Sezione ha quindi posto all’Adunanza Plenaria i seguenti quesiti:

a) se, ai sensi della Direttiva 2005/36/CE, sul riconoscimento delle qualifiche professionali (recepita nell’Ordinamento nazionale con il decreto legislativo n. 206 del 2007) e in particolare ai fini dell’accesso in Italia alla professione regolamentata di insegnante nelle scuole primaria e secondaria, sia necessario riconoscere in modo sostanzialmente automatico in Italia un percorso di formazione seguito da un cittadino dell’UE (nel caso in esame, italiano) presso altro Paese membro dell’UE (nel caso in esame, in Romania), soltanto previa verifica della durata complessiva, del livello e della qualità della formazione ivi ricevuta (e fatta salva la possibilità per le autorità italiane di disporre a tal fine specifiche misure compensative).

b) in particolare, se tale riconoscimento sia doveroso (o anche solo possibile) laddove:

- nel Paese membro di origine (i.e.: nel Paese in cui il percorso di formazione si è svolto – nel caso in esame, in Romania -) il completamento di tale percorso formativo non assume di per sé carattere abilitante ai fini dell’accesso all’insegnamento, ma presuppone altresì in via necessaria che l’interessato abbia conseguito nel Paese di origine (nel caso in esame: la Romania) sia studi di istruzione superiore o post-secondaria, sia studi universitari;

- all’esito di tale percorso di formazione le Autorità del Paese di origine (nel caso in esame: la Romania) non abbiano rilasciato un attestato di competenza o un titolo di formazione ai sensi dell’articolo 13, par. 1 della Direttiva 2005/36/CE.

5.5. Sono intervenuti nella fase del giudizio avanti a questa Adunanza numerosi interessati, che hanno frequentato i ridetti corsi di formazione in Romania, per opporsi all’accoglimento dell’appello proposto dal Ministero.

5.8. Le parti hanno depositato ai sensi dell’art. 73 c.p.a. numerose memorie, nelle quali hanno illustrato e specificato le rispettive posizioni.

5.9. Infine, nell’udienza pubblica del 16 novembre 2022, questa Adunanza ha trattenuto la causa in decisione.

6. Ritiene l’Adunanza Plenaria che l’appello è infondato e va respinto.

7. In via preliminare, vanno dichiarati inammissibili gli interventi ad opponendum degli interessati, in epigrafe indicati, che hanno seguito i corsi di formazione in Romania.

Tale interventi non sono riconducibili ad alcuna delle figure cui tipicamente si riferisce l’istituto dell’intervento nel processo amministrativo, disciplinato dall’art. 28 c.p.a. e, per il grado di appello, dall’art. 97 c.p.a.

Non è infatti sufficiente la sola circostanza per cui l’interessato sia parte in un altro giudizio in cui rilevi una quaestio iuris analoga o identica a quella dibattuta nell’ambito del giudizio principale, attesa l’obiettiva diversità degli elementi oggettivi di identificazione della domanda che distingue i due giudizi (diversità di provvedimenti impugnati; diversità di motivi; diversità di petitum formale e sostanziale).

7.1. Infatti, per il consolidato orientamento di questo Consiglio di Stato, qualora si ammettesse la possibilità di proporre l’intervento volontario per l’analogia fra le quaestiones iuris controverse nei due giudizi, si finirebbe per introdurre nel processo amministrativo una nozione di interesse del tutto peculiare e svincolata dalla tipica valenza endoprocessuale connessa a tale nozione e potenzialmente foriera di iniziative anche emulative, in toto scisse dall’oggetto specifico del giudizio cui l’intervento si riferisce.

Nel processo amministrativo, l’intervento ad adiuvandum o ad opponendum può essere proposto solo da un soggetto titolare di una posizione giuridica collegata o dipendente da quella del ricorrente in via principale o del controinteressato (v. in tal senso, ex plurimis, Cons. St., Ad. Plen., 27 febbraio 2019, n. 5, Cons. St., Ad. plen., 30 agosto 2018, n. 13, Cons. St., Ad. plen., 4 novembre 2016, n. 23, nonché, più di recente, Cons. St., sez. VI, 12 novembre 2020, n. 6965).

Tale principio va ribadito anche quando si tratti di giudizi pendenti innanzi all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, pur se il principio di diritto da questa affermato ha il particolare rilievo disciplinato dall’art. 99 del codice del processo amministrativo.

Rileva al riguardo un principio di carattere generale, applicabile per i giudizi pendenti innanzi alla Corte Costituzionale e innanzi a qualsiasi ‘giurisdizione superiore’ prevista dall’art. 135 della Costituzione, per il quale solo una disposizione di legge potrebbe consentire ad eventuali interessati – in queste alte sedi – di poter esporre le proprie tesi difensive, per l’affermazione di un principio di diritto di cui intendano avvalersi in un altro giudizio.

Mancando una tale regola nel codice del processo amministrativo, gli interventi vanno dichiarati inammissibili.

8. Passando all’esame dei quesiti, la Sezione rimettente si è basata su due presupposti fattuali, che però – ad avviso della Adunanza Plenaria - non risultano condivisibili e cioè che:

a) nel diritto rumeno il solo possesso del titolo conseguibile all’esito della frequenza dei corsi per cui è causa non consentirebbe l’accesso alla professione di insegnante, qualora manchi la previa frequenza di corsi di studi superiori ed universitari in Romania;

b) a prescindere dalla compatibilità della disciplina nazionale rumena col diritto europeo, al certificato di conseguimento della formazione rilasciato all’esito dei corsi per cui è causa non sarebbe riconosciuto né il valore di “attestato di competenza”, né quello di “titolo di formazione” rilevanti ai fini del riconoscimento ai sensi dell’art. 13, paragrafo 1, della Direttiva 2005/36/CE.

Ad avviso della ordinanza di rimessione, quel certificato e quel titolo non avrebbero rilievo sulla base della Direttiva UE sul riconoscimento delle qualifiche professionale, sicché non si potrebbe ammettere che tale valore possa essere riconosciuto in Italia, non potendo il giudice italiano disapplicare la disposizione preclusiva dell’ordinamento rumeno.

Per la Settima Sezione, l’appellato non avrebbe conseguito l’abilitazione in Romania e non potrebbe ivi accedere alla professione di insegnante, perché non ha ottenuto la laurea in quel Paese, con la conseguenza che - valutando il titolo “programmuli” unitamente al diploma di laurea in Italia – se si seguisse l’orientamento della Sesta Sezione di questo Consiglio deriverebbe un ‘circolo vizioso’: il cittadino italiano – ottenendo l’abilitazione in Italia attraverso questo percorso – potrebbe poi insegnare anche in Romania, nonostante non abbia conseguito la laurea in quest’ultimo Paese, ciò che non sarebbe consentito dalla legge rumena.

9. Osserva l’Adunanza Plenaria che questi presupposti di fatto – valutati dalla Settima Sezione – non trovano rispondenza negli atti depositati dal Ministero appellante e riguardanti l’organizzazione scolastica rumena, per come descritta dagli atti del Ministero rumeno.

9.1. Va sottolineato che la questione è stata già esaminata dalla Sesta Sezione, la quale ha osservato come le argomentazioni del Ministero contrastino «con quanto attestato dalle autorità rumene, secondo cui deve riconoscersi il diritto di insegnare in Romania a livello di istruzione preuniversitaria in capo a coloro che, […] titolari di diploma/master conseguito in all’estero e riconosciuto in Romania, abbiano frequentato e superato appositi corsi di formazione psicopedagogica, complementari di diploma, in settori e specializzazioni conformi al curriculum dell’istruzione preuniversitaria» (v., ex plurimis Cons. St., sez. VI, 3 giugno 2021, n. 4227): si è anche formato il giudicato sull’illegittimità della nota ministeriale sopra citata n. 5636 del 2 aprile 2019.

Come è stato già accertato in altri giudizi, le Autorità amministrative rumene non pongono in discussione il conseguimento dell’abilitazione all’insegnamento, da parte dei cittadini italiani, laureatisi in Italia, che siano in possesso del titolo rumeno in questione.

Le Autorità amministrative rumene hanno formalmente dichiarato che i laureati in Italia - che abbiano intrapreso e completato i corsi di formazione Nivel I e Nivel II in Romania – possano insegnare in Romania, anche se nell’attestato rilasciato all’esito del corso – c.d. Adeverinta – manca formalmente l’espressa dizione “abilitante”, sol perché in quell’ordinamento essa viene annotata solo per chi abbia espletato l’intero corso di studi – superiori e universitari – in Romania.

9.2. Come ha chiarito più volte la Sesta Sezione, l’avviso di data 2 aprile 2019 – che ha posto in dubbio la validità dei titoli conseguiti in Romania – si è dunque basato su un equivoco, derivante da una inadeguata lettura della nota n. 40527 del 26 novembre 2018 del Ministero rumeno, ove si legge – a p. 2 - che «il Certificato di Conformità agli Studi ai sensi della Direttiva 2005/36/CE riguardante il riconoscimento delle qualifiche professionali ai cittadini che hanno studiato in Romania, per svolgere attività didattica all’estero, viene rilasciato al richiedente, solo se si è laureato in Romania, sia in studi superiori/post-secondari di profilo pedagogico, sia in studi universitari».

Tuttavia, il Ministero rumeno con note successive ha modificato e comunque chiarito tale affermazione, precisando che – per evitare una prassi rumena contrastante con i principi del diritto europeo e con la Direttiva – già dal 2016 era mutato il quadro normativo rumeno.

9.3. Con la nota n. 30912 del 21 maggio 2019, il Ministero rumeno ha rilevato che «la legislazione nazionale ha trasposto correttamente ed interamente le disposizioni della direttiva 2005/36/CE riguardante il riconoscimento delle qualifiche professionali con le variazioni ed inserzioni successive» e che «la legge n. 200/2004 riguardante il riconoscimento dei diplomi e delle qualifiche professionali per le professioni regolamentate di Romania, con le variazioni ed inserzioni successive, ha creato il quadro affinché ogni cittadino di uno stato membro dell’Unione Europea, possa esercitare la professione di insegnante sul territorio della Romania».

Infatti, con l’ordinanza n. 5414 del 2016 del Ministero rumeno dell’educazione nazionale e della ricerca scientifica, è stata approvata la metodologia sul rilascio del certificato di conformità degli studi con le disposizioni della Direttiva 2005/36/CE riguardante il riconoscimento delle qualifiche professionali e del certificato riguardante la certificazione delle competenze per la professione di docente per i cittadini, indifferentemente dalla nazionalità.

9.4. In coerenza con tali ultimi atti, l’ordinanza del Ministero rumeno n. 5611 del 19 dicembre 2019 ha disposto che «il certificato relativo alla certificazione delle competenze per la professione di insegnante nell’istruzione pre-universitaria può essere richiesto dai cittadini di cui all’art. 1 [rumeni e dai cittadini degli stati membri dell’Unione Europea, n.d.r.], sulla base di un certificato di completamento del programma di formazione psicopedagogica, rilasciato da una scuola o da un istituto di formazione istruzione superiore accreditata, all'interno del sistema 4 educativo nazionale in Romania».

L’art. 3, lett. c), di tale ordinanza ha ribadito che per richiedere il certificato bisogna produrre copia del titolo di studio “sotteso” conseguito in Romania o «l’equivalenza dei diplomi, riguardante il riconoscimento del diploma di laurea triennale/laurea magistrale conseguito all’estero”.

9.5. Nell’ordinamento rumeno, il Ministero dell’educazione, a mezzo del c.d. Centro nazionale di riconoscimento ed equivalenza dei diplomi (CNRED), rilascia al docente che si abilita o si specializza in Romania il c.d. “atestat de recunoastere a studiilor”, cioè l’attestato di ‘riconoscimento degli studi’, e dei titoli esteri, rilevante in quell’ordinamento.

Solo dopo il rilascio di tale certificazione di equipollenza e di validità del titolo italiano in Romania, i docenti sono stati ammessi ai programmi di formazione psicopedagogica dei docenti.

10. Risulta, dunque, che in Romania:

- una laurea conseguita in Italia, e riconosciuta equivalente in Romania, sia un titolo che consente la frequenza dei percorsi di formazione degli insegnanti ed il conseguimento dei relativi titoli;

- a seguito di tale riconoscimento, del conseguimento del Nivel I e Nivel II e del rilascio del certificato Adeverinta, vi è la possibilità di insegnare.

Ciò risulta anche dagli “Adeverinta” (certificati) rilasciati dal Ministero rumeno al termine dei percorsi oggetto del presente contenzioso, nei quali si legge che «l’acquisizione di un minimo di 60 crediti dai moduli psicopedagogici nella specializzazione conseguita con il diploma di studi ed il diploma di laurea magistrale, riconosciuto con l’Attestato di riconoscimento degli studi registrato presso il Centro Nazionale per il Riconoscimento e l’Equipollenza degli Studi con n. […] e rilasciato il […], conferisce alla […], il diritto all’insegnamento nel campo [….], nella scuola preuniversitaria di Romania».

11. Se, dunque, il titolo di cui si discute consente l’insegnamento in Romania, non vi è ragione per ritenerlo non riconoscibile in Italia ai sensi della Direttiva 2005/36/CE.

Rileva al riguardo l’articolo 13, comma 1, del d. lgs. n. 206 del 2007, attuativo della Direttiva 2005/36/CE, per il quale «se, in uno Stato Membro Ospitante, l’accesso ad una professione regolamentata o il suo esercizio sono subordinati al possesso di determinate qualifiche professionali, l’autorità competente di tale Stato Membro dà accesso alla professione e ne consente l’esercizio alle stesse condizioni dei suoi cittadini, ai richiedenti in possesso dell’attestato di competenza o del titolo di formazione di cui all’art. 11, prescritto da un altro Stato Membro per accedere alla stessa professione ed esercitarla sul suo territorio».

Tale disposizione indica, dunque, il procedimento da seguire e dispone che chi chiede il riconoscimento deve essere in possesso solo dell’attestato di competenza o del titolo di formazione di cui all’art. 11, previsto da un altro Stato Membro per accedere alla stessa professione ed esercitarla nel suo territorio.

Il competente Ministero italiano deve, dunque, valutare la corrispondenza del corso di studi effettuato, e dell’eventuale tirocinio, con quello italiano, e all’esito dell’istruttoria può disporre:

1) o il riconoscimento alle condizioni di cui all’art. 21 del d. lgs. 206 del 2007;

2) misure compensative (il tirocinio triennale o l’esame) di cui al successivo art. 22 del d. lgs. n. 206 del 2007.

12. Tale ricostruzione è stata espressamente considerata conforme all’ordinamento rumeno dal dirigente del Ministero rumeno Bogdan, responsabile per le professioni regolamentate, la quale ha dichiarato che «the italians that have an italian academic training (equaled by CNRED) and Romanian pedagogical training can teach in public schools in Romania» su sollecitazione dell’International market information system della Commissione Europea, attivato dalla richiesta di chiarimento n. 62278, presentata da un cittadino italiano.

13. Risulta inoltre dagli atti del giudizio che i docenti laureatisi in Italia, che abbiano ottenuto il titolo formativo rumeno, hanno partecipato alle tornate di reclutamento in Romania: ciò si evince dall’elenco dei candidati ammessi, tratto del sito istituzionale della procedura concorsuale http://ismb.edu.ro/index.php/ru/mru, come è stato rilevato dall’appellato e non è stato contestato dal Ministero appellante, nemmeno nella memoria di replica.

14. Sulla rilevanza dei titoli c.d. “Nivel I” e “Nivel II”, ai fini dell’abilitazione all’insegnamento in Romania, si sono espressi del resto anche gli uffici della Commissione europea.

Con la nota GROW/E5/SW del 31 luglio 2019, la Commissione europea - Direzione generale Mercato Interno, Industria, Imprenditoria e PMI ha precisato la sua posizione e - nel ricostruire la disciplina sull’insegnamento come ‘professione regolamentata’ in Romania – ha osservato che:

- per essere un insegnante pienamente qualificato in Romania, vanno completate le tre fasi di studio di cui all’art. 236, paragrafo 1, della legge 1 del 5 gennaio 2011 e anche superare l’esame nazionale di cui all’art. 241, paragrafi 1 e 2, della stessa legge;

- l’art. 236, paragrafo 1, della legge rumena dispone che la formazione iniziale per ricoprire una posizione d'insegnamento comprende:

a) una formazione iniziale, teorica e specializzata, conseguita in ambito universitario nel quadro di programmi speciali accreditati in conformità della legislazione;

b) il completamento di un master in didattica della durata di due anni o di un programma di formazione di livello I e II offerto da un dipartimento specializzato di un istituto di istruzione superiore;

c) un tirocinio pratico della durata di un anno scolastico, condotto in un istituto d'istruzione, solitamente sotto il coordinamento di un insegnante mentore;

- l’art. 241, paragrafi 1 e 2, stabilisce che l’esame nazionale in materia di istruzione è organizzato dal Ministero, conformemente a una metodologia approvata con sua ordinanza e comprende:

a) una fase I, eliminatoria - organizzata dagli ispettorati scolastici nel corso dell’anno scolastico di tirocinio, la quale consiste nella valutazione dell’attività professionale a livello di struttura scolastica, del curriculum professionale e di almeno due ispezioni in classe;

b) una fase II, finale - organizzata al termine dell'anno scolastico di tirocinio, la quale consiste in un esame scritto basato su argomenti e testi approvati dal ministero dell'Istruzione, della ricerca, della gioventù e dello sport per ciascuna materia di specializzazione;

- ai candidati che superano l’esame per ottenere la certificazione di insegnante è rilasciato il titolo permanente di insegnante, che consente di esercitare la professione a livello di istruzione preuniversitaria;

- per diventare insegnanti pienamente qualificati in Romania, i candidati devono quindi completare le tre fasi descritte all’art. 236, paragrafo 1, e superare l’esame nazionale.

Nel rilevare che il programma di formazione di livello I e II (‘Nivel I’ e ‘Nivel II’) è soltanto una parte del programma formativo dell’abilitazione a insegnare, nella medesima nota del 31 luglio 2019 la Direzione Generale della Commissione europea ha concluso che «il cittadino italiano [che] non ha né completato il periodo di tirocinio né superato l’esame nazionale […] non è quindi pienamente qualificato ai sensi della direttiva 2005/36/CE e che […] la direttiva non è pertanto applicabile».

Osserva l’Adunanza Plenaria che questa osservazione della Commissione non va intesa nel senso che al certificato rilasciato dal Ministero rumeno – c.d. Adeverinta – non vada riconosciuta alcuna equipollenza in Italia.

Infatti, come ha sottolineato la nota della Commissione europea del 29 marzo 2019, non è necessaria l’identità tra i titoli confrontati, essendo sufficiente una mera equivalenza per far scaturire il dovere di riconoscere il titolo conseguito all’estero: il certificato va considerato non automaticamente, ma secondo il sistema generale di riconoscimento e confrontando le qualifiche professionali attestate da altri Stati membri con quelle richieste dalla normativa italiana e disponendo, se del caso, le misure compensative in applicazione dell’art. 14 della Direttiva 2005/36/CE.

Anche ai cittadini italiani o dell’Unione, che abbiano superato tutte queste fasi (e, in particolare, il tirocinio pratico) e l’esame nazionale, è comunque consentito insegnare in Romania.

15. In considerazione delle sopra richiamate note del Ministero rumeno, non risulta condivisibile l’osservazione della Sezione remittente, per la quale sarebbe «pacifico che l’appellato non abbia il diritto all’abilitazione in Romania e che non possa ivi accedere alla professione di insegnante, secondo la legge ivi vigente, perché non ha ottenuto la laurea in quel Paese».

Al contrario, la certificazione rilasciata dall’Autorità rumena all’appellato va qualificata come attestato di competenza, rilevante per l’ordinamento italiano così come è rilevante in quello rumeno.

D’altra parte, tale certificazione va qualificata come ‘titolo assimilato’ ai sensi dell’art. 12 della Direttiva 2005/36/CE, per il quale «è assimilato a un titolo di formazione di cui all’articolo 11, anche per quanto riguarda il livello, ogni titolo di formazione o insieme di titoli di formazione rilasciato da un’autorità competente di uno Stato membro che sancisce il completamento con successo di una formazione acquisita nell’Unione, a tempo pieno o parziale, nell’ambito o al di fuori di programmi formali, che è riconosciuta da tale Stato membro come di livello equivalente, e che conferisce al titolare gli stessi diritti di accesso o di esercizio a una professione o prepara al relativo esercizio» ed «è altresì assimilata ad un titolo di formazione, alle stesse condizioni del primo comma, ogni qualifica professionale che, pur non rispondendo ai requisiti delle norme legislative, regolamentari o amministrative dello Stato membro d'origine per l'accesso a una professione o il suo esercizio, conferisce al suo titolare diritti acquisiti in virtù di tali disposizioni».

16. Come ha già rilevato la Sesta Sezione, la medesima attestazione è riconducibile alla ‘attestazione di qualifica’ ai sensi dell’art. 13 della Direttiva 2005/36/Ce, perché rilasciata all’esito del percorso formativo previsto nel Paese d’origine per l’accesso alla professione, al quale l’appellato è stato ammesso a seguito del formale riconoscimento di equivalenza della laurea italiana a quella rumena da parte del CNRED.

Nel sistema rumeno, tali titoli accademici sono distinti unicamente per rilevare se vi è stato un iter ‘bifasico, ma omogeneo’ (quando i due segmenti formativi siano stati svolti in un solo Paese) e un iter ‘bifasico, ma misto’ (quando essi siano stati svolti in Paesi diversi).

Non si verifica pertanto l’incongruenza paventata dall’ordinanza di rimessione, secondo cui la conferma della sentenza appellata comporterebbe il riconoscimento in Italia di un titolo di formazione romeno, che in Romania avrebbe un rilievo inferiore ai fini dell’insegnamento.

17. Va pertanto condivisa e ribadita la giurisprudenza della Sesta Sezione di questo Consiglio, per la quale l’attestazione conseguita in Romania è valutabile, sicché risulta sproporzionata la determinazione del Ministero appellante di disporre quale misura compensativa il tirocinio biennale di adattamento (cfr., ex multis, Cons. St., sez. VII, 14 luglio 2022, n. 5983).

Anche per la parte appellata l’Amministrazione deve attenersi al proprio atto generale che, prendendo atto della giurisprudenza della Sesta Sezione, ha ridotto la durata dell’attività integrativa.

Il Ministero appellante deve dunque esaminare le istanze di riconoscimento del titolo formativo conseguito in Romania, tenendo conto dell’intero compendio di competenze, conoscenze e capacità acquisite, e verificando che «la durata complessiva, il livello e la qualità delle formazioni a tempo parziale non siano inferiori a quelli delle formazioni continue a tempo pieno».

Il Ministero valuterà dunque l’equipollenza dell’attestato di formazione, disponendo opportune e proporzionate misure compensative ai sensi dell’art. 14 sopra richiamato della Direttiva 2005/36/CE, come sta del resto già accadendo in analoghi casi già pervenuti all’attenzione di questo Consiglio di Stato in sede di ottemperanza.

18. Del resto, anche laddove non si voglia riconoscere la piena o la diretta applicabilità della Direttiva 2005/36/CE, come assume la Commissione nel già citato parere del 31 luglio 2019, persiste l’obbligo per le autorità italiane, come sostiene la stessa Commissione, di valutare le domande pertinenti ai sensi delle disposizioni più generali del TFUE in vista di un eventuale riconoscimento della formazione seguita, per quanto in assenza delle garanzie e dei requisiti di cui alla direttiva 2005/36/CE, e non è precluso alle stesse autorità di adottare queste garanzie, in modo estensivo, anche alla vicenda qui controversa.

Peraltro, quand’anche la prassi dell’Amministrazione rumena fosse risultata quella poi da essa stessa superata, rileverebbe il principio già enunciato dalla Settima Sezione di questo Consiglio, per il quale l’autorità italiana deve comunque applicare la Direttiva europea ispirata alla parità di trattamento dei cittadini dell’Unione europea, e pertanto non deve considerare necessario che il diploma di laurea sia stato conseguito in Romania (Cons. St., sez. VII, 16 marzo 2022, n. 1850).

Rileva infatti il principio enunciato dalla Corte di Giustizia, per il quale «spetta all’autorità competente verificare, conformemente ai principi sanciti dalla Corte nelle […] sentenze Vlassopoulou e Fernandez de Bobadilla, se, e in quale misura, si debba ritenere che le conoscenze attestate dal diploma rilasciato in un altro Stato membro e le qualifiche o l’esperienza professionale ottenute in quest’ultimo, nonché l’esperienza ottenuta nello Stato membro in cui il candidato chiede di essere iscritto, soddisfino, anche parzialmente, le condizioni richieste per accedere all’attività di cui trattasi» (cfr. Corte Giustizia UE, 13 novembre 2003, in causa C-313/01, Morgenbesser).

19. Con specifico riferimento agli insegnanti di sostegno, poi, si deve qui rilevare come la giurisprudenza di questo Consiglio (v., ad esempio, Cons. St., sez. IV, 6 novembre 2020, n. 6827) abbia già osservato, in modo del tutto condivisibile, come un analogo provvedimento di rigetto dell’istanza adottato dal Ministero sia illegittimo per difetto di motivazione in quanto si limita esclusivamente a richiamare, in astratto, le differenze che esisterebbero tra Romania e Italia nel quomodo dell’erogazione del servizio pubblico dell’insegnamento di sostegno.

19.1. In Italia, difatti, l’insegnante di sostegno è un docente di classe a tutti gli effetti, previsto dalla l. n. 517 del 1977, che viene assegnato, in piena contitolarità con gli altri docenti, alla classe in cui è inserito il soggetto cui è destinata la sua attività per attuare forme di integrazione a favore degli alunni portatori di handicap e realizzare interventi individualizzati in relazione alle esigenze dei singoli alunni.

Tale figura deve perciò conseguire una “specializzazione specifica”, nel senso di acquisire una professionalità ulteriore, tenuto conto delle esigenze speciali degli studenti per i quali l’attuazione del diritto allo studio richiede più intense modalità di assistenza.

19.2. Questi docenti, dopo aver visto riconosciuto in Romania il percorso di studi universitari svolto in Italia, conseguono l’abilitazione all’insegnamento sul sostegno in Romania all’esito di specifico corso di studi.

Costoro hanno, dunque, acquisito tutte quelle competenze e conoscenze didattiche e psico-pedagogiche richieste ai fini del conseguimento di quella professionalità ulteriore che deve caratterizzare la figura dell’insegnante di sostegno, in Romania come in Italia.

Si tratta di percorsi che comprendono la preparazione nelle materie afferenti alla specializzazione (a mero titolo esemplificativo: psicologia dell’educazione, dello sviluppo, tecnologia dell’informazione e delle comunicazioni nell’educazione inclusiva, psicologia delle persone con bisogni speciali, ecc.), nonché un’attività di tirocinio di 120 ore, sia presso istituti rumeni che rientrano nell’ambito delle scuole cd. “speciali” previste in Romania, e sia in scuole che prevedono, come in Italia, la scolarizzazione degli alunni disabili con la loro integrazione nell’istruzione ordinaria.

20. Per le ragioni che precedono, in continuità con la giurisprudenza della Sesta Sezione, si deve affermare il seguente principio di diritto:

«spetta al Ministero competente verificare se, e in quale misura, si debba ritenere che le conoscenze attestate dal diploma rilasciato da altro Stato o la qualifica attestata da questo, nonché l’esperienza ottenuta nello Stato membro in cui il candidato chiede di essere iscritto, soddisfino, anche parzialmente, le condizioni per accedere all’insegnamento in Italia, salva l’adozione di opportune e proporzionate misure compensative ai sensi dell’art. 14 della Direttiva 2005/36/CE».

L’enunciazione di tale principio comporta che l’appello va respinto, con la conferma della sentenza impugnata.

21. Le spese del secondo grado del giudizio vanno compensate tra le parti, per la complessità delle questioni.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria):

- dichiara inammissibili gli interventi;

- respinge l’appello e conferma la sentenza impugnata;

- compensa tra le parti le spese del secondo grado del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 16 novembre 2022, con l’intervento dei magistrati:

Luigi Maruotti, Presidente

Carmine Volpe, Presidente

Gianpiero Paolo Cirillo, Presidente

Luciano Barra Caracciolo, Presidente

Marco Lipari, Presidente

Ermanno de Francisco, Presidente

Michele Corradino, Presidente

Andrea Pannone, Consigliere

Vincenzo Neri, Consigliere

Fabio Franconiero, Consigliere

Massimiliano Noccelli, Consigliere, Estensore

Federico Di Matteo, Consigliere

Giovanni Sabbato, Consigliere

 
 
IL PRESIDENTE
Luigi Maruotti
 
 
 
L'ESTENSORE IL SEGRETARIO
Massimiliano Noccelli
 
 
 
 
 

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