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TAR Lazio, sez. I quater, 26/1/2023 n. 1415
Sulla rimessione alla Corte costituzionale delle questioni sul regime dell’inconferibilità degli incarichi di amministratore di ente di diritto privato in controllo pubblico

Il T.a.r. per il Lazio, con le ordinanze “gemelle” nn. 1415, 1468, 1469 e 1470 del 2023, ha rimesso alla Corte costituzionale le questioni di legittimità costituzionale:

- degli artt. 1, comma 2, lett. f) e 7, comma 2, lett. d), d.lgs. n. 39 del 2013, nella parte in cui prevedono l’inconferibilità degli «incarichi di amministratore di ente di diritto privato in controllo pubblico da parte di una provincia, di un comune con popolazione superiore a 15.000 abitanti o di una forma associativa tra comuni avente la medesima popolazione» a coloro che nell’anno antecedente sono stati «presidente o amministratore delegato di enti di diritto privato in controllo pubblico da parte di province, comuni e loro forme associative della stessa regione» e assimilano, quindi, tali ultimi soggetti a coloro che sono stati componenti di organi di indirizzo politico ai sensi dell’art. 1, comma 50, lett. c, l. n. 190 del 2012, per violazione degli artt. 3, 4, 5, 51, 76, 97, 114 e 118 Cost.;

- dell’art. 7, comma 2, d.lgs. n. 39 del 2013 nella parte in cui non limita l’ipotesi di inconferibilità per «coloro che … nell’anno precedente … siano stati presidente o amministratore delegato di enti di diritto privato in controllo pubblico da parte di province, comuni e loro forme associative della stessa regione» ai soli casi in cui l’ente locale controllante della società di provenienza abbia popolazione superiore a 15.000 abitanti (ovvero, in altri termini, nella parte in cui non prevede per tale incarico di provenienza la stessa soglia di rilevanza in termini di popolazione prevista dalla stessa disposizione sia per gli incarichi di provenienza cd. politici, sia in relazione agli enti di destinazione), per violazione degli artt. 3, 4, 5, 51, 97, 114 e 118 Cost..

Materia: società / partecipazione pubblica
Pubblicato il 26/01/2023

N. 01415/2023 REG.PROV.COLL.

N. 04323/2021 REG.RIC.           

REPUBBLICA ITALIANA

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima Quater)

ha pronunciato la presente

ORDINANZA

sul ricorso numero di registro generale 4323 del 2021, proposto da


Azienda Multiservizi e d'Igiene Urbana Genova s.p.a, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Piero Guido Alpa, Lorenzo Cuocolo e Giovanni Corbyons, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Giovanni Corbyons in Roma, via Cicerone 44;


contro

Anac - Autorità Nazionale Anticorruzione, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti

S.A.TER Servizi Ambientali Territoriali s.p.a., AR.A.L. in house s.r.l., A.M.I.U. Bonifiche s.p.a., GE.AM Gestioni Ambientali s.p.a., Pietro Moltini, Alba Ruocco, non costituiti in giudizio;

per l'annullamento, previa sospensione

della delibera ANAC 3 marzo 2021, n. 207, comunicata il 19 marzo2021, avente a oggetto “Inconferibilità ai sensi dell'art. 7, co. 2 d.lgs. n. 39/2013, dell'incarico di amministratore delegato della Società A.M.I.U. Genova s.p.a., di amministratore unico della GE.AM. s.p.A. e di amministratore unico della A.M.I.U. Bonifiche s.p.a.”, nonché di ogni atto presupposto e preparatorio conseguente e connesso;

per l’accertamento

della nullità, insussistenza, inopponibilità e/o inefficacia della declaratoria di nullità degli atti di conferimento degli incarichi e dei relativi contratti con le conseguenti prescrizioni;

e per la condanna

dell’amministrazione resistente al risarcimento del danno ex art. 278 c.p.c.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Anac - Autorità Nazionale Anticorruzione;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 29 novembre 2022 il dott. Agatino Giuseppe Lanzafame e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;


I. Sullo svolgimento dei fatti, sul provvedimento adottato dall’Autorità Nazionale Anticorruzione e sulle perplessità espresse della stessa ANAC in relazione alla ragionevolezza dell’art. 7, comma 2, lett. d), d.lgs. n. 39/2013 nelle parti d’interesse nella presente vicenda (paragrafi 1-7)

1. L’Azienda Multiservizi e d’Igiene Urbana Genova s.p.a. (d’ora in poi anche A.M.I.U. Genova s.p.a.) è una società partecipata al 89,98% dal Comune di Genova e al 3,96% dalla Città Metropolitana di Genova (e con il 6,06% di azioni proprie) che opera nel settore ambientale ed eroga tutti i servizi legati alla gestione del ciclo dei rifiuti e alla tutela dell’ambiente, provvedendovi direttamente e tramite le società del gruppo da essa controllato.

2. Il dott. Pietro Moltini è un manager con esperienza decennale nella gestione di enti pubblici e società pubbliche e private operanti nel settore ambientale, il quale – per quanto di rilievo nella presente vicenda – è stato:

a) amministratore delegato di AR.A.L. s.p.a. (poi AR.AL. in house s.r.l.) società partecipata al 60% dal Comune di Arenzano e per il 40% da una società privata, dal 4 agosto 2016 al 26 marzo 2018 (su designazione del socio privato);

b) amministratore unico di GE.AM. s.p.a. a far data dal 27 marzo 2018 (società del Gruppo A.M.I.U.);

c) amministratore unico di A.M.I.U. Bonifiche s.p.a. dal 5 novembre 2018 (altra società del Gruppo A.M.I.U.);

d) amministratore delegato di S.A.TER. s.p.a. società partecipata dal 51% dal Comune di Cogoleto e per il 49% da A.M.I.U. a far data dal 21 giugno 2019.

3. In data 21 novembre 2019, il dott. Pietro Moltini è stato chiamato nel Consiglio di Amministrazione di A.M.I.U. Genova s.p.a., nel quale – a far data dal 6 luglio 2020 – ha assunto le funzioni di vicepresidente.

4. Con nota 10 febbraio 2020, prot. n. 1631, A.M.I.U. Genova s.p.a. ha chiesto all’ANAC di rendere parere in ordine all’intendimento del Comune di Genova «nella sua qualità di soggetto pubblico che detiene la totalità della partecipazione di controllo di AMIU e di AMIU Bonifiche e una partecipazione maggioritaria in GEAM» di procedere alla nomina del dott. Moltini – come si è notato già amministratore unico di A.M.I.U. Bonifiche s.p.a. e di GE.AM. – quale amministratore delegato di A.M.I.U. Genova s.p.a. «e cioè la società capogruppo controllante» per «evidenti ragioni di efficacia dell’azione amministrativa e di concentrazione del potere di attuazione delle scelte provenienti dal Comune e di complessiva razionalizzazione e di contenimento dei costi gestionali».

Nella stessa nota, la società ha evidenziato che tale parere si rendeva necessario poiché tale soluzione poteva «essere ostacolata da un’interpretazione restrittiva delle norme contenute dall’art. 7, comma 2, d.lgs. n. 39/2013, che potrebbe prefigurare una situazione di [inconferibilità]» che, tuttavia, si sarebbe a sua volta posta in contrasto con «i principi discendenti dal sopravveniente d.lgs. n. 175/2016 sulle società pubbliche, laddove (cfr. art. 11, comma 11) le nomine riguardano Società infragruppo».

5. Con successivo atto del 6 novembre 2020, l’Autorità Nazionale Anticorruzione ha comunicato ad A.M.I.U. Genova s.p.a. l’avvio «di un procedimento di vigilanza relativo ad una possibile inconferibilità degli incarichi detenuti dal dott. Moltini presso GE.AM. s.p.a. A.M.I.U. Bonifiche s.p.a., S.A.TER. s.p.a. e A.M.I.U. Genova s.p.a.» ritenendo che potesse sussistere in capo al dott. Moltini:

a) un’ipotesi di inconferibilità ex art. 7, comma 2, lett. d), d.lgs. n. 39/2013 dell’incarico di amministratore delegato e di vicepresidente della società A.M.I.U. Genova s.p.a. (in relazione all’incarico di amministratore delegato di AR.AL. in house s.r.l. rivestito fino al 31 dicembre 2018, nonché agli incarichi di amministratore unico rivestiti presso GE.AM. s.p.a., A.M.I.U. Bonifiche s.p.a. e S.A.TER. s.p.a.);

b) un’ipotesi di inconferibilità ai sensi dell’art. 7, comma 2, lett. d), d.lgs. n. 39/2013 rispetto all’assunzione dell’incarico di amministratore unico presso GE.AM. s.p.a., A.M.I.U. Bonifiche s.p.a. e SA.TER. s.p.a. (in relazione all’incarico di amministratore delegato della AR.AL. in house s.r.l.).

6. In data 25 novembre 2020, A.M.I.U. Genova s.p.a. ha inviato all’ANAC le proprie osservazioni e ha affermato l’insussistenza dell’inconferibilità, sottolineando che:

- gli incarichi nelle società controllate da A.M.I.U. Genova s.p.a. non potevano avere conseguenze ostative alla nomina del dott. Moltini quale amministratore delegato di A.M.I.U. Genova s.p.a. per effetto dell’art. 11, comma 11, d.lgs. n. 175/2016;

- gli altri incarichi (presso S.A.TER. s.p.a. e AR.AL. s.r.l.) non potevano avere rilievo ai fini dell’applicazione delle norme sull’inconferibilità, in relazione alla dimensione istituzionale dei Comuni controllanti delle due società, entrambi con popolazione inferiore a 15.000 abitanti;

- la disposizione di cui all’art. 7, comma 2, lett. d), d.lgs. n. 39/2013 doveva essere in ogni caso interpretata e applicata in modo ragionevole e proporzionato, tenuto conto delle specifiche finalità della disciplina in materia di inconferibilità.

7. All’esito dell’istruttoria, l’ANAC ha adottato la delibera 3 marzo 2021, n. 207, con cui ha accertato la non conferibilità, ex art. 7, comma 2, lett. d), d.lgs. n. 39/2013, al dott. Moltini dell’incarico di amministratore delegato della A.M.I.U. Genova s.p.a. nonché l’inconferibilità, sempre ex art. 7, comma 2., lett. d), d.lgs. n. 39/2013, degli incarichi conferiti al dott. Moltini di amministratore unico delle società GE.AM. s.p.a. e A.M.I.U. Bonifiche s.p.a.

7.1. Segnatamente, l’Autorità ha accolto le deduzioni difensive dei soggetti interessati in ordine al fatto che nelle ipotesi previste dall’art. 11, comma 11, d.lgs. n. 175/2016 non si applicano le ipotesi di inconferibilità di cui all’art. 7, comma 1, lett. d), e comma 2, lett. d), d.lgs. n. 39/2013 e ha evidenziato, tuttavia, che tale ultima circostanza avrebbe fatto venir meno solamente «le ipotesi di inconferibilità a favore del dott. Moltini dell’incarico di vicepresidente e dell’eventuale conferimento dell’incarico di amministratore delegato di A.M.I.U. Genova s.p.a. in ragione della precedente attribuzione al medesimo degli incarichi di amministratore delle società A.M.I.U. Bonifiche s.p.a. e GE.AM. s.p.a.», notando conseguentemente che:

a) erano comunque inconferibili al dott. Moltini – ex art. 7, comma 2, lett. d), d.lgs. n. 39/2013 – gli incarichi di vicepresidente e di amministratore delegato di A.M.I.U. Genova in relazione al precedente e attuale incarico di amministratore delegato della S.A.TER. s.p.a. «in quanto ente controllato dal Comune di Cogoleto, rispetto a cui il Comune di Genova detiene solo una partecipazione minoritaria»;

b) erano altresì inconferibili, ai sensi dell’art. 7, comma 2, lett. d), d.lgs. n. 39/2013, gli incarichi di amministratore unico della GE.AM. sp.a. e della A.M.I.U. Bonifiche s.p.a. in relazione all’incarico precedentemente ricoperto dal dott. Moltini presso AR.AL. in house s.r.l. «società che non risulta controllata dal Comune di Genova né direttamente né indirettamente».

7.2. A tal proposito, l’Autorità resistente:

- ha evidenziato che l’art 7, comma 2, lett. d), d.lgs. n. 39/2013 prevede, tra l’altro, che «a coloro che [nell’anno precedente] siano stati presidente o amministratore delegato di enti di diritto privato in controllo pubblico da parte di province, comuni e loro forme associative della stessa regione, non possono essere conferiti  incarichi di amministratore di ente di diritto privato in controllo pubblico da parte di una provincia, di un comune con popolazione superiore a 15.000 abitanti o di una forma associativa tra comuni avente la medesima popolazione»;

- ha rilevato di aver manifestato al Parlamento e al Governo (con atto n. 4 del 10 giugno 2015) le proprie perplessità su detta previsione osservando che «il provenire da cariche in enti pubblici o in enti di diritto privato in controllo pubblico non può essere considerato come una condizione che, di per sé, pregiudica l’imparzialità nell’esercizio dell’incarico [e ciò anche perché] i nominati non sono necessariamente parte della “politica”»;

- ha ritenuto tuttavia che, in ragione del tenore letterale della citata disposizione, questa non poteva che essere applicata anche nel caso di specie (cioè con riferimento a un soggetto che non ha mai ricoperto incarichi “politici”).

7.3. La stessa Autorità ha inoltre evidenziato l’irrilevanza del fatto che i Comuni di Cogoleto e di Arenzano (controllanti rispettivamente di S.A.TER. s.p.a. e di AR.AL. in house s.r.l.) avessero una popolazione inferiore a 15.000 abitanti, in quanto l’art. 7, comma 2, d.lgs. n. 39/2013 non richiede una soglia minima di abitanti del Comune che esercita il controllo nella società di provenienza «come invece richiesto da altre parti del testo normativo», notando tuttavia i possibili profili di irragionevolezza di tale disposizione «che vieta il passaggio diretto da una società controllata da enti di piccole dimensioni a società controllate da enti di più, consentendo, invece, il passaggio inverso, ossia da una società in controllo da enti di maggiori dimensioni ad una società detenuta da piccoli comuni».

7.4. Per le superiori ragioni – tenuto conto della natura degli enti e degli incarichi – l’Autorità ha accertato la sussistenza delle predette inconferibilità e la conseguente nullità ex art. 17, d.lgs. n. 39/2013 degli atti di conferimento e dei relativi contratti e ha rimesso agli RPCT degli enti conferenti la valutazione in ordine all’elemento soggettivo della colpa in capo all’organo conferente previsto dall’art. 18, d.lgs. 39/2013, invitandoli tuttavia a tenere conto, nelle proprie valutazioni, «delle peculiarità del caso di specie e dei possibili profili di irragionevolezza dalla disciplina».

II. Sul ricorso introduttivo e sulla vicenda processuale (paragrafi 8-11)

8. Con ricorso notificato il 12 aprile 2021 e iscritto innanzi a questo Tribunale al r.g. n. 4323/2021, A.M.I.U. Genova s.p.a. ha impugnato la delibera ANAC, 3 marzo 2021, n. 207, e ne ha chiesto l’annullamento, eventualmente previa remissione alla Corte costituzionale di alcune questioni di legittimità dell’art. 7, comma 2, d.lgs. n. 39/2013, sulla base di cinque distinti motivi in diritto.

8.1. Con il primo motivo di ricorso ha lamentato l’illegittimità dell’atto impugnato per «violazione e falsa applicazione degli art. 1 e 7, d.lgs. n. 39/2013 interpretato in conformità agli art. 3, 4, 51 e 97 Cost. e dei generali principi di ragionevolezza, proporzionalità e del “minimo mezzo” [nonché per] violazione dell’art. 12, comma 2 delle disposizioni sulla legge in generale», osservando che l’ANAC aveva il dovere di interpretare l’art. 7, comma 2, d.lgs. n. 39/2013 nel senso di escludere la sua applicazione nell’ipotesi in cui – come nel caso di specie – il nominato non ha avuto incarichi politici (e ciò appunto anche alla luce del fatto che la stessa ANAC aveva notato che «il provenire da cariche in enti pubblici o in enti di diritto privato in controllo pubblico, anche se la nomina è stata fatta da organi politici, non può essere considerato come una condizione che di per sé, pregiudica l’imparzialità nell’esercizio dell’incarico amministrativo [in quanto] i nominati non sono necessariamente parte della “politica” e quindi non sono sospettabili di apportare una visione parziale nell’esercizio dell’incarico»).

In subordine, ha chiesto a questo Tar di sollevare questione d’incostituzionalità degli artt. 1 e 7 d.lgs. n. 39/2013 nella parte in cui prevedono «l’inconferibilità degli incarichi di tecnici non appartenenti alla politica, senza la possibilità di una verifica in concreto dell’eventuale insorgenza di reali conflitti di interesse, pregiudizievole per la legalità e l’efficienza», evidenziando come la stessa «risulta irragionevole e sproporzionata in relazione allo scopo da perseguire e quindi, in sé, contrastante con gli art. 3, 4, 51 e 97 Cost.».

8.2. Con il secondo motivo ha lamentato la «violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 7, d.lgs. n. 39/2013 per difetto del presupposto del controllo pubblico di ente diverso da A.M.I.U. Genova, sulle società AR.A.L. e SA.TER [nonché per] violazione dell’art. 2.3.2 delle linee guida approvate da ANAC con delibera 8 novembre 2017 [e per] violazione del principio di liceità delle norme infragruppo», sostenendo – in sintesi – che né AR.A.L. né SA.TER erano società in controllo pubblico ai fini dell’applicabilità della disciplina di cui al d.lgs. n. 39/2013.

8.3. Con il terzo motivo ha postulato l’illegittimità del provvedimento impugnato per «violazione dell’art. 7, d.lgs. n. 39/2013 e del principio di interpretazione conservativa e costituzionalmente orientata nonché dell’art. 12 comma 1 delle disposizioni sulla legge in generale [nonché per] contraddittorietà intrinseca», sostenendo che l’Autorità aveva il dovere di interpretare l’art. 7, comma 2, d.lgs. n. 39/2013 nel senso di escludere la sua applicazione nell’ipotesi in cui la società di provenienza del ricorrente sia controllata da un ente locale con una popolazione inferiore ai 15.000 abitanti (e ciò anche in quanto «non esiste alcuna giustificazione logica per affermare che il limite minimo di 15.000 abitanti valga soltanto per la società pubblica di destinazione e non anche per la società pubblica di provenienza»).

In subordine, ha chiesto a questo Tribunale di sollevare questione di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 7, d.lgs. n. 39/2013 nella parte in cui non prevedono che l’inconferibilità non si applichi a coloro che siano stati «presidente o amministratore delegato di enti di diritto privato in controllo pubblico da parte di province, comuni e loro forme associative della stessa regione con popolazione inferiore ai 15.000 abitanti» per violazione degli art. 3, 4, 51 e 97 Cost. nonché «dei principi di proporzionalità, ragionevolezza, eguaglianza e del minimo mezzo».

8.4. Con il quarto motivo ha lamentato la «violazione degli art. 1 e 7 D.lgs. n. 39/2013», insistendo negli argomenti già spiegati nelle censure precedenti.

8.5. Con il quinto e ultimo motivo ha contestato la «declaratoria di nullità degli incarichi e le prescrizioni impartite al RPCT» per «illegittimità derivata; violazione degli art. 15 e ss. d.lgs. n. 39/2013 [e] incompetenza», sostenendo – in sintesi – che l’ANAC non aveva il potere né di dichiarare la nullità degli atti di conferimento degli incarichi, né di rivolgere puntuali prescrizioni al «RPCT competente» e agli «enti interessati».

9. Con memoria del 10 maggio 2022, l’Autorità ha spiegato le proprie difese e ha insistito per il rigetto del ricorso, evidenziando – tra l’altro – che S.A.TER. s.p.a. e AR.AL. in house s.r.l. sono senza dubbio società in controllo pubblico ai sensi degli artt. 1 e 7, d.lgs. n. 39/2013.

10. Con successive memorie dell’11, del 17 e del 18 novembre 2022, le parti hanno insistito nelle proprie posizioni.

11. All’udienza pubblica del 29 novembre 2022 – all’esito di ampia discussione – il ricorso è stato trattenuto in decisione, in uno con gli altri ricorsi proposti dal dott. Moltini, da A.M.I.U. Bonifiche s.pa. e da GE.AM. s.p.a avverso la medesima delibera (iscritti innanzi a questo Tar al r.g. nn. 4804, 5671 e 5672 del 2022).

III. Sulla non manifesta infondatezza e sulla rilevanza delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 7, comma 2, lett. d), d.lgs. n. 39/2013 nonché sull’impossibilità di un’interpretazione costituzionalmente conforme della predetta disposizione (paragrafi 12-20)

12. Il Collegio ritiene che le questioni di legittimità costituzionale prospettate da parte ricorrente – così come specificate e integrate infra sub A) e B) – siano rilevanti e non manifestamente infondate, sicché, in assenza di una possibile interpretazione costituzionalmente conforme della disposizione da applicare alla controversia, è doveroso rimettere le stesse alla Corte costituzionale ai sensi e per gli effetti dell’art. 23, l. 11 marzo 1953, n. 87.

D’altronde, la rimessione congiunta di più questioni di legittimità costituzionale – relative a parti diverse della stessa disposizione sulla base della quale l’atto gravato è stato adottato e che questo Tribunale è chiamato ad applicare (e quindi, come si dirà ancora infra sub 14 e sub 18, tutte rilevanti ai fini della definizione del giudizio a quo) – risponde a esigenze di concentrazione e ragionevole durata del processo (art. 111 Cost.) e di buon andamento del servizio giustizia (art. 97 Cost.).

Sarebbe infatti del tutto irragionevole che il giudice a quo chiamato ad applicare una disposizione affetta in due distinte parti (entrambe rilevanti nell’ambito del giudizio) da diversi profili di illegittimità costituzionale, procedesse al promovimento soltanto di una delle due questioni emerse nel giudizio, per poi procedere (in caso di mancato accoglimento della prima) in un secondo momento a sollevare l’altra.

A) Sulla prima questione di legittimità costituzionale

13. Ciò premesso, non è manifestamente infondata, in primo luogo, la questione di legittimità costituzionale degli artt. 1, comma 2, lett. f) e 7, comma 2, lett. d) d.lgs. n. 39/2013 nella parte in cui prevedono che «a coloro che  nell’anno precedente  siano stati presidente o amministratore delegato di enti di diritto privato in controllo pubblico da parte di province, comuni e loro forme associative della stessa regione, non possono essere conferiti  incarichi di amministratore di ente di diritto privato in controllo pubblico da parte di una provincia, di un comune con popolazione superiore a 15.000 abitanti o di una forma associativa tra comuni avente la medesima popolazione», ovvero nella parte in cui assimilano i precedenti incarichi di «presidente o amministratore delegato di enti di diritto privato in controllo pubblico» alla partecipazione a organi di indirizzo politico ai sensi dell’art. 1, comma 50, lett. c, l. n. 190/2012, per violazione degli artt. 3, 4, 5, 51, 76, 97, 114 e 118 Cost.

13.1. A tal proposito, va innanzitutto osservato che l’art. 1, commi 49 e 50, l. n. 190/2012 – ai fini della prevenzione e del contrasto della corruzione, nonché della prevenzione dei conflitti di interessi – ha delegato il governo ad adottare «uno o più decreti legislativi diretti a modificare la disciplina vigente in materia di attribuzione di incarichi dirigenziali e di incarichi di responsabilità amministrativa di vertice nelle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, e negli enti di diritto privato sottoposti a controllo pubblico esercitanti funzioni amministrative, attività di produzione di beni e servizi a favore delle amministrazioni pubbliche o di gestione di servizi pubblici, da conferire a soggetti interni o esterni alle pubbliche amministrazioni, che comportano funzioni di amministrazione e gestione, nonché a modificare la disciplina vigente in materia di incompatibilità tra i detti incarichi e lo svolgimento di incarichi pubblici elettivi o la titolarità di interessi privati che possano porsi in conflitto con l'esercizio imparziale delle funzioni pubbliche affidate» (cfr. art. 1, comma 49, l. n. 190/2012), indicando all’esecutivo, tra l’altro, di «disciplinare i criteri di conferimento nonché i casi di non conferibilità di incarichi dirigenziali ai soggetti estranei alle amministrazioni che, per un congruo periodo di tempo, non inferiore ad un anno, antecedente al conferimento abbiano fatto parte di organi di indirizzo politico o abbiano ricoperto cariche pubbliche elettive» (cfr. art. 1, comma 50, lett. c, l. n. 190/2012).

13.2. La ratio sottesa a tale ultima specifica previsione della delega legislativa (e alla conseguente disciplina adottata dal Governo, contenuta nel capo IV del d.lgs. n. 39/2013) era (ed è) duplice: per un verso, tutelare l’imparzialità (reale e percepita) dell’azione amministrativa (artt. 54, 97 e 98 Cost.), con l’introduzione di limiti all’accesso ad alcuni incarichi pubblici di tipo gestionale e/o amministrativo connotati da imparzialità a soggetti che si trovano in situazioni tali da ingenerare ragionevoli dubbi sulla loro personale imparzialità (ovvero impedire l’esercizio della funzione amministrativa a soggetti che appaiono “politicamente schierati”); per altro verso, promuovere e garantire il principio meritocratico nella selezione dei vertici amministrativi (e quindi il buon andamento della p.a.), ostacolando la possibilità che le nomine a detti incarichi siano determinate dalle esigenze dei partiti di (ri)collocazione del proprio “personale politico” (e non invece dalla volontà di nominare soggetti in possesso delle competenze necessarie per lo svolgimento di tali incarichi).

13.3. La delega legislativa è stata esercitata con l’approvazione del d.lgs. n. 39/2013 che – in attuazione della specifica previsione di cui all’art. 1, comma 50, lett. c, l. n. 190/2012 – al capo IV ha disciplinato più fattispecie di “Inconferibilità di incarichi a componenti di organi di indirizzo politico”, e segnatamente le “Inconferibilità di incarichi a componenti di organo politico di livello nazionale” (art. 6); le “Inconferibilità di incarichi a componenti di organo politico di livello regionale e locale” (art. 7); nonché le “Inconferibilità di incarichi di direzione nelle Aziende sanitarie locali” (art. 8).

In particolare, nell’individuazione delle ipotesi di inconferibilità a componenti di organo politico di livello locale (art. 7, comma 2, d.lgs. n. 39/2013), il predetto decreto legislativo ha – per un verso (e in coerenza con quanto previsto dall’art. 1, comma 50, lett. d, l. n. 190/2012) – individuato gli “incarichi di destinazione” per cui opera l’inconferibilità (ovvero incarichi il cui svolgimento è caratterizzato da imparzialità e possesso di specifiche competenze) e segnatamente: «a) gli incarichi amministrativi di vertice nelle amministrazioni di una provincia, di un comune con popolazione superiore ai 15.000 abitanti o di una forma associativa tra comuni avente la medesima popolazione; b) gli incarichi dirigenziali nelle medesime amministrazioni; c) gli incarichi di amministratore di ente pubblico di livello provinciale o comunale; d) gli incarichi di amministratore di ente di diritto privato in controllo pubblico da parte di una provincia, di un comune con popolazione superiore a 15.000 abitanti o di una forma associativa tra comuni avente la medesima popolazione».

Per altro verso, ha individuato tre distinte categorie di cd. “incarichi di provenienza” in relazione ai quali opera l’inconferibilità, prevedendo che la stessa si applichi a tre distinte categorie di soggetti, ovvero «coloro che nei due anni precedenti siano stati componenti della giunta o del consiglio della provincia, del comune o della forma associativa tra comuni che conferisce l’incarico», nonché «coloro che nell'anno precedente abbiano fatto parte della giunta o del consiglio di una provincia, di un comune con popolazione superiore ai 15.000 abitanti o di una forma associativa tra comuni avente la medesima popolazione, nella stessa regione dell’amministrazione locale che conferisce l'incarico» (soggetti evidentemente riconducibili alla categoria di coloro che hanno fatto parte di organi di indirizzo politico o ricoperto cariche pubbliche elettive), oltreché infine «coloro che siano stati presidente o amministratore delegato di enti di diritto privato in controllo pubblico da parte di province, comuni e loro forme associative della stessa regione» (soggetti, questi ultimi, che come si dirà infra appaiono estranei al perimetro della delega, oltreché più in generale alla ratio della normativa).

Analogamente, l’art. 1, comma 2, lett. f), d.lgs. n. 39/2013 ha espressamente previsto che per «componenti di organi di indirizzo politico», ai sensi della disciplina sull’inconferibilità, devono intendersi anche «gli appartenenti a organi di indirizzo di enti pubblici, o di enti di diritto privato in controllo pubblico, nazionali, regionali e locali».

13.4. A seguito dell’approvazione del d.lgs. n. 39/2013, è stata subito evidente anche all’Autorità Nazionale Anticorruzione la sussistenza di un fumus di irragionevolezza delle disposizioni appena indicate (tenuto conto della ratio e dei limiti della delega), sicché – come ricordato supra sub 7.4. – con atto di segnalazione n. 4 del 10 gennaio 2015, la stessa Autorità ha sottolineato la necessità «di eliminare, tra le cause di inconferibilità per provenienza da cariche politiche, la provenienza da cariche in enti di diritto privato in controllo pubblico», osservando che «la delega (art. 1, comma 50) parla di coloro che “abbiano fatto parte di organi di indirizzo politico o abbiano ricoperto cariche pubbliche elettive” » e notando che «il provenire da cariche in enti pubblici o in enti di diritto privato in controllo pubblico, anche se la nomina è stata fatta da organi politici, non può essere considerato come una condizione che, di per sé, pregiudica l’imparzialità nell’esercizio dell’incarico amministrativo [e ciò in quanto] i nominati non sono necessariamente parte della “politica” e quindi non sono sospettabili di apportare una visione parziale nell’esercizio dell’incarico (come presume la legge nel vietare l’accesso agli incarichi amministrativi per chi provenga da incarichi strettamente politici)».

13.5. Un analogo suggerimento è stato avanzato dalla “Commissione di studio per la revisione della disciplina vigente in materia di prevenzione della corruzione e di trasparenza” istituita dall’ANAC che, con relazione pubblicata nel mese di luglio 2015, ha osservato che la legge delega aveva «previsto l’interessamento dei titolari di indirizzo politico (tanto elettivi  quanto di nomina) e di coloro che sono stati investiti attraverso procedure elettorali (anche se, per ipotesi, non partecipassero a funzioni di indirizzo politico» e ha rilevato che «nel caso dei presidenti e degli amministratori, tanto degli enti pubblici (si tratta degli enti pubblici diversi dalle amministrazioni territoriali; cioè degli enti da esse istituiti o vigilati), quanto degli enti privati in controllo pubblico, non si riscontra nessuno di tali presupposti: le cariche non comportano, infatti, la titolarità di funzioni di indirizzo politico (in senso stretto come ipotizza la delega del comma 50), ma piuttosto di funzioni di indirizzo politico-amministrativo (per gli enti pubblici) e di indirizzo politico “aziendale” (per gli enti di diritto privato in controllo pubblico), ma sempre in attuazione dell’indirizzo politico ricevuto; esse comunque non sono attribuite attraverso elezioni».

13.6. Alla luce di quanto sopra rilevato, gli artt. 1, comma 2, lett. f), e 7, comma 2, lett. d), d.lgs. n. 39/2013, nella parte in cui prevedono l’inconferibilità degli «incarichi di amministratore di ente di diritto privato in controllo pubblico da parte di una provincia, di un comune con popolazione superiore a 15.000 abitanti o di una forma associativa tra comuni avente la medesima popolazione» per coloro che nell’anno antecedente sono stati «presidente o amministratore delegato di enti di diritto privato in controllo pubblico da parte di province, comuni e loro forme associative della stessa regione» e includono quindi tali ultimi soggetti nel novero del organi di indirizzo politico ai sensi dell’art. 1, comma 50, lett. c, l. n. 190/2012, appaiono porsi in violazione delle disposizioni costituzionali richiamate supra sub 13 per le ragioni di seguito specificate.

13.6.1. In primo luogo, le disposizioni appaiono confliggere con l’art. 3 e 76 Cost., atteso che – così come rilevato nella citata Relazione della Commissione di Studio dell’ANAC – l’ipotesi di inconferibilità delineata dalle stesse non è coerente con la delega di cui all’art. 1, commi 49 e 50, lett. c, l. n. 190/2012 che vincolava il legislatore delegato a limitare tale tipologia di inconferibilità soltanto a coloro che «abbiano fatto parte di organi di indirizzo politico o abbiano ricoperto cariche pubbliche elettive». Categoria, quest’ultima, a cui non pare possa ritenersi che appartengano coloro che sono stati «presidente o amministratore delegato di enti di diritto privato in controllo pubblico», atteso che tali soggetti – come già rilevato dalla Commissione di Studio istituita dall’ANAC – esercitano ruoli di gestione o, al più, di “indirizzo politico aziendale”.

A tal proposito, il Collegio è consapevole del fatto che la giurisprudenza amministrativa ha, in altre occasioni, ritenuto di non promuovere una siffatta questione di legittimità costituzionale, evidenziando: a) che il legislatore delegato ha indicato tra gli incarichi da regolare «gli incarichi di amministratore di enti pubblici e di enti di diritto privato sottoposti a controllo pubblico» (v. art. 1, comma 50, lett. d, l. n. 190/2012); e b) che «per indentificare l’ambito di applicazione della disciplina su inconferibilità e incompatibilità degli incarichi è a quest’ultima disposizione che si deve guardare, poiché è espressamente riferita agli incarichi da disciplinare» (cfr. Consiglio di Stato, V, 11 gennaio 2018, n. 126 e 27 marzo 2020, n. 2149, nonché in termini diversi Tar Bologna, I, 19 luglio 2018, n. 578).

E, tuttavia, il Collegio ritiene di non poter condividere una tale interpretazione dei criteri e principi direttivi contenuti nella legge delega che sovrappone in una lettura unitaria i criteri relativi agli incarichi di destinazione (di cui la legge delega mira a proteggere l’esercizio imparziale) contenuti nell’art. 1, comma 50, lett. d, l. n. 190/2012 e quelli relativi alla definizione delle cause di inconferibilità (che riguardano quindi gli enti provenienza) indicati nell’art. 1, comma 50, lett. c, l. n. 190/2012.

E ciò anche per gli esiti contraddittori a cui conduce una tale lettura: è evidente infatti – come si dirà ancora infra sub 13.6.2 – che se gli incarichi di «amministratore di enti pubblici e di enti di diritto privato sottoposti a controllo pubblico» sono incarichi connotati dal requisito di imparzialità (da regolare e “proteggere” appunto ai sensi dell’art. 1, comma 50, lett. d, l. n. 190/2012) gli stessi incarichi non possono costituire allo stesso tempo incarichi di indirizzo politico (ovvero incarichi naturalmente connotati da una condizione di parzialità).

13.6.2. Inoltre, la fattispecie di inconferibilità sopra indicata appare porsi in violazione degli artt. 3, 4, e 51 Cost., in quanto comporta in capo agli interessati (e in primo luogo al ricorrente) un’evidente limitazione del proprio diritto al lavoro (art. 4 Cost.) nonché della propria possibilità di accedere agli uffici pubblici (art. 51 Cost.), senza che una siffatta limitazione appaia proporzionata, ragionevole e adeguata in relazione alle specifiche finalità perseguite dalla normativa di cui agli artt. 1, commi 49 e 50, lett. c, l. n. 190/2012, e 6-8, d.lgs. n. 39/2013.

Si è già detto, infatti, che la prima finalità di tali disposizioni è quella di tutelare l’imparzialità dell’amministrazione, attraverso l’imposizione di un adeguato periodo di raffreddamento a coloro che si trovano in situazioni tali da ingenerare dubbi sulla loro personale imparzialità (come sono, per definizione, coloro che abbiano rivestito incarichi politici). E, tuttavia, come già notato, la posizione di coloro che sono stati «presidente o amministratore delegato di enti di diritto privato in controllo pubblico» non è affatto assimilabile a quella di coloro che nell’anno precedente sono stati componenti di un organo di indirizzo politico (ad es. un sindaco, una consigliera comunale, un assessore, etc.), né tantomeno annoverabile tra quelle di per sé idonee a generare dubbi sull’imparzialità della persona, considerato che – come si è già detto – è proprio la normativa in materia di inconferibilità a ricomprendere gli incarichi di «amministratore di enti pubblici e di enti di diritto privato sottoposti a controllo pubblico» tra quelli che devono essere esercitati nel rispetto del principio di imparzialità (con ciò che ne consegue in termini di non politicità dei soggetti che rivestono tali incarichi).

Ne consegue che la severa (ancorché temporanea) limitazione imposta attraverso l’inconferibilità in oggetto appare inadeguata al conseguimento della (se non addirittura estranea alla) principale finalità perseguita dalla normativa.

Ancora più evidente appare l’inadeguatezza della disposizione rispetto all’ulteriore finalità meritocratica sottesa alla normativa: è chiaro, infatti, che la disposizione ostacola la circolazione (e le prospettive di carriera) all’interno del settore pubblico di amministratori competenti ed estranei a logiche di mera appartenenza politica (si pensi al giovane manager che all’esito di un primo incarico svolto brillantemente presso un piccolo ente si vede preclusa la possibilità di immediato accesso a ulteriori incarichi di responsabilità presso altre amministrazioni in un momento cruciale della propria vita professionale), con ciò che ne consegue sia in termini di disincentivo per i più competenti dall’impegno nel settore pubblico (con conseguente nocumento per il buon andamento della p.a.) sia in termini di inevitabili migrazioni dal settore pubblico a quello privato, peraltro in direzione biunivoca (non meno problematiche sotto il profilo dei potenziali rischi per l’imparzialità dell’azione amministrativa).

13.6.3. Sotto altro profilo – e specularmente – la disposizione richiamata si pone in tensione con i principi di buon andamento e ragionevolezza di cui agli artt. 3 e 97 Cost. poiché preclude il conferimento degli incarichi «di amministratore di ente di diritto privato in controllo pubblico da parte di una provincia, di un comune con popolazione superiore a 15.000 abitanti o di una forma associativa tra comuni avente la medesima popolazione» a soggetti che nell’anno precedente hanno dimostrato la propria competenza in altra società pubblica, ovvero impedisce all’ente conferente di attribuire l’incarico a chi ha già dimostrato “sul campo” la professionalità e adeguatezza rispetto all’incarico da ricoprire (si pensi all’impossibilità per un’amministrazione comunale di indicare in una società partecipata che versa in una condizione di “crisi” un amministratore che nell’anno precedente ha manifestato grandi capacità nel risanamento di altra società pubblica che versava nelle medesime condizioni).

E ciò ancora una volta senza che tale preclusione risulti proporzionata e adeguata rispetto alle specifiche finalità sottese alla disciplina di cui all’art. 1, comma 50, lett. c, l. n. 190/2012 e al capo IV del d.lgs. n. 39/2013 (risultando, anzi, la stessa – come si è già notato – in tensione con la finalità meritocratica della disciplina).

L’irragionevolezza della regola individuata sub 13, peraltro, è tanto più evidente se si considera che – al fine di temperare l’impatto della normativa sulla permanenza nella p.a. di manager dotati di adeguate professionalità – l’ANAC (con la delibera 27 giugno 2013, n. 48) e la giurisprudenza amministrativa (cfr. Consiglio di Stato, V, 27 giugno 2018, n. 3946) hanno specificato che il divieto sancito nella stessa opera «soltanto per quanto riguarda l’incarico di amministratore presso un diverso ente e non impedisca invece la conferma dell’incarico già ricoperto» e ciò al fine di garantire la possibilità che «un amministratore meritevole possa essere confermato». È evidente, però, che tale soluzione – pur temperando in maniera apprezzabile e costituzionalmente orientata la regola di cui all’art. 7, comma 2, lett. d), d.lgs. n. 39/2013 – conduce a esiti irragionevoli in quanto consente la conferma dell’amministratore meritevole presso la medesima società e non la sua nomina in altra società pubblica (che magari ha maggiore necessità di una tale professionalità, con tutto ciò che ne consegue in termine di pregiudizio per il buon andamento della p.a.).

13.6.4. Infine, la disposizione sopra indicata appare porsi in tensione altresì con gli artt. 3, 5, 97, 114 e 118 Cost. poiché, a tutt’evidenza, disincentiva i migliori manager dall’accettare incarichi di «presidente o amministratore delegato di enti di diritto privato in controllo pubblico da parte di province, comuni e loro forme associative» di piccole dimensioni (incarichi che, in ragione di tale disposizione, risultano preclusivi di più prestigiosi e delicati affidamenti nell’anno successivo) al fine di non veder ostacolato il proprio successivo accesso a più importanti incarichi, con ciò che ne consegue in termini di penalizzazione dei piccoli comuni e di compressione della loro possibilità di rendere servizi pubblici adeguati (e, quindi, in ultimo, della loro autonomia).

13.6.5. Infine, fermo restando quanto osservato sopra, il Collegio ritiene che, anche a voler ricondurre la causa di inconferibilità prevista dall’art. 7, comma 2, d.lgs. n. 39/2013 per chi proviene dall’incarico di «presidente o amministratore delegato di enti di diritto privato in controllo pubblico da parte di province, comuni e loro forme associative» alla generalissima finalità di prevenzione dei conflitti di interesse sottesa alla complessiva disciplina di cui alla l. n. 190/2012 e al d.lgs. n. 39/2013 (e non invece, come pure pare necessario, alle specifiche finalità sottese a tutte le ipotesi illustrate nel capo IV del decreto, così come individuate supra sub 13.2), la regola prevista da tale disposizione non possa in ogni caso considerarsi adeguata, ragionevole e proporzionata rispetto a una tale generica finalità (declinata nell’ottica di evitare la possibile funzionalizzazione del precedente incarico amministrativo al raggiungimento di nuovi e più importanti incarichi manageriali, attraverso la cura di interessi impropri), tenuto conto sia della natura fondamentale dei diritti personali compressi dall’inconferibilità sopra indicata (cfr. supra sub 13.6.2), sia del complessivo impatto che la misura ha sulla funzionalità dell’amministrazione (cfr. supra sub 13.6.3 e 13.6.4). Circostanze, queste ultime, che devono essere adeguatamente considerate nel bilanciamento tra le contrapposte esigenze che vengono in rilievo in relazione all’istituto in oggetto.

14. Ciò chiarito sulla non manifesta infondatezza della questione di legittimità sopra specificata, il Collegio ritiene che non vi possa esser dubbio in ordine al fatto che la stessa sia rilevante (se non addirittura dirimente) per la definizione del giudizio innanzi a questo Tribunale: e ciò sia perché il provvedimento gravato ha come presupposto la disposizione gravata; sia perché le specifiche censure relative all’applicazione dell’art. 7, comma 2, lett. d), d.lgs. n. 39/2013 nei confronti di soggetti che sono estranei al mondo della politica (e la connessa questione di costituzionalità) sono state poste da parte ricorrente nel primo – e principale – motivo di ricorso; sia perché, infine, non appaiono fondate le ulteriori censure svolte nel ricorso che consentirebbero la decisione dello stesso senza il previo promovimento della questione di legittimità costituzionale.

15. Infine, il Collegio ritiene che non sia possibile addivenire a un’interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione (così come pure richiesto da parte ricorrente con il primo motivo di gravame, nel quale è stata lamentata l’errata applicazione della disposizione da parte di ANAC), tenuto conto del chiaro tenore letterale degli artt. 1, comma 2, lett. f) e 7, comma 2, d.lgs. n. 39/2013 – che espressamente includono tra gli incarichi di provenienza (relativi a organi di indirizzo politico indicati dall’art. 1, comma 50, lett. c, d.lgs. n. 190/2012) per i quali opera l’inconferibilità quelli di «presidente o amministratore delegato di enti di diritto privato in controllo pubblico da parte di province, comuni e loro forme associative».

Ciò è sufficiente a giustificare la rimessione della questione alla Corte costituzionale, atteso che da tempo la giurisprudenza di quest’ultima è consolidata nell’escludere che il mancato ricorso da parte del giudice a quo a un’interpretazione costituzionalmente orientata possa essere causa d’inammissibilità di una questione di legittimità «quando vi sia un’adeguata motivazione circa l’impedimento a tale interpretazione, in ragione del tenore letterale della disposizione» (cfr. Corte costituzionale, 10 gennaio 2018, n. 15 e 24 febbraio 2017, n. 42).

16. Per tutte le ragioni appena illustrate, sussistono i presupposti previsti dall’art. 23, l. n. 87/1953 per la proposizione della questione di legittimità costituzionale di cui alla lett. A) nei termini indicati supra sub 13.

B) Sulla seconda questione di legittimità costituzionale

17. Ferma l’assorbente questione di legittimità costituzionale sopra evidenziata, il Collegio rileva che è altresì non manifestamente infondata la questione di legittimità dell’art. 7, comma 2, d.lgs. n. 39/2013 nella parte in cui non limita l’ipotesi di inconferibilità per «coloro che  nell’anno precedente  siano stati presidente o amministratore delegato di enti di diritto privato in controllo pubblico da parte di province, comuni e loro forme associative della stessa regione» ai soli casi in cui l’ente controllante della società di provenienza abbia popolazione superiore a 15.000, per violazione degli artt. 3, 4, 5, 51, 97, 114 e 118 Cost.

17.1. A tal proposito, è opportuno notare che il testo integrale dell’art. 7, comma 2, d.lgs. n. 39/2013 prevede che «a coloro che nei due anni precedenti siano stati componenti della giunta o del consiglio della provincia, del comune o della forma associativa tra comuni che conferisce l'incarico, ovvero a coloro che nell'anno precedente abbiano fatto parte della giunta o del consiglio di una provincia, di un comune con popolazione superiore ai 15.000 abitanti o di una forma associativa tra comuni avente la medesima popolazione, nella stessa regione dell'amministrazione locale che conferisce l'incarico, nonché a coloro che siano stati presidente o amministratore delegato di enti di diritto privato in controllo pubblico da parte di province, comuni e loro forme associative della stessa regione, non possono essere conferiti: a) gli incarichi amministrativi di vertice nelle amministrazioni di una provincia, di un comune con popolazione superiore ai 15.000 abitanti o di una forma associativa tra comuni avente la medesima popolazione; b) gli incarichi dirigenziali nelle medesime amministrazioni di cui alla lettera a); c) gli incarichi di amministratore di ente pubblico di livello provinciale o comunale; d) gli incarichi di amministratore di ente di diritto privato in controllo pubblico da parte di una provincia, di un comune con popolazione superiore a 15.000 abitanti o di una forma associativa tra comuni avente la medesima popolazione».

La disposizione, quindi, considera rilevante la popolazione dell’ente locale di riferimento in relazione a due distinte ipotesi:

- in relazione agli incarichi di provenienza, con esclusivo riferimento a coloro che nell’anno precedente «abbiano fatto parte della giunta o del consiglio di una provincia, di un comune o di una forma associativa tra comuni … nella stessa regione dell'amministrazione locale che conferisce l'incarico» (per i quali la disposizione richiede, appunto, che l’ente locale dove si è esercitato l’incarico politico abbia almeno 15.000 abitanti);

- in relazione agli incarichi di destinazione previsti alle lettere a), b) e d), disponendo che l’inconferibilità opera solo se gli stessi sono relativi a enti locali (o società e enti di diritto privato controllati da enti locali) «con popolazione superiore a 15.000 abitanti».

La stessa disposizione, al contrario, non prevede alcun limite minimo di popolazione con riferimento al motivo di inconferibilità costituito dall’aver precedentemente ricoperto l’incarico di «presidente o amministratore delegato di enti di diritto privato in controllo pubblico da parte di province, comuni e loro forme associative della stessa regione» (ovvero non richiede che l’ente locale che controlla la società di provenienza abbia una popolazione superiore a una determinata soglia).

17.2. Alla luce di quanto sopra, è evidente l’irragionevolezza della disposizione che individua come causa di inconferibilità l’aver ricoperto nell’anno precedente l’incarico di «presidente o amministratore delegato di enti di diritto privato in controllo pubblico da parte di province, comuni e loro forme associative della stessa regione», senza prevedere che la stessa opera solamente se il controllo è esercitato da parte di enti locali con popolazione superiore a 15.000 abitanti.

17.2.1. In primo luogo, la previsione di cui sopra appare irragionevole in quanto – così come formulata – prevede l’inconferibilità per coloro che nell’anno precedente hanno rivestito l’incarico di presidente o amministratore delegato di enti di diritto privato in controllo pubblico da parte di enti locali con meno di 15.000 abitanti, mentre al contrario non la prevede per chi è stato componente degli organi politici di tali enti (sindaci, assessori, consiglieri).

In tal modo la disposizione realizza una disparità di trattamento intollerabile, specie se si considera la specifica finalità delle disposizioni di cui al capo IV, d.lgs. n. 39/2013 (che appunto – come si è detto supra sub 13.2 – sono volte a regolare l’accesso negli incarichi amministrativi di soggetti che sono stati titolari di incarichi politici).

È evidente, allora, che se il legislatore delegato ha ritenuto che le piccole dimensioni del Comune di provenienza di un sindaco o di un consigliere comunale siano tali da attenuare il rischio che la sua successiva nomina a un incarico amministrativo sia avvenuta per ragioni “politiche” (o comunque per attenuare i rischi di parzialità reale o percepita), analoghe considerazioni dovevano e devono essere valide per chi ha rivestito l’incarico di «presidente o amministratore delegato di enti di diritto privato in controllo pubblico» da parte di enti locali di con una popolazione inferiore a 15.000 abitanti.

Tale irragionevole disparità di trattamento (art. 3 Cost.), a tutt’evidenza si traduce in un’illegittima compressione di diritti fondamentali degli interessati (e in primo luogo del ricorrente), quale il diritto al lavoro (art. 4 Cost.) e quello di accedere alle cariche pubbliche (art. 51 Cost.) nonché – per le ragioni spiegate supra sub 13.6.3 e 13.6.4 – in un pregiudizio per il buon andamento della p.a. e in particolar modo degli enti locali di piccole dimensioni (cfr. artt. 5, 97, 114 e 118 Cost.).

È evidente, infatti, che la mancata indicazione della soglia dei 15.000 abitanti con riferimento all’ente locale che ha attribuito l’incarico di provenienza, per un verso ostacola il flusso bottom-up (da società controllate da enti di piccole dimensioni a società pubbliche di maggiore rilievo) dei manager più meritevoli e, per altro verso, disincentiva i migliori professionisti dall’accettazione degli incarichi di «presidente o amministratore delegato di enti di diritto privato in controllo pubblico» da parte di enti di piccole dimensioni.

17.2.2. La disposizione, inoltre, appare parimenti irragionevole (e quindi illegittima) sotto un diverso profilo, ovvero perché – così come evidenziato dalla stessa ANAC nel provvedimento impugnato (cfr. supra sub 7.3) – vieta il passaggio diretto da una società controllata da enti di piccole dimensioni a società controllate da enti di più grandi, consentendo, invece, il passaggio inverso, ossia da una società in controllo da enti di maggiori dimensioni a una società controllata da piccoli comuni (e ciò perché – come si è notato supra sub 16 – l’art. 7, comma 2, lett. d), d.lgs. n. 39/2013 dispone che l’inconferibilità opera solo se la società di destinazione è controllata da enti locali «con popolazione superiore a 15.000 abitanti»).

Tale asimmetria è del tutto irragionevole, se si considera – appunto – che la stessa impedisce, come si è già notato, a manager meritevoli che hanno ultimato il proprio incarico presso una società controllata da un ente di piccole dimensioni di essere “promossi” alla guida di società controllate da enti di maggiori dimensioni (e per ciò stesso tendenzialmente comportanti maggiori responsabilità), mentre consente che un amministratore (che magari non ha dimostrato particolari capacità alla guida di un ente di maggior rilievo) sia poi nominato in una società “minore” (passaggio che, peraltro, appare maggiormente esposto a influenze estranee alla logica meritocratica).

Da quanto sopra, peraltro, è evidente che – anche sotto tale profilo – l’irragionevolezza della disposizione si traduce non solo in un’illegittima e sproporzionata compressione dei diritti fondamentali degli interessati (artt. 4 e 51 Cost.), ma anche e soprattutto in un pregiudizio per il buon andamento della stessa p.a. (cfr. 97 Cost.).

18. Ciò chiarito in ordine alla non manifesta infondatezza della questione, questo Collegio è ben consapevole che, ove questa Corte ritenesse fondata la prima questione di legittimità indicata supra sub 13 (e identificata nella presente ordinanza con la lettera A), la questione indicata supra sub 17 (segnata sub B) non avrebbe più alcun rilievo nell’ambito del giudizio a quo.

Tale circostanza, tuttavia, a opinione del Collegio non importa l’insussistenza della rilevanza con riferimento a tale seconda questione ma costituirebbe al più (in caso di accoglimento della questione indicata supra sub A) un motivo di “irrilevanza sopravvenuta” (o, se si vuole, di “improcedibilità”) della seconda questione (che risulterebbe – in sostanza – assorbita nella prima).

Una tale conclusione, per un verso, appare coerente con quanto evidenziato dalla giurisprudenza costituzionale in ordine al fatto che «il requisito della rilevanza riguarda solo il momento genetico in cui il dubbio di costituzionalità viene sollevato e non anche il periodo successivo alla rimessione della questione alla Corte costituzionale» (cfr. Corte costituzionale, ord. 20 aprile 2000, n. 110); per altro verso – come si è già notato supra sub 12 – risponde a esigenze di concentrazione e ragionevole durata del processo (art. 111 Cost.) e di buon andamento del servizio giustizia (art. 97 Cost.).

Alla luce di quanto sopra, considerato che, come si è già detto, il provvedimento impugnato è stato adottato sulla base dell’art. 7, comma 2, d.lgs. n. 39/2013, e osservato, inoltre, che la questione della consistenza della popolazione degli enti locali che controllavano le società di provenienza è stata espressamente dedotta dal ricorrente nel secondo motivo di ricorso, il Collegio ritiene che anche la seconda questione sia rilevante.

19. Infine, il Collegio ritiene di condividere quanto osservato dall’ANAC in ordine all’impossibilità di addivenire a un’interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione, atteso il tenore letterale dell’art. 7, comma 2, d.lgs. n. 39/2013, che non richiede una soglia minima di abitanti del Comune che esercita il controllo nella società di provenienza del soggetto interessato come, invece, richiesto in altre parti del testo normativo (circostanza – quest’ultima – che induce a ritenere applicabile al caso di specie il principio interpretativo ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit).

In ragione di quanto sopra, il Collegio ritiene di dover sollevare anche tale questione, tenuto conto che, per giurisprudenza costituzionale ormai consolidata, ove il giudice a quo ritenga che l’interpretazione letterale della disposizione osti alla possibilità di un’interpretazione conforme «la possibilità di un’ulteriore interpretazione alternativa, che il giudice a quo non ha ritenuto di fare propria, non riveste alcun significativo rilievo ai fini del rispetto delle regole del processo costituzionale, in quanto la verifica dell’esistenza e della legittimità di tale ulteriore interpretazione è questione che attiene al merito della controversia, e non alla sua ammissibilità» (cfr. ancora Corte costituzionale, 24 febbraio 2017, n. 42).

20. Per tutte le ragioni appena illustrate, anche con riferimento alla questione di legittimità costituzionale individuata supra sub 17 e rubricata alla lett. B sussistono i presupposti previsti dall’art. 23, l. n. 87/1953.

IV. Conclusioni (paragrafi 21-23)

21. Per tutti i motivi sopra richiamati – ritenute rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale illustrate in parte motiva e constatata l’impossibilità di un’interpretazione costituzionalmente conforme delle disposizioni che vengono in rilievo – questo Tribunale deve sollevare la questione di legittimità costituzionale:

A) degli artt. 1, comma 2, lett. f) e 7, comma 2, lett. d), d.lgs. n. 39/2013, nella parte in cui prevedono l’inconferibilità degli «incarichi di amministratore di ente di diritto privato in controllo pubblico da parte di una provincia, di un comune con popolazione superiore a 15.000 abitanti o di una forma associativa tra comuni avente la medesima popolazione» a coloro che nell’anno antecedente sono stati «presidente o amministratore delegato di enti di diritto privato in controllo pubblico da parte di province, comuni e loro forme associative della stessa regione» e assimilano, quindi, tali ultimi soggetti a coloro che sono stati componenti di organi di indirizzo politico ai sensi dell’art. 1, comma 50, lett. c, l. n. 190/2012, per violazione degli artt. 3, 4, 5, 51, 76, 97, 114 e 118 (per le ragioni spiegate in motivazione supra sub 13-16);

B) dell’art. 7, comma 2, d.lgs. n. 39/2013 nella parte in cui non limita l’ipotesi di inconferibilità per «coloro che [nell’anno precedente] siano stati presidente o amministratore delegato di enti di diritto privato in controllo pubblico da parte di province, comuni e loro forme associative della stessa regione» ai soli casi in cui l’ente locale controllante della società di provenienza abbia popolazione superiore a 15.000 (ovvero, in altri termini, nella parte in cui non prevede per tale incarico di provenienza la stessa soglia di rilevanza in termini di popolazione prevista dalla stessa disposizione sia per gli incarichi di provenienza cd. “politici”, sia in relazione agli enti di destinazione), per violazione degli artt. 3, 4, 5, 51, 97, 114 e 118 Cost. (per le ragioni spiegate in motivazione supra sub 17-20).

22. Il processo deve, pertanto, essere sospeso ai sensi e per gli effetti degli artt. 79 e 80 c.p.a. e 295 c.p.c. con trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.

23. Ogni ulteriore statuizione è riservata alla decisione definitiva.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Quater) dichiara rilevante e non manifestamente infondata, ai sensi dell’art. 23 l. 11 marzo 1953 n. 87, la questione di legittimità costituzionale:

A) degli artt. 1, comma 2, lett. f) e 7, comma 2, lett. d) d.lgs. n. 39/2013 nella parte in cui prevedono che «a coloro che  nell’anno precedente  siano stati presidente o amministratore delegato di enti di diritto privato in controllo pubblico da parte di province, comuni e loro forme associative della stessa regione, non possono essere conferiti  incarichi di amministratore di ente di diritto privato in controllo pubblico da parte di una provincia, di un comune con popolazione superiore a 15.000 abitanti o di una forma associativa tra comuni avente la medesima popolazione», ovvero nella parte in cui assimilano gli incarichi di «presidente o amministratore delegato di enti di diritto privato in controllo pubblico» alla precedente partecipazione a organi di indirizzo politico ai sensi dell’art. 1, comma 50, lett. c, l. n. 190/2012, per violazione degli artt. 3, 4, 5, 51, 76, 97, 114 e 118 Cost. (per le ragioni spiegate in motivazione supra sub 13-16);

B) dell’art. 7, comma 2, d.lgs. n. 39/2013 nella parte in cui non limita l’ipotesi di inconferibilità prevista per «coloro che  nell’anno precedente  siano stati presidente o amministratore delegato di enti di diritto privato in controllo pubblico da parte di province, comuni e loro forme associative della stessa regione» ai soli casi in cui l’ente controllante della società di provenienza abbia popolazione superiore a 15.000, per violazione degli artt. 3, 4, 5, 51, 97, 114 e 118 Cost. (per le ragioni spiegate in motivazione supra sub 17-20).

Sospende il presente giudizio ai sensi dell’art. 79 comma 1 c.p.a. e dell’art. 295 c.c.

Dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale a cura della segreteria.

Rinvia ogni ulteriore statuizione all’esito del giudizio incidentale promosso con la presente ordinanza.

Ordina che la presente ordinanza sia notificata, a cura della segreteria, a tutte le parti in causa, e che sia comunicata al Presidente del Consiglio dei ministri, al Presidente del Senato della Repubblica ed al Presidente della Camera dei deputati.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 29 novembre 2022 con l'intervento dei magistrati:

Concetta Anastasi, Presidente

Mariangela Caminiti, Consigliere

Agatino Giuseppe Lanzafame, Referendario, Estensore

 
 
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Agatino Giuseppe Lanzafame Concetta Anastasi
 
 
 

IL SEGRETARIO


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