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TAR Lombardia, Milano, sez. III, 27/2/2023 n. 495
Sulla responsabilità solidale del cessionario del ramo d’azienda

L'art. 2560, c. 2 cod. civ. (norma che disciplina la circolazione delle obbligazioni in caso di cessione d'azienda) stabilisce una successione automatica nei debiti aziendali che ha come effetto quello di determinare l'insorgere di una responsabilità solidale dell'acquirente nei confronti dei terzi (responsabilità che si aggiunge quindi a quella del cedente), mentre solo nei rapporti interni fra cedente e cessionario vale quanto pattuito.
Il citato art. 2560, c. 2, cod. civ. richiede tuttavia, affinché possa insorgere questa responsabilità solidale del cessionario, che i debiti risultino dai libri contabili dell'azienda ceduta.
A questo proposito, la giurisprudenza ha di recente affermato che in forza del principio generale che vieta l'abuso del diritto, il cessionario del ramo d'azienda non può giovarsi della limitazione di responsabilità posta dall'art. 2560, c. 2, c.c., qualora sia dimostrato che egli, al momento della stipula del contratto di cessione d'azienda, abbia avuto concreta conoscenza della sussistenza del debito non risultante dalle scritture contabili.

Materia: appalti / disciplina
Pubblicato il 27/02/2023

N. 00495/2023 REG.PROV.COLL.

N. 00371/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 371 del 2017, proposto da
COMUNE DI CASOREZZO, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Mario Bucello, Simona Viola e Giovanna Lombardi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il loro studio in Milano, Via G. Serbelloni, n. 7;

contro

SOLTER s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Luca Prati e Sonia Costa, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il loro studio in Milano, Piazza Bertarelli, n. 1;
INERTI ECOTER SGA s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Massimo Boni e Giuseppe Cordedda, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Cordedda in Milano, Via Podgora, n. 3;

nei confronti

COMUNE DI BUSTO GAROLFO, in persona del Sindaco p.t., non costituito in giudizio;
CONSORZIO PARCO DEL ROCCOLO, in persona del legale rappresentante p.t., non costituito in giudizio;
CITTÀ METROPOLITANA DI MILANO, in persona del legale rappresentante p.t., non costituita in giudizio;

per l’accertamento

dell'inadempimento da parte delle resistenti degli obblighi di ripristino ambientale scaturenti dalle convenzioni di cui esse sono titolari;

nonché per la condanna delle resistenti

all'esecuzione dei suddetti obblighi, al risarcimento dei danni ed al pagamento dei conseguenti importi.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Solter s.r.l. e di Inerti Ecoter Sga s.r.l.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 2 dicembre 2022 il dott. Stefano Celeste Cozzi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Con l’atto di introduttivo del presente giudizio, il Comune di Casorezzo ha proposto domanda di adempimento e, in subordine, domanda risarcitoria nei confronti delle società Solter s.r.l. (d’ora innanzi anche “Solter”) e Inerti Ecoter Sga s.r.l. (d’ora innanzi anche “Inerti”), ritenute responsabili dell’inadempimento alle obbligazioni di ripristino ambientale imposte da due convenzioni collegate a due provvedimenti di autorizzazione allo svolgimento di attività estrattiva, già sottoscritte dalla società Cave di Casorezzo s.r.l. a cui, secondo la prospettazione di parte, le due summenzionate società sarebbero succedute.

Al fine di comprendere la vicenda sottesa a tale pretesa occorre rilevare che la società Cave di Casorezzo s.r.l. era stata autorizzata, con provvedimenti rilasciati dalla Provincia di Milano in data 25 luglio 2002 e in data 29 aprile 2005, a svolgere attività di coltivazione delle sostanze minerali di cava su un’area situata nel territorio del Comune di Busto Garolfo, adiacente al territorio del Comune di Casorezzo. Il polo estrattivo è oggi denominato “ATEg11”.

Per poter ottenere queste autorizzazioni, la società Cave di Casorezzo s.r.l. ha dovuto previamente ottemperare a quanto previsto dall’art. 15 della legge regionale n. 14 del 1998, il quale impone a chi intende svolgere attività estrattiva la stipula di una convenzione con gli enti locali interessati, nella quale sono disciplinati i diversi obblighi ai quali tale soggetto si sottopone per poter conseguire il titolo.

In particolare, Cave di Casorezzo s.r.l. ha a tal fine stipulato due convenzioni: una prima in data 5 luglio 2002 con il Comune di Busto Garolfo, con il Comune di Casorezzo e con il Parco del Roccolo, ente sovracomunale nella cui competenza ricade una parte delle aree del polo estrattivo ATEg11; una seconda convenzione è stata stipulata con il solo Comune di Busto Garolfo in data 25 luglio 2002.

La convenzione del 5 luglio 2002 ha previsto che Cave di Casorezzo s.r.l. avrebbe dovuto realizzare, già durante l’attività di sfruttamento dell’area, opere di ripristino ambientale consistenti fra l’altro: a) nella conversione a bosco planiziale del pianoro situato a livello campagna, della porzione sud-occidentale di fondo cava e della zona orientale; b) nell’inserimento di una radura a prato nell’area adiacente al bosco sul piano campagna e di un’area a bosco igrofilo all’interno del bacino imbrifero sul fondo cava; c) nell’impermeabilizzazione del terreno tramite uno strato di limo, al fine di garantire il ristagno delle acque meteoriche e facilitare l’attecchimento di piante arboree (ontano, salice) e arbustive adatte a vivere su suoli umidi; d) nell’individuazione di un’area a prato umido, che avrebbe contribuito alla creazione di habitat diversificati, così incrementando la biodiversità locale.

Parte ricorrente riferisce che queste opere non sono mai state realizzate. Riferisce inoltre che, con atto del 30 luglio 2009, la società Cave di Casorezzo s.r.l. è stata fusa per incorporazione nella società Inerti Ecoter Sga s.r.l., la quale, con atto del 18 settembre 2012, ha a sua volta ceduto il ramo d’azienda riguardante lo svolgimento dell’attività estrattiva di cui si discute alla società Solter s.r.l.

Ritiene pertanto la stessa parte che le società Inerti Ecoter Sga s.r.l. e Solter s.r.l. siano succedute a Cave di Casorezzo s.r.l. negli obblighi di rispristino ambientale scaturenti dalle due convezioni sopra citate. Con l’atto introduttivo del presente giudizio, si chiede pertanto che venga accertato l’inadempimento a tali obblighi e che le due summenzionate società vengano condannate ad eseguire le opere previste dalle convenzioni stipulate da Cave di Casorezzo s.r.l. nell’anno 2002 o, in subordine, che le stesse vengano condannate al risarcimento dei danni.

Si sono costituite in giudizio, per opporsi all’accoglimento delle domande avverse, la società Inerti Ecoter Sga s.r.l. e la società Solter s.r.l.

Nel corso del giudizio, le parti hanno depositato memorie insistendo nelle loro conclusioni.

La causa è stata chiamata all’udienza del 20 luglio 2018 in esito alla quale è stata accolta la domanda di cancellazione dal ruolo proposta dalla ricorrente, domanda alla quale aveva aderito la difesa di Inerti Ecoter Sga s.r.l.

In data 16 settembre 2019 e in data 23 maggio 2022, il Comune di Casorezzo ha depositato istanze di fissazione di nuova udienza.

La causa è stata quindi chiamata all’udienza del 2 dicembre 2022, in esito alla quale è stata trattenuta in decisione.

Occorre innanzitutto esaminare l’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dalle parti resistenti.

Ritiene il Collegio che tale eccezione sia infondata per le ragioni di seguito esposte.

Come anticipato, la controversia in esame ha ad oggetto gli obblighi scaturenti da due convezioni stipulate ai sensi dell’art. 15 della legge regionale n. 14 del 1998. In base al primo comma di questa norma (oggi abrogata ma applicabile alla fattispecie in esame ratione temporis), il rilascio dell’autorizzazione provinciale all’esercizio dell’attività di coltivazione delle sostanze minerali di cava, prevista dall’art. 12 della stessa legge, è subordinato alla presentazione di una convenzione stipulata, sulla base di uno schema tipo predisposto dalla Giunta regionale, tra il richiedente ed il comune o i comuni interessati nella quale sono individuati gli obblighi che lo stesso richiedente deve assumersi per poter ottenere il titolo. Dalla lettura della stessa norma si ricava poi che gli obblighi di cui si è appena detto hanno per lo più lo scopo di garantire il rispristino ambientale dell’area interessata dall’attività estrattiva.

Risulta evidente, in tale quadro, che la convenzione prevista dal citato art. 15 della legge regionale n. 14 del 1998 non ha la funzione di costituire, regolare o estinguere un rapporto giuridico privatistico di carattere patrimoniale e non è perciò riconducibile alla figura del contratto di diritto privato, delineata dall’art. 1321 cod. civ. Al contrario, avendo essa ad oggetto interessi pubblici collegati al ripristino ambientale, si deve ritenere che la sua funzione sia quella di dare disciplina ad un rapporto giuridico pubblicistico connesso al provvedimento amministrativo di autorizzazione e sia perciò ascrivibile alla categoria dell’accordo integrativo del provvedimento di cui all’art. 11 della legge n. 241 del 1990.

Diviene a questo punto agevole il richiamo all’art. 133, n. 2), cod. proc. amm., il quale affida alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie che riguardano la formazione, la conclusione e l’esecuzione degli accordi integrativi o sostitutivi di provvedimento amministrativo.

Si deve pertanto ritenere che, come anticipato, l’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dalle parti resistenti sia infondata appratendo la controversia in esame alla giurisdizione esclusiva di questo Giudice.

Inerti eccepisce il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in quanto la convenzione del 25 luglio 2002 contiene una clausola compromissoria che affida ad un collegio arbitrale le controversie che riguardano l’interpretazione di tale atto.

L’eccezione è infondata in quanto la convenzione del 25 luglio 2002 non è stata sottoscritta dal Comune di Casorezzo ed è quindi inefficace nei confronti di tale Ente.

La difesa di Solter deduce l’inammissibilità del ricorso in quanto asseritamente non notificato al Comune di Busto Garolfo e al Parco del Roccolo i quali, a suo dire, essendo creditori solidali con il Comune di Casorezzo, assumerebbero la qualifica di controinteressati.

L’eccezione è infondata per una pluralità di ragioni.

Innanzitutto perché nei giudizi che, come quello in esame, vertono in materia di diritti soggettivi si devono applicare gli istituti processuali propri del processo civile nel quale non è configurabile la figura del controinteressato: l’art. 41, secondo comma, cod. proc. amm. impone, a pena di inammissibilità, la notifica del ricorso ad almeno un controinteressato solo nei processi in cui sia proposta azione di annullamento.

In ogni caso, e ciò è comunque del tutto dirimente, va rilevato che, contrariamente da quanto affermato dalla parte, il ricorso è stato notificato anche al Comune di Busto Garolfo e al Parco del Roccolo.

La difesa di Solter eccepisce ancora che il ricorso sarebbe inammissibile per difetto di legittimazione attiva del Comune di Casorezzo non avendo quest’ultimo sottoscritto la convenzione del 25 luglio 2002.

Anche questa eccezione è infondata atteso che il Comune di Casorezzo è comunque parte della convenzione del 5 luglio 2002 che, come visto, ha dato origine agli obblighi di ripristino ambientale di cui si discute, per i quali la convenzione del 25 luglio 2002 non fa altro che specificarne meglio la portata. Ne consegue che il suddetto Ente deve ritenersi legittimato a pretendere l’adempimento di tali obblighi o, in subordine, il risarcimento dei danni per il definitivo inadempimento.

Sostiene ancora Solter che il ricorso sarebbe inammissibile in quanto il Comune di Busto Garolfo (creditore solidale con il Comune di Casorezzo), con altro ricorso, avrebbe proposto un giudizio identico a quello in esame precludendo così l’azione all’odierno ricorrente.

Anche questa eccezione è infondata atteso che nessuna norma impedisce al creditore solidale di dar corso ad un giudizio autonomo per la tutela del proprio credito qualora altro creditore abbia già proposto l’azione.

Le parti resistenti sostengono che, con la sottoscrizione del Protocollo del 21 gennaio 2012, il Comune avrebbe definito una nuova regolamentazione all’intervento di ripristino ambientale di cui si discute ed avrebbe, quindi, rinunciato a dare esecuzione alle convenzioni del 2002.

Anche questa eccezione non può essere accolta in quanto, con il protocollo del 21 gennaio 2012, il Comune di Casorezzo non ha affatto rinunciato al diritto di conseguire le prestazioni di rispristino ambientale relative all’area di cui è causa. L’atto è stato sottoscritto proprio per cercare di dare soluzione alla grave situazione di degrado venutasi a creare a seguito dell’inadempimento alle obbligazioni previste dalle convenzioni stipulate nel 2002, prevendendo sì la possibilità di realizzare un diverso intervento di ripristino, ma senza che vi sia stata rinuncia ai diritti scaturenti da tali convenzioni soprattutto per ciò che concerne il diritto ad ottenere il risarcimento del danno derivante dal prolungato inadempimento.

A questo punto va esaminata la questione attinente la legittimazione passiva delle parti resistenti posto che, come detto, le convenzioni che hanno fatto sorgere gli obblighi oggetto della presente controversia sono state stipulate (non da loro ma) da Cave di Casorezzo s.r.l.

A questo proposito si deve osservare che l’art. 12, comma 4, della legge regionale n. 14 del 1998, dopo aver precisato che l’autorizzazione all’esercizio di attività estrattiva ha carattere personale, stabilisce che <<nel caso di trasferimento del diritto alla coltivazione del giacimento, l'avente causa deve chiedere alla Provincia di subentrare nella titolarità dell'autorizzazione assumendo tutti i relativi obblighi, ivi compresi quelli derivanti dalla convenzione di cui all'art. 15. La Provincia provvede, entro i successivi 60 giorni, previa verifica delle capacità tecniche ed economiche del subentrante>>.

Come si vede, questa norma disciplina uno speciale procedimento da avviare in caso di trasferimento del diritto alla coltivazione. La possibilità per l’avente causa di svolgere l’attività estrattiva non sorge automaticamente con la cessione di tale diritto, ma presuppone la voltura del titolo rilasciato al dante causa, che deve avvenire mediante provvedimento espresso emesso dalla provincia. La norma precisa che la voltura determina, non solo il trasferimento del diritto, ma anche il trasferimento degli obblighi connessi all’attività, fra cui quelli che trovano fonte nella convenzione stipulata ai sensi dell’art. 15 della citata legge regionale n. 14 del 1998.

Le parti resistenti sostengono che, in base a queste disposizioni, il trasferimento dell’obbligo di rispristino ambientale si realizzerebbe solo a condizione che sia stata chiesta e ottenuta la voltura dell’autorizzazione.

Il Collegio non condivide questa conclusione per le ragioni di seguito esposte.

Le norme dettate dall’art. 15 della legge regionale n. 14 del 1998 sono evidentemente poste a tutela dell’interesse pubblico, atteso che l’attività di coltivazione delle sostanze minerali di cava presuppone il possesso di specifici requisiti tecnici, economici e morali che anche il soggetto subentrante deve soddisfare e la cui sussistenza deve essere accertata dall’amministrazione competente. Anche la disposizione riguardante gli obblighi è posta a tutela dell’interesse pubblico, non potendosi ammettere che colui che esercita la suddetta attività rimanga svicolato dagli obblighi ad essa connessi.

Essendo questo lo scopo della normativa esaminata, deve ritenersi che il citato art. 15 della legge regionale n. 14 del 1998 non possa essere inteso come norma che limita la disciplina privatistica dettata in materia di successione negli obblighi, ma come norma che, integrando questa disciplina, pone in capo al cessionario, che vuole subentrare nella titolarità dell’autorizzazione, l’onere di assumersi volontariamente quegli stessi obblighi nei confronti della p.a., e ciò indipendentemente da qualsiasi previsione contenuta nell’accordo occorso con il cedente ed indipendentemente da qualsiasi previsione normativa di carattere privatistico. Del resto, qualora si ritenesse che la legge regionale abbia inteso regolare in maniera più restrittiva la materia della successione nelle obbligazioni rispetto a quanto previsto dal codice civile, la stessa legge regionale dovrebbe ritenersi contrastante con l’art. 117, secondo comma, lett. l), Cost. che, come noto, include la materia “ordinamento civile” fra quelle che rientrano nell’ambito della legislazione esclusiva statale.

Da tutto ciò consegue che la successione prevista dalla normativa civilistica nell’obbligo sorto a seguito della stipula della convenzione di cui si discute opera comunque, anche in assenza di voltura dell’autorizzazione. Il successore a titolo particolare o a titolo universale del soggetto che (avendo esercitato attività di coltivazione di una cava) si era obbligato al ripristino ambientale, è pertanto comunque tenuto ad adempire a tale obbligo, e ciò anche nel caso in cui egli non abbia chiesto od ottenuto la voltura dell’autorizzazione alla continuazione dell’esercizio dell’attività estrattiva.

In base a quanto illustrato deve ritenersi che Inerti, in quanto società incorporante, sia sicuramente subentrata, ai sensi dell’art. 2504-bis, primo comma, cod. civ., nella posizione di debito che faceva capo a Cave di Casorezzo s.r.l. Né si può ritenere che il suo obbligo sia venuto meno a seguito della cessione a Solter del ramo d’azienda atteso che, come si vedrà meglio nel prosieguo, la cessione d’azienda non determina la liberazione del cedente dai debiti aziendali sorti in precedenza, anche se fa sorgere, per questi stessi debiti, la responsabilità solidale del cessionario. Neppure ha pregio il rilievo secondo cui Inerti sarebbe liberata dal debito in quanto, a seguito della cessione del sito, non si troverebbe più nella possibilità di effettuare le opere di rispristino ambientale di cui si discute, dovendosi a questo proposito rilevare, al di là di ogni altra considerazione, che, ai sensi dell’art. 1218 cod. civ. il debitore inadempiente va esente da responsabilità solo se prova che l’impossibilità della prestazione deriva da causa a lui non imputabile.

Per quanto riguarda la posizione di Solter, va rilevato che quest’ultima sostiene che l’obbligo di rispristino ambientale non si sarebbe ad essa trasferito neppure in base alla normativa civilistica posto che il contratto di cessione del ramo d’azienda stipulato con Inerti, da un lato, non prevedrebbe né la cessione dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività estrattiva né il trasferimento degli obblighi ad essa connessi e, da altro lato, escluderebbe espressamente il trasferimento di quei medesimi obblighi in caso di mancanza di voltura delle autorizzazioni.

Per quanto concerne quest’ultimo profilo occorre osservare che la lett. i) e l’art. 8 del contratto di cessione del ramo d’azienda subordinano alla condizione del rilascio della voltura, non solo il trasferimento degli obblighi di rispristino ambientale, ma l’efficacia dell’intero contratto. Se si seguisse il ragionamento della parte, dovrebbe pertanto ritenersi che Solter non abbia mai acquistato il ramo d’azienda e non sia neppure divenuta proprietaria delle aree su cui insiste il polo estrattivo.

In realtà, il suddetto contratto non fa riferimento alle autorizzazioni all’esercizio dell’attività estrattiva di cui era titolare Cave di Casorezzo s.r.l. posto che queste, al momento della stipula, erano ormai scadute. La condizione relativa alla voltura riguarda altre autorizzazioni (peraltro esplicitamente richiamate nello stesso contratto di cessione del ramo di azienda) per le quali deve presumersi, non essendo stato dedotto il contrario, che Solter abbia ottenuto la voltura.

Ne consegue che, come del resto risulta pacifico fra le parti, il contratto di cessione del ramo d’azienda ha acquisto efficacia.

A questo punto va osservato che l’art. 2560, secondo comma, cod. civ. (norma che disciplina la circolazione delle obbligazioni in caso di cessione d’azienda) stabilisce una successione automatica nei debiti aziendali che ha come effetto quello di determinare l’insorgere di una responsabilità solidale dell’acquirente nei confronti dei terzi (responsabilità che si aggiunge quindi a quella del cedente), mentre solo nei rapporti interni fra cedente e cessionario vale quanto pattuito. Ne consegue che, ai fini che qui interessano, è del tutto irrilevante il fatto che il contratto di cessione del ramo di azienda stipulato fra Inerti e Solter non abbia fatto specifico riferimento all’obbligo di rispristino ambientale di cui si discute.

Il citato art. 2560, secondo comma, cod. civ. richiede tuttavia, affinché possa insorgere questa responsabilità solidale del cessionario, che i debiti risultino dai libri contabili dell’azienda ceduta. Secondo la prevalente giurisprudenza della Corte di Cassazione, detta annotazione (la cui prova deve essere fornita dal creditore) costituisce elemento indefettibile per il perfezionamento della fattispecie, neppure rilevando, in sua mancanza, la concreta conoscenza del debito acquista aliunde da parte del cessionario (cfr. Cass. civ., sez. II, ord., 7 ottobre 2020, n. 21561; id. sez. VI, 26 settembre 2017, n. 22418). Se si applicassero questi principi al caso in esame, dovrebbe ritenersi che Solter non possa essere chiamata a rispondere dell’inadempimento all’obbligo di ripristino ambientale di cui è causa, posto che il Comune di Casorezzo non ha fornito la prova dell’iscrizione del debito nelle scritture contabili relative al ramo d’azienda acquisto dalla stessa Solter.

Il Collegio deve però osservare che altra parte della giurisprudenza ha di recente affermato che la mancata annotazione nelle scritture contabili non è decisiva, ai fini dell’insorgere della responsabilità solidale del cessionario, quando il cessionario stesso sia stato in concreto a conoscenza della sussidenza del debito e l’operazione sia stata verosimilmente posta essere per motivi fraudolenti (cfr. Cass. civ., sez. III, Ord., 10 dicembre 2019, n. 32134). La Corte di Cassazione ha altresì escluso che la mancata annotazione nelle scritture contabili sia decisiva allorché vi sia carenza di un’effettiva alterità soggettiva delle parti titolari dell’azienda, significativa di una conoscenza diretta dei rapporti giuridici in essere (cfr. Cass. civ., sez. un., del 28 febbraio 2017 n. 5054).

Ritiene il Collegio che queste pronunce esprimano un principio generale che vieta l’abuso del diritto e che impedisce quindi al cessionario di giovarsi della limitazione posta a suo vantaggio dall’art. 2560, secondo comma, cod. civ. allorché sia dimostrato che egli, al momento della stipula del contratto di cessione d’azienda, abbia avuto concreta conoscenza della sussistenza del debito non risultante dalle scritture contabili.

Questa conclusione appare peraltro aderente alla funzione della norma in esame che è quella di dare equilibrio a diversi contrapposti interessi: a) l’interesse del cessionario a non assumere rischi per debiti pregressi dell’azienda la cui sussistenza non gli sia stata nota al momento dell’acquisto; b) l’interesse generale, connesso a quello del cessionario, di garantire certezza del traffico giuridico relativo alle cessioni di azienda; c) l’interesse del creditore a non vedersi diminuire le garanzie patrimoniali offerte dal debitore originario ai cui attivi facilmente espropriabili si sostituiscono, con la cessione dell’azienda, risorse liquide agevolmente occultabili. Ma se questa è la ratio della norma, è evidente che non avrebbe senso sacrificare l’interesse del creditore per dare tutela ad un soggetto che, sapendo dell’esistenza del debito inerente all’azienda da lui acquisita, versa in stato di mala fede.

Del resto, ferme queste conclusioni di natura civilistica, è in ogni caso dubbio che la regola comune che subordina alla iscrizione nei libri contabili l’effetto traslativo dell’obbligo sia compatibile (art. 11 legge n. 241 del 1990) con la natura pubblicistica degli accordi per i quali è causa, visto che essi sono preposti alla cura dell’interesse pubblico attraverso l’imposizione di obblighi che afferiscono al “corretto assetto del territorio” (tra le molte, CDS n. 6282 del 2019). Come nel caso delle convenzioni urbanistiche in senso stretto, che generano obblighi propter rem, l’accordo ex art. 11 della legge n. 241 del 1990 in tema di ripristino ambientale persegue finalità di trasformazione del territorio che si impongono a chiunque intenda giovarsi delle utilità collegate a tali accordi (nel caso di specie, la gestione della cava, subordinata dalle convenzioni agli interventi sull’ambiente) e che non possono essere frustate da atti privatistici con i quali la parte obbligata traslerebbe le sole facoltà derivanti dall’accordo (le attività di cava) e non anche gli obblighi che ne sono il corrispettivo sinallagmatico.

In altri termini, in un’ottica pubblicistica, il lato attivo della complessa operazione culminata con la convenzione non può essere scisso dal lato passivo, consistente negli obblighi che hanno indotto l’amministrazione a concedere l’autorizzazione.

Del resto, può anche osservarsi che l’iscrizione nelle scritture contabili realizza un regime di pubblicità connaturato a rapporti tra privati, posto che il cessionario consegue con esso la conoscenza legale degli obblighi conseguenti alla cessione; regime non necessario a fronte di accordi di diritto pubblico, in quanto tali sempre accompagnati da delibere dei competenti organi dell’amministrazione a propria volta pubbliche e accessibili a chiunque vi abbia interesse.

Mentre, in altri termini, il cessionario non ha di regola modo di accertarsi delle passività che gravano sul ramo di azienda, se non accedendo alla contabilità del cedente, al contrario, qualora gli obblighi scaturiscano da accordi ex art. 11 l. n. 241 del 1990, è sufficiente prestare una minima diligenza per prenderne contezza.

Ciò chiarito, va ora osservato che, nel caso concreto, Solter, con nota dell’1 marzo 2013, ha inequivocabilmente espresso il proprio impegno ad adempiere all’obbligo di ripristino ambientale nascente dalle convenzioni stipulate da Cave di Casorezzo s.r.l.; tale elemento dimostra che, al momento dell’acquisto del ramo d’azienda, la stessa Solter era ben a conoscenza dell’esistenza dell’obbligo, essendo del tutto inverosimile che il cessionario d’azienda assuma spontaneamente un impegno per un debito tanto gravoso di cui era inizialmente ignota l’esistenza.

Si deve pertanto ritenere che anche in capo a Solter, in quanto acquirente del ramo d’azienda, grava l’obbligo di ripristino ambientale assunto in origine da Cave di Casorezzo s.r.l.

Va ora affrontata la questione relativa alla prescrizione del diritto fatto valere dal ricorrente.

Sostengono in particolare le parti resistenti che il credito fatto valere in questo giudizio sarebbe ormai estinto per prescrizione, essendo trascorsi ben più di dieci anni dalla stipula della convenzione da cui è sorto e dalla cessazione dell’attività di scavo, avvenuta nell’anno 2005.

A questo proposito il Collegio osserva che, come noto, in base all’art. 2935 cod. civ. la prescrizione inizia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere. La giurisprudenza precisa che, essendo l’eccezione di prescrizione un’eccezione in senso stretto, è onere del debitore, non solo allegare, ma anche provare il fatto che, permettendo l'esercizio del diritto, determina l'inizio della decorrenza del termine (cfr. Cassazione civile, sez. lav., 13 luglio 2009, n. 16326).

Nel caso concreto le parti resistenti non hanno fornito tale prova.

In proposito va infatti osservato che la convenzione da cui è sorto l’obbligo di rispristino ambientale stabilisce che le relative opere si sarebbero dovute eseguire contemporaneamente all’attività estrattiva, via via ultimati gli scavi riguardanti i diversi lotti in cui era articolato il polo estrattivo (ad esempio l’attività di ripristino del primo lotto si sarebbe dovuta compiere contemporaneamente all’attività di scavo del terzo lotto senza poterne eccedere la durata). Ne consegue che, contrariamente da quanto sostenuto dalle resistenti, il diritto del creditore non poteva di certo essere fatto valere dal momento della stipula della convenzione, dovendosi a tal fine attendere l’ultimazione dell’attività di scavo relativa ai vari lotti, e dovendosi comunque attendere la scadenza dell’ulteriore termine concesso al debitore per adempiere che, per gli ultimi lotti, neppure è stato fissato (essendo impossibile che per questi il ripristino avvenisse in contemporanea all’attività estrattiva compiuta su altri lotti). Le stesse parti affermano che l’attività di scavo si sarebbe conclusa nell’anno 2005, ma non forniscono la prova di tale circostanza la quale, si ripete, per gli ultimi lotti neppure è rilevante dovendosi per essi comunque provvedere al ripristino dopo la cessazione della suddetta attività.

Con un ulteriore eccezione le parti resistenti deducono che l’obbligo di rispristino ambientale scaturente dalle convenzioni stipulate da Cave di Casorezzo s.r.l. sarebbe estinto a seguito dell’autorizzazione rilasciata dalla Provincia di Milano prot. n. 219893/2017 del 20 settembre 2017, la quale avrebbe disciplinato, con valenza pubblicistica, il ripristino ambientale delle aree in questione in modo del tutto diverso da quanto previsto dalle suddette convenzioni.

A questo proposito si osserva che effettivamente la Provincia di Milano, con atto del 20 settembre 2017, ha disciplinato in modo diverso, rispetto a quanto previsto dalle convenzioni di cui è causa, il rispristino ambientale riguardante il polo estrattivo ATEg11. Si osserva anche che l’art. 15, commi 3 e 4, della legge n. 14 del 1998, sembra riservare alle province la prerogativa di decisione finale in questa materia posto che ad esse è affidato il potere di dettare le prescrizioni relative agli obblighi da far gravare sul titolare dell’autorizzazione in caso di mancato accordo con gli enti locali interessati.

La nuova volontà manifestata dalla Provincia di Milano pare quindi aver effettivamente precluso la possibilità di dare attuazione agli obblighi previsti dalla convenzione stipulata da Cave di Casorezzo s.r.l., e ciò a prescindere dal fatto che l’autorizzazione del 20 settembre 2017 sia attualmente sub iudice. Di ciò si è resa conto anche parte ricorrente che, preso atto della sopravvenuta intenzione della Provincia di dare diversa regolazione alla vicenda, con memoria depositata in data 31 ottobre 2022, ha deciso di far valere in questa sede solo l’interesse risarcitorio.

Diviene a questo punto agevole rilevare che la sopravvenuta impossibilità della prestazione contrattuale determina la conversione dell’obbligazione di adempimento in obbligazione risarcitoria, a meno che il debitore dimostri che l’impossibilità sia stata determinata da causa a lui non imputabile. Ne consegue che, nel caso di specie, anche ammettendo che l’adempimento sia divenuto impossibile a causa della diversa volontà manifestata dalla Provincia di Milano in ordine alle modalità di rispristino ambientale riguardante l’area di cui si discute, cionondimeno deve affermarsi la responsabilità risarcitoria del debitore per non aver questi tempestivamente provveduto a realizzare le opere di ripristino ambientale previste dalle convezioni stipulate nell’anno 2002. Si precisa a questo proposito che, poiché si verte in materia di responsabilità contrattuale (stante il rinvio operato dall’art. 11 della legge 241 del 1990 alle norme che disciplinano i contratti), sarebbe stato onere delle parti resistenti dimostrare la mancanza di colpa in capo a loro e alla loro dante causa Cave di Casorezzo s.r.l. per il mancato tempestivo adempimento.

Solter eccepisce ancora il difetto di legittimazione attiva del Comune di Casorezzo posto che l’art. 311 del d.lgs. n. 152 del 2006 attribuisce al Ministero dell’Ambiente la legittimazione ad esercitare le azioni giurisdizionali correlate al danno ambientale.

Anche questa eccezione non può essere accolta in quanto la norma invocata dai ricorrenti, che conferisce al Ministero la legittimazione ad agire per far valere la responsabilità extracontrattuale dell’autore del danno ambientale, non esclude la possibilità per altri soggetti di far valere in giudizio i diritti sorti a seguito della stipula di determinati contratti o convenzioni. Se si seguisse la tesi delle parti resistenti, dovrebbe ritenersi che la stipula delle convenzioni di cui all’art. 15 della legge regionale n. 14 del 1998 sia del tutto inutile per i comuni i quali non potrebbero far valere davanti al giudice l’eventuale inadempimento di controparte.

Sostengono ancora le resistenti che l’azione risarcitoria sarebbe inammissibile in quanto il Comune, una volta constatato l’inadempimento, avrebbe dovuto esercitare il potere conferitogli dall’art. 21 della legge regionale n. 14 del 1998 che stabilisce l’esecuzione d’ufficio delle opere a spese della parte inadempiente. Aggiunge Inerti che la pretesa di parte ricorrente sarebbe in contrasto con l’art. 1453, secondo comma, cod. civ. il quale impedisce la proposizione della domanda di adempimento quando sia stata chiesta la risoluzione del contratto.

Anche queste eccezioni sono infondate posto che l’art. 21 della legge regionale n. 14 del 1998 non preclude la possibilità di proporre l’azione dinanzi al giudice a tutela del diritto violato. Il rimedio previsto da tale norma ha carattere amministravo e (non esclude ma) si aggiunge a quello giurisdizionale. Del tutto fuori luogo è poi il richiamo all’art. 1453, secondo comma, cod. civ. posto (al di là di ogni altra considerazione) che in questo giustizio non è stata proposta domanda di risoluzione del contratto.

Infine, Solter invoca l’applicazione dell’art. 1227 cod. civ., sostenendo che il Comune di Casorezzo sarebbe coautore del danno da esso lamentato posto che, una volta constatato l’inadempimento, questi non avrebbe prontamente azionato i rimedi che la legge gli attribuisce.

A questo proposito si osserva quanto segue.

Come noto, l’art. 1227 cod. civ. stabilisce due ipotesi aventi l’effetto di limitare o escludere la responsabilità del debitore per il danno subito dal creditore a causa della mancata esecuzione della prestazione. La prima ipotesi, contemplata dal primo comma, si realizza quando il creditore ha concorso nella causazione dell’evento dannoso. La seconda ipotesi, prevista dal secondo comma, si realizza quando il creditore, pur non avendo concorso nella causazione dell’evento dannoso, ha in seguito tenuto un comportamento negligente che ha a sua volta provocato un aggravamento del danno. Al creditore può essere rimproverata non solo la condotta attiva colposa, ma anche la condotta omissiva relativa ad una azione che, in base al principio di buona fede, si sarebbe dovuta compiere e che, se effettivamente posta in essere, avrebbe permesso di evitare l’aggravamento.

Secondo una risalente ma condivisibile giurisprudenza, qualora il trascorrere del tempo possa determinare un incremento del danno, anche il tempestivo esercizio del proprio diritto rileva ai fini della valutazione della diligenza richiesta al creditore (cfr. Cass. civ., sez. lavoro, 26 novembre 1994, n. 10072), fermo restando che non può essere richiesto al creditore stesso l’esperimento dell’azione giudiziaria, considerata eccessivamente gravosa e, quindi, non esigibile in base al criterio di buon fede.

Ciò precisato, va rilevato che, in base a quanto risulta dagli atti, il Comune di Casorezzo sembra essersi seriamente attivato per ottenere l’adempimento delle obbligazioni stabilite dalle convenzioni stipulate nell’anno 2002 solo quando è venuto a sapere che la Provincia di Milano, constatato il prolungato grave stato di degrado ed abbandono dell’area, ha espresso l’intenzione di stabilire nuove modalità di ripristino ambientale ad esso non gradite (le nuove modalità prevedono il riempimento dello scavo con rifiuti inerti non pericolosi). Prima di questo momento l’Amministrazione, pur avendo effettuato diversi sopralluoghi che hanno accertato l’inadempimento, non risulta aver mai diffidato i soggetti obbligati ad effettuare l’intervento di ripristino.

Si deve pertanto ritenere che il Comune di Casorezzo abbia tenuto per lungo tempo un comportamento connotato da trascuratezza rilevante ai fini dell’applicazione dell’art. 1227, secondo comma, cod. civ. Di tale elemento si terrà quindi conto in sede di liquidazione del danno.

Si può a questo punto esaminare la parte centrale della domanda risarcitoria.

A questo proposito va innanzitutto osservato che non può essere accolta la domanda connessa ai costi che il Comune dovrebbe sostenere per effettuare l’intervento di rispristino secondo le modalità indicate nelle convenzioni stipulate da Cave di Casorezzo s.r.l.

Come detto infatti la Provincia di Milano (oggi Città Metropolitana di Milano) ha manifestato l’intenzione di disciplinare in maniera del tutto diversa, rispetto a quanto previsto dalle suddette convenzioni, l’intervento di ripristino riguardante il polo estrattivo ATEg11; e si è detto anche che, in ragione di ciò, sussiste allo stato l’impossibilità per il Comune di effettuare i suddetti interventi secondo le modalità previste dalle convenzioni stipulate da Cave di Casorezzo s.r.l. Tali interventi sarebbero peraltro del tutto inutili posto che la realizzazione delle diverse opere di ripristino che la Provincia ha manifestato di voler far attuare porrebbe comunque rimedio al danno in essere.

Sarebbe pertanto illogico condannare la parti resistenti a corrispondere al ricorrente, a titolo risarcitorio, una somma di danaro correlata alla mancata esecuzione di una prestazione che ormai non potrebbe comunque essere eseguita, e per un danno che sarà comunque ristorato a seguito dell’effettuazione del rispristino ambientale secondo le nuove modalità stabilite.

Per quanto riguarda il danno patito per il prolungato inadempimento che ha causato la perdurante situazione di grave degrado ambientale si osserva che parte ricorrente chiede in questa sede che vengano risarciti il danno correlato alla presenza sul suo territorio di un’area degradata, il danno esistenziale, il danno morale e quello relativo alla lesione all’immagine. In particolare, per quanto riguarda la prima voce, parte ricorrente chiede che venga corrisposta la somma di euro 200,00 per ogni giorno di inadempimento volontario; per le altre voci chiede che venga corrisposta una somma complessiva pari ad euro 150.000.

In proposito si osserva che, come risulta evidente e come rilevato dallo stesso ricorrente, tutte le summenzionate voci di danno sono correlate ad interessi non suscettibili di valutazione economica: si tratta pertanto di danni non patrimoniali.

La giurisprudenza ha chiarito che i principi elaborati in materia di danno non patrimoniale attraverso l’interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 2059 cod. civ. (norma come noto dettata in materia di responsabilità aquiliana) si applicano anche nell’ambito della responsabilità contrattuale. La ragione di questa estensione applicativa risiede nella natura degli interessi tutelati dalla succitata norma i quali, data la loro rilevanza costituzionale, non possono ricevere una minore tutela solo perché l’illecito che li colpisce si configura di tipo contrattuale; senza contare che la rilevanza, in ambito contrattuale, degli interessi non patrimoniali, viene espressamente riconosciuta dall’art. 1174 cod .civ., secondo cui la prestazione che forma oggetto dell'obbligazione deve corrispondere ad un interesse, anche non patrimoniale, del creditore. (cfr. Cassazione civile, sez. un., 11 novembre 2008, n. 26972; T.A.R. Lombardia Milano, sez. III, 11 febbraio 2010, n. 369).

Per dare soluzione alle questioni che qui rilevano occorre dunque far riferimento alle conclusioni raggiunte dalla giurisprudenza nell’ambito della responsabilità aquiliana.

In tale ambito, si è come noto affermato che il danno non patrimoniale ha carattere tipico in quanto può essere risarcito solo nei casi espressamente previsti dalla legge, oppure per fattispecie che descrivono fatti di reato, oppure quando il bene leso dalla condotta illecita abbia rilievo costituzionale (cfr. Cass. civ., sez. un., sent. n. 26972/2019 cit.). Si è altresì affermato che tale tipologia di danno è risarcibile anche in favore della persona giuridica, quando il fatto lesivo incide su una situazione giuridica che sia equivalente ai diritti fondamentali della persona umana garantiti dalla Costituzione (cfr. Cassazione civile, sez. I, 10 maggio 2017, n. 11446; id. 25 luglio 2013, n. 18082).

Ciò illustrato, va ora rilevato che l’ambiente è sicuramente un bene costituzionalmente tutelato, la cui compromissione va a detrimento del Comune, quale ente di base preposto al governo del territorio e infatti chiamato, nelle stesse scelte urbanistiche, ad assumere in considerazione gli interessi ambientali (art. 9 Cost.); ne consegue che la lesione di tale bene provocata dall’inadempimento comporta la risarcibilità anche del danno non patrimoniale.

Nel caso concreto, non è contestato che il polo estrattivo ATEg11, una volta ultimata l’attività di scavo, è stato lasciato in condizioni di grave degrado ambientale senza che siano stati effettuati gli interventi di ripristino indicati dalle convenzioni stipulate da Cave di Casorezzo s.r.l. La destinazione dell’area a discarica, sotto tale profilo, per quanto possa avere allievato il degrado (ciò di cui si terrà conto in sede di liquidazione equitativa), non può certamente essere paragonata al progetto di ripristino ambientale perseguito dal Comune, e al quale le parti resistenti si sono illecitamente sottratte. Deve quindi ritenersi provato l’inadempimento che ha a sua volta cagionato il danno consistente nell’aver dovuto subire la prolungata presenza sul territorio comunale di un’area connotata da grave degrado ambientale.

La domanda concernente il risarcimento del danno non patrimoniale riguardante la lesione di questo interesse deve essere quindi accolta.

Stesso discorso può essere svolto con riferimento al danno all’immagine subito dal Comune, anch’esso correlato ad un interesse di rango costituzionale presidiato dagli artt. 2 e 3 Cost. L’Amministrazione ricorrente ha dimostrato la lesione della sua reputazione derivante dalla diffusione della notizia screditante concernente la presenza sul suo territorio di un’area fortemente degradata, alla quale non è stata in grado di porre rimedio, così frustrando le aspettative riposte dalla collettività sull’attuazione delle convenzioni di ripristino ambientale.

Non possono invece essere accolte le domande relative al danno esistenziale e al danno morale dei quali non è stata fornita la prova della sussistenza, fermo che il primo non ha neppure autonomia rispetto alla più generale figura del danno non patrimoniale.

Per quanto riguarda l’ammontare, ritiene il Collegio che – essendo stata, come detto, provata in parte l’esistenza del danno e considerato che trattandosi di danno non patrimoniale ne risulta impossibile la quantificazione economica – possa applicarsi l’art. 1256 cod. civ. che attribuisce al giudice il potere di liquidazione equitativa.

Si ritiene pertanto equo – tenuto conto della gravità della situazione di degrado verificatasi a seguito dell’inadempimento e tenuto del concorso di colpa del Comune – condannare le parti resistenti in solido fra loro a versare al Comune di Casorezzo la somma di euro 100.000 (centomila) a titolo di risarcimento del danno, ai valori attuali e comprensiva degli interessi di mora, mentre decorreranno su tale somma gli interessi legali dalla data di pubblicazione della presente sentenza al saldo.

In conclusione, per le ragioni illustrate, il ricorso deve essere accolto nei limiti e nei sensi sopra indicati.

Le spese sono a carico delle parti resistenti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei limiti e nei sensi di cui in motivazione.

Condanna le parti resistenti in solido fra loro al rimborso delle spese di giudizio in favore del Comune di Casorezzo che liquida in euro 2.000 (duemila), oltre spese generali e accessori di legge se dovuti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 2 dicembre 2022 con l'intervento dei magistrati:

Marco Bignami, Presidente

Stefano Celeste Cozzi, Consigliere, Estensore

Roberto Lombardi, Consigliere

 
 
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Stefano Celeste Cozzi Marco Bignami
 
 
 
 
 

IL SEGRETARIO



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