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Consiglio di Stato, Sez. V, 13/8/2024 n. 7124
Sulla cedevolezza invertita tra norme statali e regionali in materia di competenze statali

La c.d. cedevolezza invertita, in base alla quale le Regioni possono intervenire e disciplinare provvisoriamente ed eccezionalmente una materia, è consentita, sì, ma solo in caso di inerzia statale e comunque allorché vengano allo stesso tempo in discussione competenze “anche della regione”, non già in caso di materia di competenza esclusiva dello Stato (principio della inerenza con una materia di competenza regionale, garantita nel caso di specie dalla materia dei trasporti pubblici regionali e locali); l’efficacia della disciplina regionale cessa nel momento in cui la normativa statale entra poi effettivamente in vigore, per cui deve essere dichiarata la cessazione della materia del contendere in relazione all’impugnazione proposta avverso la deliberazione di giunta regionale che aveva disciplinato la materia nell’inerzia statale, in caso di sopravvenuta adozione, nelle more, della normativa statale.

In motivazione, la Sezione ha ricordato che la cedevolezza invertita opera al contrario rispetto al suo normale funzionamento, quello ossia in base al quale lo Stato, onde evitare vuoti normativi nell’ordinamento giuridico e dunque allo scopo di scongiurare il pericolo di lacune normative nel sistema, disciplina ambiti riservati alla competenza regionale sino a quando le Regioni non intervengano con propri provvedimenti.

Fonte: giustizia-amministrativa.it

Materia: enti locali / ordinamento
Pubblicato il 13/08/2024

N. 07124/2024REG.PROV.COLL.

N. 05427/2022 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5427 del 2022, proposto da
Agenzia del Trasporto Pubblico Locale del Bacino della Città Metropolitana di Milano, Monza e Brianza, Lodi e Pavia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Flavio Iacovone, Bernardo Giorgio Mattarella, Francesco Sciaudone, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Regione Lombardia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Alessandra Zimmitti, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Emanuela Quici in Roma, via Antonio Bertoloni n. 35;

nei confronti

Agenzia per il Trasporto Pubblico Locale del Bacino di Bergamo, Agenzia del Tpl del Bacino di Como, Lecco e Varese, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'avvocato Alberto Pullini, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Agenzia del Trasporto Pubblico Locale del Bacino di Brescia, Agenzia del Trasporto Pubblico Locale del Bacino di Cremona e Mantova, Agenzia del Trasporto Pubblico Locale del Bacino di Sondrio, non costituiti in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Terza) n. 02789/2021, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Regione Lombardia e di Agenzia per il Trasporto Pubblico Locale del Bacino di Bergamo e di Agenzia del Tpl del Bacino di Como, Lecco e Varese;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 giugno 2024 il Cons. Massimo Santini e uditi per le parti gli avvocati Chiofalo in sostituzione dell'avv. Iacovone, Zimmitti e Pullini;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Si controverte sulla deliberazione della Giunta regionale n. X/7644 adottata nella seduta del 28 dicembre 2017, relativamente ai criteri per la determinazione di costi standard, fabbisogni di mobilità e premialità nel settore del trasporto pubblico locale autofilometrotranviario finalizzati alla ridefinizione delle quote di riparto delle risorse regionali ai sensi dell’art. 17, commi 4 e 5, della legge regionale n. 6 del 2012 e dell’art.6 della legge regionale n. 35 del 2016.

Si tratta, in particolare, della definizione dei costi standard da utilizzare per la ripartizione delle quote di contributi regionali da corrispondere in favore delle agenzie locali di trasporto pubblico.

2. La decisione regionale del 28 dicembre 2017 veniva impugnata dalla Agenzia dei trasporti locali di Milano la quale sarebbe stata svantaggiata nella ripartizione delle rispettive quote (in altre parole: sarebbero state avvantaggiate le linee locali e periferiche ad alta percorrenza a discapito delle linee urbane a bassa percorrenza).

Il TAR Lombardia: a) in parte dichiarava inammissibile il gravame in quanto la lesività effettiva e concreta si sarebbe riscontrata soltanto con i provvedimenti attuativi di tale delibera del 28 dicembre 2017, ossia con i provvedimenti di assegnazione effettiva delle rispettive risorse; b) in parte dichiarava infondato il gravame stesso sulla sola parte ritenuta lesiva e dunque ammissibile, ossia sulla scelta ex se di procedere per la definizione dei costi standard, a livello regionale, anche in assenza dei criteri statali: e ciò in quanto l’inerzia dello Stato non potrebbe ridondare in danno delle regioni.

3. La sentenza di primo grado formava oggetto di appello per i motivi di seguito indicati:

3.1. Erroneità nella parte in cui il ricorso di primo grado sarebbe stato dichiarato in gran parte inammissibile per carenza di interesse a ricorrere (la determinazione regionale impugnato non procurerebbe un effetto immediatamente lesivo nei riguardi dell’appellante Agenzia per la mobilità di Milano);

3.2. Erroneità nella parte in cui non è stato ritenuto che il decreto ministeriale del 28 marzo 2018 ha integralmente sostituito, almeno per la definizione dei costi standard, la determinazione regionale del 28 dicembre 2017. Di qui la omessa dichiarazione di cessazione della materia del contendere del ricorso di primo grado, atteso che il provvedimento originariamente gravato sarebbe stato sostituito nella parte di specifico interesse della odierna agenzia appellante (ossia: definizione costi standard dei servizi di pubblico trasporto locale e regionale);

3.3. Venivano inoltre riproposti alcuni motivi del ricorso di primo grado non altrimenti esaminati e, in particolare: a) difetto di motivazione e difetto di istruttoria nella determinazione dei costi standard e dei fabbisogni di mobilità; b) violazione della normativa eurounitaria ed interna in tema di fissazione dei costi standard nel settore dei trasporti pubblici.

4. Si costituivano in giudizio la Regione Lombardia e le Agenzie di trasporto locale in epigrafe indicate (ossia Bergamo, Como, Lecco e Varese), tutte per chiedere il rigetto del gravame mediante articolate controdeduzioni che, più avanti, saranno oggetto di più specifica trattazione.

5. Alla pubblica udienza del 13 giugno 2024, le parti rassegnavano le proprie rispettive conclusioni ed il ricorso in appello veniva infine trattenuto in decisione.

6. Tutto ciò premesso, l’appello si rivela condivisibile sulla base delle ragioni che di seguito verranno illustrate.

7. In via preliminare si rammenta che il legislatore statale (art. 1, comma 84, della legge n. 147 del 2013) ha stabilito che: “Entro il 31 marzo 2014, con decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, previa intesa in sede di Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, sono definiti, con criteri di uniformità a livello nazionale, i costi standard dei servizi di trasporto pubblico locale e regionale”.

Pertanto, i criteri di calcolo di tali “costi standard” (che sostituiscono il criterio della “spesa storica” sulla base della legge sul federalismo fiscale n. 42 del 2009) debbono essere definiti dallo Stato di intesa con le Regioni e gli enti locali (o meglio con la Conferenza Unificata) ai sensi del DL n. 147 del 2013; ciò per garantire livelli uniformi di applicazione sull’intero territorio nazionale.

Tale criterio dei costi standard è basato sull’effettivo fabbisogno di trasporti pubblici nonché sulla spesa che si dovrebbe sostenere in condizioni di piena efficienza operativa. La legge n. 42 del 2009 segna infatti il passaggio da metodi meramente quantitativi a modelli più qualitativi della spesa. In questa direzione il costo standard, il quale costituisce il nuovo modello economico di riferimento ai fini della determinazione (anche) della spesa per i pubblici trasporti, indica il costo di un determinato servizio che avvenga nelle migliori condizioni di efficienza, efficacia ed economicità, al tempo stesso garantendo i livelli essenziali delle prestazioni. In un’ottica come detto di approccio non meramente incrementale ma qualitativo della spesa, i parametri per determinare i suddetti costi standard dovranno tenere conto di molte variabili tra cui “velocità commerciale … economie di scala … tecnologie di produzione … ammodernamento del materiale rotabile e … un ragionevole margine di utile” (cfr. art. 1, comma 84, della legge n. 147 del 2013): ciò proprio allo scopo di garantire un esborso tanto necessario quanto ottimale.

Si anticipa sin da ora come si tratti di intervenire non solo e non tanto sulla materia del “trasporto pubblico locale” (di competenza regionale residuale, ai sensi dell’art. 117, quarto comma, Cost.) ma anche su quella della concorrenza, dei livelli essenziali delle prestazioni e della armonizzazione dei bilanci pubblici (criteri di applicazione delle tariffe e dei costi). Tutte materie, quelle da ultimo elencate, di competenza legislativa esclusiva statale ai sensi dell’art. 117, secondo comma, Cost. (si veda in tal senso proprio Corte Cost., 19 luglio 2022, n. 179).

Di qui la corretta “attrazione in sussidiarietà” del potere regolamentare circa la definizione dei suddetti costi standard, atteso il c.d. “intreccio o crocevia di materie” e in considerazione del rispetto del principio della leale collaborazione (intesa in Conferenza Unificata) garantito dalla predetta normativa statale di livello primario (art. 1, comma 84, della legge n. 147 del 2013).

8. Tanto ulteriormente e doverosamente premesso, il primo motivo di appello è fondato dal momento che il ricorso di primo grado era da ritenere ammissibile in considerazione del fatto che la ripartizione delle quote operata dalla Regione con DGR del 28 dicembre 2017 risultava già piuttosto definita, tra le varie agenzie locali di trasporto della Regione Lombardia, seppure in termini solo percentuali.

Si veda in tal senso proprio l’Allegato B) alla DGR n. 7644 del 28 dicembre 2017, il cui punto 4.5. reca per l’appunto “Nuove quote di riparto riequilibrate delle risorse finanziarie regionali …”.

Dunque i provvedimenti successivi, quelli ossia che fissano in concreto il quantum delle risorse da assegnare, costituiscono il risultato dalla mera applicazione di tali percentuali di riparto.

Percentuali che comunque già forniscono la misura del riparto in termini quantitativi, sebbene poi da puntualizzare in termini assoluti. In ogni caso la lamentata disparità di trattamento si era già ampiamente radicata in quel preciso momento e in quella determinata fase procedimentale (definizione costi standard e coeva determinazione percentuali di riparto tra agenzie locali).

Tra i criteri di cui al citato Allegato B (ripartizione percentuale delle risorse regionali tra le varie agenzia di trasporto locale) ed i successivi provvedimenti di assegnazione effettiva delle risorse alle singole agenzie di trasporto locale, attesi i dettagliatissimi criteri contenuti nella DGR del 28 dicembre 2017 si è dunque instaurato un rapporto di stretta e necessaria presupposizione. Più in particolare osserva il collegio che:

8.1. Come rilevato dalla difesa di parte appellante, i successivi decreti di assegnazione delle risorse alle singole agenzie di trasporto locale si sono fedelmente attenuti a criteri di riparto percentuale di cui al ridetto Allegato B. Sul punto non vi è stata alcuna contestazione da parte della difesa regionale e delle altre agenzie locali controinteressate;

8.2. Da tanto si ricava conferma circa il fatto che, come correttamente posto in evidenza dalla difesa di parte appellante: “gli Allegati A e B della DGR n. X/7644 sono strutturati in modo tale da non consentire alcuna successiva e ulteriore valutazione circa l’individuazione del metodo di riparto, che deve avvenire mediante la mera e meccanica applicazione delle percentuali di riparto stabilite nella medesima DGR, dalle quali non è consentito in alcun modo discostarsi”;

8.3. Ciò peraltro in linea con quanto previsto dal richiamato art. 17, comma 4, della legge regionale n. 6 del 2012, a norma del quale: “Il riparto delle risorse regionali … è determinato … in conformità ad apposita disciplina adottata dalla Giunta regionale”. Disciplina regionale qui chiaramente costituita dalla predetta DGR del 28 dicembre 2017;

8.4. Trova pertanto applicazione quel dato orientamento giurisprudenziale secondo cui non è necessaria l'impugnazione dell'atto finale quando sia stato già contestato quello preparatorio, e ciò nella misura in cui tra i due atti vi sia un rapporto di presupposizione/consequenzialità immediata, diretta e necessaria, nel senso che l'atto successivo si pone quale inevitabile conseguenza di quello precedente dal momento che non vi sono nuove ed autonome valutazioni di interessi (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. I, 21 maggio 2021, n. 948);

8.5. Proprio in questa direzione si può affermare che in simili ipotesi (stretta presupposizione e correlazione tra atto preparatorio ed atti finali) così come non v’è necessità di impugnare l’atto finale “a valle”, allo stesso modo non v’è ragione per non ritenere immediatamente lesivo e quindi autonomamente impugnabile l’atto adottato “a monte” ossia quello preparatorio (nel caso di specie: l’Allegato B in cui venivano specificamente indicati, seppure in termini percentuali, i criteri di riparto delle risorse regionali tra le varie agenzie locali di trasporto);

8.6. Da quanto sopra detto consegue la immediata lesività della DGR 28 dicembre 2017 e dunque l’ammissibilità dell’intero ricorso. Il primo motivo di appello deve pertanto essere accolto.

9. Nel merito, ossia con riguardo al secondo motivo di appello:

9.1. Va ulteriormente premesso che, per quanto di specifico interesse in questa sede:

a) l’art. 17, comma 2, della legge Regione Lombardia n. 6 del 2012 prevede che “la Giunta regionale … sentite le agenzie per il trasporto pubblico locale, definisce i criteri per l'individuazione dei costi standard”. Tale attribuzione di risorse finanziarie potrà essere effettuata, tra l’altro, in funzione dei fabbisogni di mobilità ma anche dei costi standard (e non dunque in base all’ormai superato criterio della spesa storica o incrementale, come sopra ampiamente detto) necessari per l’assolvimento degli obblighi di servizio pubblico di trasporto (cfr. art. 17, comma 4, della legge regionale n. 6 del 2012);

b) come già anticipato, l’art. 1, comma 84, della legge n. 147 del 2013, ha invece stabilito che: “Entro il 31 marzo 2014, con decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, previa intesa in sede di Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281D.Lgs. 28/08/1997, n. 281, 8. - Conferenza Stato-città ed autonomie locali e Conferenza unificata., sono definiti, con criteri di uniformità a livello nazionale, i costi standard dei servizi di trasporto pubblico locale e regionale”.

9.2. Tale possibile “antinomia normativa” (competenza a definire costi standard del servizio di trasporto pubblico in capo sia alla Regione Lombardia, sia in capo allo Stato di intesa con regioni ed enti locali) va risolta non tanto in base al criterio cronologico (la legge n. 147 del 2013, che prevede la competenza ministeriale di intesa con la Conferenza Unificata, è in effetti successiva rispetto alla legge regionale n. 6 del 2012, che prevede una competenza solo regionale) ma, piuttosto, in virtù dei criteri che regolano il riparto delle rispettive competenze legislative tra Stato e Regioni.

Del resto, come già anticipato al punto 7 si tratta di intervenire non solo e non tanto sulla materia del “trasporto pubblico locale” (di competenza regionale residuale, ai sensi dell’art. 117, quarto comma, Cost.) ma anche e soprattutto su quella della concorrenza, dei livelli essenziali delle prestazioni e della armonizzazione dei bilanci pubblici (criteri di applicazione delle tariffe e dei costi). Tutte materie, quelle da ultimo elencate, di competenza legislativa esclusiva statale ai sensi dell’art. 117, secondo comma, Cost.

Di qui, secondo gli insegnamenti della giurisprudenza costituzionale (cfr., tra tutte, sentenza n. 303 del 2003 della Consulta) la corretta “attrazione in sussidiarietà” del potere regolamentare, atteso il c.d. “intreccio o crocevia di materie” e in considerazione del rispetto del principio della leale collaborazione (previo raggiungimento dell’intesa normativa/regolamentare in Conferenza Unificata) garantito per mano del medesimo legislatore statale.

9.3. La difesa della Regione Lombardia e delle altre agenzie locali interessate alla conservazione del gravato provvedimento regionale fondano le proprie tesi sul fatto che il DM di cui alla legge n. 147 del 2013 (da adottare, si rammenta, previa intesa con la Conferenza Unificata) si occuperebbe di costi standard strumentali al riparto del Fondo nazionale trasporti, laddove la definizione dei costi standard di cui alla legge regionale n. 6 del 2012 (su cui si basa la DGR 28 dicembre 2017 qui gravata) riguarderebbe la ripartizione del fondo regionale trasporti.

Tuttavia di tale distinzione (costi standard per Fondo nazionale e costi standard per fondi regionali) non v’è traccia alcuna nella normativa di riferimento, atteso che il richiamato art. 1, comma 84, della legge n. 147 del 2013 si riferisce indistintamente a tutti i “costi standard dei servizi di trasporto pubblico locale e regionale”, costi da definire “con criteri di uniformità a livello nazionale” e di cui occorrerà quindi tenere conto ai fini del riparto di risorse non solo all’interno del Fondo nazionale ma anche di quelli dei singoli fondi regionali.

Trattasi in altre parole di una scelta del legislatore statale diretta a garantire un trattamento unitario sull’intero territorio nazionale, sì da evitare possibili aporie di sistema nonché discriminazioni o contraddizioni sul piano squisitamente territoriale.

Una simile scelta – giova ripetere – viene tra l’altro sorretta, sul piano del mantenimento degli equilibri istituzionali, dalla circostanza che dovrà in ogni caso essere previamente acquisita l’intesa normativa della Conferenza Unificata (intesa da intendersi in senso “forte” e non “debole”) sul regolamento che definisce i costi standard da adottare infine con DM.

Concludendo sul punto, il regolamento di cui alla legge n. 147 del 2013 riguarda la fissazione dei costi standard da utilizzare per la ripartizione sia del fondo nazionale, sia dei singoli fondi regionali.

9.4. Ebbene, tale regolamento doveva essere adottato entro il 31 marzo 2014 ma è stato di fatto approvato soltanto il 28 marzo 2018. Dunque nel frattempo le regioni sono rimaste prive di indicazioni ministeriali. Di qui la decisione della Regione Lombardia di definire autonomamente i criteri di definizione di tali costi standard con propria DGR del 28 dicembre 2017.

Si condivide, in tal senso, l’approccio secondo cui le Regioni non potrebbero rimanere “a tempo indeterminato” in attesa dell’intervento statale (e tanto per fondamentali ragioni di continuità dell’ordinamento e di efficacia dell’azione amministrativa) ma è anche vero che, una volta che tale intervento statale si è finalmente spiegato, allora le regole regionali medio tempore adottate debbono “cedere” dinanzi alla disciplina statale successivamente intervenuta.

9.5. Ciò anche in considerazione del fatto che termini quali quelli indicati nella citata disposizione di cui all’art. 1, comma 84, della legge n. 147 del 2013 (31 marzo 2014, nello specifico), hanno comunque natura ordinatoria e non perentoria, a differenza dei termini indicati nelle leggi di delegazione legislativa.

In altre parole, l’eventuale infruttuosa scadenza di un termine ben preciso (pur previsto dalla norma primaria) non comporta, in ogni caso, la consumazione del potere regolamentare in capo all’organo titolare di una siffatta competenza (cfr. Cons. Stato, comm. spec., 15 aprile 2016, n. 432; Cons. Stato, atti norm., 23 ottobre 2014, n.1989; Cons. Stato, ad. gen., 11 aprile 1996, n. 70).

9.6. Pertanto, pur in presenza di una normativa regionale che abbia eccezionalmente e provvisoriamente occupato il “campo normativo” (di livello regolamentare) riservato allo Stato in collaborazione con regioni ed enti locali, non si può poi pretendere che tale “occupazione” si mantenga inalterata allorché lo Stato, che non perde come detto la titolarità del potere regolamentare assegnatogli dalla normativa primaria, riesca poi finalmente ad intervenire in siffatte materie.

In queste ipotesi (esercizio pur tardivo della potestà regolamentare statale) le regioni debbono in un certo senso “arretrare”, non potendo di certo costringere lo Stato (oppure altri enti a ciò interessati, proprio come nel caso di specie) ad esercitare simili “azioni di rilascio del campo normativo”. Nessuno spazio, dunque, per l’invocata ultrattività delle determinazioni regionali qui oggetto di specifico gravame.

9.7. In altre parole si introduce, per tale via, una sorta di “cedevolezza invertita” (pure ammessa dalla Corte costituzionale nelle sentenze n. 1 del 2019 e n. 222 del 2020) in base alla quale, ove si intreccino anche competenze regionali (qui rinvenibili nel trasporto pubblico locale), le Regioni possono sì intervenire e disciplinare provvisoriamente ed eccezionalmente la materia, in caso di inerzia statale, ma soltanto sino alla adozione dei prescritti atti generali ministeriali (comunque approvati di intesa con le regioni e gli enti locali).

Al riguardo è stato infatti affermato che, con la "cedevolezza invertita" … l'intervento che il legislatore regionale può anticipare nell'inerzia del legislatore statale attiene pur sempre (e soltanto) a materie di competenza concorrente della Regione. Ed invero la sentenza n. 398 del 2006 - dalla quale la resistente ritiene di evincere un tale (inespresso) speculare principio di cedevolezza - afferma bensì «[l]a legittimità dell'intervento legislativo di una Regione in funzione [immediatamente] attuativa di una direttiva comunitaria», ma contestualmente precisa che tale intervento dipende «dalla sua inerenza ad una materia attribuita alla potestà legislativa regionale»” (Corte cost. 9 gennaio 2019, n. 1). Si veda altresì la sentenza della Corte costituzionale n. 222 del 23 ottobre 2020, nella parte in cui si afferma che un simile potere sussidiario regionale non sarebbe possibile, neppure in caso di inerzia statale conclamata, in sole materie di competenza esclusiva dello Stato (in quel caso veniva in gioco la sola “tutela della concorrenza”).

Pertanto, in estrema sintesi la c.d. “cedevolezza invertita” è consentita, sì, ma solo in caso di inerzia statale e comunque allorché vengano allo stesso tempo in discussione competenze “anche della regione” (principio della inerenza con una materia di competenza regionale, inerenza qui garantita dalla materia dei trasporti pubblici regionali e locali che, al netto dei profili sopra considerati di concorrenza ed armonizzazione dei criteri di bilancio, comunque spetta alla competenza residuale regionale ai sensi dell’art. 117, quarto comma, Cost.).

Una cedevolezza che, in altre parole, opera al contrario rispetto al suo normale funzionamento, quello ossia in base al quale lo Stato, onde evitare vuoti normativi nell’ordinamento giuridico e dunque allo scopo di scongiurare il pericolo di lacune normative nel sistema (lacune date dalla lentezza più o meno generalizzata e, in alcuni casi, da un vero e proprio immobilismo), disciplina ambiti riservati alla competenza regionale sino a quando le Regioni non interverranno con propri provvedimenti.

In questa evenienza il vuoto normativo/regolamentare è invece provocato dallo Stato ed è la regione, in forza di competenze almeno in parte anche ad essa attribuite (id est: trasporti pubblici locali e regionali), che può decidere di intervenire in via suppletiva per il tempo strettamente necessario alla adozione della normativa statale di riferimento.

9.8. Anche sulla base di una lettura costituzionalmente orientata della normativa regionale sopra indicata (in particolare: art. 17 della legge regionale n. 6 del 2012) può dunque ritenersi che: a) i costi standard debbono di regola essere definiti dallo Stato di intesa con regioni ed enti locali (Conferenza Unificata); b) allorché i criteri statali tardino ad intervenire la regione (ove a tanto autorizzata con propria legge) potrebbe supplire in via eccezionale e temporanea, ossia fino a quanto lo Stato eserciterà effettivamente tale competenza sui costi standard; c) nel momento in cui tale normativa statale entra poi effettivamente in vigore, la normativa regionale cedevole cede il passo a quella statale.

9.9. Ne deriva ulteriormente che nella specie, pur dopo avere ritenuto ammissibile il gravame, andava comunque dichiarata la cessazione della materia del contendere in quanto, dopo la proposizione del ricorso avverso la DGR del 28 dicembre 2017, è stato adottato il decreto ministeriale di intesa con la Conferenza Unificata, in data 28 marzo 2018, che ha tra l’altro sostituito, per le ragioni sopra indicate, la precedente disciplina regionale del 28 dicembre 2017 in tema di definizione di costi standard. Normativa regionale che dunque si rivela inidonea ad esplicare ulteriore efficacia in tale specifico ambito applicativo (definizione costi standard per i trasporti pubblici regionali e locali). Come correttamente evidenziato dalla difesa di parte appellante (pag. 15 della memoria in data 23 maggio 2024): “l’approvazione del DM MIT 28.03.2018 determina il venir meno dell’efficacia della DGR n. X/7644 – per la parte relativa all’individuazione dei costi standard –, la quale deve ritenersi abbia esaurito la propria funzione suppletiva. Per tale motivo, anche d’ufficio (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 22 febbraio 2013, n. 1094; Cass., Sez. II, 5 maggio 2014, n. 9625), il TAR avrebbe dovuto limitarsi a prendere atto della cessazione della materia del contendere a seguito dell’emanazione del DM MIT 28.03.2018”.

9.10. Entro questi stessi termini, il secondo motivo di appello deve dunque trovare accoglimento.

10. Va da sé che gli altri motivi riproposti in questa specifica sede (difetto di motivazione e di istruttoria nonché irragionevolezza) non potrebbero essere affrontati in quanto riguardano aspetti che debbono essere di nuovo affrontati dalla PA (cfr. art. 34, comma 5, c.p.a.) e comunque vizi sollevati in relazione ad un atto regionale che, per le ragioni sopra partitamente indicate, ha ormai perso la propria efficacia in quanto successivamente superato dalla predetta normativa statale concordata con il sistema regionale e quello degli enti locali.

11. In conclusione il ricorso in appello è fondato e deve essere accolto. Di conseguenza, quanto al ricorso di primo grado, da ritenere comunque ammissibile per le ragioni sopra indicate, va dichiarata la cessazione della materia del contendere visto che la normativa regionale del 28 dicembre 2017, per quanto attiene alla definizione dei costi standard, è poi stata superata, ipso iure, dalla successiva normativa regolamentare statale (DM adottato di intesa con la Conferenza Unificata) del 28 marzo 2018.

12. La complessità delle questioni esaminate induce infine il collegio a compensare integralmente, tra tutte le parti costituite, le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, in riforma della gravata sentenza, dichiara la cessazione della materia del contendere del ricorso di primo grado.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 giugno 2024 con l'intervento dei magistrati:

Francesco Caringella, Presidente

Stefano Fantini, Consigliere

Alberto Urso, Consigliere

Marina Perrelli, Consigliere

Massimo Santini, Consigliere, Estensore

 
 
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Massimo Santini Francesco Caringella
 
 
 
 
 

IL SEGRETARIO


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