Pubblicato il 05/08/2024
N. 00612/2024REG.PROV.COLL.
N. 00247/2022 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA REGIONE SICILIANA
Sezione giurisdizionale
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello numero di registro generale 247 del 2022, proposto da Isab s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Luigi Cocchi e Gerolamo Taccogna, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia;
contro
Autorità di sistema portuale del Mare della Sicilia Orientale (già Autorità portuale di Augusta), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Distrettuale, domiciliataria ex lege in Palermo, via Valerio Villareale, 6;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, Sezione staccata di Catania (Sezione quarta), n. 92/2022, resa tra le parti.
Visto il ricorso in appello;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Autorità di sistema portuale del Mar della Sicilia Orientale;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del 15 maggio 2024 il Cons. Anna Bottiglieri e uditi per le parti gli avvocati come da verbale;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.
FATTO
Isab s.r.l., titolare di una raffineria costiera nei comuni di Priolo Gargallo, Melilli e Siracusa e concessionaria di beni demaniali marittimi nella circoscrizione dell’Autorità di sistema portuale del Mare della Sicilia Orientale, impugnava avanti il Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, Sezione staccata di Catania, le note nn. 294, 295 e 296 e 297 del 24 febbraio 2016, con cui l’Autorità ha determinato i canoni concessori per l’anno 2016.
La società lamentava:
- che alcuni beni da lei realizzati, incamerati dall’Amministrazione nel 2015 e concessi in godimento alla società (pontili; passerelle; briccole; una piattaforma a mare), erano stati qualificati come pertinenze demaniali marittime e non come aree scoperte, assoggettate a una tariffa più bassa;
- che altri beni pure realizzati dalla società ma non incamerati (fasci tubieri), erano stati assoggettati alla tariffa prevista per l’area di sedime delle pertinenze e degli impianti di difficile rimozione, e non a quella, minore, prevista per l’area di sedime degli impianti di facile rimozione;
- che per tutte le predette opere era stata applicata l’ulteriore tariffa per la c.d. “volumetria eccedente”, fondata sull’erronea considerazione della quota superiore dei manufatti rispetto al “pelo del mare”.
Con la sentenza in epigrafe l’adito Tar, respinta l’eccezione di carenza di giurisdizione del giudice amministrativo in favore del giudice ordinario spiegata dalla resistente Autorità, respingeva il ricorso; compensava tra le parti le spese del giudizio.
La società ha proposto appello. Ha dedotto: violazione del decreto del Ministro della marina mercantile di concerto con il Ministro delle finanze 19 luglio 1989 e del d.-l. 400/1993; violazione della circolare 22 dicembre 2014, n. 167, del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti - Dipartimento per i trasporti, la navigazione, gli affari generali ed il personale, Direzione generale per la vigilanza sulle autorità portuali, le infrastrutture portuali e il trasporto marittimo e per vie d’acqua interne, Divisione 4°. Ha concluso per la riforma della sentenza gravata, l’accoglimento del ricorso di primo grado, l’annullamento degli atti impugnati.
L’Autorità portuale si è costituita in resistenza concludendo per la reiezione dell’appello, di cui ha sostenuto l’infondatezza.
La società ha affidato a memoria lo sviluppo delle proprie tesi difensive.
La causa è stata trattenuta in decisione alla pubblica udienza del 15 maggio 2024.
DIRITTO
1. La società appellante premette, in linea generale, che il decreto 19 luglio 1989 del Ministro della marina mercantile di concerto con il Ministro delle finanze, Nuovi criteri per la determinazione dei canoni per le concessioni demaniali marittime: individua per le concessioni con finalità diverse da quelle turistico-ricreative, quali quelle di specie, varie tipologie di beni, cui corrispondono diverse misure unitarie del canone della relativa area di sedime (aree scoperte; aree occupate con impianti di facile rimozione; aree occupate con impianti di difficile rimozione; aree costituenti sedime delle pertinenze), in senso crescente e per metro quadrato oggetto di occupazione; prevede per alcuni dei predetti beni un’ulteriore voce di canone, ragguagliata alla c.d. “volumetria eccedente” e quindi calcolata in metri cubi, per cui fissa un tetto massimo.
Soggiunge la società che in questo contesto regolatorio la giusta qualificazione tipologica dei beni demaniali concessi costituisce il presupposto della corretta applicazione delle corrispondenti tariffe, e sostiene che nella fattispecie l’Autorità di sistema portuale del Mare della Sicilia Orientale abbia male qualificato i beni di cui in fatto, da cui l’erroneità della determinazione del canone concessorio.
2. Innanzitutto, per la società, i pontili, le briccole e la piattaforma a mare, contrariamente a quanto ritenuto prima dall’Autorità e poi dal Tar, non costituirebbero pertinenze bensì aree scoperte.
2.1. La tesi è priva di pregio.
Il Tar ha escluso che le opere in parola possano considerarsi aree scoperte demaniali rilevando che dette opere:
a) occupano l’area demaniale con carattere di stabilità, costituendo manufatti attrezzati strumentali allo svolgimento dell’attività produttiva della società;
b) figurano come pertinenze nelle quattro concessioni demaniali (nn. 40 e 42 del 2014 e 23 e 24 del 2015) in forza delle quali esse sono detenute dalla società e a cui si riferiscono i gravati provvedimenti di determinazioni dei canoni.
Si tratta di considerazioni che resistono alle contrarie argomentazioni svolte nell’atto di appello.
Non può infatti convenirsi con l’affermazione della società circa l’irrilevanza della qualificazione delle opere in parola contenuta nei predetti atti concessori, dal momento che essa qualificazione è correlata all’avvenuto incameramento alla mano pubblica delle opere stesse, a suo tempo realizzate dalla società, ciò che fa escludere, in radice, la loro equiparabilità alle aree scoperte (e, segnatamente ai moli e piazzali portuali di origine artificiale, assoggettati alla minore tariffa prevista per le aree scoperte), per le quali l’incameramento non avrebbe ragione d’essere.
Quanto alla effettiva natura delle opere in parola, che la società chiede di verificare, rileva il capo di sentenza con cui il Tar ha illustrato che esse sono costituite da: una passerella in cemento armato di 1.864,58 mq, che consente il collegamento tra la seconda presa d’acqua di mare e la piattaforma di ormeggio per petroliere fino a trentamila tonnellate; una piattaforma a mare di 340,17 mq per l’ormeggio di petroliere; un “primo pontile oleodotto”, che occupa una porzione di sedime a terra e una porzione su specchio d’acqua; un “secondo pontile oleodotto” per una porzione a terra e per una porzione su specchio d’acqua.
Alla luce di tale descrizione, non confutata, deve concludersi che si tratta di manufatti cui si attaglia perfettamente la qualificazione di pertinenze demaniali marittime, del resto, come detto, testimoniata dalla loro avvenuta acquisizione alla mano pubblica, che la presuppone, e che non può essere fondatamente contestata solo perché, come rimarca la società, non si tratta di “aree coperte”: infatti tale caratteristica, da sola, anche considerato che si verte nell’ambito di concessioni demaniali marittime non destinate ad attività turistico-ricreative, non fa venire meno l’evidente maggior potenzialità reddituale loro connessa, elemento, che, come riconosce la stessa società, costituisce la ratio della previsione del maggior canone nella specie applicato.
3. Accertato, come sopra, la corretta l’applicazione all’area di sedime delle opere di cui sopra del canone previsto per le aree di sedime delle pertinenze, non è fondata l’ulteriore censura con cui la società sostiene l’erronea applicazione, per le stesse aree, della maggiorazione prevista per la c.d. “volumetria eccedente” dal d. m. 19 luglio 1989.
3.1. In particolare, bene ha fatto il Tar a respingere la censura osservando che il calcolo della volumetria di tali opere era stata desunta dalle consistenze volumetriche autocertificate dalla stessa società.
L’argomentazione va infatti qui confermata, dal momento che se è vero, come osserva la società, che le c.d. “autocertificazioni” costituiscono dichiarazioni di scienza e non operazioni di giudizio, è altresì vero che nella specie non vi sono elementi per ritenere la loro pure ammessa emendabilità, evenienza che la stessa società correla alla commissione di un errore da parte del soggetto dichiarante, evenienza qui asserita ma non comprovata, e che è comunque da escludere.
La società sostiene invero l’erroneità del criterio applicato per il calcolo della volumetria delle opere di che trattasi, che si è fondato sulla quota superiore dei manufatti rispetto al “pelo del mare”, ma tale criterio (di cui peraltro la stessa società ha evidentemente tenuto conto in sede di autocertificazione) è proprio quello indicato per le pertinenze, fatti i debiti mutamenti derivanti dall’essere le opere in argomento realizzate anche su porzioni di specchi d’acqua, dall’art. 2 del d.m. 19 luglio 1989, che, ai fini della qui contestata maggiorazione, impone di tenere conto di “ogni metro cubo del volume dello stesso per la parte posta a quota superiore o inferiore ai metri 2,7 rispetto al piano di campagna, fino al raggiungimento della misura massima corrispondente a L. 20.000 per ogni metro quadrato della superficie sulla quale insiste l’impianto”, volume che viene così individuato in considerazione esclusiva della sua quota, e non anche della finitezza degli altri parametri dimensionali.
Deve solo aggiungersi che le norme del predetto d.m. non sono stata fatte qui oggetto di contestazione.
4. E’ invece parzialmente fondata la censura che contesta la misura del canone relativo ai “fasci tubieri”, opere poste ai lati esterni dei pontili e non incamerati, che l’Autorità ha ritenuto impianti di difficile rimozione, per l’effetto assoggettandoli alla relativa tariffa.
4.1. Segnatamente, il capo di sentenza con cui il Tar ha respinto la tesi della società volta a qualificare l’opera come un impianto di facile rimozione, rilevando che la stessa società l’aveva qualificata come di difficile rimozione in sede di autocertificazione, non merita conferma.
Emerge infatti dalla descrizione delle predette opere contenuta nell’atto di appello che si tratta di tubazioni “staffate sul lato dei pontili, alla quota del piano di calpestio di questi”, sicchè la loro asportazione non risulta richiedere un’attività a carattere demolitorio, ciò che per la giurisprudenza di questo Consiglio costituisce elemento discriminante tra le opere di facile e difficile demolizione (da ultimo, C.G.A.R.S., Sez. giur., 24 aprile 2024, n. 324), né può valere, in contrario, come ritenuto dal Tar, quanto autodichiarato dalla società, stante il principio della emendabilità delle autodichiarazioni concretanti dichiarazioni di scienza (e non di volontà), risultanti oggettivamente erronee.
4.2. E’ invece da respingere l’ulteriore doglianza circa l’erroneità dell’applicazione della tariffa per la “volumetria eccedente” anche per le opere di che trattasi, che la società contesta in quanto sotto dette tubazioni, collocate alla quota corrispondente a quella del pontile (+ 2,7 m. sul livello del mare), non vi è nulla.
Sul punto, rileva infatti l’art. 1 del d.m. 19 luglio 1989 (atto generale che, come detto, non forma qui oggetto di contestazione) che, ai fini dell’applicazione della maggiorazione in parola, considera, sia per le opere di facile rimozione che per le opere di difficile rimozione, la volumetria corrispondente alla parte degli impianti che si estende “a quota superiore o inferiore ai metri 2,7, rispetto al piano di campagna”, id est rispetto al “pelo del mare”.
Vale, al riguardo, quanto già considerato al precedente capo 3.1. in ordine al criterio che, per il ridetto decreto, individua la “volumetria eccedente” soggetta a maggiorazione.
5. In definitiva, l’appello va parzialmente accolto, con riforma della sentenza gravata e annullamento dei provvedimenti impugnati limitatamente alla qualificazione dei “fasci tubieri” come opere di difficile rimozione anzichè di facile rimozione, e alla conseguente erronea individuazione, per essi, dei canoni concessori per l’anno 2016.
L’esito della controversia giustifica la compensazione tra le parti delle spese del doppio grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando sull’appello di cui in epigrafe, lo accoglie parzialmente, nei sensi e nei limiti di cui in motivazione, e, per l’effetto, riforma parzialmente la sentenza gravata, annullando, negli stessi limiti, i provvedimenti gravati in primo grado.
Stante l’esito della controversia, compensa tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del 15 maggio 2024 con l’intervento dei magistrati:
Ermanno de Francisco, Presidente
Michele Pizzi, Consigliere
Anna Bottiglieri, Consigliere, Estensore
Antonino Caleca, Consigliere
Paola La Ganga, Consigliere
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L'ESTENSORE |
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IL PRESIDENTE |
Anna Bottiglieri |
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Ermanno de Francisco |
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IL SEGRETARIO
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