Pubblicato il 18/11/2024
N. 20403/2024 REG.PROV.COLL.
N. 05471/2024 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5471 del 2024, proposto da F.B., rappresentato e difeso dall'avvocato Claudio Bargellini, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Ministero della Giustizia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per l'annullamento,
previa adozione di idonea misura cautelare,
del provvedimento prot. m_dg.DOG07.19/04/2024.0017054.U del Ministero della Giustizia - Dipartimento per la transizione digitale della giustizia, l'analisi statistica e le politiche di coesione – Direzione Generale per i Sistemi Informativi Automatizzati, in data 19 aprile 2024, con cui:
- è stata rigettata l'istanza di accesso alle sentenze civili tramite CNS, in modalità di cooperazione applicativa (interoperabilità con Advanced Program Interface), secondo le modalità previste dal dismesso Archivio Giurisprudenziale Nazionale, con accesso consentito nella forma della “comunicazione” non anonimizzata di dati personali tramite accesso con CNS, agli operatori di giustizia iscritti al REGINDE (tra cui gli avvocati), con le stesse modalità fino ad oggi consentite per quasi dieci anni
- è stata rigettata l'istanza di accesso ai provvedimenti, decreti, determine e delibere con i quali è stata disposta la disattivazione dei web services dell'Archivio Giurisprudenziale Nazionale, deprecandone le relative funzioni, agli atti di affidamento del servizio di sviluppo software inerenti la nuova banca dati e ai procedimenti assunti per la costituzione della Banca Dati Nazionale di Merito, nell'ambito dell'attuazione delle misure del PNRR, inclusa la nomina del RUP;
nonché per l'accertamento e la declaratoria
del diritto di accesso informatico alle sentenze di merito e mediante estrazione in copia e, previo annullamento del provvedimento di diniego d'accesso, l'emanazione dell'ordine di esibizione ex art. 116, comma 4, c.p.a. di tutta la documentazione richiesta, con riserva di formulare all'esito motivi aggiunti.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Giustizia;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 17 luglio 2024 la dott.ssa Francesca Petrucciani e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con il ricorso in epigrafe è stato impugnato il provvedimento con cui il Ministero della Giustizia ha respinto l'istanza di accesso alle sentenze civili secondo le modalità previste dal dismesso Archivio Giurisprudenziale Nazionale, in favore degli operatori di giustizia iscritti al REGINDE (tra cui gli avvocati), con le stesse modalità prima consentite, e agli atti di affidamento del servizio di sviluppo software inerenti la nuova banca dati nazionale di merito, chiedendo altresì l'accertamento del diritto di accesso informatico alle sentenze di merito.
Il ricorrente, avvocato che svolge attività di assistenza e consulenza legale a favore di soggetti privati e pubbliche amministrazioni, ha dedotto che, in ragione delle attività espletate, aveva la necessità di mantenersi aggiornato sulla giurisprudenza di merito (giudici ordinari di tribunale e corti d’appello) nelle materie di interesse e, a tale scopo, aveva fatto sviluppare anche applicativi software per facilitare l’interrogazione dell’Archivio Giurisprudenziale Nazionale, in modalità di cooperazione applicativa (web services); in data 1° dicembre 2023 era stata pubblicata sul sito istituzionale del Portale dei Servizi Telematici del Ministero della Giustizia la comunicazione per le software house relativa all’Archivio Giurisprudenziale Nazionale in cui si leggeva che “a partire dal giorno 01/12/2023 saranno deprecati i web services per l’accesso in consultazione all’Archivio Giurisprudenziale Nazionale (AGN) descritti nel paragrafo 3.3 della documentazione dei servizi web, a seguito della prossima disponibilità della nuova banca dati di merito pubblica (BDP)”; la comunicazione non preannunciava una cancellazione delle possibilità di accesso all’Archivio Giurisprudenziale Nazionale tramite CNS, bensì comunicava che i web services per l’accesso alla consultazione sarebbero stati “deprecati” – ovvero eliminati per il passaggio a nuovi servizi con programmi più aggiornati - a seguito della successiva messa a disposizione della nuova banca dati aperta al pubblico predisposta dal Ministero.
Il ricorrente aveva più volte provato ad accedere all’Archivio Giurisprudenziale Nazionale, senza riuscirvi, e aveva inoltrato numerose richieste di informazioni all’indirizzo info-pct@giustizia.it rimaste prive di riscontro; nessun provvedimento era stato pubblicato o reso noto dal Ministero in ordine alla dismissione dell’Archivio Giurisprudenziale Nazionale.
Pertanto, con “Istanza – Diffida” notificata il 29 marzo 2024 il ricorrente aveva chiesto il ripristino dei Web Services al fine di avere accesso alle sentenze tramite CNS, in modalità di cooperazione applicativa (interoperabilità con Advanced Program Interface), secondo le modalità previste dal dismesso Archivio Giurisprudenziale Nazionale, con accesso consentito nella forma della “comunicazione” non anonimizzata di dati personali tramite accesso con CNS, agli operatori di giustizia iscritti al REGINDE (tra cui gli avvocati), con le stesse modalità precedentemente consentite.
Il ricorrente ha chiesto altresì l’accesso agli atti ai sensi della l. 241 del 1990, sulla base dell’interesse giuridicamente rilevante per difendere in giudizio i propri diritti ed interessi, relativamente ai provvedimenti con i quali è stata disposta la disattivazione dei web services dell’Archivio Giurisprudenziale Nazionale, deprecandone le relative funzioni, e agli atti di affidamento del servizio di sviluppo software, con relativi capitolati speciali e tecnici, relativamente al PCT ed ai web services, assunti negli ultimi tre anni dal Ministero nei confronti di società private, software house o altri soggetti e professionisti che sono intervenuti sulla piattaforma del Processo Civile Telematico, nonché ai procedimenti assunti per la costituzione della Banca Dati Nazionale di Merito, nell’ambito dell’attuazione delle misure del PNRR, ivi compreso l’atto di nomina del relativo Responsabile del Procedimento o Progetto, ai sensi del d.lgs. n. 50 del 2016 o del d.lgs. n. 36 del 2023 (Codice dei contratti pubblici).
Con il provvedimento impugnato il Ministero della Giustizia ha respinto l’istanza, rilevando che la nuova Banca Dati Nazionale di Merito pubblica (BDP) sarebbe pienamente conforme alla vigente normativa in materia di riservatezza, e idonea ad assicurare “livelli assoluti di riservatezza ... garantendo al contempo la piena leggibilità del documento”; l’attività di anonimizzazione si sarebbe tradotta “nella pseudonimizzazione dei dati sensibili e dei valori numerici maggiori di sette”.
A sostegno del ricorso sono state formulate le seguenti censure:
1.violazione e falsa applicazione degli artt. 51 e 52 del d.lgs. n. 196/2003. Violazione e falsa applicazione degli artt. 4 e 25del GDPR. Carenza assoluta di potere. Sviamento di potere. Eccesso di potere per difetto di competenza e carenza di motivazione.
Il Ministero avrebbe disposto l’anonimizzazione/pseudonimizzazione di tutti i provvedimenti giurisdizionali pubblicati, e non solo di quelli per i quali tale procedimento è espressamente previsto dall’art. 52 del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, ritenendo che non esisterebbe un obbligo dell’Amministrazione di procedere all’ostensione dei dati sensibili delle sentenze; di contro, le sentenze avrebbero dovuto essere rese accessibili, secondo quanto disposto dalla normativa sulla privacy, integralmente, dovendo essere rese anonime solo nei casi espressamente previsti dalla legge; inoltre, l’unico soggetto competente ad intervenire sull’anonimizzazione dei dati sarebbe l’Autorità giudiziaria che ha emesso la sentenza stessa.
2. violazione e falsa applicazione degli artt. 51 e 52 del d.lgs. n. 196/2003. Violazione e falsa applicazione degli art. 24, 97,101 e 111 della Costituzione. Violazione dell’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali”, approvata a Roma il 4 novembre 1950. Violazione e falsa applicazione dell’art. 56 del d.lgs. n. 82/2005 recante “Codice dell’amministrazione digitale”. Violazione e falsa applicazione dell’art. 1 della l. n. 241/1990. Violazione e falsa applicazione dell’art. 118 disp. att. c.p.c.. Violazione e falsa applicazione delle Linee guida del Garante per la protezione dei dati personali del 2.12.2010. Sviamento di potere. Eccesso di potere per difetto di istruttoria e carenza di motivazione. Irrazionalità e illogicità manifeste.
Il legislatore aveva individuato specifici interessi di riservatezza meritevoli di puntuale tutela, lasciando poi ai singoli interessati la possibilità di richiedere all’Autorità Giudiziaria l’anonimizzazione dei provvedimenti giudiziari per “motivi legittimi” anche al di fuori delle specifiche fattispecie tutelate.
L’anonimizzazione generalizzata disposta dal Ministero non sarebbe sorretta da alcuna specifica motivazione; l’oscuramento anche dei precedenti giurisprudenziali citati renderebbe difficoltose le ricerche e poco usufruibile la banca dati per i professionisti.
3. Ulteriore violazione e falsa applicazione degli artt. 2-ter, 51 e 52 del d.lgs. n. 196/2003. Ulteriore violazione e falsa applicazione degli artt. 24, 97, 101 e 111 della Costituzione. Violazione e falsa applicazione dell’art. 56 del Codice dell’amministrazione digitale, istituito con il decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82. Violazione delle Linee guida del Garante del 2 dicembre 2010. Sviamento. Eccesso di potere per falso presupposto in fatto e in diritto. Illogicità e irrazionalità manifeste.
Ad oggi non era consentito agli operatori del diritto iscritti al REGINDE (tra cui gli avvocati) accedere tramite Carta Nazionale dei Servizi (CNS) all’Archivio Giurisprudenziale, essendo gli stessi costretti ad accedere alla Banca Dati Nazionale di Merito, destinata tuttavia alla collettività indifferenziata e, quindi, a soddisfare altre finalità.
Sarebbe illegittima per contrasto con il principio del giusto processo e gli altri principi costituzionali sopra richiamati l’equiparazione degli avvocati agli altri cittadini, in quanto gli avvocati esercitano una funzione costituzionalmente tutelata.
4. Violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 12 e 53 del d.lgs. n. 82/2005 recante “Codice dell’amministrazione digitale”. Ulteriore violazione degli artt. 24, 97, 101, 111 della Costituzione. Violazione e falsa applicazione delle Linee guida del Garante per la protezione dei dati personali del 2.12.2010. Eccesso di potere per carenza di istruttoria e difetto di motivazione.
Il ripristino dell’interoperabilità dell’Archivio Giurisprudenziale Nazionale, nonché la riattivazione dei web services agli operatori del diritto iscritti nel REGINDE, tra cui gli avvocati, non si porrebbero in contrasto con l’attivazione della Banca dati nazionale di merito, la cui realizzazione costituisce un obiettivo del PNRR, trattandosi di destinatari diversi: operatori del diritto in un caso e cittadinanza indifferenziata nell’altro.
Si è costituito il Ministero della Giustizia eccependo l’inammissibilità del ricorso e chiedendone, nel merito, il rigetto.
Alla camera di consiglio del 17 luglio 2024 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
Può prescindersi dall’esame dell’eccezione di inammissibilità del ricorso, formulata dall’Amministrazione con riferimento alla disciplina del diritto d’autore che si applicherebbe anche alle banche dati predisposte dal Ministero della Giustizia, essendo il ricorso infondato.
Deve premettersi, al riguardo, che non è oggetto di controversia l’accessibilità da parte degli avvocati, così come per tutti gli utenti, delle sentenze di merito, dal momento che nella stessa istanza di accesso del 29 marzo 2024, respinta con il provvedimento in questa sede impugnato, il ricorrente ha precisato che per effetto delle modifiche apportate dal Ministero della Giustizia ai propri servizi non era più possibile agli operatori del diritto iscritti al REGINDE accedere tramite la Carta nazionale dei servizi (CNS) all’Archivio giurisprudenziale, essendo gli stessi costretti ad accedere alla nuova Banca dati nazionale di merito, destinata alla collettività indifferenziata; l’istanza aveva, quindi, ad oggetto il “ripristino ai Web Services tale da garantire l’accesso alle sentenze tramite CNS”, poiché per effetto delle modifiche intervenute non era più garantita la cooperazione applicativa precedentemente assicurata dal sistema agli iscritti al REGINDE, tra cui gli avvocati; inoltre, le sentenze rese accessibili sarebbero anonimizzate in modo illogico, essendo stati oscurati non solo i nomi delle parti ma anche le date e i riferimenti giurisprudenziali, di modo che risulterebbe impossibile risalire ai precedenti, con lesione del diritto di difesa.
Ciò premesso, il ricorrente nella propria diffida ha chiesto il ripristino dell’accesso ai Web Services del Ministero della Giustizia con le modalità precedentemente consentite, oltre che l’accesso ai provvedimenti, decreti, determine e delibere con i quali è stata disposta la disattivazione dei web Services dell'Archivio Giurisprudenziale Nazionale, e agli atti di affidamento del servizio di sviluppo software inerenti la nuova banca dati.
Nel respingere l’istanza, il Ministero della Giustizia ha evidenziato che “le attività tecniche sottese alla Banca Dati Nazionale di Merito pubblica risultano pienamente conformi alle modifiche introdotte nella normativa primaria nazionale dal Regolamento Generale sulla protezione dei dati (GDPR) - regolamento (UE) n. 2016/679, adottato il 27.4.2016 e pubblicato sulla Gazzetta ufficiale dell'Unione europea il 4.5.2016.
2.2. La banca dati di merito pubblica realizzata da questa Direzione è un repository contenente tutti i provvedimenti civili (sentenze, decreti e ordinanze), pubblicati digitalmente a partire dal 1.1.2016 e fino all’attualità nei Tribunali e nelle Corti d’appello, ad esclusione delle materie minori, famiglia e stato della persona.
La nuova Banca Dati di merito pubblica (BDP), destinata alla libera fruizione da parte di tutti, è stata progettata per trattare i dati contenuti nei provvedimenti nel pieno rispetto del D.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, come modificato dalle previsioni contenute nel GDPR.
2.3. Pertanto, al fine di assicurare livelli assoluti di riservatezza, si è proceduto a pseudonimizzare i dati identificativi delle parti per tutti i provvedimenti e non solo per quelli espressamente previsti dall’art. 52 del D.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, garantendo al contempo la piena leggibilità del documento e l’indicazione in chiaro dei magistrati che hanno redatto l’atto”.
Come detto, quindi, non è in discussione che il Ministero della Giustizia abbia approntato la nuova banca dati di merito consentendo alla collettività l’accesso ai provvedimenti giurisdizionali, di tal che, sotto questo profilo, il ricorrente non può lamentare alcun diniego di ostensione.
Quanto all’anonimizzazione, o pseudonimizzazione, degli elementi identificativi delle parti e all’oscuramento dei riferimenti giurisprudenziali, l’Amministrazione ha osservato, altresì, che “l’art. 52, 7° comma, sopra richiamato non impone, ma consente la pubblicazione per esteso, tanto si desume dalle parole “è ammessa la diffusione…”. Conseguentemente non esiste obbligo dell’Amministrazione di procedere all’ostensione dei dati sensibili delle sentenze.
4. Per tali motivi la richiesta di ripristino dell’archivio giurisprudenziale nazionale deve essere respinta.
5. Quanto all’istanza di rispristino webservices deve poi osservarsi che la stessa è tecnicamente impossibile.
La modalità di accesso tramite WebServices opera esclusivamente tra sistemi applicativi; diversamente gli avvocati per accedere al dismesso Archivio Giurisprudenziale Nazionale dovevano utilizzare il Portale dei Servizi Telematici (PST) e non potevano avvalersi dei WebServices.
E, infatti, l’accesso tramite WebServices era lo strumento utilizzato dalle applicazioni del software house per scaricare l'archivio in modalità massiva”.
Il ricorrente ha lamentato, al riguardo, che il Ministero avrebbe disposto l’anonimizzazione/pseudonimizzazione di tutti i provvedimenti giurisdizionali pubblicati, e non solo di quelli per i quali tale procedimento è espressamente previsto dall’art. 52 del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196; di contro, le sentenze avrebbero dovuto essere rese accessibili, secondo quanto disposto dalla normativa sulla privacy, integralmente, dovendo essere rese anonime solo nei casi espressamente previsti dalla legge.
In merito, tuttavia, è agevole rilevare che il fatto che non esista un obbligo di oscuramento generalizzato, e che tale obbligo sia previsto dalla disciplina citata in casi specifici, non implica comunque che debba ritenersi sussistente l’obbligo, di segno contrario, di procedere all’ostensione di tutti i provvedimenti completi anche dei dati identificativi delle parti.
Ed infatti, il trattamento dei dati personali operato dall’Amministrazione della giustizia con la predisposizione della banca dati generale contenente tutti i provvedimenti di merito, resi accessibili alla collettività, è comunque soggetto ai principi in generali in materia di trattamento dei dati personali e, in particolare, alla valutazione circa la necessità e proporzionalità del trattamento, che si concretizza nel criterio della minimizzazione dei dati, di cui agli artt. 5, par. 1, lett. c), e 25 GDPR.
Di conseguenza, sebbene il Ministero della Giustizia non fosse certo obbligato a procedere all’oscuramento degli estremi delle parti in tutti i provvedimenti resi disponibili mediante la banca dati, ben potendo limitarsi all’oscuramento dei dati qualificati sensibili, non può certo ritenersi che tale soluzione concreta fosse preclusa all’Amministrazione che, nell’organizzare le modalità di esercizio e consultazione della banca dati predisposta, tenuto conto dell’accessibilità generalizzata alla stessa, ha ritenuto di operare un bilanciamento tra l’esigenza di pubblicità e consultabilità dei provvedimenti e la tutela della privacy delle parti interessate, giungendo ad una soluzione che non presenta profili di irragionevolezza o illogicità, né di contrasto con la disciplina in materia che, sul punto, non contiene espresse disposizioni che regolamentino la fattispecie.
Né può fondatamente contestarsi, sotto il profilo dell’accesso, l’opzione dell’Amministrazione in ordine alle modalità di pubblicazione delle sentenze e alle soluzioni tecniche adottate, dal momento che, come detto, non è in dubbio l’accessibilità dei provvedimenti, ma unicamente la maggiore o minore agevolezza delle ricerche e dell’utilizzo degli stessi, che per un professionista è comunque ottenibile mediante l’accesso alle banche dati in commercio.
Deve rilevarsi, inoltre, che il ricorrente non può vantare alcuna posizione legittimante all’accesso con riferimento ai dati personali e agli estremi giurisprudenziali contenuti nelle sentenze pubblicate nella banca dati.
L’art. 22 della l. n. 241/1990 prevede che il diritto di accesso è il diritto degli interessati di prendere visione e di estrarre copia di documenti amministrativi e che interessati, a tal fine, sono tutti i soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, che possono vantare un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l'accesso; il successivo art. 24, comma 7, della legge citata dispone che comunque l’accesso deve essere garantito per i documenti la cui conoscenza è necessaria per curare o per difendere gli interessi giuridici dei richiedenti.
Al riguardo la giurisprudenza ha precisato che il requisito della necessaria sussistenza di un interesse giuridico diretto e concreto, collegato al documento di cui si chiede l'ostensione, non significa che l'accesso sia da configurare come meramente strumentale alla difesa in un giudizio sulla situazione sostanziale principale; esso, invece, assume una valenza autonoma, non dipendente dalla sorte del processo principale (Cons. Stato, Sez. V, n. 1026/2016 e Sez. IV, n. 1363/2016); deve quindi essere accolta una nozione ampia di “strumentalità”, nel senso della finalizzazione della domanda ostensiva alla cura di un interesse diretto, concreto, attuale - e non meramente emulativo o potenziale - connesso alla disponibilità dell'atto o del documento del quale si richiede l'accesso, non imponendosi che l'accesso al documento sia unicamente e necessariamente strumentale all'esercizio del diritto di difesa in specifico giudizio ma ammettendo che la richiamata “strumentalità” debba essere intesa in senso ampio in termini di utilità per la difesa di un interesse giuridicamente rilevante (Cons. Stato, Sez. V, n. 4452/2015 e Sez. III, n. 3214/2015).
Nella fattispecie, tuttavia, benché il ricorrente abbia collegato l’accesso al diritto di difesa facendo leva sulla propria posizione di avvocato, deve evidenziarsi che tale collegamento non palesa una strumentalità dell’accesso richiesto rispetto ad eventuali finalità difensive, non venendo in alcun modo in rilievo gli interessi difensivi delle parti nei vari giudizi in cui il ricorrente esercita la propria professione: l’accesso viene, semmai, prospettato come necessario per l’esercizio dell’attività professionale del ricorrente come difensore che, come è evidente, costituisce ipotesi affatto diversa rispetto alla richiesta di ostensione di documenti necessari per far valere in giudizio le proprie posizioni giuridiche.
Inoltre, l’esigenza difensiva in tal modo è ricondotta in astratto alla potenziale attività difensiva in ogni controversia, e non presenta alcun collegamento con un singolo eventuale giudizio rispetto al quale l’ostensione dei dati richiesti sarebbe necessaria per l’effettivo dispiegamento del diritto di difesa.
Di conseguenza nella fattispecie non è ravvisabile alcun interesse strettamente difensivo rispetto alla richiesta di ostensione dei dati che sono stati oggetto di oscuramento o anonimizzazione nelle sentenze rese disponibili sulla banca dati di merito.
Correttamente, pertanto, il Ministero della Giustizia ha osservato che “Nel caso di specie la richiesta di accesso difensivo è affatto priva di elementi idonei a fare emergere la strumentalità tra le pretese esigenze difensive indicate dall’avv. Francesco Barchielli e i documenti di cui si chiede l’ostensione di cui ai punti 1, 2 e 3”.
Per le medesime considerazioni è infondata anche l’istanza di accesso proposta con riferimento ai provvedimenti con i quali è stata disposta la disattivazione dei Web Services dell’Archivio Giurisprudenziale Nazionale e agli atti di affidamento del servizio di sviluppo software, con relativi capitolati speciali e tecnici, relativamente al PCT ed ai web services, assunti negli ultimi tre anni dal Ministero nei confronti di società private, software house o altri soggetti e professionisti che sono intervenuti sulla piattaforma del Processo Civile Telematico, nonché ai procedimenti assunti per la costituzione della Banca Dati Nazionale di Merito.
Anche in tal caso, infatti, non viene in rilievo alcuna posizione individualizzata rispetto alla cui difesa sarebbe necessaria l’ostensione dei provvedimenti sopra indicati, né il ricorrente ha prefigurato alcuna azione giudiziaria da intentare al riguardo.
Del resto, non si vede quale rilievo possano avere, rispetto al richiesto accesso, così come prospettato, alle sentenze in forma integrale, gli atti di affidamento del servizio da parte del Ministero, i relativi capitolati e la nomina del RUP: la motivazione dell’istanza, proposta “al fine di poter verificare l’iter logico delle motivazioni addotte dall’Amministrazione a sostegno di una così pregnante limitazione all’accesso ai precedenti giurisprudenziali”, evidenzia sostanzialmente l’esigenza di un controllo generalizzato sulle soluzioni adottate in materia dall’Amministrazione, come tale non idonea a sorreggere una posizione legittimante l’accesso.
Il ricorso deve quindi essere respinto.
La peculiarità e novità delle questioni controverse giustificano, comunque, la compensazione delle spese di lite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Compensa le spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 luglio 2024 con l'intervento dei magistrati:
Antonino Savo Amodio, Presidente
Francesca Petrucciani, Consigliere, Estensore
Matthias Viggiano, Referendario
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L'ESTENSORE |
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IL PRESIDENTE |
Francesca Petrucciani |
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Antonino Savo Amodio |
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IL SEGRETARIO
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