Una rivoluzionaria sentenza sulla rilevanza economica dei servizi socio-assistenziali e socio-educativi.
1. La qualificazione di alcune tipologie di servizi socio-assistenziali e socio-educativi come servizi con rilevanza economica.
Con una pronunzia molto significativa il TAR Sardegna (sez. I, sentenza n. 1729 del 2 agosto 2005) è intervenuto su un tema assai critico come la qualificazione dei servizi sociali rispetto al parametro della rilevanza economica.
Dall’entrata in vigore dell’art. 113-bis del d.lgs. n. 267/2000 (TUEL) ed anche posteriormente alla dichiarazione di illegittimità costituzionale della medesima disposizione con la sentenza n. 272/2004 della Corte Costituzionale, il problema della connotazione della natura dei servizi sociali (accezione ampia, che comprende l’area socio-assistenziale e quella socio-educativa) è stato oggetto di analisi che, pur strutturate, non hanno messo in luce elementi decisivi per la loro classificazione in chiave di “rilevanze economica”.
Il Tribunale Amministrativo sardo ha composto una serie di elementi noti, strutturandoli come presupposti per arrivare alla delineazione di un quadro ricostruttivo che permette di ricondurre alcune tipologie di servizi socio-assistenziali e socio-educativi al novero dei servizi pubblici con rilevanza economica.
Lo stimolo a tale valutazione perveniva all’organo di giustizia amministrativa proprio dalla necessità di ricostruire in via interpretativa la nozione di servizio pubblico locale di rilevanza economica e, per converso, quella di servizio privo di siffatta rilevanza, mancando una disposizione normativa che ne fornisca la definizione.
Il caso preso in esame riguardava un Comune che aveva affidato direttamente (secondo il modulo “in house”) una serie di servizi socio-assistenziali e socio-educativi ad una società controllata, a capitale interamente pubblico. Gli stessi servizi, sino a quell’affidamento, erano stati esternalizzati mediante gare di appalto.
Nel quadro del contenzioso, venivano ad essere contestati da una società operante nel settore sia la natura dei servizi (intesi dall’Amministrazione come privi di rilevanza economica ed affidati sulla base del modulo prefigurato dall’art. 113-bis del d.lgs. n. 267/2000) sia l’affidamento “in house”.
Il Tribunale Amministrativo sardo ha rilevato anzitutto che gli indici rivelatori della rilevanza economica dei servizi pubblici locali possono desumersi dai principi comunitari che informano la materia, poiché è noto che la disciplina della gestione di tali servizi è stata più volte modificata, negli ultimi anni, proprio a causa delle procedure di infrazione avviate dalla Commissione Europea nei confronti dell’Italia per violazione degli artt. 43, 49 e 86 del Trattato istitutivo della Comunità Europea.
L’art. 86, comma 2, della “carta fondamentale” dell’UE stabilisce, nella sua formulazione vigente, che le imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale o aventi carattere di monopolio fiscale sono sottoposte alle norme del presente trattato, e in particolare alle regole di concorrenza, nei limiti in cui l’applicazione di tali norme non osti all’adempimento, in linea di diritto e di fatto, della specifica missione loro affidata.
Secondo l’ordinamento comunitario i servizi di interesse economico generale si distinguono dai servizi ordinari per il fatto che le autorità pubbliche ritengono che debbano essere garantiti con carattere di continuità, mediante l’imposizione di obblighi di servizio pubblico, anche quando essi non siano economicamente remunerativi e, pertanto, il mercato non sia sufficientemente incentivato a provvedervi da solo.
Il TAR Sardegna, sviluppando la sua analisi, rileva come ciò non tolga che il mercato e la concorrenza costituiscano, di regola, la formula migliore per gestire anche tali servizi (tant’è che, ai sensi del citato art. 86 comma 2 del Trattato CE, le imprese che ne sono incaricate sono senz’altro sottoposte alle regole di concorrenza), salvo soltanto il caso che, per il fatto di non essere remunerativi, il mercato non consenta concretamente di assolvere alla loro specifica missione e si renda pertanto indispensabile il riconoscimento di diritti speciali o esclusivi.
La Commissione europea nel Libro Verde sui servizi di interesse generale (COM-2003-270) del 21/5/2003, afferma, peraltro, che le norme sulla concorrenza si applicano soltanto alle attività economiche, dopo aver precisato che la distinzione tra attività economiche e non economiche ha carattere dinamico ed evolutivo, cosicché non sarebbe possibile fissare a priori un elenco definitivo dei servizi di interesse generale di natura non economica. Secondo la costante giurisprudenza comunitaria spetta infatti al giudice nazionale valutare circostanze e condizioni in cui il servizio viene prestato, tenendo conto, in particolare, dell'assenza di uno scopo precipuamente lucrativo, della mancata assunzione dei rischi connessi a tale attività ed anche dell'eventuale finanziamento pubblico dell'attività in questione (Corte Costituzionale, sentenza n. 272/2004).
Il punto-chiave della disamina viene quindi ad essere affrontato dal Tribunale Amministrativo sardo sulla base di questi presupposti, sostenendo che la distinzione tra servizi di rilevanza economica e servizi privi di tale rilevanza è legata all’impatto che l’attività può avere sull’assetto della concorrenza ed ai suoi caratteri di redditività; conseguentemente deve ritenersi di rilevanza economica il servizio che si innesta in un settore per il quale esiste, quantomeno in potenza, una redditività, e quindi una competizione sul mercato e ciò ancorché siano previste forme di finanziamento pubblico, più o meno ampie, dell’attività in questione; può invece considerarsi privo di rilevanza quello che, per sua natura o per i vincoli ai quali è sottoposta la relativa gestione, non dà luogo ad alcuna competizione e quindi appare irrilevante ai fini della concorrenza.
In termini di sintesi, laddove il settore di attività sia economicamente competitivo e la libertà di iniziativa economica appaia in grado di conseguire anche gli obiettivi di interesse pubblico sottesi alla disciplina del settore, al servizio dovrà riconoscersi rilevanza economica, ai sensi dell’art. 113 del D.Lgs. n. 267/2000, mentre, in via residuale, il servizio potrà qualificarsi come privo di rilevanza economica laddove non sia possibile riscontrare i caratteri che connotano l’altra categoria (T.A.R. Liguria II Sez., 28/4/2005 n. 527).
Riportando tali valutazioni al caso oggetto del contenzioso, il risultato consequenziale è stato che, sulla base degli elementi di analisi complessiva, servizi pubblici quali:
a) la gestione della comunità alloggio per minori, del centro educativo diurno per minori e della mensa sociale;
b) l’assistenza domiciliare in favore di persone anziane e/o svantaggiate, la consegna di pasti caldi a domicilio, le attività di lavanderia e stireria, nonchè la gestione del centro di aggregazione per anziani,
possiedono, sicuramente, rilevanza economica, poiché si tratta di attività suscettibili, in astratto, di essere gestite in forma remunerativa e per le quali esiste certamente un mercato concorrenziale, a maggior ragione se aggiudicati con gara precedentemente al loro affidamento ad un soggetto gestore partecipato dall’Ente Locale.
La sentenza, in questo primo sviluppo, ricompone una molteplicità di “dati evidenti”, giungendo ad affermare un’altrettanto evidente concetto: un’attività che sia configurabile come servizio pubblico locale, se ha un mercato nel quale sussiste confronto concorrenziale tra più operatori, dimostra senza dubbio la sua “rilevanza economica”, dovendo pertanto essere assoggettata alla disciplina specifica che, per i servizi annoverabili in quella categoria, regola profili concorrenziali (come peraltro attestato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 272/2004) ed è rinvenibile nell’art. 113 (particolarmente nel comma 5, per quanto riguarda le modalità di affidamento) del d.lgs. n. 267/2000.
2. La “modellizzazione” dei sistemi di affidamento dei servizi pubblici locali a rilevanza economica configurata dall’art. 113, comma 5 del d.lgs. n. 267/2000: conseguenze sull’applicazione necessaria a servizi sociali.
La sentenza del TAR Sardegna n. 1729/2005 postula anche un’altra affermazione, che parte dal presupposto per cui, data per i servizi pubblici locali con rilevanza economica l’applicabilità dell’art. 113 del TUEL, vale per i medesimi il necessario ricorso alle modellizzazioni gestionali-di affidamento stabilite dalla stessa norma.
Ciò ha due implicazioni, una delle quali è stata esplicitamente trattata dalla stessa sentenza.
La prima, di immediata desunzione, ha degli aspetti connessi che potrebbero risultare “sconvolgenti” per le delicate dinamiche gestionali di molti sistemi locali di servizi sociali: ai servizi socio-assistenziali e socio-educativi ricondotti a strategie di rimodulazione organizzativa come servizi pubblici locali (secondo l’analisi giurisprudenziale, “a rilevanza economica) non potrebbero essere ricondotte soluzioni di gestione consolidate in passato, quali l’affidamento ad istituzioni o ad aziende speciali.
Tantomeno risulterebbero possibili affidamenti ad aziende pubbliche di servizi alla persona (APSP) o a fondazioni derivanti dalla trasformazione delle ex IPAB in base al d.lgs. n. 207/2001 (processo in fase avanzata in molte regioni).
Ciò appare evidente, in quanto l’art. 113, comma 5 del TUEL sistemizza per i servizi con rilevanza economica solo tre moduli:
a) affidamento con gara a società di capitali;
b) affidamento diretto a società miste, nelle quali il socio privato sia stato prescelto con procedura ad evidenza pubblica;
c) affidamento diretto a società a capitale interamente pubblico, sulle quali le Amministrazioni esercitino un controllo effettivo.
L’altra implicazione rilevante, rapportata al caso oggetto del contenzioso, si riferisce proprio all’utilizzo dell’ultimo modulo, in attuazione della strategia rapportabile al modello del “in house providing”.
Il TAR Sardegna evidenzia che qualora si intenda applicare a tali servizi, in funzione della loro qualificazione come attività di rilevanza economica, l’art 113, comma 5 lett. c) del d.lgs. n. 267/2000 è necessario rilevare che la gestione degli stessi può essere affidata senza gara a società a capitale interamente pubblico, ma ciò, a condizione che l'ente o gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l'ente o gli enti pubblici che la controllano.
L’analisi focalizza l’attenzione sull’effettività del controllo (dell’Amministrazione sulla società partecipata) come sussistenza di un presupposto fondamentale per garantire l’utilizzo del metodo “meno concorrenziale” tra i tre individuati dall’art. 113.
A supporto indiretto di una valutazione più approfondita di tale aspetto rileva quanto affermato dal TAR Friuli-Venezia Giulia con la sentenza n. 634 del 15 luglio 2005, nella quale viene ad essere sostenuto che la definizione in atti a monte della costituzione della società partecipata (patti parasociali) di strumenti per l’intervento dell’Amministrazione in percorsi decisionali della stessa costituisce forma penetrante di controllo, che investe non solo gli atti di gestione straordinaria, ma anche, in parte rilevante, la gestione ordinaria e gli organi stessi della società di gestione del servizio pubblico locale affidato, e che è esercitata dagli enti locali soci.
Il TAR Sardegna enuclea anche una serie di indicazioni dalla giurisprudenza comunitaria e nazionale per le quali per controllo analogo si intende un rapporto equivalente, ai fini degli effetti pratici, ad una relazione di subordinazione gerarchica; tale situazione si verifica quando sussiste un controllo gestionale e finanziario stringente dell’ente pubblico sull’ente societario (facendo riferimento al Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza n. 168 del 25 gennaio 2005 ed alla Corte di Giustizia delle C. E., causa C-107/98 del 18 novembre 1999).
Se, quindi, il controllo dell’Amministrazione non è effettivo, penetrante, forte, viene a mancare il presupposto ritenuto chiave essenziale per l’affidamento diretto del servizio pubblico.
Nello specifico l’esame giurisprudenziale evidenzia come qualora lo statuto della società controllata preveda che gli amministratori gestiscano autonomamente le attività societarie senza che il Comune abbia alcun potere di intervento sui singoli atti gestionali, l’Ente (anche se unico socio della società, esercitante sulla stessa interventi significativi quali l’approvazione dei bilanci, la nomina e la revoca degli amministratori e del collegio sindacale) non avrebbe, in base a tale posizione e ruolo, poteri sufficienti a far valere il proprio “peso” nella vita societaria della controllata, in quanto la norma richiede il “controllo analogo” (come requisito ulteriore rispetto a quello consistente nel fatto che il capitale debba essere interamente pubblico) e questo non sussisterebbe, in quanto l’interazione tra i due soggetti sarebbe fondata su elementi in grado di assicurare alla partecipata notevole autonomia. Tutto ciò, quindi, escluderebbe la presenza di una relazione di subordinazione gerarchica.
Deriva, da tali considerazioni, un’ulteriore indicazione restrittiva: l’affidamento “in house” è possibile, anche per i servizi pubblici locali con rilevanza economica, solo quando i presupposti dell’art. 113, comma 5 lett. c) del TUEL siano effettivi e determinanti un’incidenza reale dell’Amministrazione nei processi decisionali delle società controllate.
Alberto Barbiero |