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I servizi pubblici e la politica comunitaria della concorrenza.
di Leila Tessarolo  (leila@tessarolo.it) 2 novembre 2005
Materia: servizi pubblici / disciplina

I SERVIZI PUBBLICI E LA POLITICA COMUNITARIA DELLA CONCORRENZA

 

 

1. I servizi pubblici nel diritto comunitario e nel diritto interno

 

Come spesso accade, all’interno dell’Unione europea non si rinviene una diretta e precisa corrispondenza tra gli istituti giuridici dei singoli Stati membri. Conseguentemente, in sede di regolamentazione comune, nasce l’esigenza di garantire alle disposizioni comunitarie quella elasticità che permette una loro applicazione generalizzata negli ordinamenti dei singoli Stati.

Nella realtà pratica ciò può comportare l’esigenza di adattare istituti interni a quelli, diversi nei contorni applicativi, di matrice comunitaria.

La situazione poc’anzi descritta si verifica, ad esempio, con riferimento alla tematica dei “servizi pubblici locali”.

Sono tali, secondo la pur laconica definizione contenuta nel nostro ordinamento, quei  servizi “che abbiano per oggetto produzione di beni ed attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali”(1).

In ambito comunitario, non sussiste una categoria esattamente corrispondente a quella del diritto interno, e ciò proprio in quanto si tratta di una nozione non univoca, che può essere utilizzata nei diversi ordinamenti con significati differenti: “in alcuni casi, si riferisce al fatto che un servizio è offerto alla collettività, in altri che ad un servizio è stato attribuito un ruolo specifico nell’interesse pubblico e in altri ancora si riferisce alla proprietà o allo status dell’ente che presta il servizio”(2).

Il legislatore comunitario ha, piuttosto, preferito utilizzare delle categorie concettuali di più ampio respiro.

L’art 50 del Trattato qualifica, in via generale, come “servizi” le “prestazioni fornite normalmente dietro retribuzione, in quanto non siano regolate dalle disposizioni relative alla libera circolazione delle merci, dei capitali e delle persone”, ed indica, quali servizi, le attività di carattere industriale, quelle di carattere commerciale, le attività artigiane, le attività delle libere professioni(3).

Negli articoli 16 e 86, paragrafo 2 del Trattato istitutivo della Comunità europea si rinviene, invece, l’espressione “servizi di interesse economico generale”, che non viene, però, definita nel trattato o nella normativa derivata.

Secondo quanto espresso nel Libro verde sui servizi di interesse generale, e nella Relazione al Consiglio europeo di Laeken del 17/10/2001 sui “Servizi di interesse generale”, sono tali quei servizi di natura economica, forniti dietro retribuzione, che assolvono missioni d'interesse generale e sono quindi assoggettati dagli Stati membri a specifici obblighi di servizio pubblico, intesi, questi ultimi, come quei requisiti specifici imposti dalle autorità pubbliche al fornitore del servizio per garantire il conseguimento di alcuni obiettivi di interesse pubblico.

Accanto a tale espressione le istituzioni comunitarie hanno, poi, elaborato la più ampia espressione di “servizi di interesse generale” che riguarda sia i servizi di mercato che quelli non di mercato che le autorità pubbliche considerano di interesse generale e assoggettano a specifici obblighi di servizio pubblico.

La scelta adottata dai fondatori della Comunità europea di non addentrarsi profondamente in tale tematica può essere vista, comunque, come frutto non soltanto di una difficoltà oggettiva discendente dalle diverse qualificazioni giuridiche che sussistono nei diversi Stati membri, ma altresì come strumento per sottolineare “una sorta di esclusiva competenza di ciascuno Stato nell’individuare ed assegnare ad una impresa compiti a rilevanza collettiva, trascendenti cioè interessi puramente economici od individualistici”(4) .

Del resto, il Libro bianco sui servizi di interesse generale(5) ha chiarito che la definizione degli obblighi e delle funzioni del servizio pubblico deve competere alle autorità pubbliche ai relativi livelli di competenza, essendo necessario rispettare la diversità delle tradizioni, delle strutture e delle realtà che esistono negli Stati membri.

 

2. La concorrenza e il limite di cui all’art. 86 paragrafo 2 del Trattato

 

La concorrenza è considerata come un punto decisivo nella politica comunitaria, essendo il mezzo attraverso il quale poter raggiungere gli obiettivi assunti già in sede di costituzione della comunità europea. Una concorrenza efficace è, infatti, fondamentale per garantire un'economia di mercato aperta.

Invero, secondo l’art. 2 del Trattato CE la Comunità europea ha il compito di promuovere “uno sviluppo armonioso, equilibrato e sostenibile delle attività economiche, un elevato livello di occupazione e di protezione sociale, la parità tra uomini e donne, una crescita sostenibile e non inflazionistica, un alto grado di competitività e di convergenza dei risultati economici, un elevato livello di protezione dell'ambiente ed il miglioramento della qualità di quest'ultimo, il miglioramento del tenore e della qualità della vita, la coesione economica e sociale e la solidarietà tra Stati membri.” A tal fine, deve essere, tra l’altro, realizzato “un regime inteso a garantire che la concorrenza non sia falsata nel mercato interno” (art. 3, lett. g) Trattato CE).

Per l’ordinamento comunitario la preminenza del principio concorrenziale comporta che tutte le attività economiche  devono essere assoggettate alle medesime regole, in modo da garantire la completa liberalizzazione dei mercati o il ripristino delle condizioni concorrenziali, e ciò anche con riferimento a quegli ambiti in cui non si determini una struttura pluralistica della concorrenza(6).

In sostanza, il diritto comunitario ha previsto alcune specifiche norme volte ad impedire tutte quelle azioni che possono, come tali, dimostrarsi contrarie al principio di concorrenza.

Essendo, di fatto, la materia volta a garantire la concorrenzialità nel mercato interno particolarmente rigida, il legislatore non si è affatto disinteressato di tutelare un settore di importanza strategica nella vita degli Stati membri, quale quello dei servizi di interesse economico generale. Proprio in tale contesto si inquadra, allora, la norma di cui all’art. 86, paragrafo 2, del Trattato, che si pone, in base quanto meno ad una sua interpretazione meramente letterale, quale un’oasi derogatoria nella rigidità della politica della concorrenza così come sviluppata nel Trattato.

La citata norma dispone, infatti, che le “imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale o aventi carattere di monopolio fiscale sono sottoposte alle norme del presente trattato, e in particolare alle regole di concorrenza, nei limiti in cui l'applicazione di tali norme non osti all'adempimento, in linea di diritto e di fatto, della specifica missione loro affidata. Lo sviluppo degli scambi non deve essere compromesso in misura contraria agli interessi della Comunità”.

Il concetto di impresa incaricata della gestione di servizi di interesse economico generale è stato interpretato nel senso di comprendere tutte quelle attività di interesse economico generale gestite da un soggetto pubblico o privato, al quale l’esercizio di tale specifica missione sia stato affidato da un apposito atto del potere pubblico(7).

Appare chiaro che con la suddetta disposizione non si è voluto escludere a priori il ruolo svolto dai pubblici poteri in una materia tradizionalmente riservata alla loro competenza quale quella dei servizi pubblici, ma, piuttosto, si è inteso relegare gli interventi pubblici in un ruolo “residuale”, essendo gli stessi consentiti soltanto quando i fini generali da perseguire siano di per sé incompatibili con il mantenimento delle regole concorrenziali(8).

Rilevante, in tale situazione è, quindi, la verifica non tanto della possibilità effettiva di un intervento dello Stato in tale settore, che è implicitamente ammesso, quanto del modo in cui si realizza nella pratica tale intervento.

Con l’art. 86 non si è voluta  individuare una specifica categoria di servizi assoggettati ad una disciplina comunitaria particolare, ma si sono soltanto voluti delineare alcuni servizi che, se pur sottoposti in via generale alla disciplina comunitaria in materia di concorrenza, possono a determinate circostanze, in virtù dei particolari obiettivi che devono esplicare, essere esonerati dall’applicazione di alcune regole.

La portata della norma in esame riveste un’importanza decisiva ai fini della ricerca di un equilibrio tra gli obiettivi di politica economica generale perseguiti dagli stati e le ragioni del libero mercato(9). Si tratta di una sorta si “compromesso” tra le prerogative degli Stati membri in materia di politica economica e gli interessi delle Comunità(10).

L’obiettivo del diritto comunitario è allora quello di regolare l’esercizio di funzioni pubbliche in forma imprenditoriale per limitarne le portata in funzione del libero mercato concorrenziale(11).

Considerando, dunque, che il principio della parità di trattamento vieta qualsiasi forma di discriminazione dissimulata che, fondandosi su altri criteri di distinzione, pervenga in effetti al medesimo risultato(12), l’iniziativa pubblica viene assoggettata alle stesse regole imposte a quella privata.

 

3. L’evoluzione della interpretazione dell’art. 86 paragrafo 2

 

Con il tempo si è assistito ad una progressiva e sempre più ingente polarizzazione dell’interesse sul settore dei servizi di interesse economico generale, comprendendosi come lo svolgimento di tali servizi non avesse una rilevanza soltanto da un punto di vista “negativo” relativo alla potenziale idoneità delle imprese incaricate delle loro gestione ad intralciare il cammino verso la piena realizzazione di un mercato interno, ma altresì da un punto di vista “positivo” concernente l’importanza strategica di tali servizi per soddisfare i bisogni della collettività, e conseguentemente per raggiungere gli obiettivi preposti all’azione comunitaria.

Si è, dunque, giunti a valorizzare gli obiettivi di matrice economica perseguiti dalla Comunità europea, attraverso l’affermazione del principio della competenza delle istituzioni comunitarie a stabilire la compatibilità delle misure di favore (diritti speciali o esclusivi) nei confronti di determinate imprese con il Trattato e di verificare se i compiti di interesse pubblico affidati ad alcune imprese possano essere fatti rientrare in quelli di interesse economico generale.

Un ruolo decisivo in tal senso è stato quello svolto dalla Corte di Giustizia Europea, che, in numerose sentenze susseguitesi nel tempo, ha cercato di raggiungere quell’equilibrio tra libera concorrenza e autonomia nelle scelte economiche dei singoli Stati, cui si è dianzi accennato. Tale obiettivo ha però inevitabilmente comportato un restringimento della portata della deroga contenuta nell’art. 86, secondo paragrafo.

La originaria presunzione di legittimità dei monopoli legali derivante da una interpretazione letterale dell’art. 86 ha lasciato, allora, gradualmente il posto ad un atteggiamento di chiusura verso tali privilegi.

La Corte si è interrogata, di volta in volta, sulla effettiva indispensabilità della applicazione delle deroghe previste dalla norma citata, verificando se i medesimi risultati ottenuti con l’attribuzione di una situazione di favore verso determinate imprese possano essere raggiunti allo stesso modo operando all’interno del diritto comune(13).

Tale situazione è, poi, cambiata con l’entrata in vigore del Trattato di Maastricht, dal momento in cui l’azione comunitaria si spinge verso la realizzazione di interessi che trascendono il campo economico(14).

In tale mutato contesto, la Corte di Giustizia Europea si è posta di fronte ad una interpretazione della norma di cui all’art. 86 diretta a valutare se i <valori> sottesi al raggiungimento dell’interesse generale siano tali da esseri compromessi dalla realizzazione della concorrenza in un determinato settore.

Posta la questione in tali termini, diviene allora possibile altresì definire in termini generali quando un’impresa svolge una attività economica di interesse generale. Si verte in tale ipotesi allorché l’impresa sia tenuta ad assicurare i propri servizi a favore di tutti gli utenti in condizione di uguaglianza sia in ordine alla qualità del servizio, sia in ordine alle tariffe, indipendentemente da fattori territoriali di altra natura (15).

La Corte di giustizia ha, in particolare, stabilito che l’articolo 86, paragrafo 2 del trattato “consente quindi agli Stati membri di conferire ad imprese, cui attribuiscono la gestione di servizi di interesse economico generale, diritti esclusivi che possono impedire l’applicazione delle norme del trattato in materia di concorrenza, nella misura in cui restrizioni della concorrenza, o persino l’esclusione di qualsiasi concorrenza da parte di altri operatori economici, sono necessarie per garantire l’adempimento della specifica funzione attribuita alle imprese titolari dei diritti esclusivi”(16).

La questione ha assunto un peso sempre più consistente dal momento in cui la Comunità europea si è preoccupata di rendere effettiva la concorrenzialità nel mercato, in guisa da realizzare concretamente le quattro libertà fondamentali enunciate nel Trattato istitutivo. A partire dagli anni ’80, infatti, si è assistito ad una ingente produzione normativa in ambito comunitario avente quale scopo quello di procedere ad una progressiva liberalizzazione di alcuni settori economici tradizionalmente annoverati tra i servizi pubblici.

Si è trattata di una “svolta” resa necessaria dalla sussistenza, nella maggioranza degli Stati membri, di un regime di monopolio legale in cui erano assoggettati i servizi pubblici. E’ evidente che in tale modo venivano sottratti alla libera contrattazione dei settori di particolare importanza per la vita economica, e ciò necessariamente sortiva i suoi effetti sul mercato comunitario, impedendo ab origine la possibilità delle imprese di esercitare la propria attività in tali ambiti.

Tale massiccio intervento della Comunità europea ha ovviamente comportato la necessità di un adeguamento degli Stati membri, costretti, in determinati casi, a rinunciare alle esclusive esistenti in proprio favore relativamente a taluni servizi per aprire il mercato a tutti gli operatori interessati.

Ma l’intervento operato in ambito comunitario per tale materia non si è fermato di fronte ad una sempre più pregnante liberalizzazione del mercato, cercando piuttosto di estendere il campo di azione verso la tutela degli interessi sociali.

Accanto al problema di garantire la concorrenza tra le imprese operanti nel mercato, considerato nei primi approcci come fondamentale per il raggiungimento degli obiettivi istituzionali della Comunità, si è avvertita la sempre maggiore esigenza di tutelare gli utenti di alcuni particolari servizi aventi quale scopo effettivo il soddisfacimento dei loro bisogni fondamentali.

La Comunità si è resa conto di come un’azione volta ad estendere incondizionatamente la concorrenzialità in determinati settori possa stridere con esigenze considerate evidentemente di pari rango.

La volontà di approfondire tale cruciale aspetto ha portato la Commissione ad emanare la comunicazione su “i servizi di interesse generale in europa” dell’11 settembre 1996.

In tale contesto viene delineato il concetto di “servizio universale”, inteso come un insieme minimo di servizi di buona qualità che deve essere fornito in ciascuno Stato membro in modo da garantire l’accesso a determinate prestazioni essenziali, di qualità e con prezzi che rendono il medesimo servizio agevolmente fruibile per la collettività.

Il garantire il servizio universale è considerato necessario soprattutto nel corso della fase di transizione dal monopolio alla situazione di mercato aperto alla concorrenza, in quanto è proprio in tal momento che devono essere mantenute per tutti gli utilizzatori e tutti i consumatori l'accessibilità e la qualità dei servizi esistenti.

Gli spunti di riflessione contenuti nella citata Comunicazione trovano poi una cristallizzazione grazie alla modifica dell’art. 16 del Trattato istitutivo attuata ad opera del Trattato di Amsterdam.

Tale norma prevede, infatti, che “Fatti salvi gli articoli 73, 86 e 87, in considerazione dell'importanza dei servizi di interesse economico generale nell'ambito dei valori comuni dell'Unione, nonché del loro ruolo nella promozione della coesione sociale e territoriale, la Comunità e gli Stati membri, secondo le rispettive competenze e nell'ambito del campo di applicazione del presente trattato, provvedono affinché tali servizi funzionino in base a principi e condizioni che consentano loro di assolvere i loro compiti.”

E’ chiaro come l’influenza del diritto comunitario in subiecta materia non si sia fermata alla liberalizzazione del mercato, ma si è spinta ben oltre, definendo un ruolo della comunità medesima nello sviluppo dei servizi di interesse economico generale.

Ancora più significativa è, poi, l’inclusione di tale tematica nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, proclamata al Consiglio europeo di Nizza. L'articolo 36 della Carta recita, infatti: “Al fine di promuovere la coesione sociale e territoriale dell'Unione, questa riconosce e rispetta l'accesso ai servizi d'interesse economico generale quale previsto dalle legislazioni e prassi nazionali, conformemente al trattato che istituisce la Comunità europea.

 

4. Le ultime interpretazioni: il Libro Bianco e il Libro Verde

 

La Comunità Europea, come si è visto, ha preso con il tempo effettiva coscienza dell’importanza dei servizi di interesse generale e di interesse economico generale per il diritto comunitario. Ciò ha portato ad analizzare la problematica in termini più approfonditi in modo da comprendere come poter fattivamente intervenire in tale delicato settore.

Nella Relazione al Consiglio europeo di Laeken sui “servizi di interesse generale” della Commissione europea, emerge chiaramente l’importanza che tali servizi hanno per il mercato comune, essendo gli stessi considerati come “ un elemento chiave del modello europeo di società”. Si tratta, infatti, di  servizi che arricchiscono la qualità della vita dei cittadini e che consentono il godimento dei loro diritti fondamentali, oltre a  contribuire alla concorrenzialità dell'industria europea e a rafforzare la coesione sociale e territoriale nell'Unione europea.

Le politiche dell'Unione europea tengono conto dell'importanza che cittadini e imprese europei attribuiscono al mantenimento e allo sviluppo di tali servizi.

In tale contesto viene segnalata dalla Commissione la preoccupazione che l'applicazione delle norme del mercato interno e della concorrenza consenta ai “servizi d'interesse economico generale di adempiere ai loro compiti in condizioni di certezza del diritto e di vitalità economica che garantiscano, tra l'altro, i principi di parità di trattamento, di qualità e di continuità di tali servizi.” Al riguardo, è stata, ad esempio, segnalata la necessità ammettere la compatibilità degli aiuti destinati a compensare i costi supplementari che comporta l'assolvimento dei compiti dei servizi d'interesse economico generale nel rispetto dell'articolo 86, paragrafo 2.

Il Libro verde ha, poi, affermato come l’articolo 86, par. 2, riconoscendo implicitamente il diritto degli Stati membri di assegnare agli operatori economici specifici obblighi di servizio pubblico, stabilisce un principio fondamentale che garantisce che i servizi di interesse economico generale possano continuare ad essere prestati e sviluppati nel mercato comune.

Viene in tale sede esplicitato come il Trattato, pur tutelando l’effettiva prestazione di un compito di interesse generale, non estende necessariamente tale tutela nei confronti del fornitore. Invero, i fornitori di servizi di interesse economico generale, compresi i fornitori di servizi in-house, sono in ogni caso imprese e quindi soggette alle norme sulla concorrenza del trattato. Le decisioni di concedere diritti speciali ed esclusivi ai fornitori di servizi in-house o di favorirli in altri modi possono costituire una violazione del trattato, nonostante la parziale tutela offerta dall’articolo 86.

Come è stato, poi, successivamente specificato nel Libro Bianco, “in base al trattato CE e in presenza delle condizioni di cui all'articolo 86, paragrafo 2, l’effettiva prestazione di un compito di interesse generale prevale, in caso di controversia, sull'applicazione delle norme del trattato. Pertanto, la normativa tutela i compiti piuttosto che le loro modalità di esecuzione. Il trattato consente quindi di conciliare il perseguimento e la realizzazione degli obiettivi di politica pubblica con gli obiettivi di competitività dell’Unione europea nel suo insieme, in particolare l'esigenza di garantire condizioni di parità a tutti i prestatori di servizi e di ottimizzare l'impiego del denaro pubblico”(17).

Preme, da ultimo, sottolineare come le citate disposizioni inerenti ai servizi di interesse economico generale siano state integralmente riproposte nel nuovo Trattato che adotta una costituzione per l’Europa(18).

 

5. I servizi pubblici e la direttiva Bolkestein

 

E’ stato precedentemente chiarito come la concorrenza è uno degli obiettivi principali della Comunità Europea. A questo punto occorre però chiedersi sino a che punto tale obiettivo dichiaratamente perseguito in sede comunitaria possa scalfire le esigenze sottese alle gestione e alla erogazione dei servizi pubblici, o, comunque, più in generale, dei servizi di interesse generale.

Il problema si è presentato recentemente all’evidenza a seguito della presentazione da parte della Commissione Europea, della proposta di direttiva relativa ai servizi nel mercato interno(19).

L’obiettivo di tale direttiva è quello di realizzare compiutamente il mercato interno, attraverso la eliminazione di tutti gli ostacoli che di fatto si frappongono alla libertà di stabilimento dei prestatori di servizi ed alla libera circolazione dei servizi(20).

Da una parte si cerca di semplificare concretamente le modalità con cui un prestatore di servizi può stabilirsi in uno stato membro, attraverso una semplificazione di tipo amministrativo, che va dalla predisposizione di sportelli unici cui possono rivolgersi gli operatori interessati, alla previsione della possibilità di compiere procedure per via elettronica, sino alla limitazione delle ipotesi in cui è richiesta una autorizzazione per l’esercizio delle attività; dall’altra parte si cerca di incentivare la prestazione dei servizi all’interno del territorio comunitario. Tale ultimo intento è realizzato attraverso la previsione del principio del “paese di origine” secondo cui il prestatore di servizi è sempre è comunque assoggettato al regime giuridico del paese in cui è stabilito, a prescindere da dove concretamente poi decida di prestare la propria attività.

Il campo d'applicazione della proposta non copre le comunicazioni elettroniche per quanto attiene alle questioni disciplinate dal pacchetto legislativo adottato nel 2002 né i servizi di trasporto, nella misura in cui questi ultimi sono disciplinati da altri strumenti comunitari fondati sull’articolo 71 o sull’articolo 80, paragrafo 2, del trattato.

Nella citata proposta di direttiva, inoltre, sono previste delle deroghe all’applicazione del principio del paese d’origine, secondo cui i prestatori di servizi sono soggetti esclusivamente alle disposizioni nazionali dello Stato membro d'origine applicabili all’ambito regolamentato. Tali deroghe riguardano, tra gli altri, i servizi postali ed i servizi di distribuzione di energia elettrica, gas e acqua.

Fatte salve tali deroghe, la Relazione che accompagna la proposta chiarisce che, per i servizi di interesse generale, la proposta di direttiva non intende trattare la questione in quanto tale né il problema dell'apertura alla concorrenza di questi servizi. La proposta copre, infatti, tutti i servizi che costituiscono un'attività economica a termini della giurisprudenza della Corte di Giustizia e, dunque, non copre soltanto i servizi non economici d'interesse generale. Anche nei settori in cui si applica, la direttiva non compromette, comunque, la libertà degli Stati membri di definire quali essi ritengano essere servizi di interesse generale e le modalità del loro funzionamento.

Si tratta di una direttiva chiaramente ispirata ad un principio liberista del mercato. Un mercato efficiente e competitivo è, nell’ottica del legislatore comunitario, un mercato nel quale sia garantita la possibilità di prestare i servizi in maniera del tutto libera e a parità di condizioni. Conseguenza di tale approccio è la privatizzazione dei servizi, che vengono, quindi, sottratti dalla mano pubblica  per renderli al mercato privato.

Appare immediatamente all’evidenza, però, come tale situazione mal si concilia con l’interesse dimostrato dalla Comunità Europea nei confronti di quei servizi che sono destinati a soddisfare i bisogni della collettività. In particolare, quell’esigenza, precedentemente descritta, di tutelare i fruitori di tali servizi esigerebbe una regolamentazione specifica che tenesse conto di tutte le peculiarità di tale sistema. Sorprende, allora, che tale proposta, al contrario, ponga sullo stesso piano tutti i servizi, a prescindere dalla loro effettiva funzione.

Del resto, se pur la Commissione, nel citato Libro bianco, ha dichiarato che l'obiettivo di creare un mercato interno aperto e competitivo risulta compatibile con l'obiettivo di sviluppare dei servizi di interesse generale accessibili, di alta qualità e a prezzi abbordabili, tuttavia, la stessa Commissione non ha ignorato nè sottovalutato il fatto che in talune situazioni la realizzazione dell'obiettivo della politica pubblica nazionale potrebbe necessitare di un coordinamento con altri obiettivi della Comunità.

Tale questione ha, comunque, suscitato numerose critiche e perplessità anche all’interno della stessa Comunità europea, tant’è che nel corso dell’iter legislativo che porterà alla approvazione della direttiva (si tratta del c.d. procedimento di codecisione nel quale l’approvazione deve intervenire sia da parte del Consiglio che del Parlamento) è stata avanzata la possibilità di sottrarre i servizi di interesse generale dal campo di applicazione della direttiva medesima.

 

 

***

 

NOTE

 

(1) Art, 112 d.lgs 267/00 (TUEL).

(2) Libro verde sui servizi di interesse generale, adottato dalla Commissione europea, 21/5/2003 n. COM(2003) 270.

(3)  L’art. 4 della proposta di direttiva relativa ai servizi sul mercato interno, presentata dalla Commissione il 25.2.2004, n. COM(2004) 2, definisce <servizio> “qualsiasi attività economica non salariata di cui all’articolo 50 del trattato che consiste nel fornire una prestazione dietro un corrispettivo economico”.

(4) D. CALDIROLA, “La dimensione comunitaria del servizio pubblico ovvero il servizio di interesse economico generale e il servizio universale”, in “Servizi pubblici concorrenza diritti”, a cura di L. Ammannati, M.A. Cabiddu, P. De Carli, Giuffrè Editore, 2001.

(5) Libro bianco sui servizi di interesse generale, adottato dalla Commissione europea, 12/5/2004 n. COM(2004)374.

(6) A. PERICU, “Impresa ed obblighi di servizio pubblico. L’impresa di gestione dei servizi pubblici locali.”,  Milano, 2001.

(7) CARDARELLI-ZENO ZENCOVICH, Il diritto delle telecomunicazioni, Roma, 1997.

(8) Stefano VARONE, “Servizi pubblici locali e concorrenza”, Giappichelli Editore –Torino, 2004.

(9) G. E. BERLINGERIO, “Studi sul pubblico servizio”, Giuffrè, 2003.

(10)  Debora CALDIROLA, “La dimensione comunitaria del servizio pubblico ovvero il servizio di interesse economico generale e il servizio universale”, cit.

(11) A. ZUCCHETTI “Normativa CE: concorrenza e gare in materia di servizi pubblici locali. Le gare per i servizi pubblici locali sono richieste dalla vigente normativa CE?”, in http://www.aem.it/download/Gare%C2%A0e%C2%A0normativa%C2%A0CE%C2%A04%2012%2002(1).pdf

(12) Cfr, Corte Giustizia CE, 16 febbraio 1978, n. 1978, in C-61/77.

(13) Corte di Giustizia Europea, sentenza 30.4.1974, c-155/73 e 23.4.1991, c-41/90.

(14) D. CALDIROLA, “La dimensione comunitaria del servizio pubblico ovvero il servizio di interesse economico generale e il servizio universale”, cit.

(15) Cfr, sentenza della Corte del 19 maggio 1993 nella causa C-320/91, Corbeau/Régie des postes e sentenza 27 aprile 1994, causa C- 393/92.

(16) Sentenza della Corte del 19 maggio 1993 nella causa C-320/91, cit., punto 14.

(17) Vd. punto 3.3 del Libro bianco.

(18) L’art. II-96 (“Accesso ai servizi d'interesse economico generale”), dispone che “al fine di promuovere la coesione sociale e territoriale dell'Unione, questa riconosce e rispetta l'accesso ai servizi d'interesse economico generale quale previsto dalle legislazioni e prassi nazionali, conformemente alla Costituzione”; l’art. III-122 che “Fatti salvi gli articoli I-5, III-166, III-167 e III-238 e in considerazione dell'importanza dei servizi di interesse economico generale in quanto servizi ai quali tutti nell'Unione attribuiscono un valore e del loro ruolo nella promozione della coesione sociale e territoriale, l'Unione e gli Stati membri, secondo le rispettive competenze e nell'ambito del campo di applicazione della Costituzione, provvedono affinché tali servizi funzionino in base a principi e condizioni, in particolare economiche e finanziarie, che consentano loro di assolvere i propri compiti. La legge europea stabilisce tali principi e fissa tali condizioni, fatta salva la competenza degli Stati membri, nel rispetto della Costituzione, di fornire, fare eseguire e finanziare tali servizi”, e l’art. III-166 che “1. Gli Stati membri non emanano né mantengono, nei confronti delle imprese pubbliche e delle imprese cui riconoscono diritti speciali o esclusivi, alcuna misura contraria alla Costituzione, in particolare all'articolo I-4, paragrafo 2 e agli articoli da III-161 a III-169. 2. Le imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale o aventi carattere di monopolio fiscale sono sottoposte alle disposizioni della Costituzione, in particolare alle regole di concorrenza, nei limiti in cui l'applicazione di tali disposizioni non osti all'adempimento, in linea di diritto o di fatto, della specifica missione loro affidata. Lo sviluppo degli scambi non deve essere compromesso in misura contraria agli interessi dell'Unione. 3. La Commissione vigila sull'applicazione del presente articolo e adotta, ove occorra, gli opportuni regolamenti o decisioni europei.

(19) C.d “direttiva Bolkestein”, dal nome del Commissario in carica al momento della presentazione della proposta, avvenuta il 25.2.2004.

(20) Il diritto di stabilimento è definito come la libertà di stabilirsi in uno stato membro diverso per esercitarvi una attività non salariata. La libera prestazione dei servizi consiste invece nella possibilità di prestare la propria attività in uno stato alle stesse condizioni dei soggetti in quest’ultimo residenti.

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