Il “nodo” dei rimborsi ai gestori uscenti nel settore della distribuzione del gas metano: note a margine di T.A.R. Lombardia-Milano, Sez. III, 28/9/2005 n. 3688.
1. Premessa.
Con la sentenza in commento, il T.A.R. Lombardia ha preso posizione, con diffuse e analitiche argomentazioni, e con esiti innovativi, su alcune fondamentali problematiche – sia di tipo processuale sia di tipo sostanziale - che interessano le “nuove” gare per l’affidamento dei servizi pubblici di distribuzione del gas metano, ai sensi del d.lgs. n. 164/2000 (noto come “decreto Letta”).
In questa sede si prescinderà dai profili di tipo processuale (1), per concentrarsi sui profili di carattere sostanziale.
La tematica affrontata dai Giudici lombardi è di notevole importanza e attualità in ambito settoriale: si tratta della disciplina dei rimborsi dovuti ai gestori uscenti dei servizi locali di distribuzione del gas, in sede di prima applicazione delle “nuove gare” ex d.lgs. n. 164/2000.
Tale disciplina presenta, invero, notevoli incertezze, le quali impongono all’interprete uno sforzo di analisi per poter giungere ad esiti applicativi sufficientemente chiari e razionali, nonchè conformi al quadro giuridico di fonte comunitaria.
La soluzione a cui perviene il T.A.R. ha il pregio della chiarezza e della completezza, ma non appare immune da critiche – come si cercherà di mettere in luce – sia sotto l’aspetto ermeneutico- ricostruttivo, sia sotto l’aspetto degli esiti pratici, offrendo così utili spunti per una più approfondita riflessione.
2. Il fatto.
Intervenuta la scadenza naturale della concessione per la gestione del servizio locale di distribuzione del gas, il Comune di Fagnano Olona indiceva una procedura ristretta per il nuovo affidamento del servizio, a norma dell’art. 14, d.lgs. n. 164/2000.
Tra le condizioni di gara, la lex specialis stabiliva l’obbligo per l’impresa aggiudicataria di corrispondere al gestore uscente la considerevole somma di € 3.487.728, a titolo di rimborso al gestore uscente.
Tale somma corrispondeva al valore di stima degli impianti esistenti, costruiti dal gestore uscente e, conseguentemente, ancora di proprietà di quest’ultimo.
Una delle imprese invitate – AGESP – rappresentava all’Amministrazione l’eccessiva gravosità di tale obbligo, come emergente dalla lettera di invito.
A fronte dell’indisponibilità del Comune a rivedere il punto in questione, l’impresa citata decideva di non partecipare alla gara e di interporre ricorso avverso la lex specialis.
Il T.A.R. adito era chiamato, dunque, a verificare la legittimità della disposizione di gara che poneva a carico del nuovo affidatario il pagamento – quale condizione per il concreto avvio della gestione – della suddetta somma.
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3. Proprietà degli impianti e rimborso al gestore uscente.
In tema di rimborso al gestore uscente, la sentenza in commento ricostruisce con ampiezza il dato normativo, come emerge dagli artt. 14 comma 8, e 15 comma 5, d.lgs. n. 164/2000, nonché il contesto nel quale è intervenuto.
Vengono distintamente trattate le due discipline dettate sul punto dal “decreto Letta”:
- l’art. 14 comma 8 contiene la disciplina applicabile “a regime”, al termine dei nuovi affidamenti disposti in applicazione della riforma (affidamenti dodicennali, previa gara, ai sensi dello stesso art. 14);
- l’art. 15, comma 5, si occupa invece dei rimborsi ai titolari degli affidamenti in essere al momento dell’entrata in vigore della riforma, nell’ambito dell’apposito regime transitorio previsto dallo stesso art. 15.
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3.1. Le regole “a regime” (art. 14, commi 4 e 8, d.lgs. n. 164/2000): separazione tra proprietà e gestione degli impianti e limitazione del rimborso al valore residuo degli ammortamenti degli investimenti realizzati durante la gestione.
Il T.A.R analizza molto lucidamente la disciplina “a regime”, individuandone la ratio fondamentale nell’esigenza di garantire l’effettiva apertura del settore al confronto concorrenziale.
E’ molto interessante osservare – preliminarmente – come, secondo la sentenza in esame, la disciplina dell’art. 14 sottenda una scelta chiara ed univoca in ordine al regime della proprietà degli impianti.
Tale scelta è ricondotta al comma 4 dell’art. 14 ed, in particolare, alle due seguenti proposizioni in esso contenute:
- “Alla scadenza del periodo di affidamento del servizio, le reti, nonché gli impianti e le dotazioni dichiarati reversibili, rientrano nella piena disponibilità dell’ente locale;
- “Gli stessi beni, se realizzati durante il periodo di affidamento, sono trasferiti all’ente locale alle condizioni stabilite nel bando di gara e nel contratto di servizio”.
In tale disposto il T.A.R. legge, ragionevolmente, due diversi regimi per la proprietà degli impianti, l’uno per l’infrastruttura di rete preesistente all’affidamento, l’altro per gli impianti realizzati dal gestore nel corso dell’affidamento medesimo:
- la prima è di proprietà dell’ente locale e viene conferita in uso al gestore;
- i secondi sono invece di proprietà del gestore che li ha realizzati e, alla scadenza della concessione, vengono trasferiti all’ente locale alle condizioni contrattualmente previste.
In questo quadro si colloca la disciplina “a regime” del rimborso spettante al gestore uscente.
Essa prevede che il nuovo gestore subentri al precedente corrispondendogli una somma pari al valore residuo degli ammortamenti degli investimenti realizzati nel corso della gestione, come risultanti dai bilanci e in conformità agli impegni assunti dal gestore uscente in sede di gara (piano di investimento e relativi ammortamenti indicati in offerta).
Una tale disposizione è coerente con la scelta legislativa – emergente dall’art. 14, comma 4, cit. – di non contemplare un trasferimento della proprietà degli impianti al gestore, ed è quindi idonea a confermare e ad avvalorare una tale scelta.
Il trasferimento della proprietà avrebbe dovuto comportare, infatti, la corresponsione del valore industriale delle dotazioni impiantistiche trasferite; eventualità, questa, che non viene neppure ipotizzata come alternativa possibile dalla normativa in esame.
La logica che ha mosso il Legislatore è ben spiegata nella sentenza in commento.
La somma che il nuovo affidatario è tenuto a versare ai sensi dell’art. 14, comma 8, costituisce il corrispettivo per la disponibilità di quella parte del patrimonio impiantistico che il gestore uscente ha realizzato e che non è stato in grado di ammortizzare durante il dodicennio di gestione (in ragione della più lunga durata della vita fisica degli impianti).
Lo conferma il successivo comma 9 dell’art. 14, laddove precisa che il nuovo gestore acquisisce la disponibilità degli impianti alla data del pagamento dell’indennizzo di cui al comma 8, ovvero alla data di offerta reale dello stesso.
In sostanza, è ragionevole che il gestore subentrante, a fronte del diritto acquisito all’uso – economicamente remunerativo – di quanto realizzato dal precedente affidatario, si faccia carico del valore di tali realizzazioni, per la parte non abbattuta finanziariamente nel corso del passato esercizio. Il rimborso dovuto è quindi chiaramente giustificato dal trasferimento del diritto di utilizzazione, non già del diritto di proprietà, che invece viene ceduto ex lege all’ente locale a norma dell’art. 14, comma 4; e va aggiunto che la cessione della proprietà all’ente locale avviene alle condizioni stabilite nel bando di gara e nel contratto di servizio, come, per l’appunto, previsto dal citato comma 4.
In sintesi, dunque, la sentenza in esame mette in evidenza come il d.lgs. n. 164/2000 abbia inteso separare nettamente proprietà e gestione:
- la proprietà spetta solo al Comune;
- la gestione e, quindi, l’utilizzo degli impianti, con tutti i relativi oneri, compresi gli investimenti per le opere di ampliamento e ammodernamento, fanno carico agli affidatari del servizio; con la conseguenza che gli oneri non ammortizzati per tali investimenti passano da un gestore all’altro in occasione del ri-affidamento della gestione.
A fronte del suo diritto di proprietà, il Comune, poi, potrà richiedere un canone al gestore per la concessione in uso dell’impianto, purchè di entità compatibile con la disciplina tariffaria e, quindi, con le esigenze di remuneratività della gestione.
Tale “sistema”, osserva il T.A.R, favorisce l’apertura del confronto concorrenziale, in quanto mette al riparo le gare dall’incidenza di ogni profilo legato al trasferimento della proprietà degli impianti e, quindi, al pagamento del relativo valore industriale (di importo assai considerevole).
In tal modo è possibile l’accesso alle gare di una vasta platea di operatori – anche di dimensioni medie o piccole –, non essendo l’aggiudicatario tenuto a farsi carico, per poter concretamente acquisire la gestione, di null’altro che il valore residuo degli investimenti realizzati nell’ultimo dodicennio. Ben diverso sarebbe, ovviamente, se fosse chiesto al gestore di rilevare anche la proprietà degli impianti, pagando come corrispettivo il costo necessario per ricostruire “a nuovo” impianti equivalenti (c.d. “valore di stima industriale”).
La ricostruzione ora delineata appare senz’altro completa e condivisibile e ha il merito di fornire un contributo di chiarezza su profili – regime proprietario degli impianti e rapporti tra proprietà e gestione – che, in presenza di un dato normativo incerto o comunque poco esplicito, avevano suscitato opinioni diversificate.
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3.2. Le regole applicabili nella fase transitoria (art. 15, comma 5, d.lgs. n. 164/2000): profili critici.
Più problematica – e, a nostro avviso, non del tutto coerente – si rivela la parte della sentenza dedicata al regime dei rimborsi in sede di prima applicazione della riforma (art. 15, comma 5), come si cercherà di mettere in evidenza qui di seguito.
Per quanto riguarda la regolazione dei rapporti economici con i concessionari soggetti al regime transitorio, i Giudici lombardi individuano due distinte fattispecie, a cui vengono fatte corrispondere altrettanto distinte discipline.
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A) La prima fattispecie è costituita dalle concessioni e dagli affidamenti che, per effetto del d.lgs. n. 164/2000, subiscono un’anticipazione ex lege – o comunque una determinazione imperativa – della loro scadenza.
Si tratta – per fare direttamente riferimento al dato normativo – della fattispecie così sinteticamente descritta e regolata dal secondo periodo dell’art. 15, comma 5, d.lgs. n. 164/2000: “Gli affidamenti e le concessioni in essere per i quali non è previsto un termine di scadenza o è previsto un termine che supera il periodo transitorio, proseguono sino al completamento del periodo transitorio stesso”
Ad avviso del T.A.R., questo – e solo questo – è il caso a cui si riferisce la specifica disciplina del rimborso al gestore uscente dettata dagli ultimi due periodi dell’art. 15, comma 5, cit.
“In quest’ ultimo caso – ivi si legge – ai titolari degli affidamenti e delle concessioni in essere è riconosciuto un rimborso, a carico del nuovo gestore ai sensi del comma 8 dell’articolo 14, calcolato nel rispetto di quanto stabilito nelle convenzioni o nei contratti e, per quanto non desumibile dalla volontà delle parti, con i criteri di cui alle lettere a) e b) dell’articolo 24 del regio decreto 15 ottobre 1925, n. 2578. Resta sempre esclusa la valutazione del mancato profitto derivante dalla conclusione anticipata del rapporto di gestione”.
Il dettato normativo, attraverso il riferimento alle lett. a) e b) dell’art. 24, R.D. n. 2578/1925, rinvia, in assenza di una diversa ed espressa volontà contrattuale sul punto, al criterio del valore di stima industriale degli impianti, ossia, per l’appunto, al criterio adottato dal citato art. 24 per l’ipotesi di riscatto anticipato.
Secondo il Tribunale milanese, detto rimborso, parametrato al valore industriale delle dotazioni impiantistiche, è da intendersi interamente a carico del gestore subentrante, alla luce del disposto normativo, che recita: “a carico del nuovo gestore ai sensi del comma 8 dell’art. 14”.
Tale esito, tuttavia, non sembra coerente con le considerazioni contenute nella sentenza a proposito della disciplina dei rimborsi relativa ai “nuovi” affidamenti, nonchè con la ratio di tutela della concorrenza che tali considerazioni evidenziano.
E’ inevitabile porsi, infatti, il seguente quesito.
Se la normativa “a regime” ha inteso escludere che potesse porsi a carico dei nuovi gestori – e quindi che potesse inserirsi tra le clausole dei bandi di gara – l’obbligo di versare le ingenti somme che corrispondono al valore industriale d’impianto, per quale ragione il Legislatore si sarebbe regolato diversamente in sede di prima applicazione della riforma?. Porre a base di gara un obbligo di rimborso incentrato sul valore industriale d’impianto non può, molto spesso, determinare – in relazione all’entità economica di tale rimborso – l’inaccessibilità della gara stessa per numerosissimi operatori del settore, se non addirittura, in certi casi, per la totalità di tali operatori, fatta eccezione per il solo gestore uscente destinato a percepire il suddetto rimborso?
Il T.A.R. milanese, in effetti, non ha mancato di porsi queste domande.
La risposta che ne ha dato è la seguente.
Nella fattispecie in esame l’applicazione del criterio del valore di stima industriale troverebbe giustificazione, secondo il T.A.R., “nell’esigenza di compensare il gestore uscente dell’abbreviazione d’imperio delle durata delle pregresse concessioni e di prevenire l’insorgere del conseguente rischio di alterazione dell’equilibrio economico della gestione (basata sull’aspettativa ad un rapporto di maggiore durata)”. Per quanto concerne poi “l’imposizione dei relativi oneri a carico del distributore subentrante”, il Collegio osserva che “essa sembra poter trovare compensazione nel vantaggio che lo jus superveniens assicura ai nuovi operatori per effetto della possibilità di accesso anticipato al mercato dei servizi di distribuzione del gas”.
Il passaggio appare francamente aporetico, anche se tenta di individuare una via d’uscita rispetto alla lettera del dettato normativo, che, prima facie, sembrerebbe insuperabile.
Innanzitutto, non sembra ragionevole spiegare l’adozione del criterio di stima industriale con una finalità di “compensazione” dell’anticipazione ex lege della scadenza delle concessioni.
A chi scrive pare che il suddetto criterio, intanto possa essere applicato, in quanto venga in rilievo un trasferimento della proprietà del patrimonio impiantistico, per cui, semplicemente:
- chi cede percepisce il valore dell’impianto ceduto (ovvero, comunque, un indennizzo rapportato a tale valore, pari al costo di realizzazione di un impianto equivalente, tenuto conto del grado di invecchiamento dei cespiti e degli altri fattori di cui all’art. 24, R.D. n. 2578/1925);
- chi acquista corrisponde, ragionevolmente, tale valore e può inserire, di conseguenza, i beni acquistati nello stato patrimoniale del proprio bilancio.
Non vi è dubbio che, in sede di prima applicazione delle gare di cui all’art. 14 d.lgs. n. 164/2000, ci si trovi di fronte, molto spesso, ad impianti costruiti dai gestori uscenti e, quindi, di proprietà dei medesimi.
La necessità di espletare le gare per i nuovi affidamenti comporta, quindi, che la proprietà degli impianti venga rilevata dagli Enti locali, titolari dei servizi pubblici in questione e soggetti investiti del potere-dovere di indire la gare per il loro affidamento.
Pertanto, di trasferimento di proprietà si dovrà in effetti parlare, ma non dal “vecchio” al “nuovo” gestore, bensì dal primo al Comune.
Di conseguenza, quest’ultimo, in quanto acquirente e nuovo proprietario, e non il gestore entrante, dovrebbe essere tenuto a indennizzare il precedente proprietario.
Nel caso specifico, invece, stando alla tesi del T.A.R. di Milano, il distributore subentrante sarebbe tenuto a versare un rimborso rapportato al valore industriale dell’impianto senza, per converso, acquisire la proprietà di quest’ultimo. E, del resto, l’acquisizione della proprietà, da parte del gestore, sarebbe esclusa dalle linee fondamentali del nuovo assetto della riforma – come ampiamente illustrato nella stessa sentenza – e, segnatamente, dall’art. 14, con la relativa previsione di una netta distinzione tra proprietà e gestione.
Questa non corrispondenza tra titolare della proprietà e soggetto obbligato al rimborso appare difficilmente giustificabile sul piano razionale.
Né, da questo punto di vista, risulta persuasivo osservare – come pure fanno i Giudici lombardi – che questi maggiori oneri a carico del gestore subentrante sarebbero giustificati dalla possibilità di accedere anticipatamente al mercato dei servizi di distribuzione, per effetto della scadenza anticipata ex lege delle concessioni.
Il punto, francamente, ci pare un altro.
Si tratta di comprendere, piuttosto, se l’entità degli oneri che il Comune, in sede di gara, dovrà richiedere all’aggiudicatario sia compatibile con la necessità di garantire l’equilibrio economico della gestione e, quindi, in definitiva, con la possibilità di espletare utilmente la gara stessa.
Infatti, qualunque sia il momento di inizio dell’affidamento – anche cioè quando risulti anticipato rispetto alla naturale scadenza contrattuale della concessione, per l’apposizione di un termine imperativo ex lege –, è un fatto che esso potrà durare soltanto dodici anni. L’esigenza di garantire la remuneratività e l’equilibrio della gestione deve, quindi, fare i conti con questa durata predeterminata dalla legge e, di conseguenza, con la necessità di ammortizzare i costi entro tale durata (fatta eccezione per il valore residuo degli investimenti realizzati durante l’esercizio).
La questione sarà ripresa più avanti.
Per intanto è sufficiente aver evidenziato gli elementi di criticità della ricostruzione operata sul punto dalla sentenza in commento.
Criticità che, in effetti, prima che informare la linea interpretativa del T.A.R. lombardo, sembrerebbe caratterizzare lo stesso dato testuale della norma, il quale, contro logica, come si è visto, parrebbe sancire la suddetta non corrispondenza tra titolare della proprietà e soggetto tenuto al rimborso (“rimborso a carico del gestore subentrante…, da calcolarsi.. con i criteri di cui alle lettere a) e b) dell’art. 24…”).
Tra breve si tenterà di verificare se, anziché sforzarsi di ricercare una spiegazione ragionevole dell’interpretazione letterale delle norma accolta nella pronuncia in esame, non vi sia spazio, piuttosto, per una diversa lettura, più attenta ai dati di sistema e agli esiti pratici.
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B) Prima, occorre però prendere in considerazione la seconda fattispecie trattata nella sentenza a proposito dei rimborsi da effettuarsi durante il periodo transitorio, a norma dell’art. 15, comma 5, d.lgs. n. 164/2000.
Si tratta dei casi in cui la scadenza naturale dell’affidamento è compresa nel periodo transitorio.
In tali casi, non trova applicazione – secondo la pronuncia in commento – la disciplina di cui al citato art. 15, comma 5 (rimborso a carico del gestore subentrante), bensì soltanto quanto previsto nella convenzione stipulata inter partes. Ove quest’ultima preveda la devoluzione onerosa degli impianti al Comune a fine gestione, sarà l’Ente locale a doversi fare carico del pagamento del valore di stima dei cespiti impiantistici oggetto di trasferimento.
“Nel silenzio della legge – è affermato nella sentenza in parola – deve invece escludersi la possibilità di trasferire detti obblighi a carico del nuovo distributore” . Ciò coerentemente “nell’ottica liberalizzatrice del decreto Letta”, in quanto, diversamente, risulterebbero alterate le condizioni di partenza nel confronto concorrenziale, a vantaggio dei distributori uscenti, “con l’effetto di ostruire di fatto l’accesso alla gestione del servizio da parte di nuovi soggetti”.
Al gestore subentrante possono essere accollati soltanto gli oneri da indicare nei bandi delle nuove gare ai sensi dell’art. 14, comma 9, d.lgs. n. 164/2000, vale a dire quelli corrispondenti al valore residuo degli ammortamenti degli investimenti realizzati dal gestore uscente, come risultante dai bilanci di quest’ultimo.
Oneri, questi, che ragionevolmente si giustificano pur in assenza di qualsivoglia trasferimento in proprietà degli impianti, a fronte del diritto, acquisito dal nuovo concessionario, di utilizzare in modo remunerativo le opere realizzate dall’operatore che lo ha preceduto.
Nella fattispecie in esame, quindi, secondo il T.A.R. Lombardia:
- gravano sul Comune i costi di acquisizione in proprietà (in capo al medesimo Comune) dell’impianto;
- può gravare sul gestore subentrante – se in tal senso si orienta la lex specialis di gara – il solo valore residuo degli ammortamenti degli investimenti realizzati dal gestore uscente, come da risultanze di bilancio.
Un tale esito – ancorché possa mettere talvolta in difficoltà le finanze comunali – appare ragionevole e coerente con il principio della separazione tra proprietà e gestione degli impianti, nonché compatibile con la necessità di garantire l’economicità delle condizioni di affidamento.
Ora, proprio la soluzione che i Giudici milanesi individuano per il caso in questione (scadenza dell’affidamento entro il periodo transitorio), e le relative motivazioni, fanno risaltare la non persuasività della diversa soluzione individuata per la prima fattispecie esaminata (anticipazione ex lege della scadenza).
In tale fattispecie la sentenza legittima la messa in carico al nuovo distributore dell’intero valore di stima dell’impianto, senza correlativa acquisizione, da parte del medesimo distributore, della proprietà dell’impianto stesso (che passa, invece, al Comune).
Appare evidente che anche qui si pongono gli stessi problemi che è lo stesso T.A.R a denunciare a proposito dell’altra fattispecie (scadenza naturale entro il “transitorio”): costi iniziali troppo elevati (gravanti su tutti gli aspiranti nuovi affidatari, eccetto il gestore uscente) incidono sull’effettività del confronto concorrenziale, avvantaggiando i gestori uscenti e ostacolando l’accesso al mercato di nuovi operatori; tali costi non si giustificano quale corrispettivo per l’acquisto della proprietà, né – soprattutto – appaiono compiutamente ammortizzabili dal gestore subentrante durante il periodo di affidamento.
Né, ancora, il vantaggio – enfatizzato dal T.A.R. – derivante da un’anticipazione dell’accesso al mercato degli aspiranti nuovi affidatari – per effetto dell’anticipazione ex lege delle scadenze degli affidamenti – può in alcun modo superare gli aspetti problematici evidenziati. E ciò per le ragioni già dette (imprescindibili sono comunque le compatibilità economiche della gestione, quale che sia il suo momento di avvio).
Ne discende, allora, che l’art. 15, comma 5, d.lgs. n. 164/2000, se inteso secondo la linea interpretativa fatta propria dalla sentenza in commento, si rivelerebbe incompatibile con gli stessi principi costitutivi della direttiva comunitaria di liberalizzazione del settore (98/30CE), oltre che, più in generale, con i principi di proporzionalità e non discriminazione, nonché di effettività delle libertà comunitarie, come evincibili dal Trattato CE. Senza considerare, poi, sul piano dell’ordinamento costituzionale interno, i principi di ragionevolezza (art. 3, Cost.) e tutela della libertà di iniziativa economica privata (art. 41, Cost.).
Entro tale ottica, infatti, la norma citata imporrebbe agli Enti locali di redigere bandi per le nuove gare in contrasto con i principi sopra richiamati.
Si impone, allora, la necessità di verificare se la disposizione in questione possa essere interpretata conformemente alle norme e ai principi del diritto comunitario, oltre che a quelli di ordine costituzionale.
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3.3. Proposte ricostruttive.
Tre appaiono, da questo punto di vista, le alternative percorribili.
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A) La prima consiste nell’applicare anche ai casi di anticipazione ex lege della scadenza dell’affidamento i criteri enucleati dal T.A.R. con riguardo ai soli casi di scadenza compresa entro il periodo transitorio: il Comune acquisita la proprietà dell’impianto e ne paga il prezzo di stima al concessionario uscente; il nuovo gestore può essere chiamato a versare a quello uscente solo il valore non ammortizzato degli investimenti realizzati durante la gestione.
Il dato testuale dell’art. 15, comma 5, sembra offrire qualche elemento in questa direzione, laddove è precisato che il rimborso al gestore uscente è da intendersi “a carico del nuovo gestore ai sensi del comma 8 dell’articolo 14”.
Non pare irragionevole ritenere che il richiamo espresso al comma 8 dell’art. 14 abbia la funzione di individuare e delimitare ciò che può essere posto a carico del nuovo gestore: ossia, propriamente, ciò che è oggetto del citato comma 8, il valore residuo degli ammortamenti degli investimenti realizzati, come risultanti dai bilanci del gestore uscente.
Diversamente, perché richiamare espressamente la disposizione di cui al comma 8?
Allo scopo di accollare comunque al distributore entrante l’intero rimborso, sarebbe stato sufficiente dire “ a carico del nuovo gestore”, e null’altro.
Lo specifico richiamo normativo in questione risulterebbe privo di ratio e sostanzialmente pleonastico.
L’opzione ermeneutica qui affacciata consente invece di attribuirgli una valenza precisa, idonea a ricondurre a ragionevolezza la portata dell’art. 15, comma 5.
Secondo tale opzione, dunque, si potrebbe porre a carico del nuovo concessionario l’obbligo di rimborso soltanto in parte qua (limitatamente al menzionato valore residuo degli ammortamenti). Per il resto, detto rimborso, da determinarsi nel rispetto delle clausole convenzionali, ovvero ai sensi dell’art. 24, R.D. n. 2578/1925 (esclusa comunque la valutazione del mancato profitto), rimarrebbe a carico del Comune.
Si potrebbe obiettare che la disciplina del rimborso di cui all’art. 15, comma 5 è testualmente riferita ai soli casi di anticipazione ex lege della durata della concessione (“In quest’ultimo caso…”), proprio per differenziarla dal regime applicabile ai casi di scadenza entro il periodo transitorio.
A tale obiezione si può replicare, tuttavia, che una disciplina positiva ex lege si rende necessaria solo con riferimento specifico agli affidamenti per i quali la legge interviene imperativamente ad anticiparne la cessazione. Il disposto normativo fa riferimento espressamente a tali casi soltanto per questa ragione, e non già per differenziarne necessariamente il trattamento rispetto ai casi di naturale cessazione durante il periodo transitorio. In questi ultimi casi sono destinate, infatti, a trovare normale applicazione le condizioni contrattualmente concordate tra le parti per la scadenza dell’affidamento (non essendo intervenuta alcuna modifica ex lege di detta scadenza).
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B) Esiste una seconda opzione interpretativa prospettabile, almeno astrattamente, allo scopo di “razionalizzare” gli effetti della disposizione in esame.
Se si ritiene cioè – come ritiene il T.A.R. di Milano – che l’art. 15, comma 5, cit. ponga a carico del gestore subentrante l’intero rimborso dovuto al gestore uscente (compreso, quindi, l’eventuale prezzo di stima dell’impianto), allora, a ciò deve ragionevolmente corrispondere – a differenza di quanto ritenuto dai Giudici lombardi – il trasferimento della proprietà degli impianti al medesimo gestore subentrante.
L’acquisizione in proprietà degli impianti consentirebbe al nuovo gestore di ammortizzare completamente il valore industriale corrisposto, attraverso ammortamenti tecnico-economici rapportati alla vita fisica utile dei cespiti impiantistici (2).
Poiché, tuttavia, la vita utile degli impianti eccede la durata dell’ affidamento (12 anni), occorrerebbe che il gestore potesse ottenere il rimborso dell’eventuale parte residua di tale valore industriale alla fine del dodicennio di gestione.
Tuttavia, sia quest’ ultima condizione, sia, soprattutto, “a monte”, l’imputazione al gestore della proprietà degli impianti, appaiono difficilmente configurabili nell’assetto previsto dal d.lgs. n. 164/2000, atteso che:
- ai sensi dell’art. 14, comma 4, la proprietà degli impianti spetta all’Ente locale (come bene evidenziato dalla sentenza in commento) ed, in particolare, per quanto riguarda le opere preesistenti all’affidamento, esse “rientrano nella piena disponibilità dell’Ente al termine dell’affidamento medesimo”; il che presuppone, logicamente, l’originaria titolarità della proprietà in capo all’Ente affidante all’atto dell’affidamento stesso;
- ai sensi dell’’art. 14, comma 8, il diritto al rimborso è limitato al solo valore residuo relativo agli “investimenti realizzati” durante la gestione;
- sempre a norma del citato comma 8, al rimborso è tenuto a provvedere il gestore subentrante, a fronte del mero utilizzo dei beni impiantistici, mentre, nello specifico, verrebbe in rilievo la parte residua di un valore industriale d’impianto che logicamente dovrebbe gravare sul soggetto proprietario (il Comune).
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C) E’ altresì possibile ipotizzare una terza alternativa, sul piano operativo, secondo il seguente schema (3):
- la proprietà degli impianti passa dal gestore uscente all’Ente locale;
- il rimborso del relativo valore industriale viene posto integralmente a carico del gestore subentrante;
- quest’ultimo ammortizza, nei dodici anni di gestione (con il criterio dell’ammortamento finanziario, e non dell’ammortamento tecnico economico rapportato alla vita utile dei beni impiantistici (4) ), anziché l’intero valore di rimborso, detto valore diminuito di una parte residua, che sarebbe posta a carico del successivo gestore e, segnatamente, fatta oggetto dell’indennizzo dovuto da quest’ultimo ai sensi dell’art. 14, comma 8, d.lgs. n. 164/2000.
I presupposti sui cui tale schema si basa appaiono corretti:
- il trasferimento della proprietà impiantistica al gestore non è da ritenersi compatibile con le disposizioni del “decreto Letta”;
- se il rimborso del valore industriale non costituisce il “prezzo” dell’acquisto della proprietà degli impianti, bensì si giustifica a fronte della sola concessione in uso degli stessi, detto rimborso non può essere assoggettato all’ammortamento tecnico-economico, rapportato alla vita utile degli impianti stessi, bensì solamente all’ammortamento finanziario, rapportato alla durata dodicennale della concessione (e costituito da eguali quote di ammortamento annuale).
Tuttavia, se detti presupposti sono veri, non appare configurabile, alla fine del dodicennio, alcun valore residuo di ammortamento. E ciò in quanto il periodo di ammortamento non può eccedere la durata dell’affidamento, ossia il dodicennio medesimo.
Il riferimento, operato dall’art. 14, comma 8, d.lgs. n. 164/2000, al valore residuo non ammortizzato degli investimenti effettuati, presuppone, invece, chiaramente, l’assunzione della nozione di ammortamento tecnico-economico e, conseguentemente, di un periodo di ammortamento rapportato alla vita utile delle opere impiantistiche realizzate, ossia di un periodo di ammortamento più lungo della durata dell’affidamento. Diversamente – è ovvio – non si darebbe alcun “valore residuo”.
Nell’ipotesi ora considerata, pertanto, non può trovare applicazione il citato art. 14, comma 8.
L’operazione che si ipotizza è quella di sottoporre ad ammortamento finanziario (nei dodici anni e senza valori residui) una somma inferiore rispetto al rimborso versato dal gestore entrante al gestore uscente.
La differenza verrebbe posta a carico del successivo distributore a titolo di indennizzo.
Va chiarito, allora, che tale indennizzo non avrebbe ad oggetto un valore residuo di ammortamento, bensì rappresenterebbe un contributo del nuovo gestore agli oneri iniziali sostenuti dal precedente per la rilevazione in gestione dell’impianto. Concettualmente, l’operazione potrebbe anche trovare giustificazione (5), ma non sulla base dell’applicazione dell’art. 14, comma 8, cit.
Si tratterebbe piuttosto di una scelta discrezionale dell’Ente locale in sede di predisposizione del bando di gara. Ivi dovrebbe essere predeterminata l’entità del contributo a carico del successivo gestore, o in misura fissa o in misure-base, suscettibile di ribasso in sede di offerta.
Anche tale soluzione suscita, comunque, serie perplessità, in parte assimilabili a quelle segnalate per l’ipotesi trattata al punto B).
Per un verso si tratta di una soluzione compatibile con il regime proprietario evincibile da d.lgs. n. 164/2000, ma, per altro verso, essa è estranea al modello di affidamento delineato dal medesimo decreto.
In sintesi, può dirsi quanto segue.
Ai sensi dell’art. 15, comma 5, d.lgs. n. 164/2000, il rimborso, in sede di prima applicazione della riforma, è “a carico del nuovo gestore ai sensi del comma 8 dell’art. 14”.
Nell’ipotesi in esame il rimborso non sarebbe né posto ad esclusivo carico del gestore subentrante (perché una parte sarebbe destinata ad andare a gravare sul gestore successivo), né in alcun modo correlato all’art. 14, comma 8, dal punto di vista del suo contenuto sostanziale.
Il comma 8, cit. si riferisce, infatti, al solo valore residuo degli investimenti, non già all’intero valore industriale dell’impianto.
Inoltre, anche l’indennizzo a carico del successivo distributore non sarebbe riconducibile a quello previsto dal medesimo art. 14, comma 8, in quanto tale disposizione prende precipuamente in considerazione il valore residuo di ammortamento (e non una forma di contribuzione esterna, quale quella ipotizzata nella specie), e lo fa con riferimento esclusivo agli investimenti realizzati durante la gestione (e non all’impianto preesistente e al relativo valore industriale).
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Le considerazioni che precedono inducono, quindi, a preferire la prima delle tre alternative prospettate.
Essa può comportare oneri significativi per gli Enti locali in sede di prima applicazione dell’art. 14, d.lgs. n. 164/2000.
Resta ferma, tuttavia, l’ampia discrezionalità dei Comuni nella determinazione delle condizioni economiche da porre a base di gara (canone e altri oneri a carico del gestore), a seconda del caso concreto, e compatibilmente con i margini di redditività del servizio di volta in volta considerato, alla luce della disciplina tariffaria applicabile.
L’accorto uso di tale discrezionalità potrà determinare – crediamo – un’equa distribuzione di tali oneri iniziali, a beneficio delle esigenze di funzionamento del “sistema”.
Diversamente, occorrerà operare de iure condendo, con una disciplina maggiormente chiara, esplicita e coerente, che ponga rimedio al carattere ellittico ed incerto dell’attuale normativa.
Note:
(1) Sotto il profilo processuale, le tematiche affrontate riguardano, in generale, le gare per l’aggiudicazione di contratti pubblici.
Esse possono essere sintetizzate nel seguente quesito.
Nel caso in cui le condizioni poste a base di gara siano eccessivamente onerose e tali per cui l’aspirante concorrente, per partecipare alla procedura, dovrebbe formulare un’offerta non remunerativa o addirittura in perdita, è possibile per l’impresa stessa impugnare immediatamente il bando in quanto direttamente lesivo e, contestualmente, non proporre domanda di partecipazione alla gara nei termini previsti, senza con ciò pregiudicare la proprio posizione di qualificato interesse all’annullamento o alla sospensione del bando?
Il T.A.R. Lombardia risponde positivamente a tale quesito – a determinate condizioni –, discostandosi dalle tradizionali posizioni della giurisprudenza, e contribuendo a superare – finalmente – l’apparente impermeabilità di approcci di stampo eccessivamente formalistico e processualistico.
(2) Il riferimento obbligato è a quanto previsto, sia pure ai fini tariffari, dalla tabella allegata alla deliberazione AEEG n. 170/2004 e dalla connessa deliberazione AEEG n. 171/2004.
(3) Si tratta di uno schema che ha trovato concreta applicazione, per es., in una recente gara espletata dal Comune di Treviso.
(4) Cfr. artt. 67-69, d.P.R. n. 917/1986 e ss.mm.ii; artt. 2423 e ss. c.c.
(5) Ciò in considerazione del fatto che anche il “secondo gestore” si giova dell’uso di un impianto la cui rilevazione, dal proprietario originario, ha comportato un esborso diretto assai elevato soltanto da parte del “primo gestore”. A questa stregua, però, non sarebbe più equo distribuire l’onere su tutti i soggetti che si avvicendano nella gestione, in ragione della durata della vita tecnica utile dell’impianto? |