HomeSentenzeArticoliLegislazionePrivacyRicercaChi siamo
Avvalimento e A.T.I. per cooptazione: riflessioni sull'ambito di operatività di tali istituti in rapporto alle concessioni di servizi pubblici (con particolare riferimento al servizio pubblico di distribuzione del gas naturale).
di Stefano Ferla  (avv.stefanoferla@libero.i) 11 aprile 2006
Materia: appalti / A.T.I.

Avvalimento e A.T.I. per cooptazione: riflessioni sull’ambito di operatività di tali istituti in rapporto alle concessioni di servizi pubblici (con particolare riferimento al servizio pubblico di distribuzione del gas naturale).

 

Nel settore degli appalti pubblici, è noto che il diritto comunitario, in ossequio all’effettività del mercato comune, si è caratterizzato per la tendenza ad ampliare la schiera dei soggetti  ai quali consentire l’accesso alle procedure di gara.

Da questo punto di vista, è altrettanto noto che l’ordinamento interno, proprio in virtù della necessità di recepimento delle c.d direttive comunitarie appalti, ha esteso la gamma delle forme soggettive di partecipazione alle gare.

Il riferimento è, anzitutto, all’obbligatoria previsione, tra tali forme di partecipazione, dei Raggruppamenti Temporanei d’Impresa, finalizzata a consentire agli aspiranti concorrenti, sprovvisti singolarmente di tutti i requisiti richiesti, di potere ugualmente competere in forma associata.

Gli istituti che sono oggetto della presente nota, sia pure ben distinti tra loro, costituiscono un’ulteriore estensione degli spazi di contendibilità dei contratti pubblici, contemplando forme peculiari di associazione temporanee di impresa (ATI per cooptazione) o permettendo ai concorrenti (singoli o raggruppati) di  avvalersi di capacità tecnico-organizzative/economiche di soggetti terzi (avvalimento).

Il problema al quale intendiamo dedicare le osservazioni che seguono – offrendo soltanto alcuni spunti a-sistematici di riflessione – è se l’ambito di operatività di tali istituti sia estendibile alle concessioni di servizi pubblici, con particolare riferimento a quelle relative al servizio di distribuzione del gas.

 

*****

 

1. A.T.I. per cooptazione.

 

1.1. La figura dell’A.T.I. per cooptazione, come è noto, è prevista unicamente dalla normativa vigente in materia di lavori pubblici e, segnatamente, dall’art. 95, comma 4, d.P.R. n. 554/1999 (che riprende analoga disposizione già prevista dall’oggi abrogato art. 23, l. n. 406/1991).

Tale norma consente ad imprese singole, o ad imprese già raggruppate, le quali posseggano già in toto i requisiti di partecipazione richiesti dalla lex specialis di gara, di associare a sé una o più imprese, che, pur prive dei suddetti requisiti, tuttavia, singolarmente:

- risultino qualificate nell’ambito del sistema di qualificazione dei lavori pubblici ai sensi del d.P.R. n. 34/2000;

- nell’ambito di tale sistema, siano qualificate, ancorché per categorie ed importi diversi da quelli richiesti nel bando, comunque per un importo globale – sommando cioè le categorie possedute – almeno pari a quello dei lavori che vengono loro affidati;

- non eseguano più del 20% dei lavori complessivi posti in gara.

Come ha messo in evidenza la giurisprudenza, la finalità dell’istituto della cooptazione è quella di consentire ad imprese, già qualificate nel settore dei lavori pubblici, “di maturare capacità tecniche in categorie di lavori diverse rispetto a  quelle per le quali le stesse siano già iscritte, senza che detta esigenza venga in contrasto con la essenziale prevalente finalità di garanzia dell’Amministrazione appaltante, in quanto la norma richiede, ai fini della costituzione di una associazione di tale tipo, che l’impresa singola o le imprese riunite originariamente posseggano tutti i richiesti requisiti ai fini della partecipazione alla gara” (T.A.R. Sicilia-Palermo, n. 425/2000; cfr. T.A.R. Campania-Napoli, n. 5164/2003).

Occorre aggiungere che si tratta di un istituto congegnato in modo puntuale e selettivo, applicabile soltanto al ricorrere delle tre condizioni sopra indicate.

Esso, in effetti, mira ad “aprire” il mercato dei lavori pubblici relativi a categorie specialistiche anche ad imprese in origine non in possesso di tali categorie; si tratta comunque di un’opportunità offerta ad operatori già appartenenti al comparto dei lavori pubblici e opportunamente qualificati dal punto di vista quantitativo – anche se non dal punto di vista qualitativo-specialistico – rispetto all’entità dei lavori che ricevono in affidamento, entità che non deve comunque eccedere il 20% del valore complessivo dell’appalto.

 

1.2. Prescindiamo in questa sede dalla questione generale della trasponibilità dell’istituto in parola dall’unico ambito in cui è contemplato e specificamente disciplinato (quello dei lavori pubblici regolati dalla l. n. 109/1994 e dal d.P.R. n. 554/1999), ad altri ambiti; ciò di cui è lecito dubitare, sia per l’eccezionalità dell’istituto sia per la specificità della sua disciplina, strettamente legata alle peculiari nozioni del sistema di qualificazione degli esecutori di lavori pubblici.

Ammesso e non concesso che le Amministrazione aggiudicatrici possano astrattamente introdurre, nell’ambito della propria discrezionalità, tale istituto nei bandi di loro competenza, intendiamo verificare se e a quali condizioni esso è compatibile con la disciplina delle gare per l’affidamento in concessione dei servizi pubblici locali di distribuzione del gas ai sensi dell’art. 14, d.lgs. 164/2000.

Tenendo presente che si tratta di gare non direttamente disciplinate dalle c.d. direttive comunitarie appalti e della corrispondente normativa nazionale di recepimento (servizi, forniture, lavori e forniture: d.lgs. n. 157/1995, l. n. 358/1992, l. n. 109/1994 e d.lgs. n. 158/1995; cfr. ora Direttive nn. 17 e 18/2004/CE)1, ma soltanto dalla specifica disciplina settoriale (d.lgs. n. 164/2000), oltre che dai principi del diritto comunitario in materia di affidamento di concessioni di pubblici servizi.

Il discorso che segue, dunque, appare significativo – mutatis mutandis – anche con riferimento al più vasto ambito relativo alle concessioni di pubblico servizio.

 

1.2.1. La verifica prende spunto da un caso specifico e assai recente: il bando per l’affidamento, a licitazione privata, del servizio di distribuzione del gas nel Comune di Pescara 2.

L’art. 10 del bando citato consente ad imprese singole o raggruppate – già in possesso di tutti requisiti tecnici ed economici richiesti – di associare imprese cooptate, a condizione soltanto che queste ultime, singolarmente considerate:

- siano in possesso dell’attestato SOA, Categoria OG6, Class. I;

- svolgano almeno una delle attività costituenti l’oggetto dell’affidamento, ossia, segnatamente: a) manutenzione ordinaria dell’impianto (gestione); b) manutenzione straordinaria; c) rinnovo, sviluppo e potenziamento delle reti; d) allacciamenti; e) attività di misura e manutenzione dei contatori; f) servizio di pronto intervento.

Dal modello della dichiarazione di partecipazione predisposta per le imprese cooptate, si evince che queste ultime devono semplicemente dichiarare di “svolgere o di aver svolto” una delle suddette attività (senza neppure indicare quale).

Ad esse non è invece richiesto di dichiarare quale (o quali)  delle citate attività andranno a svolgere in caso di aggiudicazione della gara e, soprattutto, in quale misura.

La lex specialis in esame, a differenza di quanto prevede l’art. 95, comma 4, d.P.R. n. 554/1999, non pone alcun limite quantitativo all’impiego delle imprese cooptate: nulla vieta che la singola cooptata possa svolgere, addirittura in misura prevalente, l’attività di distribuzione oggetto di affidamento, ovvero, anche interamente, parti qualificanti di detta attività.

Non solo: non è possibile raffrontare i requisiti della cooptata con l’attività che in concreto andrà a svolgere.

Tale raffronto, invece, è considerato ineludibile, sulla base del modello del Regolamento Merloni, ancorché si tratti di un raffronto che riguarda solo l’aspetto quantitativo e non quello qualitativo-specialistico: è necessario che l’ammontare delle qualificazioni della cooptata sia almeno pari all’importo dei lavori che è chiamata ad eseguire.

Nel caso specifico un tale raffronto è precluso, in quanto non si esige dalle cooptate il possesso di alcun requisito di carattere tecnico-economico, se si eccettua la qualificazione SOA Cat. OG6 – Class. 1 .

Tale qualificazione è in effetti esaustiva per la sola componente relativa ai lavori impiantistici; ma è del tutto indifferente per la parte prevalente e qualificante dell’affidamento, che è costituita dalla gestione del servizio di distribuzione.

Ed in nessuna sua parte la lex specialis limita l’operatività dell’associazione per cooptazione alla sola componente lavori.

In definitiva, alla stregua del bando in esame, nulla vieta alle cooptate di svolgere qualsiasi parte delle attività oggetto di affidamento, e in qualsiasi misura.

Ciò non fornisce evidentemente sufficienti garanzie all’Amministrazione aggiudicatrice circa l’esperienza, l’idoneità tecnica  e l’affidabilità dei soggetti che concretamente svolgeranno le prestazioni integranti il pubblico servizio.

Tali garanzie non possono essere costituite, come ben si comprende, solo dal possesso completo di tutti i requisiti da parte della/e impresa/e cooptante/i.

Secondo il modello normativo di cui all’art. 95, comma 4, d.P.r. n. 554/1999, occorre anche una precisa delimitazione dell’impiego della singola cooptata, sia in ragione dei requisiti posseduti, sia comunque in ragione di una soglia massima (pari al 20%).

Sempre secondo il modello citato, poi, le cooptata è un’impresa qualificata nell’ambito del sistema dei lavori pubblici, al pari della cooptante. Ciò che differenzia la prima dalla seconda è propriamente la specializzazione.

Nel caso specifico, invece, è ammessa la cooptazione di imprese completamente estranee al settore relativo alla gestione in concessione di servizi pubblici di distribuzione del gas; ed è ammesso che tali imprese si dedichino alla distribuzione, senza limiti quantitativi.

Per tali ragioni l’istituto della cooptazione, come delineato nel bando del Comune di Pescara, appare in contrasto con i principi che attengono alla corretta qualificazione dei concorrenti e, segnatamente, all’art. 14, comma 4, d.lgs. n. 164/2000, laddove stabilisce che la partecipazione alla gare per la distribuzione avviene “sulla base di requisiti oggettivi, proporzionati e non discriminatori”.

Il contrasto è, come si è visto, in primis con i tratti fondamentali dell’A.T.I. per cooptazione di cui all’art. 95, comma 4, d.P.R. n. 554/1999.

Ammesso e non concesso, cioè, che il modello delineato da tale norma sia trasponibile dagli appalti di lavori pubblici alle concessioni per la gestione di servizi pubblici.

 

1.2.2. E’ il caso allora di tornare, dal caso specifico considerato, alla questione generale sopra posta: è ammessa l’A.T.I. per cooptazione nelle gare per la distribuzione del gas?

Diversi sono gli elementi che depongono nel senso di una risposta negativa.

Il caso-tipo da prendere in considerazione è la cooptazione, da parte di imprese di distribuzione, di operatori qualificati esclusivamente nell’ambito dei lavori.

Ora, delle due l’una.

O lo strumento della cooptazione conduce imprese di lavori pubblici ad operare nell’ambito dell’intero spettro delle prestazioni oggetto di affidamento e, quindi, anche nel campo – prevalente e qualificante – delle prestazioni relative al servizio di distribuzione (come nel caso di Pescara), ed allora esso va decisamente ritenuto inutilizzabile:

1) sia in quanto, come già si è detto, priva l’Amministrazione delle necessarie garanzie di idoneità del soggetto che concretamente opera, in relazione alla specificità delle prestazioni oggetto di affidamento;

2)         sia, conseguentemente, in quanto consente al soggetto cooptato, proprio perché adibito indistintamente alla distribuzione ed ai lavori, di maturare requisiti per partecipare alle successive gare per la distribuzione.

Oppure si limita l’impiego delle imprese cooptate ai soli lavori, ma in tal caso occorrerebbe parlare non già di cooptazione, bensì di A.T.I. verticale, con suddivisione “qualitativa” dei compiti tra le imprese raggruppate (distribuzione e lavori). Ne deriverebbe che le imprese dedite esclusivamente ai lavori non potrebbero maturare requisiti sul piano dell’attività di distribuzione.

La praticabilità di tale modello, tuttavia, incontra un ostacolo fondamentale.

In verità, nelle gare per la distribuzione del gas, non viene richiesto, normalmente, alla ditte concorrenti, di possedere direttamente appositi requisiti di qualificazione per i lavori (Cat.OG 6).

Tale scelta è giustificata dalla circostanza che l’impresa affidataria del servizio di distribuzione, in quanto pubblica concessionaria, può indifferentemente eseguire in proprio i lavori, se qualificata, ovvero appaltarli, sotto la propria responsabilità, ad imprese terze rispettando la normativa vigente sia in punto di modalità di affidamento, sia in punto di requisiti di qualificazione.

Ne deriva, allora, che l’A.T.I. verticale, sul modello sopra ipotizzato, non avrebbe alcuna ragion d’essere, in quanto, non sussistendo la necessità di soddisfare specifici requisiti per i lavori in sede di partecipazione alla gara, l’impresa di distribuzione non avrebbe alcuna necessità di procurarsi un partner specializzato in detto campo.

Ecco allora perché si tende a parlare – impropriamente – di cooptazione; proprio perchè il soggetto cooptante possiede già tutti i requisiti richiesti per la partecipazione alla gara.

E tuttavia, in queste condizioni, l’utilizzazione dell’istituto della cooptazione dovrebbe ritenersi inammissibile, in quanto si tratterebbe di un’utilizzazione indebita e contraria alla ratio stessa dell’istituto, oltre che elusiva dei principi di concorrenzialità e di evidenza pubblica.

Nel caso ipotizzato, infatti, l’impresa di distribuzione, per così dire “cooptante”, potrebbe affidare un appalto di lavori pubblici direttamente ad un soggetto determinato (cooptato), senza esperire le procedure di affidamento normativamente previste (cfr. d.lgs. n. 158/1995 per gli appalti sopra-soglia, in attesa del recepimento della Direttiva 17/2004 ; 3 cfr. i principi derivanti dal Trattato CE, per gli appalti sotto-soglia).

Né ricorrerebbe la ratio specifica sottesa all’istituto della cooptazione, come più sopra richiamata, ossia l’opportunità di far acquisire esperienza specialistica a soggetti ab origine non qualificati, che difficilmente potrebbero acquisire in altro modo detta esperienza e accedere, quindi, al confronto concorrenziale.

Nella fattispecie considerata, infatti, imprese specializzate nel settore dei lavori pubblici potrebbero tranquillamente partecipare alle procedure selettive che la concessionaria del servizio di distribuzione sarebbe tenuta a svolgere per l’affidamento delle opere impiantistiche e connesse (sempre che dette opere non vengano svolte direttamente dalla concessionaria medesima).

Semmai di cooptazione si potrà parlare nell’ambito di tali procedure (per l’affidamento di meri appalti di lavori), qualora un’impresa titolare della pertinente categoria di qualificazione (OG6) voglia associare a sé altra impresa priva di tale categoria specialistica, purchè nel rispetto delle condizioni di cui all’art. 95, d.P.R. n. 554/1995 (norma che – in questo caso sì – potrebbe ritenersi analogicamente applicabile ad appalti che, come quelli concernenti gli impianti per la distribuzione del gas, risultano disciplinati non già della normativa “Merloni”, bensì dal d.lgs. n. 158/1995 e ss.mm.ii., ed ora dalla Direttiva 17/2004) 4.

 

1.3. In definitiva, per le ragioni sopra esposte, l’istituto dell’A.T.I. in cooptazione, come previsto dall’art. 95, comma 4, d.P.R. n. 554/1995, non appare correttamente utilizzabile nell’ambito delle gare per l’affidamento dei servizi locali di distribuzione del gas.

E ciò non solo perché si tratta di un istituto previsto da una normativa settoriale non direttamente applicabile al comparto dei servizi pubblici locali di distribuzione del gas, ed inoltre di carattere eccezionale, dotata di una sua peculiare ratio, che non può essere ignorata.

Ma altresì perché la sua concreta operatività nell’ambito che ci occupa condurrebbe ad esisti contrari ai principi fondamentali in materia di idonea qualificazione delle imprese concorrenti rispetto alle attività oggetto di gara, in sostanziale violazione dell’art. 14, comma  5, d.lgs. n. 164/2000, secondo cui la partecipazione alla gare per la distribuzione avviene “sulla base di requisiti oggettivi, proporzionati e non discriminatori”.

Con l’ulteriore aggravante che un tale – ingiustificato –  ingresso di operatori non idonei nel settore della distribuzione potrebbe consentire agli stessi di maturare requisiti sufficienti per partecipare – magari anche individualmente – a future gare per la distribuzione, alterando così la corretta dinamica concorrenziale, nonchè accentuando i rischi relativi al rispetto degli indispensabili standard di efficienza e qualità dei servizi gestiti.

A ciò si aggiunga la sopra esposta elusione dei principi di concorrenzialità ed evidenza pubblica, nell’ambito degli appalti di lavori pubblici, nel caso in cui si limitasse alla sola componente lavori l’impiego delle imprese c.d. “cooptate”.

 

*****

 

2. Avvalimento.

 

2.1. L’istituto dell’avvalimento, come è noto, è stato introdotto dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia UE, in sede di interpretazione di alcune norme delle direttive comunitarie appalti,  che consentivano ai concorrenti  di provare i requisiti di capacità economico-finanziaria richiesti mediante qualsiasi documento ritenuto appropriato dall’amministrazione aggiudicatrice (art. 31, n. 3, Direttiva 92/50/Cee e art. 26 Direttiva 93/37/Cee), e soprattutto di provare i requisiti di capacità tecnico-organizzativa mediante l’indicazione dei tecnici e degli organismi tecnici, siano essi o meno parte integrante dell’impresa concorrente (art. 32, n. 2, lett. ‘c’, Direttiva 92/50 Cee e art. 27 Direttiva 93/37/Cee).

Da tali norme la Corte di Giustizia ha tratto il principio generale secondo cui l’impresa concorrente può soddisfare i requisiti tecnici ed economici richiesti dalla Stazione appaltante facendo riferimento a quelli posseduti da un’impresa terza, purchè la concorrente medesima sia in grado di fornire prova attendibile della disponibilità dei mezzi e delle risorse dell’impresa terza.

Dapprima, tale principio è stato affermato nell’ambito dei rapporti infragruppo, con particolare riferimento al caso del rapporto tra holding (partecipante alla gara e priva ex se dei requisiti di capacità) e società controllate (non partecipanti alla gara e direttamente in possesso dei requisiti) 5.

Successivamente, il medesimo principio è stato esplicitamente generalizzato e si è affermato che il concorrente, in sede di ammissione alla gara, legittimamente può fare riferimento alle capacità di altri soggetti “qualunque sia la natura giuridica dei vincoli che ha con essi, a condizione che sia in grado di provare di disporre effettivamente dei mezzi di tali soggetti necessari all’esecuzione dell’appalto  (Corte di Giustizia, C-176/98, sent. 2.12.1999).

Così formulata, la regola, sia pure di fonte giurisprudenziale, appariva già sufficientemente precisa e conchiusa.

Per  i legislatori, le amministrazioni e i giudici nazionali, residuavano margini di apprezzamento soltanto in ordine a standard, modalità e intensità della prova richiesta circa la disponibilità dei suddetti mezzi.

Ora la Direttiva 18/2004/CE, in materia di appalti di lavori, servizi e forniture, ha codificato compiutamente il principio  dell’avvalimento (cfr. art. 47, commi 2 e 3), in termini sostanzialmente identici all’adagio giurisprudenziale sopra riportato, aggiungendo soltanto, quanto alla prova della disponibilità dei mezzi altrui, che essa può essere assicurata “ad esempio mediante presentazione dell’impegno a tal fine di questi soggetti”. Analoga disposizione è contenuta nella Direttiva 17/2004/CE in materia di appalti relativi ai settori speciali (cfr. art. 53).

La formale dichiarazione di impegno giuridico del soggetto terzo (c.d. impresa ausiliaria) diventa, quindi, il modello principale per integrare la citata prova, con l’avvertenza che si tratta comunque di uno tra più modelli (almeno teoricamente) possibili, rispetto ai quali la scelta viene rimessa al Legislatore nazionale e/o alle amministrazioni aggiudicatici (il riferimento operato dalla norma comunitaria, infatti, è, expressis verbis, di carattere esemplificativo).

 

2.2. Tratteggiate così a grandi linee la fisionomia e l’evoluzione dell’istituto, occorre ora concentrare l’attenzione sul suo ambito di applicazione.

Come si è visto, l’istituto dell’avvalimento è scaturito dall’interpretazione di talune specifiche  disposizioni delle Direttive appalti, ossia di atti normativi il cui ambito di operatività era limitato ai soli contratti d’appalto (e alle concessioni di lavori) e dal quale esulavano le concessioni di servizi.

Analogamente, oggi, la Direttiva n. 18/2004 esclude le concessioni di servizi dalla sua sfera di applicazione (cfr. art. 18).  Medesimo discorso vale per la Direttiva 17/2004 (cfr., anche in questo caso, art. 18).

L’affidamento di tali concessioni deve avvenire nel rispetto dei principi evincibili dal Trattato CE  a tutela della concorrenza nel mercato comune (cfr., in particolare, artt. 12, 43, 49 e 86 e ss.) e, segnatamente, dei principi di trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione e parità di trattamento, come ha precisato la Commissione europea nella Comunicazione interpretativa 2000 C -121/02.

L’applicazione di tali principi comporta la necessità di un effettivo confronto di mercato, obiettivamente accessibile agli operatori di settore e retto da criteri selettivi predeterminati e non discriminatori.

Le Amministrazioni aggiudicatici non sono gravate da ulteriori e più stringenti vincoli, a differenza di quanto avviene, invece, per l’affidamento dei contratti di appalto.

Il Legislatore comunitario, quindi, conferma oggi la scelta con la quale aveva inteso escludere ab origine le concessioni di pubblico servizio dalla rigorosa disciplina liberalizzatrice  propria delle “Direttive appalti”, mantenendole soggette solo ai principi generali del Trattato.

Pertanto, anche l’istituto dell’avvalimento non dovrebbe trovare diretta applicazione nell’ambito delle procedure di affidamento delle concessioni di servizi. Esso ha sì portata di principio generale (cfr. Cons. St., Sez. V, n. 5194/2005), ma con riferimento all’ambito disciplinato dalle Direttive Appalti (appalti di lavori, servizi e forniture; concessioni di lavori) ed ora dalla nuova normativa unificata di cui alla Direttive nn. 17 e 18/2004.

E ciò in quanto si tratta di un istituto fondato su precise disposizioni delle citate Direttive.

Di conseguenza, esso non pare poter integrare un principio direttamente evincibile dal Trattato CE, che, come tale, possa valere anche per le concessioni di servizi.

Diversamente, occorrerebbe sostenere che l’avvalimento discenda de plano dall’applicazione dei principi di parità di trattamento, non discriminazione, trasparenza e proporzionalità di cui (principalmente) agli artt. 12, 43, 49 e 86 e ss, del Trattato (cfr. Comunicazione interpretativa 2000 C -121/02., cit) .

Ciò che appare obiettivamente eccessivo.

I suddetti principi concorrono a prescrivere alle pubbliche amministrazioni, una volta che abbiano optato di rivolgersi al mercato per assolvere ai propri compiti di servizio pubblico, l’obbligo di mettere effettivamente in concorrenza gli operatori economici privati, dando adeguata pubblicità all’intenzione di affidare in concessione a terzi una determinata attività (principio di trasparenza), pre-determinando requisiti di accesso, norme di capitolato e criteri selettivi in modo proporzionato, ragionevole e non discriminatorio rispetto all’oggetto dell’affidamento (principi di parità di trattamento, non discriminazione e proporzionalità).

Nell’ambito dell’osservanza di tali principi, tuttavia, permane un significativo ambito di discrezionalità dell’Amministrazione aggiudicatrice, alla quale spetta modulare le regole di gara e le condizioni di affidamento, ragionevolmente rapportandole, in un ottica di tutela dell’interesse pubblico, alla specificità delle esigenze concrete e del modello organizzativo-contrattuale prescelto.

All’esito di tali valutazioni, l’Ente concedente potrà decidere di ammettere o non ammettere l’istituto dell’avvalimento.

Lungo detto percorso valutativo, è chiaro che l’Amministrazione dovrà tenere in adeguata considerazione i tratti peculiari del modello concessorio, che lo differenziano sensibilmente da quello dell’appalto.

In questa prospettiva, è importante sottolineare che la concessione di pubblico servizio integra un modello traslativo-sostitutivo nel quale l’Ente concedente trasferisce al concessionario un’attività che rientra nei suoi compiti istituzionali, eminentemente pubblicistici, ossia un’attività volta a soddisfare direttamente bisogni sociali fondamentali della collettività territoriale di riferimento. Un’attività che, proprio per questo, viene detta di servizio pubblico.

Di conseguenza, il concessionario è investito di compiti e responsabilità ben maggiori dell’appaltatore.

Quest’ultimo, infatti, si limita a fornire determinate prestazioni all’Amministrazione aggiudicatrice dietro corrispettivo.

Tali prestazioni potranno sì essere strumentali all’assolvimento di un servizio pubblico.

Ma i compiti e le responsabilità relativi al servizio pubblico – ivi compresi i rapporti con gli utenti – rimangono nella sfera dell’amministrazione aggiudicatrice dell’appalto.

Significativo è, si badi, che amministrazione aggiudicatrice può essere tanto l’Ente territoriale, se il servizio è gestito in forma diretta, quanto il concessionario, se il servizio è gestito in regime di concessione.

Ente territoriale e concessionario possono quindi essere, allo stesso modo, amministrazioni aggiudicatrici (di appalto), allorché, nell’esercizio del servizio pubblico, decidano di appaltare a terzi prestazioni strumentali al servizio medesimo. Basti, al riguardo, richiamare gli ambiti soggettivi di applicazione della normative di recepimento delle Direttive appalti, per osservare che i concessionari di servizio pubblico sono inclusi tra le amministrazioni aggiudicatici tenute ad osservare le norme di evidenza pubblica.

Appare chiara, quindi, la caratterizzazione pubblicistica ben più pregnante del concessionario, rispetto all’appaltatore.

Ne consegue che l’Ente concedente ha l’esigenza di ottenere dall’aspirante conessionario maggiori garanzie di idonea qualificazione e di affidabilità, anche al prezzo di una qualche restrizione del confronto concorrenziale.

Il concessionario non solo, come si è visto, svolge in proprio compiti di servizio pubblico nei confronti dei cittadini-utenti, ma assume interamente  la gestione economica e funzionale del servizio per un congruo numero di anni (le concessioni hanno durata spesso sensibilmente superiore rispetto ai contratti di appalto); effettua gli investimenti con proprie risorse e li ammortizza nel periodo di gestione, ricevendo le sua remunerazione (tendenzialmente) dal solo gettito tariffario; in breve si fa carico del rischio imprenditoriale dell’attività economica in concessione.

Non si può negare, allora, che la maggiore autonomia del concessionario (sia pure sotto la vigilanza dell’Ente concedente) comporti maggiori rischi per il pubblico servizio, in caso di soggetti non idonei sul piano tecnico-economico.

Di qui la delicatezza dell’ipotesi dell’avvalimento, nella quale il soggetto ausiliario rimarrebbe estraneo al rapporto concedente-concessionario e rischierebbe di determinare un incremento dei rischi giuridici e gestionali  legati alla presenza di un rapporto – quello tra ausiliante e ausiliario – che sfuggirebbe compiutamente al controllo pubblico (diverso è il caso dell’A.T.I., nella quale tutti i soggetti raggruppati assumono una responsabilità contrattuale diretta nei confronti dell’Amministrazione).

Da questo punto di vista, va tenuto presente che la disciplina relativa al sub-appalto – nel quale si riscontra un rapporto appaltatore-subappaltatore a cui rimane estranea la Stazione appaltante – non si applica alle concessioni: il concessionario può appaltare nel rispetto delle procedure di legge, non già sub-appaltare (proprio in quanto non è appaltatore); sarà, semmai, l’appaltatore del concessionario a poter subappaltare ai sensi della l. n. 55/1990 e ss.mm.ii. In ogni caso, oggetto di appalto sono attività strumentali per l’esercizio del servizio pubblico, non già direttamente quest’ultimo.

La cessione del servizio dal concessionario a terzi integrerebbe, semmai, una sub-concessione; ipotesi da escludersi, di norma, in quanto elusiva delle regole e delle procedure stabilite per l’individuazione del concessionario del servizio.

Sorprende, allora che, nell’ambito delle concessioni relative al servizio di distribuzione del gas (ex art. 14, d.lgs. n. 164/2000), il Contratto di Servizio-Tipo predisposto dall’Autorità per l’Energia Elettrica ed il Gas (non ancora approvato dal Ministero), preveda, all’art. 11, comma 2, che l’Ente concedente possa autorizzare “il gestore ad affidare a terzi in possesso dei requisiti previsti nel bando per la partecipazione alla procedura dell’affidamento del servizio, la gestione del servizio medesimo, alle stesse condizioni previste dal contratto”.

Benché l’art. 11, cit., sia rubricato impropriamente “avvalimento di terzi”, la disposizione appena riportata contempla, in realtà, un caso di vera e propria sub-concessione, in violazione delle norme stabilite dall’art. 14, d.lgs. n. 164/2000 per l’affidamento del servizio.

Tali norme, infatti, condizionano l’affidamento non già al mero possesso, in capo all’aspirante affidatario, degli appositi requisiti  generali e di capacità tecnico-economica – che servono solamente per accedere alla gara –, ma all’offerta delle migliori condizioni economiche e di prestazione del servizio, che tali si rivelino all’esito di idonee procedure di confronto concorrenziale con gli altri operatori interessati (art. 14, comma 6, d-lgs. n. 164/2000).

Nella fattispecie ipotizzata dalla norma in esame, invece, il concessionario, può, di fatto, sub-concedere il servizio pubblico ad un soggetto terzo che viene individuato liberamente (senza gara) dal concessionario stesso, che non è legato da alcun rapporto contrattuale con l’Amministrazione, e che non offre a quest’ultima nessuna garanzia in termini di standard di efficacia ed efficienza gestionale, a parte il mero possesso dei requisiti per la partecipazione alla gara vinta dal concessionario-subconcedente.

E’ auspicabile, quindi, che la previsione di cui all’art.  11, comma 2, cit., così come attualmente formulata, venga rimossa nella versione definitiva del Contratto-Tipo.

Parimenti inconferente con la dizione “avvalimento di terzi” – almeno inteso in senso tecnico – è il primo camma dell’art. 11, cit., che prevede la possibilità, per il gestore, di avvalersi di terzi per l’esecuzione materiale di opere, servizi e forniture. In tal caso si tratta non già di avvilimento, ma di semplici appalti di lavori, servizi e forniture, da aggiudicarsi secondo le apposite norme (trattandosi di settori speciali, si applicherebbero, in caso di appalti “sopra soglia”, le norme di cui al d.lgs. n. 158/1995, in attesa del recepimento della Direttiva n. 17/2004) 6.

 

2.3. La particolarità del modello traslativo-sostitutivo proprio della concessione e la veste pubblicistica del concessionario potrebbero indurre l’Ente concedente a ritenere opportuno un centro unitario di imputazione del rapporto concessorio, ossia un solo soggetto giuridico che assuma interamente i diritti e i doveri, le prerogative e le responsabilità del concessionario.

Una tale scelta non pare incontrare ostacoli nel quadro normativo vigente.

Se si considera che, in materia di appalti, l’art. 4 della Direttiva 18/2004 consente all’Amministrazione di imporre all’A.T.I. aggiudicatario “di assumere una forma giuridica specifica una volta che gli sia stato aggiudicato l’appalto, nella misura in cui tale trasformazione sia necessaria per la buona esecuzione dell’appalto”, a maggior ragione tale facoltà deve essere ammessa in materia di concessioni.

Ciò posto, non si può trascurare che l’avvalimento implica un’integrazione organizzativa tra più soggetti per quanto attiene a requisiti fondamentali per lo svolgimento dell’attività affidata. Il ricorso a tale istituto comporta la necessità di accettare un contributo esterno di carattere essenziale da parte di un soggetto terzo – per tutta la durata del rapporto –, rendendo impossibile una effettiva reductio ad unum dell’imputazione soggettiva dell’attività di pubblico servizio. A differenza di quanto può avvenire nell’ipotesi in cui l’Ente affidante richieda ai componenti dell’A.T.I. aggiudicataria di costituire un soggetto unitario ai fini dell’esecuzione del contratto. 

 

2.4. Si accenna, infine, ad un’ulteriore problema che riguarda, in generale, l’istituto dell’avvalimento.

Potrebbe accadere che le imprese le quali ottengano l’affidamento di appalti e/o concessioni avvalendosi di requisiti di terzi, maturino, poi, all’esito di tali affidamenti, i requisiti per partecipare a nuove gare per servizi identici a quelli già prestati; cosicchè, vi partecipino senza più far ricorso all’avvalimento e, tuttavia, rimanendo prive di quelle capacità tecnico-organizzative e/o economiche che le stesse imprese erano state in precedenza costrette a “prendere in prestito” da altri.

Tale eventualità dovrebbe essere attentamente valutata in sede di predisposizione dei bandi di gara, pena concreti rischi di affidabilità dell’appaltatore/concessionario.

 

 

Note:

 

1 In data 23.3.2006 è stato definitivamente approvato dal Consiglio dei Ministri (ed è quindi in attesa  di essere pubblicato, previa controfirma del Capo dello Stato) il decreto delegato, attuativo della l. n. 62/2005, che, oltre a recepire le due Direttive 17 e 18/2004, mira a unificare in unico testo normativo la disciplina dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture.

2 Bando reperito sul sito ufficiale del Comune di Pescara, www.comune.pescara.it. (data di spedizione per la pubblicazione sulla G.U.C.E.: 24.3.2005).

3 Cfr. nota n. 1.

4 Cfr. nota n. 1.

5 Cfr. Corte di Giustizia, C- 289/92,  sent. 14 aprile 1994 (c.d. Ballast Nedam Groep II); C-5/97, sent. 18 dicembre 1997 (c.d. Ballast Nedam Groep II).

6 Cfr. nota n. 1.

HomeSentenzeArticoliLegislazioneLinksRicercaScrivici