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Gli incarichi di progettazione o direzione lavori di importo stimato inferiore a 100.000 euro: un problema non del tutto risolto.
di Gianni Zgagliardich 20 aprile 2006
Materia: appalti / disciplina

GLI INCARICHI DI PROGETTAZIONE O DIREZIONE LAVORI DI IMPORTO STIMATO INFERIORE A 100.000 EURO: UN PROBLEMA NON DEL TUTTO RISOLTO

 

 

La L. 18 aprile 2005, n. 62 (Legge Comunitaria 2004), dovendo porre rimedio a specifiche procedure di infrazione avviato contro lo stato italiano, ha, tra l’altro, introdotto modificazioni all’art. 17, 12° comma, della legge 11 febbraio1994, n. 109 (L. Merloni) relativamente agli incarichi di progettazione o direzione lavori di importo stimato inferiore a 100.00,00 Euro.

In tale contesto si è previsto espressamente – in sostituzione del riferimento al concetto di “fiducia” – che l’affidamento debba avvenire, entro tale soglia, “…nel rispetto dei principi di non discriminazione, parità di trattamento, proporzionalità a trasparenza…”.

Non appena emanata la norma, e soprattutto sino alla determinazione n. 1/2006 dell’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici che ha meglio precisato l’ambito del citato 12° comma, vi sono state sovrapposizioni di varie interpretazioni di questi quattro principi e, soprattutto, in ordine ai modi di soddisfarli, con conseguenti diversificate modalità attuative da parte delle stazioni appaltanti.

Sinteticamente, una parte delle stazioni appaltanti ha ritenuto di far sopravvivere comunque, quasi “mascherato” sotto schermi formali, il profilo della “fiduciarietà”; altre stazioni appaltanti, all’opposto, hanno ritenuto che tale concetto sia ormai stato espunto dal nostro dall’ordinamento e debba essere sostituto con vere e proprie “procedure” “auto-regolamentate” dei gara.

Vi sono state, poi, quasi delle “vie di mezzo” consistenti in tentativi, non riusciti (si veda soprattutto la Regione Veneto ha emanato la deliberazione n. 2119 del 2.8.2005; la Regione Valle d’Aosta la OL.R. 5.8.2005, n. 19) di disciplinare la materia tentando di superare il dettato testuale del 12° comma dell’art. 17, L. Merloni e “salvando” la fiduciarietà almeno in alcuni casi.

Tuttavia, sarebbe bastata una analisi del significato, sotto un profilo “comunitario”, dei quattro neo introdotti parametri per rendersi conto che, stante l’attuale testo della L. Merloni, risulta imprescindibile l’attuazione di una procedura di gara con tutti coloro che si candidino per effetto della pubblicità attuata dalla stazione appaltante. Purtroppo, la determinazione dell’Autorità per la vigilanza dei lavori pubblici è intervenuta troppo tardi e, nel frattempo, ci si è adoperati per “distorcere” i citati principi spesso.

Il principio di “non discriminazione”, rinvenibile nel Trattato UE (1), si riferisce al divieto di effettuare scelte discriminanti sotto il profilo della nazionalità dei concorrenti e, in maniera più generica, proibisce ogni discriminazione indiretta o dissimulata che, sebbene fondata su diversi criteri distintivi, giunga al medesimo risultato (2). Ad esempio, sono vietate, come ha meglio poi precisato la citata Autorità, le discriminazioni di tipo territoriale in genere, ad esempio comunale o provinciale.

La regola della “proporzionalità” attiene al rispetto di requisiti di prequalificazione e alla necessità che gli stessi risultino proporzionati ed adeguati rispetto all’oggetto dell’affidamento. Tale parametro  consente, ad esempio, di introdurre delle “sottosoglie” differenziate - nell’ambito dei 100.000 Euro di riferimento – al fine di evitare appesantimenti delle procedure anche per importi molto limitati e di tarare le medesime procedure con importi più elevati.

Il principio di “trasparenza” presuppone la “pubblicità” preventiva e cioè l’obbligo di rendere pubblica la volontà di affidare l’incarico.

Va precisato che, da un lato, tale norma era già prevista all’art. 62, 1° c., DPR 554/1999 e, dall’altro lato, che la giurisprudenza amministrativa (si veda Consiglio di Stato, 16.3.2005, Sez. VI, n. 1095) sembra orientata nel senso che la “misura” della pubblicità non possa essere predeterminata tassativamente ma debba, al contrario, ritenersi “adeguata” secondo un giudizio della stazione appaltante e tenuto conto delle fattispecie concrete (ad esempio, può essere certamente sufficiente una pubblicazione sul proprio sito internet e sull’albo aziendale almeno per le prime due fasce come di seguito indicate; allo stesso modo sono possibili altre forme di pubblicità preventiva come la pubblicazione di avvisi di conferimento di incarichi come quello pubblicato dal Comune di Milano). Tuttavia, su questo punto specifico si rinvia anche alla più volte citata determinazione n. 1/2006 dell’Autorità per la vigilanza.

La “parità di trattamento” presuppone, secondo l’ordinamento comunitario, la fissazione preventiva di regole al fine di orientare la successiva scelta con criteri oggettivi e nel rispetto delle medesime regole. Va, peraltro, notato, che nulla dispone la Comunità in ordine ai “contenuti” di tali regole, i quali possono essere i più disparati (ad esempio, ben possono essere contenute anche in un avviso della tipologia adottata dal Comune di Milano). 

Si può, pertanto, notare che, dei quattro neo-introdotti parametri, è proprio quest’ultimo quello “decisivo” in quanto “impone” una procedura di gara para-concorsuale, seppure di qualsiasi genere e di qualunque forma e, quindi, a partire da un “regolamento interno” o da “regole” di altro genere necessarie sino a qualunque altra metodologia atta a stabilire criteri preventivi di scelta non modificabili successivamente magari per favorire qualche concorrente o categoria di concorrenti.

Certamente, quindi, non è possibile seguire l’impostazione, già pesantemente criticata, a livello comunitario, della Regione Veneto (deliberazione n. 2119 del 2.8.2005) in quanto la stessa, di fatto, ripristina quella “fiduciarietà” che è stata cancellata dall’ordinamento. Allo stesso modo appaiono superate quelle impostazioni di alcune discipline regionali (ad esempio, quella della Regione Friuli-Venezia Giulia) secondo le quali, addirittura, non solo la fiduciarietà era piena ma anche nelle mani dell’organo politico, cioè del legale rappresentante dell’ente e sino a 200.000 Euro: certamente tali normative sono in contrasto con quei parametri comunitari ai quali le stesse norme regionali si devono innanzitutto ispirare e, non a caso, gli stessi organi regionali, in questo secondo caso, seppure a livello di circolare, hanno invitato i funzionari a non applicare la norma specifica.

Allo stato appare, pertanto, possibile consigliare l’adozione di tre possibili strumenti ugualmente validi che, eventualmente, possono essere anche utilizzati alternativamente e la cui adozione dipende soprattutto dalle effettive necessità delle stazioni appaltanti e dalle loro dimensioni.

Lo strumento attualmente più utilizzato da stazioni appaltanti di media caratura, che hanno saltuaria necessità di ricorrere agli affidamenti inferiori a 100.000 Euro, è il “regolamento interno”.

Generalmente si tratta di uno strumento molto semplice ed operativo, impostato con i seguenti contenuti di massima (fermo restando che nell’albo interno e sul sito Internet dell’azienda deve essere data notizia preventiva dell’intenzione di attribuire gli incarichi per tutte e tre le fasce nonché del regolamento interno; in tal modo ogni concorrente avrebbe modo di “controllare” l’operato della stazione appaltante):

a) suddivisione degli incarichi in tre fasce e cioè, indicativamente:

          fino a 20.000 Euro;

          da 20.000 a 40.000 Euro;

          da 40.000 a 100.000 Euro;

In particolare, la prima fascia ha significato mutuando la norma dell’art. 5 del DPR 384/2001 sulle procedure in economia per le Amministrazioni statali, oltre che l’art. 144 del DPR 554/1999 sulle procedure in economia nei lavori pubblici. Si ritiene, cioè, che esista già, nel nostro ordinamento, un indirizzo di fondo (si ritiene anche comunitariamente compatibile in quanto rispettoso del principio di proporzionalità) nel senso di evitare procedure gravose di scelta del contraente laddove l’importo sia minimo.

Pertanto, in questo caso, il regolamento interno, cioè la norma che garantisce la precostituzione di regole e rispetta la “parità di trattamento”, può prevedere l’affidamento diretto ad un professionista previa acquisizione del curriculum, previa comprova del possesso di almeno una significativa esperienza precedente proprio sull’oggetto dello specifico incarico e previo accertamento di ulteriori parametri quali la mancata commissione di errori professionali, la non pendenza di procedimenti a tale titolo o di condanne, ecc.. Ovviamente, dovrà essere prevista la rotazione degli incarichi e, ad esempio, il divieto di assegnarne più di uno o due in un anno.

Viene quindi creato, per tale prima fascia, una specie di “albo interno”, diviso per specializzazioni, con l’obbligo di iscriversi solamente per specifiche specializzazioni e vietando, a esempio, l’iscrizione per più di un certo numero di specializzazioni per evitare di occupare molti settori.

La seconda fascia presuppone comunque una “indagine di mercato” fra almeno tre o cinque soggetti (cioè il numero ritenuto congruo, a livello comunitario, per rispettare la concorrenza), le cui regole devono essere precostituite nell’apposito regolamento. Anche in tal caso potranno essere attinti nominativi dall’”albo interno” oltre  dalle candidature pervenute per effetto della pubblicità.

Ad esempio, si potrà prevedere l’acquisizione del curriculum generale (ai fini della sola ammissione) e del curriculum particolare riferito a quella tipologia di opere, con l’indicazione di un numero minimo di esperienze significative (sempre ad esempio, almeno tre); inoltre, andranno acquisite autodichiarazioni in ordine ad eventuali procedimenti in corso o condanne per errori professionali e relativamente al possesso dei requisiti generali e speciali indicati nel DPR 554/1999.

La scelta avverrà sulla base di una analisi, prodotta dal concorrente (redatta in maniera tale da non trasformare illegittimamente la procedura in concorso di idee o concorso di progettazione), in merito alla soluzione proposta in ordine alla specifica progettazione o direzione lavori e, quindi, sulla base di un giudizio attentamente motivato in base a punteggi previsti a monte e redatti sulla base di un’offerta economicamente più vantaggiosa.

Potranno poi essere introdotti criteri particolari nel caso di giudizi sostanzialmente identici su due o più candidati: ad esempio, potrà essere favorito, in questa fascia, il giovane professionista (fino a 30 anni) rispetto a quello più anziano oppure quello che, anche avendo minore esperienza generale, garantisce comunque, in virtù delle esperienze particolari, una maggiore aderenza rispetto all’incarico da attribuire, ecc..

Quindi l’attribuzione non sarà mai “fiduciaria” ma basata su parametri predeterminati e noti ai concorrenti, nel rispetto della “parità di trattamento”. Ad esempio, sarà noto che una determinata stazione appaltante “dedica” questa fascia soprattutto ai giovani professionisti che abbiano un curriculum particolare e comunque orientato sull’incarico da affidare, a meno che presenti la propria candidatura un professionista più anziano con molta più esperienza particolare tale da non potersi privilegiare la “giovinezza”.

La terza fascia è quella che richiede il maggiore sforzo non tanto per apprestare il regolamento interno quanto per esperire la vera e propria procedura di gara. Infatti, anche per garantire una sorta di coerenza “interna” del regolamento, appare preferibile optare per un confronto a coppie fra soggetti relativamente ai quali:

• la pubblicità sia stata estesa anche con sistemi ulteriori rispetto a quelli utilizzati per le due precedenti fasce, dovendo essere “adeguata” al maggior valore dell’incarico. Ad esempio, potranno essere inviati degli avvisi a tutti gli Ordini professionali della Provincia; inoltre, si potrà attingere sempre dall’albo diviso per specializzazioni. In ogni caso, nel regolamento si potrà stabilire un numero massimo che sia “adeguato” a questa soglia: ad esempio potrebbe essere adeguato un numero di dieci;

• l’analisi del concorrente rispetto alle modalità di esperimento dell’incarico sia ancora più pregante ed impegnativa, pur senza trasformare la procedura in concorso di idee o di progettazione.

Il secondo strumento – che rappresenta una grossa novità e che dovrà essere attentamente monitorato – è quello dell’adozione di un albo dei professionisti sulla base di un apposito avviso e dei suoi continui aggiornamenti (almeno semestrali secondo l’Autorità nella sua determinazione n. 1/2006).

Tale modello è certamente necessario laddove vi siano stazioni appaltanti medio-grandi e, infatti, viene mutuato il modello del Comune di Milano tenuto conto del considerazione del dettaglio con il quale lo strumento è stato elaborato. Andando a verificare l’apposito sito (www:comune.milano.it) si possono verificarne i contenuti  che, tra l’altro, è possibile utilizzare anche laddove si intenda adottare un regolamento interno nei termini appena sopra esposti (ad esempio, sono utilizzabili i modelli operativi).

Si ritiene, anche per i motivi sopra anticipati, che lo strumento sia congruente con le modifiche legislative dell’art. 17, 12° c., L. Merloni e che, probabilmente, nonostante le difficoltà nell’avviare il sistema, soprattutto per le stazioni appaltanti che affidino molti piccoli incarichi, rappresenti uno strumento che, in una seconda fase, consente di accelerare notevolmente tutte le procedure. L’unica precauzione può essere quella di verificare attentamente le sottosoglie ivi indicate che potrebbero essere, in parte modificate tenendo conto, ad esempio, della soglia dei 20.000 Euro per i motivi dianzi precisati.

Il terzo strumento appare ancora allo stato embrionale e consiste nell’operare, volta per volta, con appositi test o colloqui, peraltro con pubblicizzazione preventiva delle modalità attraverso le quali si intenda operare.

Certamente si tratta di uno strumento che appare “residuale” rispetto ai primi due e che potrebbe essere, ad esempio, utilizzato soprattutto in occasione di affidamenti di incarichi di direzione lavori che si prestano maggiormente ad approfondimenti sulla specifica professionalità e conoscenza nella materia dei lavori pubblici e degli adempimenti sulla contabilità, antimafia, subappalti, ecc..

Ad un suo massiccio utilizzo ostano le oggettive difficoltà di impostare, senza possibili rilievi di lesione della parità di trattamento, eventuali colloqui (in cui, necessariamente, le domande non potrebbero essere sempre identiche), nel mentre, almeno teoricamente, paiono più praticabili i quiz.  Tuttavia si ritiene che ad un suo effettivo utilizzo ostino anche ragioni tutela del prestigio della professione e del suo decoro in quanto è prevedibile che i professionisti non gradirebbero questa tipologia di colloquio che sarebbe vista come un discredito della professionalità.

In questo contesto che, seppure lentamente, in questi ultimi mesi si è assestato, con l’abbandono delle forme fiduciarie, si è avuta notizia dell’ennesima contraddittorietà del sistema che non mancherà di apportare ulteriori turbamenti, ripensamenti, ecc..

Infatti, l’art. 91, 2° c. del Codice dei Contratti Pubblici approvato il 23.3.2006 ha previsto che, pur nel rispetto dei quattro principi sopra ricordati, il procedimento di scelta del professionista è quello dell’art. 57, 6° c. del medesimo Codice (la procedura negoziata) con una unica variante consistente nell’invito a cinque candidati anzichè a tre.

Certamente è difficile “decifrare” una disposizione di per sé contraddittoria ma parrebbe che il legislatore abbia inteso avvallare la possibilità di scelta di un minimo di cinque concorrenti fra i tanti che possono essersi candidati, il che significa una scelta fiduciaria di cinque concorrenti (che, anche se debbono avere determinati requisiti, evidentemente possono essere scelti fiduciariamente a parità di requisiti), salva la loro rotazione, per effettuare una procedura di gara, con uno dei metodi sopra indicati, fra questi soli cinque.

In considerazione dell’opposizione del nuovo Governo al nuovo Codice sopra citato appare prematuro commentare questa disposizione oggi ancora non vigente anche se è indubbio che questa va fortemente a condizionare le scelte operative delle stazioni appaltanti che hanno colto un nuovo segnale di “fiduciarietà” che va in controtendenza con la L. 62/2005. Ancora una volta, cioè, il legislatore non riesce a trovare una efficace soluzione al problema e procede a tentoni.

Al momento, pertanto, l’unico dato formale del quale tenere conto è la determinazione n. 1/2006 che “interpreta” il 12° comma dell’art. 17, L. Merloni e, in attesa di una eventuale nuova riforma, pare consigliabile attestarsi sul suo dettato.  

 

 

Note:

1) In particolare si veda .l’articolo 12 (ex art. 6) comma 1, in base al quale viene stabilito che <<nel campo di applicazione del presente trattato, e senza pregiudizio delle disposizioni particolari dallo stesso previste, è vietata ogni discriminazione effettuata in base alla nazionalità>>.

2) «Il principio di non discriminazione […] impone che situazioni analoghe non siano trattate in maniera differenziata e situazioni diverse non siano trattate in maniera uguale a meno che un tale trattamento non sia obiettivamente giustificato», Corte di giustizia, sentenza 13 dicembre 1984, C-106/83punto 28.

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