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Le recenti tendenze nel campo della responsabilità della P.A. con particolare riferimento alle società pubbliche.
di Federico Gualandi - Francesca Minotti 5 ottobre 2006
Materia: pubblica amministrazione / responsabilità

LE RECENTI TENDENZE NEL CAMPO DELLA RESPONSABILITÀ DELLA P.A. CON PARTICOLARE RIFERIMENTO ALLE SOCIETÀ PUBBLICHE

 

PREMESSA: LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE: UNA NOZIONE IN CONTINUA EVOLUZIONE.

Uno degli aspetti più caratteristici e di maggiore interesse degli ultimi anni è dato dalle evidenti modificazioni che la PA italiana ha subito. Oggi, la PA si confronta necessariamente con concetti in precedenza poco conosciuti, come l’efficacia, l’efficienza, il risultato (si pensi – ad esempio – alla cd. “aziendalizzazione” delle ASL). Queste importanti modifiche hanno sicuramente interessato anche il profilo cd. “organizzativo” , con il frequente utilizzo di istituti e strumenti propri del diritto privato.

La proliferazione di società pubbliche ne è una chiaro esempio, e se solo qualche decina di anni fa si discuteva ancora se fosse possibile l’ utilizzo del modello societario, oggi la stessa dottrina teorizza la categoria dell’ Ente pubblico in forma societaria (ROSSI) e si pone il problema di “snidare la pubblicità” laddove si annida (TORREGROSSA).

Si assiste così ad un processo osmotico, di cui la recente L. n. 15/2005 è una evidente esempio, agli artt. 1 bis ed 1 ter, che prevedono – da un lato – che la PA utilizzi, per l’attività di natura non autoritativa, gli istituti del diritto privato, e – dall’ altro – che anche i soggetti privati preposti all’ esercizio di attività amministrative, siano tenuti ad assicurare il rispetto dei principi dettati per il procedimento amministrativo (tra cui il principio di trasparenza, partecipazione, tutela dell’ affidamento, ragionevolezza, imparzialità, i principi del diritto comunitario, etc…). Si pensi, inoltre, alla disciplina del cd. diritto di accesso agli atti ed ai documenti.

Da questa “mutazione genetica”viene interessata anche la stessa nozione di servizio pubblico, che sempre si orienta verso una nozione che attribuisce preminente valore al fatto che esso consista in un’ attività funzionalizzata al perseguimento di interessi pubblici, mediante risorse di derivazione pubblica.

In altri termini, diventa poco rilevante la “forma” attraverso la quale si manifesta l’ azione amministrativa (cd. “principio di neutralità delle forme”), dato che ciò che assume rilievo è il dato sostanziale (il perseguimento di interessi pubblici).

Le Società per azioni “pubbliche” sono la riprova più evidente di questo processo osmotico, che ha trovato un autorevole avallo in importanti, ma ormai risalenti pronunce della Suprema Corte  (Corte Cost. n. 466/1993), che hanno finito per individuare la una sorta di “società di diritto speciale”.

In tali società, il dato caratteristico è il collegamento tra l’ attività sociale ed il pubblico interesse (cd. Impostazione “finalistica”).

Molteplici sono le deroghe al modello privastistico:

a) con riferimento al momento “genetico”, dato che dette società vengono costituite mediante Legge o provvedimento amministrativo;

b) con riferimento alla “causa”, dato che allo scopo di profitto si affiancano fini di interesse generale;

c) con riferimento all’ aspetto “organizzativo”, dato che si prevedono poteri di amministrazione e di vigilanza extra ordinem, si dettano regole ad hoc per la scelta del socio privato, etc..

Se a tali dati si somma la natura PUBBLICA delle risorse, era giocoforza prevedere l’entrata in scena della Corte dei Conti, e cioè del Giudice a cui gli artt. 100 e 103 della Costituzione affidano il ruolo di garante (non a caso la Costituzione parla di “contabilità pubblica”, utilizzando cioè una espressione generica e potenzialmente molto ampia).

Oggi, si può dire che la Corte dei Conti si è ritagliata una “mission” molto evidente: la salvaguardia delle risorse e dei beni della collettività, indipendentemente dal ricorso a procedure, schemi o regimi contabili di tipo pubblicistico.

Cerchiamo di vedere come ciò è avvenuto.

 

BREVI CENNI SULLA RESPONSABILITÀ AMMINISTRATIVA (FUNZIONE, PRESUPPOSTI E NATURA) E SULLA GIURISDIZIONE CONTABILE.

La questione della configurabilità del giudizio di responsabilità amministrativa nei confronti degli amministratori di società per azioni partecipate da enti pubblici, affrontata (e si potrebbe dire risolta, pur permanendo, come si dirà, alcuni aspetti non ancora del tutto chiari) dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con sentenza n. 3899 del 26 febbraio 2004, si colloca in maniera coerente all’interno di un fenomeno di progressiva espansione della giurisdizione contabile testimoniato altresì dall’ordinanza n. 19667 del 22 dicembre 2004, con la quale, appena due mesi prima, le Sezioni Unite avevano affermato la responsabilità amministrativa degli amministratori e dipendenti degli enti pubblici economici, sino ad allora costantemente negata dalla Suprema Corte.

Preliminarmente, tuttavia – e, come si suol dire, senza alcuna pretesa di esaustività - pare peraltro opportuno dedicare una brevissima e sintetica premessa a quelli che sono la funzione, i presupposti e la natura della responsabilità amministrativa, nonché sulle principali caratteristiche della giurisdizione contabile, rinviando, ovviamente, ai manuali indicati in nota (1) per una trattazione più approfondita dei principali aspetti sostanziali e processuali.

1) Funzione, presupposti e natura della responsabilità amministrativa. - Com’è noto, la responsabilità amministrativa (2) può essere fatta consistere, in generale, nella responsabilità patrimoniale in cui incorre il soggetto che, avendo un rapporto di pubblico impiego ovvero c.d. di servizio con un ente pubblico, e non avendo osservato gli obblighi scaturenti da detto rapporto con dolo o colpa grave, abbia cagionato alla Pubblica Amministrazione un danno economico (c.d. danno erariale), che è pertanto obbligato a risarcire.

I presupposti per la sussistenza della responsabilità amministrativa - che comporta la sottoposizione ad apposito giudizio innanzi alla Corte dei Conti - sono dunque principalmente il danno erariale e il rapporto di servizio ovvero di pubblico impiego (concetti, entrambi, che si sono andati ampliando nel corso del tempo), ai quali vanno aggiunti i tradizionali elementi della condotta (attiva o omissiva), dell’elemento soggettivo (dolo o colpa grave) e del nesso di causalità.

Ai fini della presente trattazione occorrerà peraltro soffermarsi, in particolare, sull’ampliamento della nozione di rapporto di servizio, il quale ha formato oggetto di un lungo dibattito dottrinario e di numerose pronunce della Corte dei Conti e della Corte di Cassazione, in quanto dalla sua definizione dipende l’esatta delimitazione dell’ambito soggettivo della giurisdizione contabile, e quindi gli esatti confini fra la giurisdizione della Corte dei Conti e del giudice ordinario.

Si discute peraltro da tempo circa la funzione della giurisdizione contabile, se cioè essa abbia natura risarcitoria (contrattuale o extracontrattuale), essendo volta a reintegrare le casse erariali della perdita patrimoniale subita, ovvero repressivo-sanzionatoria.

Pare tuttavia condivisibile la tesi di quella parte della dottrina che ha rilevato come “in una prospettiva “pragmatica” ed applicativa, il problema della natura della responsabilità in esame appare oggi abbastanza teorico ed accademico a fronte di un regime normativo “speciale”, dettagliato e puntuale (l. n. 20 del 1994), che, prescindendo dal problema ontologico (o nominalistico) e mutuando spunti regolamentari sia dal diritto civile sia dal diritto penale, offre all’interprete soluzioni tendenzialmente inequivoche ai problemi che la realtà giudiziaria pone (3).

Tuttavia, può essere interessante notare la prospettiva delineata dalla Corte Costituzionale con sentenza 20 novembre 1998 n. 371, ove si afferma:

“occorre rilevare che la norma [art. 3, D.L. n. 543/1996] si colloca nel quadro di una nuova conformazione della responsabilità amministrativa e contabile (…). A tale processo di nuova conformazione dell’istituto, sviluppato con le ulteriori previsioni contenute nella legge di conversione, fa riscontro la revisione dell’ordinamento del pubblico impiego (…) attraverso la c.d. “privatizzazione”, in una prospettiva di maggiore valorizzazione anche dei risultati dell’azione amministrativa, alla luce di obiettivi di efficienza e di rigore di gestione.

Quali siano le finalità ispiratrici della norma è dato desumere, del resto, dagli stessi lavori parlamentari che evidenziano l’intento di predisporre, nei confronti degli amministratori e dei dipendenti pubblici, un assetto normativo in cui il timore delle responsabilità non esponga all’eventualità di rallentamenti e inerzie nello svolgimento dell’attività amministrativa.

Nella combinazione di elementi restitutori e di deterrenza che connotano l’istituto qui in esame, la disposizione risponde perciò alla finalità di determinare quanto del rischio dell’attività debba restare a carico dell’apparato e quanto a carico del dipendente, nella ricerca di un punto di equilibrio tale da rendere, per dipendenti ed amministratori pubblici, la prospettiva della responsabilità ragione di stimolo e non di disincentivo (…).”

La giurisdizione contabile assolve dunque a varie funzioni, fra cui quella di garantire, fungendo per l’appunto da stimolo, una maggior efficienza della Pubblica Amministrazione; tuttavia, al fine di evitare che il timore del giudizio della Corte dei Conti possa rivelarsi controproducente, inibendo funzionari e dipendenti di fronte a decisioni rischiose, il Legislatore ha introdotto nel processo contabile alcune opportune previsioni (tali da “distribuire” il rischio dell’attività fra apparato e membri dell’apparato stesso) (4).

2) Il processo innanzi alla Corte dei Conti. – Tali previsioni sono principalmente frutto della riforma operata mediante il D.L. 543/1996, in  materia di ordinamento della Corte dei Conti, convertito nella L. n . 639/1996.

Volendo compiere una rapida panoramica (5), esse sono rappresentate innanzitutto dalla limitazione della responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei Conti in materia di contabilità pubblica ai soli fatti commessi con dolo o colpa grave, ferma restando l’insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali; è stata inoltre prevista la necessità di tener conto dei vantaggi comunque conseguiti dall’Amministrazione in relazione al comportamento degli amministratori o dei dipendenti pubblici soggetti al giudizio di responsabilità. E ancora: la trasmissibilità agli eredi della responsabilità è stata limitata al caso in cui l’illecito arricchimento del soggetto che ha cagionato il danno erariale abbia prodotto un loro indebito arricchimento; è stata prevista la risarcibilità del c.d. danno obliquo, per cui “la Corte dei Conti giudica sulla responsabilità amministrativa degli amministratori e dipendenti pubblici anche quando il danno sia cagionato ad amministrazioni o enti pubblici diversi da quelli di appartenenza”; il principio di solidarietà, tale per cui in precedenza tutti i responsabili potevano essere chiamati a rispondere per l’intero, è stato poi sostituito dal principio di parzialità, in base al quale ciascun soggetto deve essere ora condannato nella misura in cui abbia contribuito alla causazione del danno.

Occorre infine rammentare come nel processo contabile il Giudice goda del c.d. potere riduttivo dell’addebito, che consente di porre a carico dell’interessato solo una parte del danno, tenendo conto di circostanze per così dire attenuanti (quali l’oggettiva difficoltà di interpretazione della norma, la carenza di organico, etc.).

 

L’EVOLUZIONE DEL CONCETTO DI ATTIVITÀ AMMINISTRATIVA.

Come esattamente osservato dalla dottrina, l’ambito soggettivo della giurisdizione contabile si è storicamente sviluppato “inseguendo tendenzialmente i danni subiti da tutti i soggetti pubblici, man mano che l’ordinamento, parallelamente all’incremento della spesa pubblica, creava nuove realtà entificate” (6).

Ciò nonostante, solo di recente la Corte di Cassazione ha mutato il proprio consolidato orientamento giurisprudenziale in merito all’esclusione della sindacabilità da parte della Corte dei Conti dei comportamenti di amministratori e dipendenti degli enti pubblici economici e delle società per azioni partecipate da enti pubblici.

In particolare, i Supremi Giudici avevano ripetutamente affermato che “a carico degli amministratori o funzionari di enti di gestione delle partecipazioni statali, come in genere di enti pubblici economici, la giurisdizione contabile della Corte dei Conti sussiste con limitato riguardo agli atti esorbitanti dall’esercizio di attività imprenditoriale ed integranti espressione di poteri autoritativi di autorganizzazione, ovvero di funzioni pubbliche svolte in sostituzione di amministrazioni dello Stato o di enti pubblici non economici, perché, in caso contrario, non è configurabile un rapporto di servizio con lo Stato; pertanto, deve essere esclusa tale giurisdizione, ed affermata quella del giudice ordinario, nell’ipotesi di responsabilità risarcitoria di detti amministratori o funzionari per l’occultamento e l’illecita gestione di somme provenienti dalle attività di impresa delle società partecipate” (7).  Più precisamente, le Sezioni Unite avevano avuto modo di precisare che “il requisito della natura pubblica dell’ente doveva essere riferito agli enti pubblici non economici, poiché gli enti pubblici economici, pur perseguendo finalità di carattere pubblico, normalmente svolgono la loro attività nelle forme del diritto privato e in tale svolgimento sono soggetti alla disciplina dell’imprenditore privato”, aggiungendo che “alla natura, agli scopi ed al modo di operare degli enti pubblici economici mal si addice il rigore del controllo della contabilità pubblica in senso stretto” (8).

In altri termini, in base a tale orientamento i predetti soggetti non potevano essere chiamati a rispondere innanzi alla Corte dei Conti per i comportamenti illeciti posti in essere nell’ambito dell’attività imprenditoriale, ovvero di un’attività di natura privatistica, non essendo configurabile in questo caso alcun rapporto di servizio; viceversa, si riteneva che un simile rapporto sussistesse nel caso in cui il medesimo ente esercitasse poteri autoritativi di autorganizzazione ovvero funzioni pubbliche ad esso attribuite in quanto impresa-organo dello Stato o di enti pubblici non economici (9).

Nella pratica, come evidenziato dalla stessa Corte di Cassazione (10), ciò aveva comportato la sostanziale impunità, sotto il profilo pecuniario, degli amministratori e dipendenti degli enti in questione, anche qualora gli stessi fossero stati condannati in sede penale per gravi vicende (occultamento e illecita gestione di somme provenienti da attività d’impresa delle società partecipate; occultamento e illecita gestione di fondi IRI,; pagamento di mega-tangenti Enimont; spese di rappresentanza; etc.) (11): difatti, né la Corte dei Conti poteva perseguire tali soggetti, né i vertici degli enti danneggiati provvedevano normalmente a proporre opportune azioni civili innanzi al giudice ordinario nei confronti degli amministratori (ovverosia, di sé medesimi o dei propri predecessori).

Alla giurisprudenza della Corte di Cassazione la dottrina aveva peraltro opposto una serie di osservazioni pregevoli (12), quali innanzitutto la progressiva “depubblicizzazione” della Pubblica amministrazione, mediante il sempre più frequente ricorso a moduli privatistici per l’espletamento di funzioni pubbliche o per gestire il personale della stessa Amministrazione, tale da rendere sempre più sfumata la distinzione tra enti pubblici economici e non. Gli Autori avevano inoltre insistito sull’oggettività della nozione di “organismo di diritto pubblico” per giungere alla conclusione che ciò che avrebbe dovuto rilevare, ai fini della sussistenza della giurisdizione contabile, fosse l’utilizzo di beni e denaro pubblico per la cura di pubblici interessi, a prescindere dallo strumento privatistico o meno utilizzato (13).

E’ dunque evidente la portata innovativa, rispetto al precedente orientamento, dell’ordinanza n. 19667/2003, con la quale la Suprema Corte ha infine riconosciuto la giurisdizione contabile della Corte dei Conti – in materia di responsabilità amministrativa, ma non di conto - senza le precedenti limitazioni (14), prendendo atto dell’”evoluzione della nozione di pubblica amministrazione”, sì che, “stante tale innovativo quadro, può conclusivamente affermarsi… che l’Amministrazione svolge attività amministrativa non solo quando esercita pubbliche funzioni e poteri autoritativi, ma anche quando, nei limiti consentiti dall’ordinamento, persegue le proprie finalità istituzionali mediante un’attività disciplinata in tutto o in parte dal diritto privato” (15). La Cassazione rileva peraltro come “il processo di privatizzazione dell’amministrazione pubblica, del quale s’è detto, non ha comportato una corrispondente e normativa riduzione della sfera di competenza giurisdizionale della Corte dei Conti nella materia che qui interessa; al contrario è stata attuata, dalle leggi degli anni ’90, una espansione di tale sfera”: la giurisdizione del giudice contabile si è infatti ampliata a tutti i casi in cui si sia verificata una lesione a beni e risorse pubbliche, ed il danneggiante risulti legato ad un ente che, al di là della forma organizzativa assunta, possa definirsi pubblico.

Partendo da tali presupposti, e rinvenendo nell’art. 1, ultimo comma, L. n. 20/1994 (16)  l’interpositio legislatoris (17) necessaria alla devoluzione della giurisdizione alla Corte dei Conti (“data l’ampia formulazione della norma, deve ritenersi che essa faccia riferimento anche agli enti pubblici economici, oltre che a quelli non economici ed alle Amministrazioni”: così si legge nell’ordinanza), la Cassazione approda alla conclusione per cui “è, dunque, l’evento verificatosi in danno di un’Amministrazione il dato essenziale dal quale scaturisce la giurisdizione contabile, e non, o non più, il quadro di riferimento (diritto pubblico o privato) nel quale si colloca la condotta produttiva del danno stesso”. Il discrimen tra giurisdizione ordinaria e contabile risiede dunque unicamente nella qualità del soggetto passivo e, pertanto, nella natura pubblica o privata delle risorse di cui esso si avvale, avendo il legislatore del 1994 inteso tutelare il patrimonio di amministrazioni ed enti pubblici, economici e non, diversi da quelli cui appartiene il soggetto agente (e così, in definitiva, l’interesse pubblico) (18).

 

L’EVOLUZIONE DEL CONCETTO DI RAPPORTO DI SERVIZIO: LA SENTENZA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, SS.UU., 26 FEBBRAIO 2004, N. 3899.

Il revirement della Corte di Cassazione in materia è stato confermato dalla successiva sentenza delle Sezioni Unite n. 3899/2004, di poco successiva all’ordinanza n. 19667/2003 appena esaminata.

Anche con riferimento agli amministratori e dipendenti delle società per azioni partecipate da enti pubblici, in analogia a quanto sancito in relazione agli enti pubblici economici, la Cassazione aveva infatti ritenuto non operante la giurisdizione contabile per atti, sia pure dannosi per l’Amministrazione, mediante i quali fosse stata gestita l’attività d’impresa; in tal caso, gli autori erano perciò esposti alle sole responsabilità previste dal Codice civile innanzi al giudice ordinario, con l’effetto di sostanziale impunità su cui ci si è già soffermati nel paragrafo precedente (19).

Come si vedrà, il ragionamento seguito dalla Suprema Corte per estendere la giurisdizione contabile agli amministratori e dipendenti delle società per azioni a partecipazione pubblica, nel caso in cui gestiscano servizi pubblici, pare peraltro discostarsi in parte rispetto alle argomentazioni espresse in precedenza da alcuni autori, i quali avevano sostanzialmente posto come condizione per una simile estensione la possibilità di ricondurre dette società alla nozione di organismo di diritto pubblico, ovvero il requisito della prevalenza del capitale pubblico: ciò in quanto i Giudici hanno risolto la questione ponendosi in una nuova prospettiva, diversa ma allo stesso tempo coerente rispetto all’ordinanza n. 19667/2003.

Per una migliore comprensione della vicenda, non pare inutile ripercorre i passaggi di fatto e di diritto.

1) Il fatto. - La vicenda concerne una serie di episodi di corruzione, false manutenzioni, accordi spartitori di tangenti di cui si erano resi protagonisti un assessore del Comune di Milano, e alcuni amministratori della società partecipata quasi totalmente dal Comune medesimo (la SO.G.EMI., società per l’impianto e l’esercizio dei mercati annonari all’ingrosso di Milano), nonché della società concessionaria di quest’ultima.

Il Procuratore regionale aveva quindi richiesto il risarcimento dei danni provocati al Comune di Milano per il presunto grave nocumento patito dalla società da esso partecipata in misura pressoché totalitaria (per il 99,97%), ritenendo che, pur non sussistendo un rapporto di servizio, vi fosse comunque un danno indirettamente provocato all’ente pubblico.

Dopo la condanna dei responsabili in prima cure, la seconda Sezione d’appello della Corte dei Conti aveva tuttavia dichiarato il difetto di giurisdizione del Giudice contabile sulla base dell’assunto secondo il quale il danno prodotto avrebbe avuto rilevanza “diretta e immediata” solo nei confronti della stessa società per azioni e solo “mediata e indiretta” sul Comune, che semmai avrebbe subito perdite patrimoniali in via riflessa, in sede di ripartizione degli utili.

Con la sentenza in commento le Sezioni Unite si sono quindi pronunciate in sede di ricorso per cassazione proposto per motivi di giurisdizione.

2) La sentenza delle Sezioni Unite. (20) – Come in parte già anticipato, per quanto i Supremi Giudici abbiano affermato di poter risolvere la questione in base ai tradizionali criteri di attribuzione della giurisdizione contabile, la prospettiva da cui essi hanno affrontato il problema appare indubbiamente nuova, e per certi versi analoga a quella da cui è stata esaminata la responsabilità di amministratori e dipendenti degli enti pubblici economici.

E’ infatti evidente come la Corte di Cassazione abbia abbandonando il precedente approccio, puramente formalistico, rispetto alla natura pubblica o privata della società a partecipazione pubblica, fornendo argomentazioni ancora più sostanziali rispetto alla precedente ordinanza n. 19667 del 22.12.2003, pur ricettiziamente richiamata in motivazione.

Si afferma infatti: “non può ignorarsi che con un revirement giurisprudenziale di grande importanza… questa Corte ha affermato che sono attribuiti al giudice contabile i giudizi di responsabilità amministrativa, per fatti commessi dopo l’entrata in vigore dell’articolo 1 ultimo comma legge 20/1994, anche nei confronti di amministratori e dipendenti di enti pubblici economici (Cassazione, SS.UU. 19667/03). All’ampia e articolata motivazione di tale pronuncia è consentito rinviare semplicemente, dal momento che l’innovativo indirizzo – pur idoneo a confutare alcune delle deduzioni degli attuali resistenti – non sembra decisivo nel caso di specie, per la cui soluzione sono sufficienti i criteri tradizionali”.

La Corte ha dunque posto l’accento non tanto sull’importanza della partecipazione maggioritaria pubblica al capitale azionario, ovvero sulla forma organizzativa assunta e sulla natura privata del modulo utilizzato, bensì sulla finalità perseguita dall’attività imprenditoriale nel caso specifico (ovverosia, sulla natura e l’oggetto dell’attività svolta dalla società).

La pronuncia prende infatti le mosse dal riscontro nella fattispecie delle caratteristiche oggettive di un servizio pubblico, osservando che “da un lato bisogna osservare che, come sottolineato specificamente nella memoria del ricorrente (ossia il P.G. della Corte dei Conti), la istituzione e la gestione dei mercati all’ingrosso costituiscono un servizio pubblico (…).

Le ragioni che giustificano l’intervento pubblico nella materia (come del resto con l’istituzione della SO.GE.MI.) sono quelle di interesse generale: la tutela dei consumatori sotto il profilo igienico sanitario e della qualità dei prodotti, l’ausilio alla razionalizzazione del sistema distributivo, lo sviluppo di rapporti diretti tra produzione e distribuzione, la promozione dell’associazionismo tra gli operatori economici dei settori interessati, l’abbattimento dei costi, ecc.; interessi tutti rilevanti per la comunità locale interessata”.

Le Sezioni Unite ritengono peraltro che tale ricostruzione non possa essere influenzata dall’“intervenuta liberalizzazione del settore”, ossia dalla circostanza che il Comune di Milano non gestisca più direttamente quello che era e resta un servizio pubblico, bensì lo faccia svolgere ad un soggetto con le caratteristiche di SO.GE.MI.

Individuata dunque la natura di servizio pubblico dell’attività esercitata, attività definita d’interesse generale (21), la sentenza perviene alla conclusione per cui “anche escludendo che la SO.GE.MI. agisse come longa manus del Comune e quindi in una situazione di compenetrazione organica, non può certamente negarsi che tra la suddetta società e l’ente territoriale si fosse stabilito un rapporto di servizio, ravvisabile ogni qual volta si instauri una relazione (non organica ma) funzionale caratterizzata dall’inserimento del soggetto esterno nell’iter procedimentale dell’ente pubblico come compartecipe dell’attività a fini pubblici di quest’ultimo. Rapporto di servizio che, per costante giurisprudenza, implica l’assoggettamento alla giurisdizione della Corte dei Conti in materia di responsabilità patrimoniale per danno erariale, non rilevando in contrario la natura privatistica dell’ente affidatario e/o dello strumento contrattuale con il quale si è costituito ed attuato il rapporto in questione.

Ed infatti, già in precedenza tanto la dottrina quanto la giurisprudenza (22) avevano affermato la sussistenza di un “rapporto di servizio” laddove l’autore dell’illecito risultasse compartecipe dell’attività amministrativa dell’ente pubblico medesimo (23).

Attenendo specificamente al merito della questione, la Corte non si è peraltro pronunciata circa la rilevanza diretta o indiretta sul patrimonio dell’ente locale del danno cagionato alla società per azioni (“è appena il caso di aggiungere che non rileva in questa sede la problematica svolta nell’impugnata sentenza in tema di danno subito in via diretta ed immediata dalla So.Ge.Mi. ed in via mediata ed indiretta dal Comune solo in sede di ripartizione degli utili, trattandosi di questione non di giurisdizione ma di merito, estranea al presente giudizio, volto esclusivamente a determinare nel caso di specie i limiti esterni della giurisdizione contabile e non l’esercizio di tale giurisdizione, cui appartiene l’accertamento in concreto dell’esistenza o meno di un danno erariale risarcibile”).

 

CONSIDERAZIONI CIRCA I RIFLESSI DELLA SENTENZA N. 3899/2004 SULLA RESPONSABILITÀ AMMINISTRATIVA DEGLI AMMINISTRATORI DI SOCIETÀ PER AZIONI PARTECIPATE DA ENTI PUBBLICI.

Sin dall’inizio della trattazione si è sottolineato come la sentenza n. 3899/2004, pur avendo affrontato la questione della configurabilità del giudizio di responsabilità amministrativa nei confronti degli amministratori di società per azioni partecipate da enti pubblici, abbia lasciato irrisolti numerosi aspetti, peraltro assai rilevanti (basti pensare alla questione sostanziale, da ultimo accennata e inevitabilmente lasciata in sospeso dalla Corte di Cassazione, della sussistenza del danno subito dal Comune “in via mediata ed indiretta… solo in sede di ripartizione degli utili”).

Innanzitutto, occorre tener conto del fatto che la sentenza in questione riguarda, specificamente, a) la responsabilità amministrativa; b) il caso di una società per azioni operante nel settore dei servizi pubblici locali; c) il caso di una società a partecipazione pubblica maggioritaria.

Con riferimento al primo punto, che esula dal tema della presente trattazione, ci sia consentito limitarci a un rinvio, ex multis, alla sentenza delle Sezioni Unite 9 ottobre 2001, n. 12367 (24) – peraltro già citata in nota 23 a riprova di come una simile apertura lasciasse presagire il successivo revirement in materia di responsabilità amministrativa -, con la quale la Corte di Cassazione ha già avuto modo di osservare che: “una società per azioni a totale partecipazione comunale che sia incaricata di gestire un servizio pubblico (nella specie, la sosta dei veicoli su aree pubbliche) e di riscuotere nell’interesse del Comune i relativi proventi assume la qualità di agente contabile ed è soggetta, come tale, alla giurisdizione della Corte dei Conti in ordine alla “resa del conto” delle somme da essa riscosse

Di maggior interesse pare invece la questione della rilevanza, o meno, della quota di partecipazione dell’ente pubblico ai fini della sottoposizione dei dipendenti e amministratori della società alla giurisdizione contabile: in altri termini, se sia essenziale la circostanza per cui l’ente locale detenga la maggioranza del capitale sociale. E’ peraltro prevedibile che l’interrogativo si porrà ben presto con riferimento, in particolare, all’ambito dei servizi pubblici locali, la cui disciplina, com’è noto, ha formato e sta formando oggetto di una travagliata riforma.

Per quanto qui d’interesse, è sufficiente limitarsi ad osservare come l’art. 113 del D.Lgs. n. 267/2000 contempli la possibilità di affidare la gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, oltrechè “a società a capitale interamente pubblico a condizione che gli enti pubblici titolari del capitale sociale che esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente o gli enti pubblici che la controllano”, anche a società a capitale misto pubblico-privato.

Ora: la pronuncia in esame non pare lasciar dubbi circa l’assoggettamento alla giurisdizione del giudice contabile delle società a capitale interamente pubblico; le perplessità riguardano invece le società miste, e, segnatamente, le società in cui l’ente locale sia socio di minoranza (25). 

A riguardo, si può constatare come la posizione della Cassazione appaia alquanto estensiva: la Corte, al pari di quanto sostenuto nella precedente ordinanza n. 19667/2003, ribadisce infatti l’irrilevanza della veste giuridica assunta dall’ente, ponendo viceversa l’accento sull’elemento finalistico, ovverosia sulla partecipazione all’attività amministrativa e ai fini di una pubblica autorità, in analogia alla posizione assunta dalla Cassazione relativamente alla figura del concessionario. Non pare pertanto infondato sostenere (fatti salvi futuri interventi chiarificatori della giurisprudenza in senso contrario), che la giurisdizione della Corte dei Conti sussista anche nel caso in cui la partecipazione pubblica al capitale sociale non sia maggioritaria., dato che la giurisdizione della Corte dei Conti si “ancora” a beni o patrimonio pubblici e non si “stempera” se essi confluiscono nel patrimonio di una società (anche con capitale pubblico di minoranza).

Non può peraltro essere negato che una simile conclusione non si concilia perfettamente con il diverso riferimento contenuto nell’art. 7, L. n. 97/2001, norma che prevede la comunicazione al competente Procuratore della Corte dei Conti della sentenza irrevocabile di condanna pronunciata nei confronti di dipendenti di amministrazioni o di enti pubblici ovvero a prevalente partecipazione pubblica riconosciuti responsabili dei delitti contro la pubblica amministrazione previsti dal capo I del libro secondo del codice penale, al fine della promozione dell’eventuale procedimento di responsabilità per danno erariale.

Altro aspetto della pronuncia che meriterà di essere approfondito risultano le condizioni perché possa dirsi instaurata una relazione “(non organica) ma funzionale caratterizzata dall’inserimento del soggetto esterno nell’iter procedimentale dell’ente pubblico come compartecipe dell’attività a fini pubblici di quest’ultimo”: la sentenza ha infatti affermato che una simile relazione sussiste per il caso in cui la società partecipata da un ente pubblico gestisca un servizio pubblico; tuttavia, per poter affermare la responsabilità amministrativa di amministratori e dipendenti di società a partecipazione pubblica che svolgano attività diverse occorrerà preventivamente verificare la sussistenza dei medesimi presupposti (o, in alternativa – si potrebbe ipotizzare - dei presupposti individuati dalla precedente ordinanza n. 19667/2003, la quale, come si ricorderà, ha sancito il principio per cui “è, dunque, l’evento verificatosi in danno di un’Amministrazione il dato essenziale dal quale scaturisce la giurisdizione contabile, e non, o non più, il quadro di riferimento (diritto pubblico o privato) nel quale si colloca la condotta produttiva del danno stesso”) (26).  

Ci si può peraltro interrogare circa le modalità con cui conciliare il controllo della Corte dei Conti sulla responsabilità amministrativa degli amministratori e dei dipendenti con l’esercizio dei poteri imprenditoriali da parte delle società a partecipazione pubblica (prevalente o totale), per garantire, come già evidenziato con particolare sensibilità dalla Corte costituzionale nella citata sentenza n. 371/1998 che “la prospettiva della responsabilità [costituisca] ragione di stimolo e non di disincentivo”.

Il rischio di una sorta di invasione da parte della Corte dei Conti della sfera attinente alle decisioni imprenditoriali (ad esempio, sindacando aspetti che attengono al rapporto contrattuale di utenza) (27) potrà essere evitato in primo luogo laddove i Giudici intervengano in casi eclatanti, e cioè laddove siano stati commessi reati, ovvero azioni palesemente sconsiderate, antieconomiche e illegali, come nel caso delle pronunce citate (a mero titolo esemplificativo, “finanziamento di partiti, truffe, investimenti di facciata, donazioni occulte che fuoriescono dal prudente e normale agire dell’imprenditore e dalla stessa finalità della distribuzione di utili che ai sensi dell’art. 2247 c.c. e seguenti dovrebbe governare anche questi soggetti), fermo restando che non ogni atto a titolo gratuito o senza corrispettivo immediato sia di per sé dannoso per l’ente” (si vedano, ad esempio, le sponsorizzazioni) (28).

Inoltre, potrà distinguersi tra atti di attuazione dello Statuto (sottoposti alla giurisdizione dell’ AGO) e atti di attuazione del “contratto di servizio”, nei confronti dei quali può esercitarsi il sindacato della Corte dei Conti.

Particolarmente utili potranno poi rivelarsi gli indirizzi già espressi dalla giurisprudenza in relazione all’insindacabilità delle scelte discrezionali, nonché l’applicazione dei principi vigenti nel processo innanzi alla Corte dei Conti, esaminati nel § 1, volti a garantire la “distribuzione” del rischio dell’attività fra apparato e membri dell’apparato stesso (29). 

Non vi è dubbio, peraltro che quelli che sono i doveri degli Amministratori della società (dovere di agire informati, dovere di informare, obbligo di motivazione delle decisioni, livello di diligenza adeguato, dovere di evitare situazioni di conflitto di interessi, etc…) divengono oggi anche parametro per misurare la “colpa” degli amministratori nel giudizio innanzi alla Corte.

 

LE PIÙ RECENTI PRONUNCE

Due importanti pronunce della Suprema Corte di Cassazione hanno recentemente riconfermato quanto si è fino ad ora affermato.

Con la sentenza Cass. Sez. Unite 03.05.2005 n. 9096, si è (ri) affermato che la qualificazione di un Ente come “società di capitali” non è sufficiente ad escludere la natura di istituzione pubblica dell’ Ente stesso., soprattutto se quest’ultima costituisce una longa manus degli Enti Locali per la gestione di servizi pubblici ed è finanziata con entrate di natura pubblicistica.

Appare interessante rilevare come la sentenza si richiami espressamente alla precedente vicenda esaminata con sentenza n. 3899/2004.

La sentenza è stata oggetto di critiche dalla dottrina (GOISIS) che ha sottolineato come la Corte appaia confondere tra “causa” e “oggetto sociale” e come “la qualità (pubblica) dei soci, l’intensità del loro controllo ovvero l’ attività svolta (anche di intersse pubblico come un servizio locale) non cambiano in mancanza di in equivoche indicazioni legislative, la natura della società: essa è e rimane persona giuridica di diritto privato”. Diversamente opinando, “risulterebbe compromesso il principio per cui gli enti pubblici debbono essere costituiti o estinti dalla legge o comunque sulla base della legge”.

L’ Autore sottolinea giustamente come, peraltro, non sia necessario qualificare come soggetto pubblico le società in mano pubblica, per potere estendere alle medesime discipline dettate (in origine) per i soli Enti pubblici.

Altrettanto fondamentale appare la sentenza della Corte di Cassazione, sez. Unite civili, 01 marzo 2006 n. 4511che , dopo aver premesso:

 il progressivo operare dell’Amministrazione tramite soggetti non organicamente inseriti nella stessa e del sempre più frequente operare di questa al di fuori degli schemi del - per molti versi superato - regolamento dì contabilità di Stato, che ai fini del riconoscimento della giurisdizione della Corte dei conti, ritiene del tutto irrilevante, il titolo in base al quale la gestione del pubblico denaro è svolta, potendo consistere in un rapporto dì pubblico impiego o di servizio, ma anche in una concessione amministrativa od in un contrattoprivato;

- che ormai il baricentro per discriminare la giurisdizione ordinaria da quella contabile si è spostato dalla qualità del soggetto (che può ben essere un privato od un ente pubblico non economico) alla natura del danno e degli scopi perseguiti, cosicché ove il privato, per sue scelte, incida negativamente sul modo d’essere del programma imposto dalla Pubblica Amministrazione, alla cui realizzazione egli è chiamato a partecipare con l’atto di concessione del contributo, e la incidenza sia tale da poter determinare uno sviamento dalle finalità perseguito, egli realizza un danno per l’ente pubblico (anche sotto il mero profilo di sottrarre ad altre imprese il finanziamento che avrebbe potuto portare alla realizzazione dei piano così come concretizzato ed approvato dall’ente pubblico con il concorso dello stesso imprenditore), di cui deve rispondere dinanzi al giudice contabile (ex plurimis Cassazione, Su 8450/98, 926/99, 11309/95)”, dichiara la giurisdizione della Corte dei Conti nella fattispecie in esame.

Di sicuro rilievo sono anche alcune pronunce del Giudice contabile.

Con la sentenza della Corte dei Conti Sezione giurisdizionale per la Sicilia n. 1712/2005, sono stati affermati importanti principi in materia di responsabilità dei revisori dei conti affermandosi che “i collegi dei revisori, sia sul piano della disciplina di diritto comune che di diritto pubblico, hanno visto registrare negli ultimi anni un notevole ampliamento dei loro poteri e delle loro funzioni, trasformando profondamente la loro originaria natura di organi di mero controllo interno contabile, fino a farli assurgere al rango di veri e propri organi di controllo interno a competenza generale ancorché funzionalmente differenziata, e talora con poteri anche sostitutivi”.

Pertanto essi devono evidenziare le distorsioni e “indicare le misure per ricondurre l’ azione amministrativa nell’ alveo dei parametri di legalità, efficienza, efficacia ed economicità. Il non attivarsi in questo senso costituisce grave violazione dei doveri connessi alla funzione, con conseguente responsabilità amministrativa”.

Di sicuro interesse è anche la sentenza della Sezione giurisdizionale della Lombardia n. 114 del 22 febbraio 2006, che nell’ affermare la giurisdizione della Corte dei Conti nei confronti dell’ ENEL, ripercorre dettagliatamente il cammino della Legislazione e della giurisprudenza quivi illustrato.

Degna di menzione anche la sentenza della Sezione giurisdizionale della Toscana n. 265 del 26 aprile 2006, che distingue tra società “in mano pubblica” e società sostanzialmente private. In quest’ ultima ipotesi, secondo la Corte Toscana, “a rispondere sarà solamente la società, salvo che si provi l’ abuso di poteri dell’ Amministratore e, in sostanza, l’utilizzazione della veste societaria quale mero schermo o velo”.

 

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Infine, occorre segnalare che la Legge finanziaria 2006 (L. n. 266/2005) nei commi 231, 232, 233 ha previsto il cd. “condono contabile” per il danno erariale. La norma prevede la possibilità per i soggetti nei cui confronti sia stata pronunciata una sentenza di condanna in primo grado da parte di una Sezione giurisdizionale regionale della Corte dei Conti, di chiedere in appello che il procedimento venga definito mediante il pagamento di una somma non inferiore al 10% e non superiore al 20% del danno quantificato nella condanna di primo grado. Tale ipotesi non è preclusa neppure in presenza di fatti particolarmente riprovevoli come episodi di corruzione, concussione, etc… Si tratta di una previsione che è già stata sospettata di incostituzionalità da parte della stessa Corte dei Conti e sulla legittimità della quale dovrà pronunciarsi la Corte Costituzionale.

 

ALCUNE RIFLESSIONI SPARSE (E CONCLUSIVE)

Specialmente con le ultime pronunce sia la Corte dei Conti che la Cassazione hanno chiaramente abbandonato il criterio del “rapporto di servizio” per approdare ad una sorta di “eccesso di potere (o sviamento) contabile”, inteso come sviamento dell’ impiego di pubbliche risorse dal loro fine tipico.

Si può allora parlare, più correttamente, anziché di responsabilità amministrativo contabile, di responsabilità finanziaria, intesa come la responsabilità in cui possono incorrere tutti coloro che utilizzano e gestiscono pubbliche risorse.

Il “focus”, cioè si sposta dal quadro giuridico di riferimento (pubblico o privato) all’ evento dannoso per l’erario: è sufficiente una qualunque relazione (non organica), ma “funzionale” con l’ Amministrazione, che renda il soggetto compartecipe dei “fini pubblici”.

La ratio è abbastanza evidente.

Come è stato efficacemente rilevato diviene essenziale, per garantire l’equilibrio finanziario del sistemi che “non si concedano spunti di immunità, quando l’attività di spesa sia effettuata al di fuori dei canoni pubblicistici.

Tutto ciò si presenta opportuno in un momento storico, come quello attuale, con un’amministrazione avviata verso forme più o meno avanzate di federalismo e di sussidiarietà, proiettate a una maggiore responsabilizzazione delle amministrazioni territoriali che potranno avvalersi, per la gestione di molti servizi pubblici, così come per la realizzazione di lavori pubblici, della partecipazione di soggetti privati, che quando responsabilizzati, anche per il rischio di dover rispondere patrimonialmente delle inefficienze e degli sprechi, avranno maggiore cura dell’interesse pubblico alla cui realizzazione contribuiscono” (così PERIN).

Altrimenti c’ è il rischio, sottolineato molto efficacemente ed icasticamente dal prof. Abbamonte, che il sistema dei servizi pubblici italiani divenga una “strana vacca”, che mangia nella greppia del pubblico e fa il latte nel secchio del privato.

 

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Vediamo, infine, come le riflessioni svolte possono intersecarsi con il tema delle “gestioni in house”.

Si tratta, senza dubbio, di un tema interessante, dato che nella gestione in house manca una “terzietà” della società. La società è economicamente e teleologicamente indistinguibile dalla PA.

Addirittura si sostiene che trai due soggetti (società e PA) non vi potrebbe essere “contratto”, perché mancherebbe l’ incontro delle volontà di due soggetti distinti. Si tratterebbe di una fattispecie riconducibile al fenomeno della cd. “autoproduzione”, e cioè ad una scelta alternativa all’ acquisto di beni o servizi sul mercato.

Si tratterebbe di una sorta di ripartizione meramente interna di funzioni e servizi, con una sorta di delega “formalizzata”.

Se così è, cade anche l’ ultimo “velo” tra società e Amministrazione (e cade necessariamente, dato che si può dire che c’è gestione in house proprio se il “velo” non c’è).

In questo caso, la responsabilità (e la giurisdizione della Corte dei Conti) non è solo per danno recato all’ Ente di riferimento, ma anche per danno arrecato direttamente alla Società (la Società si identifica con l’ Ente!).

C’ è un evidente paradosso: si è fatto di tutto per “scappare” dal diritto pubblico e dai suoi vincoli e legami e si finisce per ricadere nelle sua rete, con un processo sostanzialmente “circolare”.

Un ultimo cenno merita, infine, il tema dell’assicurabilità della responsabilità di cui si discute, le posizioni sono discordi.

Secondo una posizione più estrema (ma con considerazioni abbastanza condivisibili) la assicurabilità farebbe venir meno la funzione afflittiva / dissuasiva della responsabilità, snaturandone alcuni aspetti tipici (il potere riduttivo, etc..). Si avrebbe altresì una violazione degli artt. 3, 97 e 103 della Costituzione, perché con la L. n. 20/1994 e con l’introduzione della “colpa grave”, il Legislatore avrebbe già “equilibrato” e calibrato le quote di rischio accollabili al soggetto e l’ assicurazione finirebbe per squilibrare tale rapporto.

Si potrebbe però obiettare che tanto più il focus si sposta dal “rapporto di servizio” e da una responsabilità che mira(va) a far lavorare più coscienziosamente il pubblico dipendente, verso una responsabilità più oggettiva, che mira a tutelare il “denaro pubblico”, che detta tutela è sicuramente più efficace in presenza di un’assicurazione che garantisca, in ogni caso, il reintegro dell’ ipotetico danno erariale.

 

Note

 

1) Vedasi PASQUALUCCI F., SCHLITZER E.F. L’evoluzione della responsabilità amministrativa, Milano, Giuffrè, 2002; TENORE V. (a cura di) La nuova Corte dei Conti: responsabilità, pensioni, controlli, Milano, Giuffrè, 2004; SCOCA F.G. La responsabilità amministrativa ed il suo processo, Padova, CEDAM, 1997; SCIASCIA M. Manuale di diritto processuale contabile¸ 2003, 14; nonché, per un approccio generale alla responsabilità amministrativa, MAZZAROLLI L. et al. (curr.)  Diritto amministrativo¸ Bologna, Monduzzi, 1998, 2130 ss. e la corrispondente voce in Enc. Giur. Treccani, Vol. XXVI.

Vedasi inoltre APICELLA V. “L’evoluzione più recente della giurisdizione di responsabilità della Corte dei Conti”, in Cons. st., 4/2003, II, 860 ss.

2)  Pare sufficiente limitarsi ad accennare appena alla nota distinzione (terminologica e concettuale) fra responsabilità amministrativa e responsabilità contabile, a volte ricondotte all’unica e generica nozione di responsabilità amministrativo-contabile. Propriamente, la responsabilità contabile è infatti quella particolare forma di responsabilità patrimoniale in cui possono incorrere gli agenti contabili (ovverosia i soggetti, pubblici o, qualora versino in determinate condizioni, privati che hanno il maneggio di denaro o di altri valori dello Stato o la materiale disponibilità di beni) in caso di inosservanza dell’obbligazione di restituire i valori gestiti o custoditi; la responsabilità amministrativa è invece rinvenibile in capo ai c.d. agenti amministrativi (i quali hanno la mera disponibilità giuridica di denaro o beni, esercitando compiti deliberativi e ordinatori di spesa) a seguito di qualsiasi condotta dolosa o gravemente colposa foriera di danno erariale.

Per una sintetica distinzione vd. TENORE V. (a cura di) La nuova Corte dei Conti: responsabilità, pensioni, controlli, Giuffrè, 2004, 17.

3) Così TENORE V. (a cura di.) La nuova Corte dei Conti: responsabilità, pensioni, controlli, Giuffrè, 2004, 27 s.

4) A tal proposito vedasi PASQUALUCCI F., SCHLITZER E.F. L’evoluzione della responsabilità amministrativa, Milano, Giuffrè, 2002, 24 s.: “(…) la perseguibilità solo nei casi di dolo e colpa grave, la limitazione della solidarietà e della trasmissibilità agli eredi dell’obbligo, l’esclusione del sindacato del giudice sulle scelte discrezionali, la non perseguibilità degli organi politici che in buona fede abbiano approvato o autorizzato atti che rientrano nella competenza propria degli uffici tecnici o amministrativi, la valutazione dei vantaggi conseguiti non solo dall’Amministrazione, ma anche dalla comunità amministrata, l’uso del potere riduttivo, sono tutti strumenti che costituiscono una gabbia protettiva per il pubblico dipendente… ciò non dipende da una forma di lassismo nei confronti del pubblico dipendente, ma dall’interesse dell’ordinamento a stimolarne l’iniziativa, evitando che il timore di enormi responsabilità collegate alla ponderosità degli interessi gestiti possa indurre ad una cautela eccessiva o addirittura all’inerzia (c.d. paura della firma), esse sì dannose e contrarie al pubblico interesse, con conseguenti ricadute negative sullo sviluppo della società”.

5) Sul punto si rinvia, in particolare, a SCOCA F.G. La responsabilità amministrativa ed il suo processo, Padova, CEDAM, 1997; SCIASCIA M. Manuale di diritto processuale contabile¸ 2003, oltre che agli altri manuali citati in n. 1.

6) PASQUALUCCI F., SCHLITZER E.F. L’evoluzione della responsabilità amministrativa, Milano, Giuffrè, 2002, 17.

7) Così Cass. SS.UU., 02.10.1998, n. 9780 in Foro it., I, 1999, 575. La sentenza reca peraltro in nota il commento di D’AURIA G. “Brevissime note in tema di giurisdizione sulla responsabilità degli amministratori di enti pubblici economici”, che risulta interessante per la disamina dell’orientamento della Cassazione in materia, in epoca antecedente all’ordinanza delle Sezioni Unite n. 19667/2003.

8) Così l’ordinanza in commento sintetizza, in particolare, il contenuto della sentenza della Corte di Cassazione 12.03.1982, n. 1282.

 9) Così, ex multis,  Cass. 02.03.1982, n. 1282 in Foro it., 1982, I. 1596; vedasi inoltre Cass. SS.UU. n. 2489/99, 12654/97, 1193/00, 9649/01.

10) Vedasi Cass. SS.UU. 02.10.1998, n. 9780; la sentenza, relativa alla vicenda Enimont, è in Guida al diritto, n. 3/1999, p. 55 (con nota di CHIAPPINELLI).

11) Sul punto vedasi TENORE V. (a cura di) La nuova Corte dei Conti: responsabilità, pensioni, controlli, Milano, Giuffrè, 2004, p. 35 ss., il quale mette in evidenza come si fosse così “assistito, di fatto, al non raro accollo dei costi di tale mala gestio degli enti pubblici economici in capo alla collettività”.

12) Vedasi VENTURINI L., Giurisdizione della Corte dei Conti nei confronti degli amministratori e dipendenti delle amministrazioni, enti ed enti a prevalente partecipazione pubblica in Riv. C. CONTI, 6/2001, 294 ss.

13) Come efficacemente messo in luce da TENORE V. (a cura di) La nuova Corte dei Conti: responsabilità, pensioni, controlli, Milano, Giuffrè, 2004, 39 ss., “molti autori hanno adeguatamente valorizzato la circostanza che, sul piano comunitario e nazionale in materia di appalti, la nozione di “organismo di diritto pubblico” è oggettiva, in quanto prescinde dalla qualifica formale, pubblicistica o privatistica (s.p.a.), ma è ancorata, oltre che alla sussistenza del possesso della personalità giuridica, ad un parametro funzionale, ovvero quello dello scopo perseguito dall’organismo (produrre utilità strumentali per l’interesse generale e non aventi carattere industriale o commerciale), dalla derivazione pubblica delle risorse gestite e dal suo collegamento con la p.a. (es. titolare di quote della s.p.a.). In altre parole, ciò che rileva ai fini dell’applicazione di regole pubblicistiche (es. sui controlli) e della sussistenza della giurisdizione contabile, costituzionalmente garante delle casse pubbliche, è l’utilizzo di beni e denaro pubblico per la cura di pubblici interessi, a prescindere dallo strumento privatistico o meno utilizzato”.

14) Per un commento alla pronuncia vedasi TENORE V. (a cura di) La nuova Corte dei Conti: responsabilità, pensioni, controlli, Milano, Giuffrè, 2004, 44 s., il quale valuta positivamente la pronuncia osservando come con essa la Cassazione abbia “coraggiosamente sconfessato il proprio precedente indirizzo ostativo ed abbia statuito la giurisdizione contabile (in materia di responsabilità amministrativa, ma non di conto) su amministratori e dipendenti di enti pubblici economici per i fatti successivi alla L. n. 20/1994”.

L’A. sintetizza quindi esattamente i “basilari argomenti a sostegno di tale approdo ermeneutico” nei seguenti rilievi: “a) la progressiva privatizzazione della p.a., che ha reso labile la distinzione tra enti pubblici ed enti pubblici economici; b) l’irrilevanza dello strumento, privatistico o pubblicistico, utilizzato dalla p.a. per l’esercizio di funzioni istituzionali; c) il progressivo ampliamento della giurisdizione contabile operato dal legislatore; d) la devoluzione alla Corte dei Conti degli illeciti extracontrattuali derivanti da condotte dannose poste in essere da dipendenti pubblici nei confronti di amministrazioni ad enti diversi da quelli di appartenenza (art. 1, ult. co., l. n. 20 del 1994); e) l’ampliamento della giurisdizione contabile nei confronti dei dipendenti e amministratori di enti a prevalente partecipazione pubblica operato dall’art. 7, l. n. 97/2001”.

Per un sintetico commento all’ordinanza in esame, vedasi inoltre BRIGUORI P. “Verso una giurisdizione esclusiva per “blocchi” del giudice contabile”, in D&G, 5/2003, 56 ss.; MANFREDI SELVAGGI C.A. Anche l’attività imprenditoriale sotto il “controllo” contabile in Guida agli enti locali, 11/2004, p. 95 ss. (interessante per l’excursus relativo al dibattito dottrinale e giurisprudenziale circa la tematica del rapporto di servizio); nonché le più approfondite osservazioni di CREA P. “Organizzazione in forma privata di funzioni e servizi pubblici e responsabilità erariale”, su www.amcorteconti.it, e di CAROSELLI A. “La responsabilità amministrativa degli amministratori di società a partecipazione pubblico locale e degli amministratori e dipendenti di enti pubblici economici” su www.dirittodeiservizipubblici.it. L’A. osserva peraltro criticamente come “la sentenza pare però lasciare quasi a margine – presumibilmente in funzione della risoluzione del caso sottoposto ad esame – un aspetto determinante ai fini dell’individuazione della giurisdizione, vale a dire, cosa si intenda poi effettivamente per ente pubblico (…). La Corte sembra voler condividere quindi la posizione del procuratore generale e, nel richiamare la giurisprudenza della Corte Costituzionale, a mente della quale il mutamento della veste giuridica di un ente non è sufficiente a sottrarre lo stesso al controllo della Corte dei Conti (posto che la ragione di questo è destinata a venir meno solo nel caso in cui si verifichi “l’uscita della società dalla sfera della finanza pubblica”) sembra in qualche modo voler concentrare – pur non abbracciandone sino in fondo i tratti qualificanti – sulla nozione di organismo pubblico il concetto stesso di ente pubblico”.

15)  Più precisamente, la Corte passa in rassegna la giurisprudenza della Cassazione dapprima in materia di responsabilità di amministratori e dipendenti di enti pubblici non economici (Cass. SS.UU., n. 363/69, con la quale venne riconosciuta la giurisdizione della Corte dei Conti quale espressione della portata precettiva dell’art. 103 Cost. in base alla natura pubblica dell’ente cui il soggetto agente risulta legato e alla qualificazione pubblica del denaro o del bene utilizzato – ovverosia alla compresenza dei due elementi qualificanti la nozione di contabilità pubblica) e quindi il rigido orientamento in materia di amministratori e dipendenti di enti pubblici economici (Cass., n. 1282/1982 cit.), per approdare alla conclusione che l’evoluzione e l’ampliamento della nozione di pubblica amministrazione, sia in termini soggettivo-organizzativi, che operativo-funzionali, evidenziata dalla stessa giurisprudenza della Corte Costituzionale, inducono il giudice ad un nuovo approccio interpretativo in materia di competenza giurisdizionale sulla responsabilità amministrativa, al fine di evitare che si sottraggano al controllo del giudice contabile ipotesi nuove di gestione del patrimonio pubblico e quindi ne risulti maggiormente difficoltosa la relativa tutela.

In questo rinnovato quadro si inserisce quindi coerentemente, come evidenziato dalla Cassazione, l’art. 7 l. 97/2001, che ha stabilito che la sentenza irrevocabile di condanna pronunciata nei confronti di dipendenti di amministrazioni o di enti pubblici ovvero a prevalente partecipazione pubblica riconosciuti responsabili dei delitti contro la Pubblica Amministrazione previsti dal Capo I del Libro secondo del Codice penale deve essere comunicata al competente procuratore della Corte dei Conti affinché promuova l’eventuale procedimento di responsabilità per danno erariale. Tale norma si pone infatti armonicamente nel sistema solo qualora si attribuisca alla Corte dei Conti giurisdizione su amministratori e dipendenti di enti pubblici economici.

A indiretta conferma dell’esattezza delle conclusioni cui è pervenuta nell’ordinanza in esame, la Corte richiama infine l’orientamento delle sezioni penali, a parere delle quali il mutamento della forma organizzativa dell’ente pubblico, e perfino la sua trasformazione in una forma organizzativa di diritto privato non ne minano la natura pubblica, confermando la natura di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio dei relativi dipendenti).

16) Art. 1, comma 4, L. n. 20/1994: “La Corte dei Conti giudica sulla responsabilità amministrativa degli amministratori e dipendenti pubblici anche quando il danno sia stato cagionato ad amministrazioni o enti pubblici diversi da quelli di appartenenza, per i fatti commessi successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge”.

17) Com’è noto, la necessità della c.d. “interpositio legislatoris” discende dal fatto che, malgrado l’art. 103 Cost. disponga che “la Corte dei Conti ha giurisdizione in materia di contabilità pubblica e in quelle altre individuate dalla legge” – ovverosia in relazione alle controversie aventi ad oggetto la responsabilità amministrativa e contabile dei pubblici funzionari, i giudizi di conto e i giudizi in materia di pensioni civili, militari e di guerra - la dottrina e la giurisprudenza prevalenti hanno comunque ritenuto che la definizione in  concreto dell’ambito soggettivo di detta giurisdizione dovesse essere rimessa alle leggi ordinarie, che sono abilitate ad ampliarla o restringerla a piacimento, con l’unico limite costituzionale di non poter sottrarre alla Corte dei Conti, eventualmente affidandole ad altro giudice, competenze tradizionalmente qualificabili come di natura contabile (sul punto vedasi SCIASCIA M. Manuale di diritto processuale contabile¸ 2003, 14).

In particolare, per quanto qui d’interesse, sino alle pronunce in commento l’ambito dei funzionari soggetti al giudice contabile era dunque costituito, in virtù delle leggi progressivamente emanate, dagli impiegati statali (art. 19 D.P.R. n. 3/1957), dai dipendenti pubblici parastatali (art. 8, L. n. 70/1975), dai dipendenti e amministratori delle Regioni (art. 31, L. n. 335/76) e delle U.S.L. (art. 28, D.P.R. 761/1979), e infine dagli amministratori e dipendenti degli enti locali (art. 93, D.Lgs. 267/00).

 18) Come messo in luce dal Procuratore Generale della Corte dei Conti nella Relazione inaugurale dell’anno giudiziario 2004, “Dalla motivazione dell’ordinanza, poi, si desume che, ai fini dell’attivazione dell’azione di responsabilità dinanzi alla giurisdizione contabile non è essenziale accertare l’esistenza di un rapporto di servizio tra soggetto ed ente, in quanto, nella visione obiettiva e unitaria in cui si inserisce la pronuncia della Cassazione, l’elemento necessario e sufficiente per l’attribuzione della materia al Giudice della Corte dei Conti è il verificarsi di un pregiudizio ingiusto in danno alla finanza pubblica”.

19) CREA P. “Organizzazione in forma privata di funzioni e servizi pubblici e responsabilità erariale”, su www.amcorteconti.it, mette peraltro in luce come l’ordinamento prevedesse già il caso di società di capitali assoggettate alla giurisdizione per responsabilità erariale (e non contabile in senso stretto): “infatti, l’art. 4, co. 1, lett. b) e c) del d.l.vo n. 104/1996 (in materia di dismissione del patrimonio immobiliare degli enti previdenziali pubblici) prevede che i contratti di gestione (ossia quelli che creano il rapporto di servizio con l’ente pubblico) devono conformarsi ai seguenti principi ispiratori: lett. b): responsabilità contabile della gestione; lett. c) responsabilità civile e amministrativa della gestione dei beni conferiti. Il riferimento alla responsabilità “amministrativa”  accanto a quella civile, a giudizio di chi scrive, non può che essere riferita alla responsabilità per fatti di gestione di cui conosce la Corte dei Conti”.

20) Per un sintetico commento alla sentenza vedasi BRIGUORI P. “La veste di S.p.a. non salva dai controlli della Corte dei Conti”,  in D&G, 17/2004, 51 ss.; MINGARELLI A. “Giurisdizione della Corte dei Conti sulle società a prevalente proprietà pubblica”, in www.appaltiecontratti.it; CAROSELLI A., “La responsabilità amministrativa degli amministratori di società a partecipazione pubblico locale e degli amministratori e dipendenti di enti pubblici economici”, in www.dirittodeiservizipubblici.it.

 

 21) Sulla nozione oggettiva dell’attività amministrativa vedasi Cons. St., Ad. Plen., n. 4/99: “le esigenze di buon andamento e della imparzialità dell’amministrazione (come disciplinate dall’art. 97 Cost.) riguardano allo stesso modo l’attività volta all’emanazione dei provvedimenti e quella con cui sorgono o sono gestiti i rapporti giuridici disciplinati dal diritto privato. Ogni attività dell’amministrazione, anche quando le leggi amministrative consentono l’utilizzazione di istituti del diritto privato, è vincolata all’interesse collettivo, in quanto deve tendere alla sua cura concreta mediante atti e comportamenti comunque finalizzati al perseguimento dell’interesse generale.

L’attività amministrativa è quindi configurabile non solo quando l’Amministrazione eserciti pubbliche funzioni e poteri autoritativi, ma anche quando essa (nei limiti consentiti dall’ordinamento) persegua le proprie finalità istituzionali mediante un’attività sottoposta, in tutto o in parte, alla disciplina prevista per i rapporti tra i soggetti privati (anche quando gestisca un servizio pubblico o amministri il proprio patrimonio o il proprio personale”.

Con specifico riferimento alla nozione di servizio pubblico vedasi poi Cons. St., Ad. Plen. n. 1/2000: “la nozione di servizio pubblico che compare nell’art. 33 D.Lgs. 80/1998 è da intendersi nel suo significato giuridico potenzialmente più vasto, quale attività (di qualsiasi natura) connessa alla cura di interessi collettivi, sia essa svolta da soggetti pubblici o privati (dunque all’infuori della logica di scambio o di lucro”; e Cass. SS.UU., 30.03.2000, n. 71:  il servizio si qualifica come “pubblico” perché l’attività in cui esso consiste si indirizza istituzionalmente al pubblico, mirando a soddisfare direttamente esigenze della collettività in coerenza con i compiti dell’Amministrazione pubblica (che possono essere realizzati direttamente o indirettamente attraverso l’attività di privati). Il servizio  pubblico è, cioè, caratterizzato da un elemento funzionale (soddisfacimento diretto di bisogni di interesse generale) che non si rinviene nell’attività privata imprenditoriale, anche se indirizzata e coordinata a fini sociali”.

22) In proposito vedasi, oltre alle sentenze citate nella nota successiva, Corte cost., 24.10.2001, n. 340: “l’imputabilità a titolo di responsabilità amministrativa non richiede l’esistenza di un rapporto di impiego o la qualità di dipendente, essendo sufficiente, in base agli articoli 20 e 97 della Costituzione, che le relative funzioni siano svolte da chi è inserito nell’organizzazione dell’Amministrazione anche in virtù di un rapporto onorario di servizio od obbligo”.

23) Sul punto vedasi PASQUALUCCI F., SCHLITZER E. L’evoluzione della responsabilità amministrativa, Milano 2002, p. 61 ss..

Oltre all’ovvio rinvio ai manuali citati in nota 1, per una sintetica riflessione sulla nozione di rapporto di servizio vedasi MANFREDI SELVAGGI C.A. “Anche l’attività imprenditoriale sotto il “controllo” contabile”, in Guida agli enti locali, 11/2004, 96 ss.. L’A. osserva come “l’elaborazione concettuale di tale rapporto tanto in dottrina quanto in giurisprudenza si è andato sempre più evolvendo nel senso di un’estensione dello stesso, anche al di fuori di un rapporto di impiego vero e proprio con la Pa, a quei casi in cui il soggetto sia in grado di partecipare all’attività dell’ente come se fosse inserito nella sua struttura. Sono stati, pertanto, al riguardo individuati, di volta in volta, degli indici della sussistenza del rapporto di servizio con riferimento alla adeguata retribuzione, alla natura professionale dell’attività svolta e alla volontarietà del servizio fino al superamento anche di questi elementi con estensione della giurisdizione contabile anche ai militari di leva (il cui servizio non è volontario), ai funzionari onorari (la cui attività non ha natura professionale), ai funzionari di fatto per giungere poi ai liberi professionisti incaricati della progettazione e direzione di opere pubbliche. Si è così arrivati ad affermare che il rapporto di servizio” – inteso quindi in senso soggettivo (relativo, cioè, alle qualità soggettive di colui che ha posto in essere il comportamento dannoso) - “ricorre quando un soggetto, anche persona giuridica, pubblica o privata, venga investito sia autoritativamente che in via convenzionale dello svolgimento in modo Continuativo di un’attività retta da regole proprie, cioè regole intese a disciplinare l’attività degli apparati amministrativi (GARRI F. I giudizi innanzi alla Corte dei Conti, Milano, Giuffrè, 1997, p. 193)”; l’A. osserva però come, in seguito, “negli ultimissimi anni si è andata sviluppando in giurisprudenza una tendenza all’estensione del requisito del rapporto di servizio in una prospettiva oggettiva, e cioè fondata sull’esercizio di una funzione oggettivamente pubblica”.

Interessante è poi l’excursus sulla giurisprudenza della Corte dei Conti, antecedente alle pronunce in commento, ispirata all’accezione oggettiva del rapporto di servizio (Sez. giurisd. Molise, 07.10.2002, n. 234 e 07.11.2002, n. 263; Sez. giurisd. Umbria, 19.10.2002, n. 498), nonché la riflessione su Cass. SS. UU., 09.10.2001, n. 12367.

In particolare, con tale ultima pronuncia – peraltro, attinente al solo giudizio di conto, e non  a quello di responsabilità amministrativa – la Corte di Cassazione aveva riconosciuto la possibilità di sottoporre la società che gestiva i parcheggi nel Comune di Roma al giudizio di conto in considerazione della pertinenza all’ente pubblico dell’entrata gestita dalla medesima, e ciò indipendentemente dalla natura pubblica o privata del soggetto che aveva il maneggio del denaro. E in tali considerazioni le Sezioni Unite si erano spinte al punto di ritenere irrilevante che si trattasse di entrata di diritto pubblico o di diritto privato, in quanto la natura oggettivamente pubblica dei proventi rilevava solo per affermare la pertinenza degli stessi al Comune.

E’ evidente, come osserva l’A., come una simile apertura lasciasse presagire una successiva modifica della “granitica giurisprudenza sul difetto di giurisdizione della Corte dei Conti nei riguardi degli amministratori e dei dipendenti degli enti pubblici economici e delle società per azioni”.

24)  In Foro it., n. 2/2002, I, 440 ss.

25) Vedasi in proposito CAROSELLI A. “La responsabilità amministrativa degli amministratori di società a partecipazione pubblico locale e degli amministratori e dipendenti di enti pubblici economici”, in www.dirittodeiservizipubblici.it. L’A. afferma: “quanto alla società mista… si sarebbe tentati di individuare la soluzione rapportando gli elementi qualificanti la pubblicità dell’ente (rilevante ai fini dell’individuazione della materia della contabilità pubblica ai sensi dell’art. 103 cost.) ai requisiti costitutivi della nozione comunitaria di organismo di diritto pubblico. In tal caso, aderendo alle argomentazioni della Corte e quindi dando per assunto l’equiparazione dell’elemento finalistico/servizi pubblici locali disciplinati dall’art. 113 T.U.E.L., il problema sembrerebbe ridursi alla verifica nel concreto del requisito dell’influenza dominante, influenza che, seguendo le previsioni comunitarie, potrebbe attenere la gestione dell’ente o la soggezione dello stesso al controllo di altro organismo di diritto pubblico, o, infine, il patrimonio coinvolto.

Ne deriverebbe che l’assunzione da parte del privato di una partecipazione di maggioranza e la conseguente assunzione da parte del Comune dei normali poteri di socio minoritario, comportando il venir meno del requisito dell’influenza dominante, dovendo sottrarre la società dal novero degli organismi di diritto pubblico, escluderebbero la stessa dalla giurisdizione della Corte dei Conti, di tale che i giudizi di responsabilità amministrativa di amministratori e dipendenti risulterebbero assoggettati alla giurisdizione del giudice ordinario”.

Pare peraltro dubbia la riconducibilità delle società miste in questione (alle quali sono affidati servizi pubblici di rilevanza economica) alla nozione di organismo di diritto pubblico, sotto il profilo del soddisfacimento di bisogni di interesse generale non aventi carattere industriale e commerciale.

Ad ogni buon conto, l’A. pare propendere per la devoluzione alla giurisdizione della Corte dei Conti, “in analogia alla figura del concessionario e seguendo le riflessioni della Corte di cassazione”, evidenziando come la società risulti “investita della gestione di un servizio pubblico e quindi destinataria, seppure sulla base di un modulo convenzionale, di prerogative e poteri facenti capo [all’ente locale].”

26) Come ha infatti messo in luce CREA P. “Organizzazione in forma privata di funzioni e servizi pubblici e responsabilità erariale”, su www.amcorteconti.it, “l’innovativa sentenza n. 19667… appare peraltro rilevante anche perché focalizza l’attenzione sulla “funzione” svolta dal soggetto su cui ricade la responsabilità. In sostanza, sembra intendere il rapporto di servizio - ossia la capacità del soggetto, qualunque sia la sua natura, di incidere sulle decisioni amministrative, sulle procedure o esercitando i poteri pubblici, in modo meno strutturato rispetto al passato. La funzione è infatti esercitabile se esista almeno un rapporto di “obbligo”… Sarebbe perciò sufficiente un rapporto obbligatorio con l’amministrazione per poter ritenere esistente una funzionalizzazione degli interessi, anche senza l’esistenza di un rapporto di servizio che segna un modello maggiormente strutturato con l’ente pubblico”.

L’A. suggerisce inoltre il seguente criterio discretivo: “in pratica nei casi in cui l’azione del soggetto privato di gestione del pubblico servizio o dell’ente pubblico economico realizza un’azione in cui gli effetti (aspetto squisitamente giuridico) di essa sono assimilabili a quelli discendenti da un’azione di una società concessionaria, o di una pubblica amministrazione, allora le conseguenze di quegli atti sotto il profilo erariale sono sindacabili dalla Corte dei Conti (…). Allora dovranno applicarsi anche indici di rilevanza amministrativa tra cui sicuramente la disciplina complessiva dell’attività e l’esistenza degli obblighi sopra menzionati, discendenti dal contratto di servizio, dalla connessione con procedimenti amministrativi ovvero da obblighi che finalizzino l’attività del soggetto privato verso pubbliche finalità e la soddisfazione di pubblici interessi”.

27) A tal proposito, osserva CREA P. “Organizzazione in forma privata di funzioni e servizi pubblici e responsabilità erariale”, su www.amcorteconti.it: “in pratica la Corte dei Conti, come qualunque altro giudice diverso da quello ordinario, non potrà entrare nel merito del rapporto contrattuale di utenza, ma potrà considerarlo come fatto generatore di un danno erariale se le condizioni di legge poste a tutela dell’erario e azionate con lo strumento contrattuale non sono state rispettate. La Corte non andrà a sindacare, ad esempio, se esista o meno l’adempimento e il rispetto delle regole contrattuali, ma preso atto della fissazione delle regole avvenuta tra le parti (che per tale via regolano loro interessi individuali) le imputa, se dannose per l’erario, a coloro che le hanno causate secondo le regole della responsabilità amministrativa. Cosa questa che resta su un piano manifestamente diverso rispetto al sindacato del contratto”.

28) In proposito vedasi le riflessioni di MINGARELLI A. “Giurisdizione della Corte dei Conti sulle società a prevalente proprietà pubblica”, in www.appaltiecontratti.it.

29) Corte dei Conti, Sez. III, 08.06.1999, n. 123: “l’uso del potere discrezionale non può prescindere da una valutazione comparativa tra la finalità perseguita e l’effettivo costo sostenuto, non tanto in termini di mero calcolo ragionieristico, quanto piuttosto di una comparazione delle diverse finalità perseguite e perseguibili, secondo un criterio di priorità che corrisponde al principio del buon andamento di cui all’art. 97 Cost., nel quale è necessariamente ricompreso quello dell’economicità e proficuità dell’azione amministrativa. Pertanto non può ritenersi operante il divieto di insindacabilità delle scelte discrezionali, di cui all’art. 3, L. n. 20/1994, laddove l’atto no sia conforme ai fini istituzionali dell’ente o quando risulta irrazionale o antieconomico”; Corte dei Conti, Sez. giurisd. Emilia Romagna, 01.10.1999, n. 747: “(…) al giudice contabile è precluso ogni apprezzamento che investa le valutazioni di convenienza e di opportunità compiute dall’autorità deliberante, essendo vietata ogni ingerenza nell’attività di ponderazione comparata degli interessi, mentre viceversa è tuttora consentito e anzi connaturato alla tipologia di giudizio il vaglio dell’attività discrezionale degli amministratori con riferimento alla rispondenza della stessa a criteri di razionalità e congruità, rilevabili dalla comune esperienza amministrativa, al fine di stabilire se la scelta risponda a quei criteri di prudente apprezzamento cui sempre deve ispirarsi l’azione dei pubblici apparati”.

 

BIBLIOGRAFIA UTILE:

 

-          MAZZAROLLI L. et al. (curr.)  Diritto amministrativo¸ Bologna, Monduzzi, 1998, 2130 ss.;

-          PASQUALUCCI F., SCHLITZER E.F. L’evoluzione della responsabilità amministrativa, Milano, Giuffrè, 2002;

-          SCOCA F.G. La responsabilità amministrativa ed il suo processo, Padova, CEDAM, 1997;

-          SCIASCIA M. Manuale di diritto processuale contabile¸ 2003, 14;

-          TENORE V. (a cura di) La nuova Corte dei Conti: responsabilità, pensioni, controlli, Milano, Giuffrè, 2004;

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-          APICELLA V. “L’evoluzione più recente della giurisdizione di responsabilità della Corte dei Conti”, in Cons. st., 4/2003, II, 860 ss.

-          BRIGUORI P. “La veste di S.p.a. non salva dai controlli della Corte dei Conti”,  in D&G, 17/2004, 51 ss.;

-          BRIGUORI P. “Verso una giurisdizione esclusiva per “blocchi” del giudice contabile”,  in D&G, 5/2004, 56 ss.;

-          CAROSELLI A. “La responsabilità amministrativa degli amministratori di società a partecipazione pubblico locale e degli amministratori e dipendenti di enti pubblici economici” su www.dirittodeiservizipubblici.it;

-          CREA P. “Organizzazione in forma privata di funzioni e servizi pubblici e responsabilità erariale”, su www.amcorteconti.it

-          D’AURIA G. “Brevissime note in tema di giurisdizione sulla responsabilità degli amministratori di enti pubblici economici”, in Foro it., I, 1999, 575 ss.;

-          MANFREDI SELVAGGI C.A. Anche l’attività imprenditoriale sotto il “controllo” contabile in Guida agli enti locali, 11/2004, 95 ss.;

-          MINGARELLI A. “Giurisdizione della Corte dei Conti sulle società a prevalente proprietà pubblica”, in www.appaltiecontratti.it;

-          VENTURINI L., “Giurisdizione della Corte dei Conti nei confronti degli amministratori e dipendenti delle amministrazioni, enti ed enti a prevalente partecipazione pubblica”, in Riv. C. Conti, 6/2001, 294 ss.

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