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Gli amministratori delle società partecipate dagli enti locali: compensi, numero (le disposizioni della legge finanziaria 2007).
di Costantino Tessarolo  (costantino@tessarolo.it) 27 febbraio 2007
Materia: società / amministratori

Gli amministratori delle società partecipate dagli enti locali: compensi, numero (le disposizioni della legge finanziaria 2007).

 

SOMMARIO: I) I compensi spettanti agli amministratori di società partecipate da enti locali – 1. L’ambito soggettivo; 1.1. le società a totale partecipazione pubblica; 1.2. le società miste; 1.3. le società indirettamente partecipate dagli enti locali; 1.4. le società quotate in borsa e le società regionali; - 2. Il compenso; 2.1. la misura; 2.2. la onnicomprensività del compenso; 2.3. l’indennità di risultato; 2.4. gli incarichi professionali e gli amministratori dipendenti della società; 2.5. l’amministratore unico e gli amministratori di società con sistema dualistico e monistico; 2.6. il divieto di corresponsione di compensi; 2.7. rimborsi spese e indennità di missione; 2.8. l’entrata in vigore. II) Il numero dei componenti del consiglio di amministrazione – 1. premessa; 2. le società a totale partecipazione pubblica; 3. le società indirettamente partecipate da enti locali; 4. le società miste; 5. le società quotate in borsa; 6. l’adeguamento degli statuti e dei patti parasociali.

 

AVVERTENZA: La l. 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007), come noto, si compone di un solo articolo (art. 1) e di ben 1364 commi. Per evitare il più possibile ripetizioni, nel testo che segue si citeranno i soli commi, dovendosi, quindi, intendere che tali commi, quando vengono richiamati senza ulteriori specificazioni, si riferiscono sempre all’art. 1 della suddetta l. 296/06.

 

 

 

* * *

 

 

 

I) I compensi spettanti agli amministratori di società partecipate da enti locali.

 

1. L’ambito soggettivo

 

            Con la l. 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007) al dichiarato fine di contenere la spesa degli enti locali, è stata stabilita la misura massima dei compensi che possono essere corrisposti ai presidenti e ai componenti dei consigli di amministrazioni delle società partecipate da tali enti e cioè dai comuni, dalle province, dalle città metropolitane, dalle comunità montane e isolane e dalle unioni di comuni (art. 2, c. 1, d.l.vo 267/2000).

            Le società alle quali risultano applicabili le disposizioni della l. 296/06 in materia di compensi agli amministratori sono quelle:

a)         a totale partecipazione di comuni o province (c. 725);

b)         a totale partecipazione pubblica di una pluralità di enti locali (c. 726);

c)         a partecipazione mista di enti locali e altri soggetti pubblici o privati (c. 728).

Le suddette disposizioni della legge finanziaria 2007 non indicano le “attività” che le società di cui sopra devono svolgere.

            Se ne deduce che le citate disposizioni sono applicabili alle società partecipate da enti locali qualsiasi sia l’attività che esse svolgono e, perciò, ad esempio, alle società costituite per l’erogazione di pubblici servizi, per la produzione di beni e servizi strumentali all’attività degli enti locali e per l’esercizio, nei casi consentiti dalla legge, esternalizzato di funzioni amministrative, nonché alle società a cui è conferita la proprietà delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali, alle società di trasformazione urbana, ecc.

            In considerazione del tenore letterale della legge e delle finalità che con la stessa si intendono perseguire, nell’ambito di applicazione delle disposizioni dalla medesima recate sembra che debbano farsi rientrare anche le società partecipate da enti locali, che hanno ottenuto l’affidamento della gestione di un servizio pubblico locale o di appalti mediante l’espletamento di una gara e quelle che operano in settori liberalizzati. Restano escluse, invece, le società quotate in borsa e, entro determinati limiti, le società “regionali”.

 

1.2. Le società a totale partecipazione pubblica.

 

            Le società in questione sono quelle a totale partecipazione di comuni <o> di province <o> di una pluralità di enti locali. Pertanto, allorché alla società partecipino più comuni, più province e comuni <e> province, la misura del compenso spettante agli amministratori della società stessa dovrà essere determinata ai sensi non del c. 725, ma del c. 726 (v. infra).

            La legge, per l’applicazione delle disposizioni in materia di compensi agli amministratori, richiede unicamente che le società siano “a totale partecipazione pubblica” e non anche, come invece avviene nell’art. 113, c. 5, lett. c) del TUEL, (d.l.vo 267/2000 e succ. modif.) che su tali società l’ente o gli enti pubblici partecipanti esercitino un “controllo analogo” a quello che esercitano sui propri servizi e che le predette società svolgano la parte più importante della propria attività a favore dell’ente o degli enti pubblici che le controllano. Le disposizioni predette sono, di conseguenza, applicabili anche alle società che non rispettano le condizioni previste dal citato art. 113, c. 5, lett. c), del TUEL, ma che sono, comunque, a totale capitale pubblico.

 

1.2. Le società miste

 

            Ai sensi del c. 728, per società “mista” si intende quella partecipata da enti locali e da “altri soggetti pubblici o privati”.

            Nel novero delle società partecipate da enti locali a cui sono applicabili le disposizioni della legge finanziaria 2007 in materia di compensi agli amministratori vanno comprese anche le società in cui la partecipazione degli enti locali è minoritaria e quella di “soggetti diversi dagli enti locali” (ossia quella degli “altri soggetti pubblici o privati”) maggioritaria.

            L’espresso riferimento, nel caso di “società a partecipazione mista di enti locali e altri soggetti pubblici o privati”, ai “compensi di cui ai commi 725 e 726” non lascia, invero, spazio a dubbi, dovendosi solo notare, e in ciò sta l’unica effettiva differenza, che tali compensi possono essere più elevati rispetto a quelli erogabili agli amministratori delle società partecipate esclusivamente da enti locali, giacchè è consentito un loro aumento in ragione della partecipazione al capitale sociale di “soggetti diversi dagli enti locali” (v. infra).

 

1.3. Le società indirettamente partecipate dagli enti locali

 

            Le società “indirettamente” partecipate dagli enti locali non sembra che rientrino tra quelle a cui sono applicabili le disposizioni sui compensi agli amministratori dettate dalla legge finanziaria 2007.

            Le disposizioni suddette riguardano, infatti, le sole società, anche se “miste”, direttamente partecipate da comuni o province o da una pluralità di enti locali.

            Né, nella specie, pare possibile ricorrere alla interpretazione analogica di dette disposizioni (art. 14, disp. prel. cod. civ.), stante il carattere eccezionale delle stesse, posto che esse derogano, almeno per quel che riguarda la “misura”, alla regola generale secondo cui i compensi spettanti ai componenti dei consigli di amministrazione delle società per azioni sono stabiliti dai soci all’atto della nomina degli amministratori o dall’assemblea (art.2389, c. 1, cod. civ.).

            Neppure sembra possibile ricorrere all’interpretazione estensiva (in base alla quale la legge “minus dixit quam voluit”), atteso che al legislatore era ben nota l’esistenza delle società “indirettamente” partecipate da enti locali, come risulta dal fatto che le stesse sono espressamente previste dal c. 729 (v. infra).

            In considerazione di ciò, non sembra che possa neppure darsi particolare rilevanza alla circostanza che le società “indirettamente” partecipate da enti locali appartengano al medesimo “gruppo” di cui fa parte la società “direttamente” partecipata da enti locali, alla quale le disposizioni in questione sono applicabili.

            Il fenomeno del collegamento societario non comporta, infatti, la formazione di un unico centro di imputazione di rapporti, diverso dalle società collegate, le quali conservano la rispettiva personalità e alle quali, pertanto, non sono automaticamente applicabili disposizioni dettate specificamente per talune delle società appartenenti al medesimo “gruppo”. A diversa conclusione potrebbe pervenirsi nel solo caso in cui possa dimostrarsi che il frazionamento di un’unica attività fra vari soggetti sia simulato ovvero sia preordinato, in frode alla legge, ad eludere il divieto di

corrispondere agli amministratori delle società partecipate da enti locali compensi maggiori di quelli massimi stabiliti dalla legge.

            Resta, comunque, ferma la possibilità che la società “madre” attraverso apposite direttive indirizzate alle società controllate, stabilisca che agli amministratori di tali società non possano essere erogati compensi superiori a quelli massimi previsti dalle disposizioni della l. 296/06.

 

1.4. Le società quotate in borsa e le società regionali

 

            Le disposizioni di cui ai commi da 725 a 730 e, quindi, anche quelle che disciplinano i compensi spettanti agli amministratori delle società partecipate da enti locali (c. 725, 726 e 728) non si applicano, per l’espressa esclusione prevista dal c. 733, alle società quotate in borsa.

            Le società partecipate dalle regioni, in base al c. 730, non sono, agli effetti dei commi da 725 a 735 (notare che, in tal modo, il c. 730 richiama anche sé stesso nonché il c. 731 che riguarda l’art. 82 del TUEL), società partecipate da enti locali, anche se tali enti sono in esse presenti. Le società partecipate dalle regioni costituiscono, pertanto, una categoria a sé, a cui non si applicano, anche se partecipate da enti locali,  i commi da 725 a 735 (in realtà da 725 a 729 e da 733 a 735), ma la disciplina regionale “adeguata” ai “principi” stabiliti dai citati commi. Quindi, sino all’emanazione da parte della regione della disciplina “adeguata” ai “principi” suddetti, alle società partecipate dalle regioni (semprechè, è da ritenere, la misura della partecipazione sia maggioritaria o, quanto meno, di controllo ex art. 2359 cod. civ.) continueranno ad applicarsi le disposizioni del codice civile concernenti il numero dei componenti del consiglio di amministrazione e il compenso agli stessi dovuto.

            La suddetta nuova disciplina “adeguata” dovrebbe essere emanata, in applicazione del c. 721, entro sei mesi dall’entrata in vigore della l. 296/06.

 

 

2. Il compenso

 

2.1. La misura

           

Il compenso dovuto al presidente e a componenti del consiglio di amministrazione di società a totale partecipazione di comuni o province non può essere superiore, per il presidente, all’80% e, per i componenti, al 70% delle indennità spettanti, rispettivamente, al sindaco e al presidente della provincia ai sensi dell’art. 82 del TUEL.

            I suddetti “limiti” dell’80% e del 70% sono sicuramente dei limiti massimi. E’, di conseguenza, certo che non è ammessa – fatta eccezione per l’ipotesi di corresponsione dell’”indennità di risultato” di cui al 2° periodo del c. 725 e per gli incrementi previsti, per le società miste, dal c. 728 (v. infra) – deroga in  melius, mentre è sempre possibile la deroga in peius.

L’art. 82 del TUEL – espressamente richiamato dal c. 725 – demanda ad un decreto del Ministro dell’interno (da adottare di concerto con il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, ora Ministro dell’economia e delle finanze, e sentita la Conferenza Stato – città ed autonomie locali) di determinare la misura dell’indennità di funzione spettante al sindaco e al presidente della provincia, sulla base dei criteri stabiliti dal comma 8 del medesimo art. 82.

            Con decreto del Ministro dell’interno 4 aprile 2000, n. 119 è stata determinata la misura delle indennità di funzione dei sindaci e dei presidenti delle province, che risulta differenziata per classi demografiche (dieci per i comuni e quattro per le province). Tale decreto, giusto quanto dispone il c. 10 dell’art. 82 del TUEL, doveva essere rinnovato ogni tre anni ai fini dell’adeguamento della misura  delle indennità di funzione sulla base della media degli indici annuali dell’ISTAT di variazione del costo della vita. I decreti di adeguamento (relativi ai periodi 2003-2006 e 2006-2009) non sono stati, tuttavia, emanati e, anzi, con l’art. 1, c. 54, lett. a), della l. 23 dicembre 2005, n. 266 (legge finanziaria 2006), le indennità predette sono state ridotte del 10% “rispetto all’ammontare risultante alla data del 30 settembre 2005”.

            In definitiva, la misura delle indennità di funzione spettanti ai sindaci e ai presidenti delle province, su cui vanno calcolati i compensi dovuti ai presidenti e ai componenti dei consigli di amministrazione delle società partecipate dagli enti locali, è quella determinata ai sensi del citato decreto del Ministro dell’interno del 4 aprile 2000, n 119, risultante al 30 settembre 2005, diminuita del 10%.

            Il c. 725 rinvia all’art. 82 del TUEL unicamente per individuare il criterio per stabilire la misura massima del “compenso lordo annuale, onnicomprensivo” da attribuire ai presidenti e ai componenti del consiglio di amministrazione delle società partecipate da enti locali.

            Ne va dedotto che le altre disposizioni recate dall’art. 82 cit. (e dal d.m. 4 aprile 2000, n. 119 di attuazione dello stesso art. 82), ossia le disposizioni che non attengono alla misura di detto compenso, non sono applicabili agli amministratori delle società partecipate da enti locali.

            In virtù di tale considerazione, devono, ad esempio, ritenersi non applicabili agli amministratori delle società partecipate da enti locali la lett. f) del c. 8, dell’art. 82 del TUEL e l’art. 10 del d.m. n. 119 del 2000, che prevedono, a favore dei sindaci e dei presidenti della provincia, la corresponsione dell’indennità di fine mandato (nel caso in cui, come ora dispone il c. 719, il mandato abbia avuto una durata superiore a trenta mesi).

            Per la stessa considerazione, non risulta applicabile agli amministratori di società partecipate da enti locali (semprechè, come ovvio, non ricorra l’ipotesi di cui al c. 718, sulla quale v. infra) il divieto di cumulo di indennità di funzioni stabilito dal c. 5 dell’art. 82 del TUEL.

 

            La misura del compenso dovuto agli amministratori di società partecipate da enti locali è, come visto, parametrato su quello spettante al sindaco o al presidente della provincia (c. 725).

            Tale regola, anche se stabilita per le sole società a totale partecipazione di comuni o province, ha, in realtà, carattere generale e vale, perciò, anche per le società a totale partecipazione di una pluralità di enti locali.

            La diversa composizione del capitale  sociale di quest’ultime società impone, però, che la regola generale subisca alcuni adattamenti.

            La presenza nel capitale di tali società di più comuni o di più province o di comuni e province, rende impraticabile il criterio, adottato per le società partecipate da un solo ente locale, della determinazione del compenso dovuto agli amministratori delle società suddette mediante la percentualizzazione dell’indennità di funzione percepita dal sindaco del solo comune o dal presidente della sola provincia partecipante alla società.

            I criteri che, in tal caso, il legislatore avrebbe potuto utilizzare erano quelli, già noti, del “comune più popoloso” previsto per i consorzi fra enti locali dall’art. 9, c. 1, della l. 27 dicembre 1985, n. 816 o quello della “popolazione” previsto dall’art. 82, c. 8, lett. c), del TUEL per le unioni di comuni, i consorzi tra enti locali e le comunità montane.

            Il criterio, nella specie, utilizzato, forse per conservare una qualche attinenza alla materia societaria, è stato, invece, quello della “quota di partecipazione” al capitale sociale detenuta dai comuni e dalle province nella società per cui sarà il comune o la provincia con la “quota maggiore” che determinerà (nella solita percentuale massima dell’80% e del 70% ) il compenso spettante al presidente e agli altri amministratori delle società  “a totale partecipazione pubblica di una pluralità di enti locali”.

            Nel caso, poi, di “parità di quote” (o perché sono tutte uguali o perché ve ne sono alcune uguali, ma maggiori di altre), il compenso da attribuire al presidente e ai componenti del consiglio di amministrazione delle società in questione dovrà essere calcolato sulla indennità di funzione di maggiore importo tra le indennità spettanti ai rappresentanti dei soci pubblici ossia ai sindaci e ai presidenti dei comuni o delle province partecipanti alla società.

 

            La regola, più volte richiamata, secondo cui la misura del compenso massimo dovuto agli amministratori di società partecipate da enti locali va parametrato su quello spettante al sindaco o al presidente della provincia, anche se stabilita per le sole società esclusivamente partecipate da comuni o da province, ha carattere generale, è, infine, applicabile anche alle società “a partecipazione mista di enti locali e altri soggetti pubblici o privati”.

            Le ipotesi prospettabili sono due:

a)         alla società “mista” partecipano un solo ente locale e uno o più “soggetti pubblici o privati”: in tal caso, il compenso spettante al presidente e ai componenti del consiglio di amministrazione della società sarà quello determinato secondo i criteri stabiliti dal c. 725  per le società a totale partecipazione di un solo comune o di una sola provincia;

b)         alla società “mista” partecipano una pluralità di enti locali e uno o più “soggetti pubblici o privati”: in tal caso, il compenso spettante agli amministratori della società sarà quello determinato secondo i criteri stabiliti dal c. 726 per le società a totale partecipazione pubblica di una pluralità di enti locali.

Nell’una, come nell’altra, delle ipotesi sopra prospettate è irrilevante la misura della partecipazione al capitale della società “mista” dei soggetti (pubblici o privati) “diversi dagli enti locali”, che potrà essere, indifferentemente, di minoranza o di maggioranza.

 

            La misura della partecipazione al capitale sociale delle società “miste” dei soggetti (pubblici o privati) “diversi dagli enti locali”, è, viceversa, rilevante per determinare l’aumento del compenso spettante agli amministratori di dette società ai sensi del c. 728. Infatti, se la partecipazione dell’ente o degli enti locali nelle società è pari o superiore al 50% del capitale, i compensi, determinati secondo i criteri stabiliti dai commi 725 e 726 della L.F. 2007, potranno essere aumentati nella misura di un punto percentuale ogni cinque punti percentuali di partecipazione nella società di soggetti (pubblici o privati) “diversi dagli enti locali”; nel caso, invece, che sia la partecipazione dei soggetti (pubblici o privati) “diversi dagli enti locali” nella società ad essere superiore al 50%, i compensi determinati ai sensi dei commi 725 e 726 potranno essere aumentati nella misura di due punti percentuali ogni cinque punti di partecipazione nella società di tali soggetti.

            L’aumento previsto dal c. 728 va calcolato sul compenso in concreto attribuito agli amministratori delle società partecipate dagli enti locali in applicazione dei criteri stabiliti dai commi 725 e 726 e non sulle indennità di funzione spettanti al sindaco o al presidente della provincia.

            Gli aumenti dei compensi nelle percentuali dianzi menzionate sono quelli massimi, per cui è possibile che gli aumenti vengano concessi in misura inferiore a quella stabilita dal c. 728 o anche, al limite, che non vengano concessi affatto trattandosi, per i soci, di una mera facoltà e non di obbligo.

 

2.2. La onnicomprensività del compenso

 

            Il compenso spettante agli amministratori di società partecipate da enti locali è “onnicomprensivo” (c. 725).

            Ciò significa che tale compenso comprende sia quello stabilito “all’atto della nomina o dall’assemblea” (art. 2389, n. 1, cod. civ.), sia quello attribuito dal consiglio di amministrazione, sentito il parere del collegio sindacale, agli amministratori “investiti di particolari cariche in conformità dello statuto” (art. 2389, c. 3, cod. civ.).

            E’ pacifico che la previsione dell’art. 2389, c. 3, cod. civ. si riferisce in maniera specifica alle remunerazioni spettanti agli amministratori delegati e al presidente del consiglio di amministrazione. Il legislatore, nel predisporre le regole relative alle modalità di remunerazione degli amministratori, ha voluto effettuare una distinzione tra i membri del consiglio di amministrazione cui vengono assegnati degli specifici compiti e quelli “non operativi”, che esercitano, cioè, soltanto le funzioni attribuite collegialmente al consiglio. Tale distinzione si giustifica con il fatto che soltanto nel primo caso i consiglieri assumono direttamente la responsabilità dell’attività da essi svolta, e ciò comporta che sia stabilito un trattamento remunerativo differenziato, logicamente più favorevole, nei loro confronti. Il conferimento della delega determina, infatti, un nuovo rapporto che consente di attribuire agli amministratori a cui le deleghe sono conferite un compenso separato rispetto a quello percepito quali semplici componenti del consiglio di amministrazione.

            La possibilità da parte del consiglio di amministrazione di attribuire un compenso separato agli amministratori di società partecipate da enti locali “investiti di particolari cariche” non è esclusa dal c. 725, ma è, più semplicemente, da detta disposizione, limitata, nel senso che tale compenso, anche se diverso e maggiore rispetto a quello concesso agli altri amministratori, non può, comunque, essere fissato in misura tale che, nel complesso, ossia tenendo anche conto di quello stabilito “all’atto della nomina o dall’assemblea”, venga a superare quello massimo determinato in applicazione dei criteri previsti dal medesimo c. 725.

            Resta, poi, ferma per l’assemblea, se lo statuto lo prevede, la facoltà di “determinare un importo complessivo per la remunerazione di tutti gli amministratori, inclusi quelli investiti di particolari cariche” (art. 2389, c. 3, cod. civ.). Naturalmente, nel caso di società partecipate da enti locali, anche tale “importo complessivo” non può essere maggiore di quello “onnicomprensivo” determinato ai sensi del citato c. 725. La ripartizione del predetto “importo complessivo” tra i vari componenti del consiglio di amministrazione verrà, poi, stabilita dallo stesso consiglio di amministrazione.

 

2.3. L’indennità di risultato

 

            La regola della “onnicomprensività” della retribuzione dovuta agli amministratori di società partecipate da enti locali trova una parziale deroga nel 2° periodo del c. 725, in virtù del quale è consentito erogare agli amministratori suddetti un compenso ulteriore e aggiuntivo sotto forma di “indennità di risultato” nel caso di “produzione di utili e in misura ragionevole e proporzionata”.

            La disposizione ora citata sembra fare riferimento al comma 2 dell’art. 2389 cod. civ., il quale, in effetti, prevede che i compensi degli amministratori di società per azioni “possono essere costituiti in tutto o in parte da partecipazione agli utili” (in tal caso la partecipazione agli utili va computata “sugli utili netti risultanti dal bilancio, fatta deduzione della quota di riserva legale”: art. 2432 cod. civ.). Non pare, invece, che sia applicabile, in considerazione di quanto stabilito dal c. 725, agli amministratori delle società partecipate dagli enti locali, l’altra previsione contenuta nel menzionato comma 2 dell’art. 2389 cod. civ., ossia quella che contempla la possibilità che gli amministratori di società per azioni vengano retribuiti mediante l’”attribuzione del diritto di sottoscrivere a prezzo predeterminato azioni di futura emissione” (c.d. stock option).

            E’, ancora, da notare, per quel che riguarda l’”indennità di risultato”, che la stessa, in ragione della collocazione della disposizione che la prevede, sembrerebbe spettare unicamente agli amministratori delle società partecipate da un solo comune o da una sola provincia. E’, tuttavia, da ritenere che la volontà del legislatore non sia stata quella di escludere che, agli amministratori delle società a totale partecipazione di una pluralità di enti locali e a quelli delle società a partecipazione mista di enti locali e di altri soggetti pubblici o privati, possa essere attribuita la predetta “indennità di risultato”. Intanto, perché non vi è alcuna ragione logica che possa giustificare siffatta esclusione e poi perché il rinvio, contenuto sia nel comma 726 che nel comma 728, al comma 725 non può non significare   che il trattamento economico spettante agli amministratori di società partecipate dagli enti locali è, appunto, quello stabilito dal comma 725, con le specificazioni previste, per gli amministratori delle società a totale partecipazione di una pluralità di enti locali, dal comma 726 e, per gli amministratori delle società a partecipazione di enti locali e di altri soggetti pubblici o privati, dal comma 728.

            L’”indennità di risultato” può essere attribuita, come visto, solo se vi è stata “produzione di utili”. Ne consegue che l’indennità di cui trattasi potrà essere deliberata dall’assemblea dopo l’approvazione del bilancio di esercizio e semprechè risulti che la società ha realizzato degli utili. L’”indennità di risultato”, inoltre, va liquidata in “misura ragionevole e proporzionata”. Ragionevolezza e proporzionalità che, è da ritenere, dovranno essere valutate con riferimento agli utili realizzati dalla società.

            E’, inoltre, da considerare che, a motivo della funzione premiale che va riconosciuta  all’”indennità di risultato”, questa può essere concessa anche solo ad alcuni (o, al limite, anche ad uno solo) degli amministratori di società partecipate da enti locali, in specie a quelli che, per le particolari cariche di cui sono stati investiti (ad es. presidente e/o amministratore delegato), assumono un ruolo determinante per l’andamento economico della società.

 

2.4. Gli incarichi professionali e gli amministratori dipendenti della società.

 

            La regola della “onnicomprensività” della retribuzione spettante agli amministratori di società partecipate da enti locali non è applicabile nel caso di attribuzione agli amministratori stessi di specifici incarichi professionali.

            Il conferimento di incarichi a membri del consiglio di amministrazione, disposto in ragione dei loro requisiti professionali, è una fattispecie assolutamente legittima e diffusa nella prassi. Nella pratica, però, risulta difficile distinguere nettamente, nell’operato dell’amministratore, l’attività originata dal rapporto gestorio dall’attività di natura professionale. E’, pertanto, necessario verificare se la prestazione del professionista amministratore possa o meno essere fatta rientrare nei compiti normali dell’amministrazione. Infatti, solamente nel caso in cui l’incarico conferito esuli effettivamente dai compiti che i consiglieri sono chiamati a svolgere quali membri del consiglio di amministrazione, esso darà luogo ad un rapporto ulteriore e distinto rispetto al rapporto di amministrazione.

            Perciò, pur dovendosi riconoscere l’astratta compatibilità, nella stessa persona, fra le funzioni di amministrazione e quelle relative all’espletamento di un mandato professionale a favore della società, tuttavia la contemporanea esistenza delle due funzioni dipende, in concreto, dalla possibilità di distinguere con assoluta certezza i compiti dell’una e dell’altra funzione.

            Tracciare questa distinzione è importante al fine della determinazione dei compensi effettivamente dovuti all’amministratore.

            In effetti, nessun compenso ulteriore è dovuto nel caso in cui l’attività prestata dall’amministratore, seppur potendo in astratto essere dedotta come prestazione d’opera intellettuale, sia in realtà già dovuta in virtù della carica di amministratore.

            Anche se spesso gli amministratori vengono chiamati a rivestire tale carica proprio in considerazione del possesso di particolari requisiti di carattere professionale, “se l’inserimento di un professionista nel consiglio di amministrazione di una società di capitali avviene con lo scopo di utilizzare una sua capacità professionale nell’ambito delle funzioni del consiglio, al professionista, per l’esercizio della sua attività professionale in seno al consiglio, non compete una specifica remunerazione sulla base della tariffa professionale, dovendosi ritenere compensato adeguatamente dalla remunerazione assegnatagli come membro del consiglio di amministrazione” (Trib. Milano, 29/4/1985).

            Secondo la giurisprudenza, comunque, è necessario che l’incarico nei confronti del professionista sia conferito in maniera esplicita, per evitare che l’amministratore percepisca per il medesimo incarico una doppia retribuzione: a titolo di compenso per l’attività di amministratore e a titolo di compenso per l’attività professionale.

            Se manca tale conferimento, infatti, “è da intendere che ogni attività, anche – in ipotesi – se riconducibile per i suoi contenuti ad un ambito professionale, sia ricompresa nel mandato amministrativo e che la relativa remunerazione sia compresa nel compenso a tale titolo riconosciuto” (Trib. Milano 23.5.1991).

            Il conferimento di tale incarico e la liquidazione del compenso devono avvenire con le stesse modalità con cui viene attribuito all’interno della società qualsiasi mandato professionale, giacchè, non rientrando l’affidamento dell’incarico nel rapporto di amministrazione, si devono applicare le regole relative all’ordinaria gestione.

            Nel caso, quindi, in cui si abbia effettivamente il conferimento di un incarico professionale, la società è tenuta a corrispondere nei confronti dei professionisti un compenso ulteriore rispetto alla remunerazione di cui l’amministratore ha diritto quale membro del consiglio di amministrazione. La parcella del professionista, perciò, non può essere fatta rientrare nel compenso spettante al consigliere, neanche nel compenso aggiuntivo dovuto dal consigliere per gli incarichi specifici che gli vengono assegnati, ma dovrà essere liquidata separatamente.

            La regola della “onnicomprensività” della retribuzione spettante agli amministratori di società partecipate da enti locali non è applicabile neppure nel caso in cui l’amministratore della società sia, nel contempo, anche dipendente della società medesima. La giurisprudenza ritiene, infatti, che la qualità di amministratore di una società di capitali è compatibile con qualifica di lavoratore subordinato. Ne deriva che il compenso previsto per la carica di amministratore della società può cumularsi con quello dovuto per lo svolgimento di attività lavorativa alle dipendenze della società medesima, a condizione, tuttavia, che l’esercizio delle mansioni inerenti il rapporto di lavoro subordinato siano diverse dalle funzioni proprie della carica sociale rivestita dall’amministratore (cfr. Cass. 12 gennaio 2002, n. 329).

 

2.5. L’amministratore unico e gli amministratori di società con sistema dualistico e monistico.

 

            Il legislatore ha, com’è evidente, preso in considerazione, con le summenzionate disposizioni, la sola ipotesi in cui l’amministrazione delle società partecipate da enti locali sia affidata a più persone, che costituiscono il consiglio di amministrazione (art. 2380-bis, c. 3, cod. civ.).

            E’, tuttavia, possibile che vi siano società partecipate da enti locali amministrate da una sola persona (c.d. amministratore unico).

In tal caso, non può essere posto in dubbio che la misura del compenso massimo da corrispondere a tale amministratore sia quella prevista, nelle società in cui è costituito il consiglio di amministrazione, per il presidente e, cioè, l’80% delle indennità spettanti al sindaco o al presidente della provincia.

Il legislatore, inoltre, con le disposizioni in esame, sembra aver preso in considerazione (oltre le società a responsabilità limitata) le sole società per azioni che adottano il sistema amministrativo tradizionale e non quelle che adottano il sistema dualistico e monistico. Le citate disposizioni recate dalla l. 296/06 devono, nondimeno, ritenersi applicabili anche agli amministratori delle società che adottano uno dei due suddetti sistemi amministrativi alternativi a quello tradizionale. A tanto si perviene non solo in ragione di quanto stabilito dall’art. 2380, c. 3, cod. civ., ma, soprattutto, in base alla disposta equiparazione, nel caso di adozione del sistema dualistico, del consiglio di gestione e, nel caso di adozione del sistema monistico, del consiglio di amministrazione, agli amministratori (amministratore unico o componenti del consiglio di amministrazione) delle società per azioni che adottano il sistema di amministrazione tradizionale (cfr. artt. 2380-bis, c. 1, 2409-novies, c. 1 e 2409-septiesdecies, c. 1, cod. civ.). Qualche incertezza potrebbe sorgere per il fatto che, nel caso di adozione del sistema monistico, all’interno del consiglio di amministrazione deve essere costituito un comitato di controllo sulla gestione, per certi aspetti assimilabile al collegio sindacale delle società che adottano il sistema di amministrazione tradizionale, sicchè potrebbe ritenersi che le disposizioni della legge finanziaria 2007 non siano applicabili  ai componenti di tale comitato. Tale conclusione è, però, smentita dall’art. 2409-noviesdecies, c. 1, cod. civ., che dichiara applicabile al “consiglio di amministrazione”, inteso nel suo complesso (senza cioè distinzione tra componenti), l’art. 2389 cod. civ., per cui deve ritenersi che le disposizioni previste dalla l. 296/06 in materia di società partecipate da enti  locali siano applicabili a tutti i componenti del consiglio di amministrazione anche nel caso in cui tali società adottino il sistema amministrativo monistico.

 

2.6. Il divieto di corresponsione di compensi

 

            Ai sensi del c. 718, l’amministratore di ente locale, che assume la carica di amministratore di società di capitali partecipata dal medesimo ente locale, non ha diritto ad “alcun emolumento a carico della società”.

            Giova subito notare che tale disposizione, non rientrando tra quelle escluse in virtù del c. 733, è applicabile anche agli amministratori delle società partecipate da enti locali quotate in borsa.

            Gli amministratori degli enti locali per i quali sussiste il divieto di cui sopra sono quelli che possono ricoprire anche la carica di amministratore di società partecipata dagli stessi enti locali perché nei loro confronti non ricorrono le ipotesi di ineleggibilità e di incompatibilità previste dagli artt. 60 e 63 del TUEL (modif. con l’art. 14-decies del d.l. 30 giugno 2005, n. 115 conv. dalla l. 17 agosto 2005, n. 168).

            In base alle citate disposizioni del TUEL, possono accedere alla carica di amministratore di società partecipata da comuni e province, senza però poter percepire il relativo compenso, gli amministratori (sindaco, presidente della provincia, assessori, consiglieri comunali, provinciali e circoscrizionali) degli enti locali nei seguenti casi:

a)         quando la partecipazione del comune o della provincia nella società è pari o inferiore al 50% (art. 60, c. 1, n. 10, TUEL);

b)         quando trattandosi di società soggetta a vigilanza del comune o della provincia la partecipazione degli enti locali è inferiore al 20% ovvero quando la società riceve da parte dei predetti enti locali una sovvenzione in tutto o in parte facoltativa, se la parte facoltativa non supera nell’anno il 10% del totale delle entrate dell’ente (art. 63, c. 1, n. 1, TUEL);

c)         quando la società non ha parte, direttamente o indirettamente in servizi, esazione di diritti, somministrazioni o appalti nell’interesse del comune o della provincia o, se si tratta di società e imprese volte al profitto dei privati, sovvenzionate in modo continuativo da parte dei detti enti, quando le sovvenzioni non sono dovute in forza di una legge dello Stato o della regione (art. 63, c. 1, n. 2, TUEL);

d)         quando norme di legge, di statuto o di regolamento del comune o della provincia prevedono che gli amministratori comunali e provinciali possono assumere l’incarico di amministratori di società partecipate dai predetti enti locali (art. 67, TUEL).

 

2.7. Rimborsi spese e indennità di missione

 

            Ai presidenti e ai componenti del consiglio di amministrazione delle società partecipate da enti locali è stata estesa, con il c. 727, la disciplina dettata dall’art. 84 del TUEL per gli amministratori degli enti locali in materia di rimborsi spese e di indennità di missione.

            Pertanto, al presidente e ai componenti del consiglio di amministrazione, quest’ultimi peraltro se autorizzati dal presidente, di dette società, che, in ragione del loro mandato, si rechino fuori del capoluogo del comune ove ha sede la società spetta il “rimborso delle spese effettivamente sostenute, nonché l’indennità di missione alle condizioni previste dall’art. 1, c. 1 e dall’art. 3, c. 1 e 2 della l. 18 dicembre 1973, n. 836 e per l’ammontare stabilito al n. 2 della tab. A allegata alla medesima legge, e successive modificazioni” (art. 84, c. 1, TUEL).

            Il trattamento di missione è costituito dalla corresponsione di un’indennità di trasferta per ogni 24 ore (ivi compreso il tempo per il viaggio) di assenza dalla sede (art. 1, c. 1, l. 836/1973). Per le missioni di durata inferiore alle 24 ore, l’indennità di trasferta spetta in ragione di un ventiquattresimo della diaria intera per ogni ora di missione (art. 3, c. 1, l. 836/1973). Le frazioni di ora inferiori a 30 minuti non vanno prese in considerazione, mentre quelle superiori a 30 minuti devono essere arrotondate ad ora intera (art. 3, c. 2, l. 836/1973).

            Fermo restando il rimborso delle spese di viaggio, il trattamento di missione può essere sostituito con il rimborso delle ulteriori spese effettivamente sostenuto (art. 84, c. 4, TUEL). In sostanza, quindi, per i presidenti e per i componenti del consiglio di amministrazione delle società partecipate da enti locali possono essere previsti due trattamenti, che sono alternativi e, pertanto, non cumulabili tra loro, e precisamente: quello composto dal rimborso delle spese di viaggio più l’indennità di missione (art. 84, c. 1, TUEL) ovvero quello consistente nel rimborso di tutte le spese (viaggio e altre) effettivamente sostenute (art. 84, c. 4, TUEL).Spetterà allo statuto o, in mancanza, all’assemblea dei soci, mediante apposito regolamento, stabilire quale dei due trattamenti deve essere concesso agli amministratori delle società partecipate da enti locali (art. 84, c. 4, TUEL). E’, peraltro, da ritenere che nel silenzio dello statuto e in mancanza di detto regolamento, dovrà, comunque, essere applicato il trattamento previsto dal c. 1 dell’art. 84 del TUEL.

            I presidenti e i componenti del consiglio di amministrazione di società partecipate da enti locali, che risiedono fuori dal comune ove ha sede la società, hanno diritto al rimborso delle spese di viaggio effettivamente sostenute, per la partecipazione ad ognuna delle sedute dell’assemblea e del consiglio, nonché per la presenza necessaria presso la sede degli uffici per lo svolgimento delle funzioni proprie o delegate (art. 84, c. 3, TUEL).

            Il trattamento economico spettante agli amministratori di società partecipate da enti locali, come visto, è salva l’eventuale corresponsione dell’indennità di risultato, “onnicomprensivo” (c. 725). I benefit sono, quindi, esclusi, a meno che non si tratti di mezzi e/o di strumenti indispensabili per l’espletamento del mandato, da considerare alla stregua di veri e propri rimborsi spese. In quanto “rimborsi spese” i benefit, intesi nel senso di cui sopra, non fanno parte del “trattamento economico” spettante agli amministratori.

            La liquidazione del rimborso di tutte le spese sostenute dagli amministratori della società e dell’indennità di missione ad essi spettante è effettuata dal dirigente competente, su richiesta dell’interessato, al quale incombe l’onere di documentare le spese di viaggio e di soggiorno effettivamente sostenute e di presentare una dichiarazione sulla durata e sulle finalità della missione (art. 84, c. 2, TUEL).

 

2.8. L’entrata in vigore

 

             Le disposizioni riguardanti il trattamento economico spettante agli amministratori di società comunque partecipate da enti locali sono entrate in vigore il 1 gennaio 2007. L’applicazione di tali disposizioni ai rapporti di amministrazione in essere alla predetta data, conferisce, di fatto, alle summenzionate disposizioni efficacia retroattiva, in quanto le stesse vengono ad incidere sul diritto soggettivo, ormai acquisito dai detti amministratori, a percepire il compenso determinato ai sensi dell’art. 2389 cod. civ. sino alla naturale scadenza del mandato (sulla natura di diritto soggettivo perfetto della pretesa di un amministratore di società di capitali al compenso per l’opera prestata, v. Cass. 9 agosto 2005, n. 16764, che ne ha dedotto che ove la misura di tale compenso non sia stata stabilita dall’atto costitutivo o dall’assemblea può essere richiesta al giudice la determinazione equitativa). Il divieto di retroattività della legge – pur costituendo valore di civiltà giuridica e principio generale dell’ordinamento – non è stato, tuttavia, elevato a dignità costituzionale, salva per la materia penale la previsione dell’art. 25 Cost.. Quindi, il legislatore, nel rispetto di tale previsione, può emanare norme con efficacia retroattiva – interpretative o innovative che siano – purchè la retroattività trovi adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non si ponga in contrasto con altri valori e interessi costituzionalmente protetti (Corte cost., 6 dicembre 2004, n. 376). Scontato che le disposizioni in esame non contrastano “con altri valori e interessi costituzionalmente protetti”, vi è, per il resto, da dire che dette disposizioni, per il profilo che qui interessa, non appaiono neppure irragionevoli, trovando esse la loro giustificazione, appunto ragionevole, nel dichiarato fine di contenere la spesa pubblica degli enti locali e di limitare, di conseguenza, i trasferimenti erariali agli stessi enti locali.

 

II) Il numero dei componenti del consiglio di amministrazione

 

1. Premessa

 

            Al fine di contenere la spesa degli enti locali, l. 296/06 non solo ha stabilito, come visto, la misura massima dei compensi spettanti agli amministratori delle società partecipate da tali enti e le modalità per la liquidazione delle spese da essi sostenute per l’espletamento dell’incarico, ma ha, altresì, determinato, se si tratta di società totalmente partecipate, anche in via indiretta, da enti locali, il numero massimo dei componenti il consiglio di amministrazione e, se si tratta, invece, di società miste, il numero massimo di componenti di detto consiglio che possono essere “designati” dagli enti locali (c. 729).

            Giova premettere che, anche a proposito delle disposizioni dettate per stabilire il numero degli amministratori di società partecipate da enti locali, così come a proposito delle disposizioni concernenti i compensi ai medesimi spettanti, la legge non indica l’attività che le società svolgono. Le disposizioni in questione hanno, pertanto, anche in tal caso, carattere generale e sono, di conseguenza, applicabili a tutte le società partecipate da enti locali, con la sola esclusione delle società quotate in borsa (c. 733).

 

2. Le società a totale partecipazione pubblica

 

            Il numero complessivo di componenti del consiglio di amministrazione delle società partecipate totalmente, anche in via indiretta, da enti locali, non può essere superiore a tre o a cinque. La determinazione del numero “massimo” dei componenti dell’organo di amministrazione non è, però, diversamente da quanto avviene per le società disciplinate dal codice civile, nella completa disponibilità dei soci (art. 2380-bis, c. 4), dipendendo, sia pure in parte, dall’entità del capitale della società. La misura del capitale sociale, in base al quale potrà stabilirsi il numero massimo dei componenti il consiglio di amministrazione delle società totalmente partecipate da enti locali, dovrà essere stabilito, entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge finanziaria 2007 (quindi entro il 30 giugno 2007), con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri su proposta del Ministro degli affari regionali e delle autonomie locali, di concerto con il Ministro dell’interno e con il Ministro dell’economia e delle finanze, sentita la Conferenza Stato-città (c. 729). Siccome il criterio dell’entità del capitale sociale serve per individuare il numero “massimo” dei componenti del consiglio di amministrazione di società totalmente partecipate da enti locali, è intuitivo che gli enti locali possono determinare il numero dei componenti in misura inferiore a quella massima stabilita dalla legge o anche non prevedere la costituzione del consiglio di amministrazione, affidando l’amministrazione della società ad un solo amministratore (c.d. amministratore unico).

            Le disposizioni concernenti il numero complessivo dei componenti il consiglio di amministrazione sono applicabili alle società partecipate totalmente da enti locali e, perciò, sia alle società partecipate da un solo ente locale, sia alle società partecipate da una pluralità di enti locali.

 

3. Le società indirettamente partecipate da enti locali

 

            Le disposizioni concernenti il numero massimo di componenti il consiglio di amministrazione sono, altresì, applicabili alle società partecipate totalmente, “anche in via indiretta”, da enti locali (c. 729, 1° periodo).

            In tale fattispecie, rientrano le società partecipate esclusivamente da società (o anche da altri soggetti, come, ad esempio, da aziende speciali), che sono, a loro volta, totalmente partecipate da enti locali.

            Tra le società a cui non è applicabile la citata disposizione del c. 729 (ma quella del 2° periodo) vanno, quindi, incluse:

a)         le società partecipate da società a capitale “misto” (ivi comprese quelle in cui il capitale pubblico locale è “prevalente”);

b)         le società a capitale misto anche se il socio pubblico è una società partecipata esclusivamente da enti locali.

In entrambe le ipotesi suddette, infatti, la società indirettamente partecipata non è a totale capitale di enti locali.          

Nella prima (lett. a), perché la società è partecipata da una società il cui capitale non è totalmente pubblico, ma misto (enti locali/altri soggetti pubblici o privati).

Nella seconda (lett. b), perché la società derivata è “mista”, in quanto, pur essendo il socio pubblico a totale partecipazione di enti locali, la società è partecipata anche da soggetti (pubblici o privati) “diversi dagli enti locali”.

 

4. Le società “miste”

 

            Il criterio dell’entità del capitale sociale, per individuare il numero dei componenti il consiglio di amministrazione, non è applicabile alle società “miste” e cioè alle società partecipate da enti locali e da altri soggetti (pubblici  o privati) “diversi dagli enti locali”.

            Infatti, in tali società, qualsiasi sia l’entità del capitale sociale, il numero massimo di componenti del consiglio di amministrazione “designati” dai “soci pubblici locali” (da intendersi, in coerenza con tutte le altre disposizioni recate in materia dalla l. 296/06, gli enti locali elencati dall’art. 2, c.1, del TUEL) – tra i quali vanno compresi anche le regioni – non può essere superiore a cinque (c. 729, periodo 2°).

            Il numero dei componenti del consiglio di amministrazione che possono essere “designati” dagli altri soci (ossia dai soci, pubblici e privati, diversi dai “soci pubblici locali” e dalle regioni) è, quindi, libero. Di conseguenza libero è anche il numero complessivo dei componenti del consiglio di amministrazione delle società miste, anche se, presumibilmente, tale numero sarà “proporzionato” a quello delle “designazioni” spettanti ai “soci pubblici locali” (e alle regioni).

 

            Il 2° periodo del c. 729 prevede, come visto, che nelle società miste i “soci pubblici locali” (ivi comprese le regioni) possono non nominare, ma “designare” sino ad un massimo di cinque componenti del consiglio di amministrazione.

            Con il termine “designazione” si intende l’atto con il quale un soggetto (pubblico o privato) esprime le sue indicazioni circa la scelta di una persona (fisica) da preporre ad un ufficio. A tali indicazioni l’organo competente alla nomina deve poi attenersi se, come spesso avviene, si tratta di designazioni c.d. “vincolanti”. La designazione è, quindi, una manifestazione del fenomeno della dissociazione tra la competenza di nomina e quella di scelta della persona da preporre all’ufficio.

            Non sembra, tuttavia, che il termine “designazione” sia stato usato nel c. 729 della legge finanziaria 2007 nel solo senso suddetto, giacchè, con la citata disposizione, al soggetto designante (socio pubblico locale) non è stato tanto conferito il potere di indicare nominativamente la persona o le persone da preporre all’ufficio, quanto, piuttosto, quello di stabilire, in concorso con gli altri soci (soci diversi dai soci pubblici locali), il numero dei componenti del consiglio di amministrazione che devono essere nominati dall’una e dall’altra categoria di soci. La “designazione”, d’altra parte, non è, nella specie, indirizzata all’assemblea ossia all’organo competente alla nomina degli amministratori (art. 2383, c. 1, cod. civ., salvo l’ipotesi di nomina diretta ex art. 2449 cod. civ.), dovendo trovare la sua collocazione, come si desume dal 3° periodo del c. 729, nello statuto o in un eventuale patto parasociale. Si è, in sostanza, in presenza di una sorta di patto di “sindacato di voto” (non necessariamente “parasociale”, in quanto, come detto, è possibile che le relative previsioni siano inserite nello statuto) con il quale i soci della società “mista” stabiliscono il numero di amministratori che dovranno rispettivamente nominare e si impegnano a votare in assemblea in modo conforme a ciò che è stato tra loro preventivamente concordato.

            La particolarità della fattispecie in esame sta, dunque, essenzialmente nel fatto che l’accordo, tra i soci pubblici locali e gli altri soci, sulla ripartizione degli amministratori della società mista da nominare, assume il carattere dell’obbligatorietà tutte le volte in cui il numero dei componenti il consiglio di amministrazione della società stessa, determinato ai sensi dell’art. 2380-bis, c. 4, cod. civ., sia superiore a cinque.

            Nel caso, quindi, che lo statuto o eventuali patti parasociali, attualmente esistenti, riservino ai soci pubblici locali la nomina da parte dell’assemblea di un numero di componenti del consiglio di amministrazione di società mista superiore a cinque, la società dovrà, ai sensi del c. 729, periodo 3, “adeguare” lo statuto o i patti parasociali predetti al fine di ricondurre la riserva di nomina a favore dei soci pubblici locali entro il limite massimo fissato dalla legge.

            E’, tuttavia, anche possibile che lo statuto e gli eventuali patti parasociali, attualmente esistenti, nulla stabiliscano sulla ripartizione delle nomine tra i soci pubblici locali e gli altri soci, che dovranno essere effettuate dall’assemblea della società mista. In siffatta ipotesi, è da ritenere che, ove il numero complessivo dei membri del consiglio di amministrazione (determinato, come detto, ai sensi dell’art. 2380-bis, c. 4, cod. civ.) sia superiore a cinque, sussista per i soci l’obbligo di modificare lo statuto o di stipulare tra loro un patto parasociale allo scopo di stabilire il numero degli amministratori della società riservato all’una e all’altra categoria di soci.

            Le considerazioni dianzi svolte valgono, ovviamente, anche per le società miste di nuova costituzione e per quelle in cui gli amministratori della società sono direttamente nominati, ai sensi dell’art. 2449 cod. civ., dai soci pubblici locali, a nulla rilevando che, in quanto secondo caso, la nomina non è effettuata dall’assemblea (che, di solito, si limita a prenderne atto), posto che quello che effettivamente conta è che ai soci pubblici locali delle società miste non è consentito nominare (avvenga la nomina in assemblea o “direttamente”) più di cinque amministratori di tali società.

 

5. Le società quotate in borsa

 

            Le disposizioni concernenti il numero dei componenti del consiglio di amministrazione di società partecipate da enti locali, così come quelle riguardanti il trattamento di carica spettante agli amministratori delle società stesse, non sono, come detto, applicabili, per l’espressa esclusione prevista dal c. 733, alle società quotate in borsa.

 

 

6. L’adeguamento degli statuti e dei patti parasociali

 

            Alle società partecipate totalmente anche in via indiretta da enti locali e alle società miste è stato imposto di adeguare i propri statuti e gli eventuali patti parasociali alle nuove disposizioni recate dal c. 729 entro tre mesi dall’entrata in vigore del citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri (3° periodo, c. 729).

            Le disposizioni che stabiliscono il numero dei componenti il  consiglio di amministrazione delle società predette (in particolare, di quelle a totale capitale pubblico locale) non sono, pertanto, immediatamente applicabili.

            L’adeguamento, ove comporti una modificazione dello statuto dovrà essere deliberato dall’assemblea straordinaria (art. 2365, c. 1, cod. civ.). Non sembra, invece, possibile che all’adeguamento possa provvedere, ai sensi dell’art. 2365, c. 2 cod. civ., il consiglio di amministrazione della società, giacchè, pur trattandosi di un adeguamento “a disposizioni normative”, residua un margine di discrezionalità in ordine alla determinazione del numero degli amministratori della società, che non rende tale adeguamento meramente automatico. Nel caso in cui l’adeguamento comporti la stipulazione di nuovi patti parasociali o la modificazione di quelli esistenti dovranno applicarsi le disposizioni di cui all’art. 2341-bis, cod. civ.

 

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