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Le competenze legislative di Stato e regioni in materia di assegnazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica.
L’edilizia residenziale pubblica non compare tra le materie attribuite, ai sensi dell’art. 117 Cost. (nel testo in vigore prima della riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione attuata con la l. c. n. 3 del 2001), alla competenza legislativa (allora concorrente) delle regioni.
E’ stato, tuttavia, osservato che l’edilizia residenziale pubblica “è materia essenzialmente composita” (oggi si direbbe – e, infatti, è stato detto: v. infra Corte cost. sent. 94/07 – “trasversale”), in quanto si articola in una triplice fase: “la prima avente carattere di presupposto rispetto alle altre, propriamente urbanistica; la seconda, di programmazione e realizzazione delle costruzioni, concettualmente riconducibile ai <lavori pubblici> e tradizionalmente rientrante nell’ambito dell’organizzazione amministrativa, centrale e periferica, cui spetta la cura dei pubblici interessi a quelli inerenti; la terza, infine, alla prestazione e gestione del servizio della casa (disciplina delle assegnazioni degli alloggi, in locazione e in proprietà, etc.), limitatamente all’edilizia residenziale pubblica in senso stretto, così come definita nell’art. 1 del d.p.r. n. 1035 del 1972 (comprendente gli alloggi costruiti da parte di enti pubblici a totale carico o con il concorso o con il contributo dello Stato)”.
Pertanto, poiché le materie dell’”urbanistica” e dei “lavori pubblici di interesse regionale” erano comprese nell’elenco dell’art. 117 Cost., senza riserve od ulteriori distinzioni, se ne deduceva l’impossibilità di escludere dalle stesse “l’edilizia residenziale pubblica, nella sua accezione più ampia, entro il limite, ovviamente, della dimensione regionale degli interessi al cui soddisfacimento le relative attività sono rivolte” (Corte cost., sent. n. 221/75).
La potestà legislativa poteva, quindi, nel vigore dell’art. 117 Cost. (vecchio testo), essere esercitata dalle regioni anche in materia di edilizia residenziale pubblica, ma, trattandosi di competenza concorrente, “nei limiti dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato”.
Lo Stato non ha emanato una vera e propria disciplina generale della materia, contenente i “principi fondamentali” a cui le regioni avrebbero dovuto attenersi nell’esercizio della potestà legislativa ad esse attribuita. Il sistema di riparto di competenze tra Stato e regioni è stato, in concreto, attuato attraverso un meccanismo che ha contemplato, da un lato, l’affidamento alle regioni di funzioni amministrative e (per il principio del parallelismo delle funzioni) legislative sempre più ampio e, dall’altro, la formulazione da parte dello Stato di “criteri generali”, ma solo per alcuni aspetti della materia, quali, ad esempio, quelli relativi alle assegnazioni e alla fissazione dei canoni degli alloggi di edilizia residenziale pubblica e alle modalità di alienazione di tali alloggi.
Le funzioni amministrative statali in materia di edilizia residenziale pubblica sono state, dapprima, “delegate”, con l’art. 4 della l. 22 ottobre 1971, n. 865 e, poi, con l’art. 5 del d.p.r. 30 dicembre 1972, n. 1036, “trasferite” alle regioni. Il trasferimento delle funzioni statali alle regioni, attuato con il citato decreto presidenziale, era, però, solo parziale, tanto è vero che, con il d.p.r. 24 luglio 1977, n. 616, alle regioni ne sono state trasferite altre e precisamente quelle concernenti la programmazione regionale, la localizzazione, le attività di costruzione e la gestione di interventi di edilizia residenziale e abitativa pubblica, di edilizia convenzionata, di edilizia agevolata, di edilizia sociale (…)” (art. 93, c. 1).
Il menzionato d.p.r. 616/1977 “trasferiva”, poi, ai comuni “le funzioni amministrative concernenti l’assegnazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica” (art. 95) e “riservava” allo Stato la determinazione dei “criteri” per le assegnazioni di tali alloggi e per la fissazione dei relativi canoni (art. 88, n. 13). La, di poco successiva, l. 5 agosto 1978, n. 457 attribuiva, quindi, al CIPE il compito di determinare i predetti “criteri generali” (art. 2), che venivano, in effetti, stabiliti dallo stesso CIPE con le deliberazioni 19 novembre 1981 e 13 marzo 1995.
Le funzioni amministrative relative “alla fissazione dei criteri per l’assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale destinati all’assistenza abitativa, nonché alla determinazione dei relativi canoni” sono state, infine, conferite alle regioni, con il d.l.vo 31 marzo 1998, che ha, tuttavia, mantenuto allo Stato le funzioni e i compiti riguardanti la “determinazione dei principi e delle finalità di carattere generale e unitario in materia di edilizia residenziale pubblica anche nel quadro degli obiettivi generali delle politiche sociali” e quelli concernenti la definizione di livelli minimi del servizio abitativo, nonché degli standard di qualità degli alloggi di edilizia residenziale pubblica” [art. 59, lett. a) e b) e 60, lett. e), d.l.vo cit.].
L’attribuzione alle regioni di “ampia potestà legislativa” in materia di edilizia residenziale pubblica (cfr. Corte cost. sent. n. 727/88) non aveva, quindi, fatto venire meno il potere dello Stato di stabilire, ai sensi del “vecchio” testo dell’art. 117 Cost., i “criteri generali” per l’assegnazione e per la fissazione dei canoni degli alloggi. La giurisprudenza della Corte costituzionale era, d’altra parte, ferma nell’affermare che le regioni ordinarie non disponevano “di attribuzioni costituzionalmente garantite in tale materia, che è di esclusiva spettanza dello Stato per la dimensione generale degli interessi coinvolti nella prestazione e gestione del servizio della casa, laddove i numerosi compiti svolti dalle regioni (…) non rispondono ad un disegno costituzionalmente vincolato dalla ripartizione di competenze statali e regionali, bensì sono espressione dell’articolazione organizzativa assunta dall’intervento pubblico nel settore, secondo una formula di associazione delle regioni alle politiche di competenza statale” (Corte cost., sent. n. 27/96).
Negli stessi termini si era, in sostanza, pronunciata la Corte costituzionale allorché aveva considerato non ammissibile un intervento legislativo regionale in deroga – o comunque in variazione – a un criterio fissato dalla legge statale sull’alienazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica (l. 24 dicembre 1993, n. 560), con riguardo alla riduzione del prezzo di vetustà degli immobili (art. 1, c. 10). Infatti, secondo la Corte, “la competenza regionale nulla toglie all’esigenza di una disciplina – quadro che definisca i criteri fondamentali sulle modalità di alienazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica. E quello della riduzione del prezzo per vetustà è senza dubbio un punto fondamentale”, soprattutto quando “oggetto dell’alienazione possono essere, oltre agli immobili acquisiti o realizzati con il contributo della regione, anche gli immobili acquisiti o realizzati con il contributo statale, nonché gli immobili degli Istituti autonomi case popolari, dei comuni e degli altri enti pubblici territoriali” (sent. n. 486/95).
La materia dell’edilizia residenziale pubblica non compare non solo nella “vecchia”, ma neppure nella nuova classificazione delle competenze legislative attribuite allo Stato e alle regioni, contenuta attualmente nei commi 2 e 3 dell’art. 117 Cost. (nel testo modificato con la citata l. c. n. 3 del 2001), per cui dovrebbe oggi appartenere, ai sensi del comma 4 del medesimo art. 117, alla competenza legislativa esclusiva delle regioni.
L’indagine da compiere è, quindi, adesso esattamente opposta a quella che doveva compiersi vigente il “vecchio” testo dell’art. 117 Cost., in quanto è ora necessario verificare non se alle regioni spettano competenze legislative in materia di edilizia residenziale pubblica (il che è certo), ma se tali competenze spettano anche allo Stato e, in caso positivo, entro che limiti.
La Corte costituzionale, come già accennato, ha, con la recente sentenza n. 94/07, individuato nella suddetta materia il carattere della “trasversalità”, trattandosi di materia che si identifica “nella programmazione, costruzione e gestione di alloggi destinati a soddisfare le esigenze abitative dei ceti meno abbienti”.
La materia dell’edilizia residenziale pubblica si estende, infatti, ad avviso della Corte, su tre livelli normativi: il primo riguarda “la determinazione dell’offerta minima di alloggi destinati a soddisfare le esigenze abitative dei ceti meno abbienti” e rientra, ai sensi dell’art. 117, c. 2, lett. m), Cost., nella competenza legislativa esclusiva dello Stato; il secondo, riguarda “la programmazione degli insediamenti di edilizia residenziale pubblica”, sicchè attiene alla materia “governo del territorio” ed è, di conseguenza, in virtù del comma 3 dell’art. 117 Cost., oggetto di legislazione concorrente; il terzo, riguarda “la gestione del patrimonio immobiliare di edilizia residenziale pubblica di proprietà degli IACP o degli altri enti che a questi sono stati sostituiti dalla legislazione regionale”, che, non essendo compreso nei due precedenti livelli, rientra nel comma 4 dell’art. 117 Cost. e, perciò, appartiene alla potestà legislativa esclusiva delle regioni.
Lo Stato ha, dunque, potestà legislativa esclusiva per quel che attiene la determinazione “dell’offerta minima di alloggi destinati a soddisfare le esigenze abitative dei meno abbienti”. In tale determinazione, come si legge nella citata sentenza n. 94/07, “si inserisce la fissazione dei principi che valgono a garantire l’uniformità dei criteri di assegnazione [degli alloggi] su tutto il territorio nazionale”.
La Corte costituzionale sembra, in definitiva, avere, sul punto, confermato, sia pure sulla base di diversi parametri costituzionali [art. 117, c. 2, lett. m) e c. 4, Cost.], il precedente orientamento secondo cui allo Stato è riservata la formulazione dei “criteri generali” da osservare nelle assegnazioni degli alloggi di edilizia residenziale pubblica, mentre la disciplina organica dell’assegnazione e della gestione di tali alloggi “costituisce, in linea di principio, espressione della competenza spettante alla regione in questa materia” (Corte cost., ord. n. 526/02 e ord. n. 104/04).
Ed, allora, posto che l’alienazione degli alloggi deve essere considerata “indissolubilmente connessa con l’assegnazione degli stessi” (Corte cost., sent. n. 486/92), è apparso inevitabile alla Corte costituzionale dichiarare (con la sent. n. 94/07) l’incostituzionalità dei commi 597 e 598 dell’art. 1 della l. 23 dicembre 2005, n. 266 (legge finanziaria 2006), in quanto dette disposizioni, essendo dirette non a “dettare una disciplina generale in tema di assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica ma a “regolare le procedure amministrative e organizzative per arrivare ad una più rapida e conveniente cessione” di tali alloggi, devono essere ricondotte “al potere di gestione dei propri beni e del proprio patrimonio, appartenente in via esclusiva alle regioni ed ai loro enti strumentali”; ossia ad una materia sicuramente ricompresa “nella potestà legislativa residuale delle regioni, ai sensi del quarto comma dell’art. 117 Cost.”.
La “programmazione degli insediamenti di edilizia residenziale pubblica”, rientra, come detto, secondo la Corte costituzionale (sent. n. 94/07), nella materia “governo del territorio”.
La predisposizione dei programmi finalizzati alla costruzione e al recupero di immobili destinati all’edilizia residenziale pubblica, deve, infatti, ritenersi rimessa, come affermato dalla stessa Corte con sent. n. 451 del 2006, “alla competenza regionale, trattandosi comunque di interventi che investono il settore dell’edilizia e che, dunque, attengono, sotto tale profilo, alla materia del <governo del territorio>, attribuita alla competenza legislativa concorrente (art. 117, c. 3, Cost.)”.
La disciplina relativa alle procedure amministrative riguardanti l’alienazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica non può, pertanto, farsi rientrare neppure nella materia del “governo del territorio”, giacchè in essa non vengono in rilievo “profili programmatori o progettuali idonei ad avere un qualsiasi impatto con il territorio”.
Le citate disposizioni della legge finanziaria del 2006 non attengono, infine, nemmeno alla materia “ordinamento civile” [appartenente, ex art. 117, c. 2, lett. l), Cost., alla potestà legislativa esclusiva dello Stato], perché contengono criteri destinati non a “regolare rapporti giuridici di natura privatistica”, ma ad “incidere su procedure amministrative inerenti all’alienazione degli immobili di proprietà di enti regionali” e, pertanto, ad una materia rimessa, come visto, alla competenza legislativa esclusiva delle regioni ai sensi del comma 4 dell’art. 117 Cost.
La Corte costituzionale, con la citata sentenza 94/07 è, altresì, intervenuta sul ruolo ricoperto, nell’ambito della materia dell’edilizia residenziale pubblica, dagli IACP e dagli “altri enti che a questi sono stati sostituiti dalla legislazione regionale”, qualificati tutti “enti strumentali” delle regioni.
A tal proposito, occorre ricordare che, con l’art. 93, c. 2, del d.p.r. n. 616 del 1977 sono state conferite alle regioni le funzioni statali relative agli IACP.
Gli IACP erano disciplinati dal r.d. 28 aprile 1938, n. 1165, il quale aveva ad essi affidato il compito di svolgere la loro attività a beneficio delle classi meno agiate in tutti i comuni nei quali si manifestasse il bisogno di alloggi (art. 22).
A seguito del trasferimento alle regioni delle funzioni statali relative agli IACP, attuato, come visto, con l’art. 93, c. 2, del d.p.r. n. 616 del 1977, gli Istituti sono divenuti enti regionali. Le regioni sono, quindi, intervenute per disciplinare l’ordinamento ed il funzionamento degli IACP. Il modulo organizzatorio adottato dalle regioni, tuttavia, è inizialmente, rimasto, rispetto alla previgente disciplina statale, praticamente inalterato per cui si è continuato a considerare gli Istituti quali enti pubblici non economici. Ai sensi dell’art. 93 del d.p.r. n. 616/1977 è stato, peraltro, attribuito alle regioni anche il potere di organizzare il “servizio della casa” in conformità ai principi stabiliti dalla legge di riforma delle autonomie locali, riforma attuata, dopo molti anni, con l’approvazione della l. 8 giugno 1990, n. 142 (poi trasfusa nel t.u. 18 agosto 2000, n. 267). Ciò ha indotto alcune regioni ad adottare per gli IACP il modulo organizzatorio dell’ente pubblico economico in sostanziale conformità con quello dell’azienda speciale previsto, per la gestione dei servizi pubblici locali, dagli artt. 22, c. 3, lett. c) e 23 della citata l. 142 del 1990. Altre regioni hanno, invece, preferito scegliere il modulo organizzatorio dell’ente pubblico non economico o quello, del tutto opposto, della società di capitali. Vi sono, infine, anche delle regioni che non si sono avvalse della facoltà conferita dall’art. 93 del d.p.r. 616/1977 per cui in esse continuano ad operare gli IACP nella loro struttura originaria.
La Corte costituzionale non sembra, tuttavia, aver dato eccessiva rilevanza alla specifica configurazione giuridica assunta nel tempo degli enti che agiscono nel settore dell’edilizia residenziale pubblica, ritenendoli appartenere tutti ad un’unica complessiva categoria ossia, come si è visto, a quella degli “enti strumentali” regionali, in merito alla quale ogni ingerenza dello Stato, almeno per quel che riguarda gli aspetti organizzativi e funzionali, è da escludere.
Ne è derivata, quale logica ed inevitabile conseguenza, la dichiarazione di incostituzionalità anche dei commi 599 e 600 dell’art. 1 della citata l. n. 266/2005, con i quali lo Stato aveva direttamente attribuito ai predetti enti strumentali poteri e facoltà che loro consentivano di agire “anche contro, in ipotesi, il volere della regione di riferimento” o “in contrasto con linee direttive regionali” , costituendo, tale diretta attribuzione di poteri e facoltà, una “evidente lesione della sfera di competenza costituzionalmente garantita alle regioni” (Corte cost., sent. 94/07). |