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Prime indicazioni giurisprudenziali sulla rilevanza dei principi comunitari per l’affidamento dei servizi pubblici locali come necessaria chiave di lettura delle trasformazioni "di sistema" delineate dall’art. 35 della legge n. 448/2001.
di Alberto Barbiero  (albertobarbiero@libero.it) 3 aprile 2003
Materia: servizi pubblici / affidamento e modalità di gestione

Prime indicazioni giurisprudenziali sulla rilevanza dei principi comunitari per l’affidamento dei servizi pubblici locali come necessaria chiave di lettura delle trasformazioni “di sistema” delineate dall’art. 35 della legge n. 448/2001.

 

 

Premessa: le scelte per la privatizzazione dei servizi pubblici locali a fronte dell’art. 35 della legge n. 448/2001 all’attenzione del Giudice Amministrativo.

Il complesso quadro normativo delineato per i servizi pubblici locali dall’art. 35 della legge n. 448/2001 ha definito alcune singolari linee di sviluppo del sistema.

In particolare, la disposizione ha “tentato” una prima revisione delle tendenze preponderanti in tema di affidamenti, pur lasciando spazi di dubbio con riferimento al “periodo transitorio”.

Rispetto a tale trasformazione “in progress” (con singolare scelta del legislatore di disegnare parte del processo subito, lasciando quella sostanziale ad atti di delegificazione) le Amministrazioni Locali sono tenute a concretizzare opzioni organizzative importanti, “soffrendo” l’incompletezza del dato normativo (si pensi, infatti, che il regolamento attuativo è stato definito solo in via preliminare dal Consiglio dei Ministri nel corso del 2002).

In questo contesto “difficile” si inserisce un dato interpretativo importante, elaborato dal TAR Lazio - Roma, Sez. II – bis, con la Sentenza n. 2429 del 22 marzo 2003.

 

1. – Il confronto tra “posizioni predefinite” ed elementi determinati dall’evoluzione del sistema dei servizi pubblici locali.

Il presupposto del giudizio è dato in un provvedimento di “revoca”, adottato dal Comune di Pomezia con riferimento a deliberazioni del proprio Consiglio con le quali era stato “strutturato” un percorso per la costituzione di una s.p.a. mista, deputata alla gestione del servizio di raccolta e di trasporto dei rifiuti solidi urbani. Il provvedimento era stato peraltro “accompagnato” da altro atto, con il quale si provvedeva a dar corso a gara per l’affidamento del servizio stesso, al fine di garantirne la continuità.

L’Amministrazione Comunale era pervenuta alla revisione (seppure parziale) di una propria precedente decisione in ordine alla costituzione, per il servizio di raccolta e trasporto dei rifiuti solidi urbani, di una società mista (con la forma di s.p.a. a prevalente capitale pubblico, a cui era vincolato a partecipare un consorzio –del caso il ricorrente - e che avrebbe dovuto essere operativa, a partire dal mese di dicembre 2002). La riformulazione del  modulo organizzativo aveva inoltre condotto lo stesso Ente Locale a procedere ad affidamento con gara del medesimo servizio, stante la scadenza del precedente.

Contro tali provvedimenti si era costituito il Consorzio G.f.M., con il quale il Comune di Pomezia aveva definito preintese per la sua partecipazione alla costituenda s.p.a. di gestione del servizio pubblico locale, grazie a sottoscrizione di quote. Peraltro lo stesso Consorzio era stato individuato come affidatario, nel frattempo, dei servizi in questione (in base all’art. 10, comma 1, lett. b) del D.L. n. 468/97).

Il Consorzio lamentava, in particolare, l’interferenza degli atti modificativi delle scelte originarie (particolarmente dell’affidamento con gara, peraltro ad altro soggetto) rispetto al processo prefigurato, nonché la lesione di sostanziali aspettative determinate dallo stesso.

A fronte delle contestazioni rappresentate dal Consorzio (del caso, precedentemente affidatario del servizio pubblico locale), il Comune di Pomezia evidenziava come l’intero complesso di atti prodromici alla costituzione della s.p.a. mista per la gestione del medesimo servizio (indirizzi consiliari, protocolli di intesa con il consorzio, deliberazioni specificative e confermative degli originari indirizzi) dovesse essere rivisto in considerazione dell’entrata in vigore dell’art. 35 della legge n. 448/2001, comportante l’impossibilità di costituire società miste, per i fini di cui trattasi, senza previo esperimento di procedure concorsuali ad evidenza pubblica, con ulteriore previsione di “scadenza o anticipata cessazione della concessione, rilasciata con procedure diverse”. Con gli atti oggetto del ricorso,  Consiglio Comunale, intendeva “eliminare il contrasto normativo…rispetto alle disposizioni nel frattempo intervenute”.

La parte controinteressata (Clin Industrie Città – C.I.C.), a sua volta, prima con memoria di costituzione, e poi con ricorso incidentale (quest’ultimo avverso gli atti di revoca, in quanto non emessi come vero e proprio annullamento, nonché avverso le delibere di affidamento al Consorzio G.f.M. di servizi comunali), sottolineava come l’Amministrazione non avesse ritenuto la costituzione della società mista contrastante con la nuova normativa, ritenendo piuttosto opportuno riconsiderare le proprie scelte al riguardo, tenuto conto dell’incertezza sulla disciplina da applicare in materia.

Sempre secondo la controinteressata, non solo dagli atti di causa non sarebbe emerso un impegno irrevocabile del Comune a far partecipare l’attuale ricorrente alla società mista, ma le determinazioni, al riguardo assunte, dovrebbero ritenersi frutto di un ingiustificato e illegittimo trattamento di favore, con violazione delle regole dell’evidenza pubblica e del principio di buon andamento dell’Amministrazione.

 

2. – La possibilità di verifica delle scelte dell’Amministrazione a fronte delle “attese” precostituite.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio è stato quindi interessato, con il ricorso, al fine di dirimere la questione di fondo, ossia la sussistenza – o meno – di un interesse protetto del Consorzio G.f.M. (ricorrente), in ordine alla costituzione di una società mista, a prevalente capitale pubblico, per la gestione di servizi ambientali e manutentivi, società di cui il medesimo Consorzio avrebbe dovuto fare parte.

Tale primo profilo di analisi è stato preso in esame con esiti positivi dal  giudice amministrativo, il quale ha anzitutto affermato che “la costituzione di una società mista, per al gestione di un sevizio pubblico quale quello della raccolta dei rifiuti e di altri servizi ambientali (…) era senz’altro rimessa alla discrezionalità dell’Amministrazione: una discrezionalità assai ampia sull’ “an e sul quomodo”, ovvero sull’adozione o meno del modello operativo in questione e sulle relative caratteristiche”.

In linea generale il Comune ha, attraverso le deliberazioni consiliari oggetto del ricorso, recepito l’accordo con il Consorzio G.f.m., producendo atti traduttivi della “autodeterminazione vincolistica” ritenuta condizione essenziale per l’instaurazione di un “rapporto di potestà/interesse protetto fra Amministrazione e amministrati, in ordine al corretto espletamento della procedura autodeterminata”.

Purtuttavia il TAR rileva come simili scelte “formalizzate” non implichino invece la sussistenza “di diritti e di obblighi, quali sarebbero scaturiti dalla effettiva costituzione di detta società”, ma consentano comunque, alla parte che si era impegnata all’”adesione alle quote azionarie stabilizzate nella costituenda società mista” – assumendo il servizio in via temporanea, e procedendo alla assunzione dei lavoratori indicati dall’Amministrazione – di verificare la legittimità delle scelte e la coerenza delle motivazioni” attraverso cui il Comune di Pomezia si era impegnato, in un primo tempo, ad “approvare lo statuto della costituenda società mista a prevalente capitale pubblico, per la gestione dei servizi ambientali e manutentivi.

In tal senso sembra configurarsi pienamente la possibilità, per il Consorzio ricorrente, di sottoporre a verifica il percorso dell’Amministrazione Comunale, in considerazione delle attese (operatività della costituenda società da una data precisa) e delle determinazioni modificative delle scelte sviluppate originariamente (con revoca di alcune e contestuale emanazione di un bando di gara per l’affidamento del servizio).

Risulta di tutta evidenza l’orientamento del giudice amministrativo nell’intento di rilevare elementi supportanti la posizione di “affidamento” del Consorzio rispetto al percorso preordinato dall’Amministrazione Comunale per la costituzione della s.p.a.,  tuttavia affermando indubitabilmente che la stessa condizione non prefigura alcun diritto od obbligo in capo al medesimo.

Il Consorzio ricorrente, quindi, poteva “valutare” e financo “sindacare” sotto il profilo strategico le scelte del Comune, ma non si veniva a determinare, nella situazione particolare, alcuna condizione di “favor” specifico in termini di diritto.

 

3. – La verifica della legittimità degli atti modificativi delle scelte originarie in tema di costituzione della Società mista, a fronte delle previsioni dell’art. 35 della legge n. 448/2001.

In relazione al riconoscimento dei “poteri  di verifica” del Consorzio ricorrente (nei limiti definiti), il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio ha provveduto anche ad approfondire le problematiche inerenti le scelte di “modifica” complessiva delle scelte adottate da parte del Comune di Pomezia, afferendo a tale analisi l’accertamento della legittimità degli atti amministrativi traduttivi delle medesime.

Nella pronunzia si rileva come le ragioni della revoca dei provvedimenti “costruttivi” del progetto e delle intese preliminari per la costituzione della s.p.a. per la gestione del servizio rifiuti siano formalizzate dall’Amministrazione Comunale con riferimento prevalente all’entrata in vigore dell’art. 35 della legge n. 448/2001, nella parte in cui lo stesso disciplina “ex novo” la materia dei servizi pubblici locali a rilevanza industriale. Conseguentemente, rispetto a tale quadro normativo “in fieri” il Comune evidenzia come non sarebbe “possibile individuare la disciplina legislativa da applicare al servizio di smaltimento dei rifiuti solidi urbani” e risulterebbe quindi “inattuabile promuovere la costituzione di una società mista a prevalente capitale pubblico, senza la certezza che essa possa legittimamente gestire il servizio in questione”.

E’ ben noto come il riassetto normato dal richiamato art. 35 dipenda, in sostanza, da un regolamento di delegificazione che il Governo avrebbe dovuto adottare ai sensi del comma 16 della medesima disposizione, con applicazione del divieto di partecipazione alle gare delle società che, “in Italia o all’estero, gestiscono a qualunque titolo servizi pubblici locali in virtù di un affidamento diretto, di una procedura non ad evidenza pubblica, o a seguito dei relativi rinnovi”. Sino alla traduzione del quadro di disciplina attuativo, inoltre, il sistema veniva ad essere regolato da previsioni transitorie, strutturate sempre nell’art. 35, effettivamente di difficile interpretazione

Il “dato normativo” compositivo di un regime transitorio ha sollecitato il Consorzio ricorrente a sostenere l’insussistenza di ostacoli normativi all’attuazione delle intese intercorse, con conseguente illegittimità sia della relativa revoca che degli atti ulteriori e consequenziali (bando di gara e successiva aggiudicazione del servizio ad altro soggetto).

Rispetto a  tale affermazione, tuttavia, il TAR fa rilevare una molteplicità di elementi che ne vanno a confutare di diritto i contenuti.

Anzitutto viene ad essere affermata l’importanza dei principi comunitari incidenti sui processi di affidamento dei servizi pubblici locali, con correlata delineazione del fatto che “detti principi riconoscono come espressione dell’autonomia degli enti pubblici locali la scelta circa le modalità di svolgimento dei servizi pubblici, riferibili a tali enti, potendo questi ultimi gestire direttamente i servizi stessi o affidarli a terzi”. In ordine a questo secondo modulo gestionale generale, le Amministrazioni Locali sono tenute a corroborare le loro scelte sia con prefigurazioni di garanzia sugli standard qualitativi dei servizi, sia assicurando piena “tutela della concorrenza, quale mezzo per raggiungere il maggior benessere dei consociati attraverso un meccanismo di selezione, tale da consentire il perseguimento del migliore possibile rapporto fra costi e risultati”.

E’ utile considerare come simile sistematizzazione di principio (direttamente influente sulle soluzioni procedurali adottate dai singoli Enti) sia stata oggetto di “sollecitazioni” significative della Commissione Europea nei confronti dell’Italia, stante la prassi di molte Amministrazione di procedere ad affidamenti diretti della gestione di  servizi pubblici locali a società miste. 

La Commissione ha infatti avviato la procedura di costituzione in mora del Governo italiano in materia, con comunicazione del 26 giugno 2002.

In tale atto viene ad essere sottolineato (al punto 24), proprio in merito alla problematica rappresentata nella pronunzia, che  “nella maggior parte delle ipotesi, gli affidamenti di appalti o di concessioni di servizi rilasciati con procedura diversa dall’evidenza pubblica che beneficerebbero del periodo transitoria di cui trattasi (riferito all’art. 35 della legge n. 448/2002, n.d.e.), costituiscono già oggi degli affidamenti illegittimi dal punto di vista del diritto comunitario”.

La normativa interna applicabile agli affidamenti di servizi pubblici locali era stata peraltro già chiarita con circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri (Dipartimento delle Politiche Comunitarie) n. 12727 del 19.10.2001, nella quale si ribadiva come gli affidamenti stessi dovessero aver luogo tramite procedure ad evidenza pubblica.

Nella sua pronunzia il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio evidenzia inoltre in modo significativo la “portata” dell’art. 35 della legge n. 448/2001, enucleando nello stesso vari elementi giustificativi di un complessivo disegno di riforma del settore, quali, in particolare:

a) la salvaguardia delle discipline di settore, anche rispetto al periodo transitorio;

b) la distinzione delle modalità di affidamento della gestione dei servizi e delle reti, prevedendo solo per queste ultime l’affidamento diretto (anch’esso, peraltro, “contestato” nella procedura di infrazione dalla Commissione Europea).

Sulla base di tale prefigurazione nella sentenza non viene sostenuta la tesi del Consorzio ricorrente (applicabilità immediata o meno dell’art. 35 della legge n. 448/2001 e, quindi, possibilità di derogare al disegno dello stesso), bensì viene ad essere sostenuta la necessaria applicazione dei principi comunitari. E della portata di tali principi l’Amministrazione Comunale di Pomezia era ben consapevole, così come la stessa non poteva ignorarne l’effettività nell’ordinamento nazionale, anche in forza del”richiamo” contenuto nella circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri n. 12727/2001, che sottolineava, con forza, l’obbligatorietà della scelta del contraente o del socio privato tramite gara.

Pur in presenza di una motivazione non del tutto esplicita nelle sue finalizzazioni (riferita a impossibilità di individuare la disciplina legislativa applicabile ed a giuridica impossibilità di costituire una società mista “…senza la certezza che essa possa legittimamente gestire il servizio in questione”, come evidenzia il Giudice Amministrativo), appaiono fondati i dubbi del Comune “circa la legittimità non tanto della costituzione di una società mista, quanto della già concordata (per quanto in forma indiretta, con apparente impegno della sola parte privata) sottoscrizione delle relative quote da parte del Consorzio G.f.M”.

La modificazione delle scelte originariamente delineate, tradotta “per atti” in maniera significativa (revoca parziale del processo costitutivo della società e conseguente affidamento del servizio con gara) dall’Ente Locale salvaguarda quindi due profili:

a) la garanzia di un comportamento complessivo conforme alle linee di evoluzione del quadro normativo e, comunque, ai principi comunitari in materia di affidamento di servizi pubblici locali;

b) l’assicurazione della continuità del servizio stesso, data la scadenza del precedente affidamento.

Emerge da tale percorso un ulteriore connotazione “di processo”: il provvedimento non è, a tutti gli effetti, revoca, anche se con tale “nomen juris” identificato, bensì annullamento in autotutela, riferito ai passaggi di “configurazione” della s.p.a. e di preintesa con il Consorzio.

Tale soluzione, del resto,  trova conforto nel fatto che “di là delle ancora controverse dimensioni della nuova disciplina, invece, i principi comunitari, come richiamati dalle specifiche norme di settore e dallo stesso art. 113, primo comma, D.Lgs. n. 267/2000, nel testo introdotto dal più volte citato art. 35 L. n. 448/2001, rendevano non legittima l’istituzione della programmata società mista, con individuazione diretta del socio privato, già impegnatosi a sottoscrivere le relative quote”.

La preponderanza di tale connotazione generale su qualsiasi altra valutazione nel caso specifico viene ad essere rafforzata dalle valutazioni del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio in ordine ai profili risarcitori, nelle quali si afferma che “in presenza di un contrasto con i principi comunitari, infatti, e in un contesto di riforma, chiaramente non conforme alle modalità di gestione del servizio di cui trattasi, nei termini in precedenza programmati, non poteva ritenersi sussistente un obbligo di esecuzione delle precedenti intese, non ancora compiutamente formalizzate, né la mera, precedente preordinazione di determinate modalità di gestione del servizio stesso concretizza i presupposti per un risarcimento dei danni,  nella prospettiva recentemente riconosciuta dalla giurisprudenza (Cass. SS.UU., 22.7.1999, n. 500)”.  Ciò, in sostanza, in quanto “appare condivisibile, infatti, il primo indirizzo giurisprudenziale, che ricollega la nuova fattispecie risarcitoria a violazione delle regole di imparzialità, correttezza e buona amministrazione, cui è preordinata l’azione dei pubblici poteri; non integra tale fattispecie una fase di riesame, che induca l’Amministrazione a mutare una linea di indirizzo non ancora compiutamente attuata, quando le circostanze oggettive, in cui si è verificata tale condotta, appaiano ispirate ad una ricerca di soluzioni legittime ed a corretto bilanciamento degli interessi pubblici e privati”.

Nel caso di specie il Comune di Pomezia ha ritenuto opportuno non dare seguito ad una prassi (costituzione di società miste ,con individuazione non concorsuale del socio privato) piuttosto diffusa in sede locale, ma non conforme, in primo luogo, ai principi comunitari, come recepiti anche dalle norme nazionali, a fronte del resto di un quadro di evoluzione normativa, che rendeva più evidente l’impraticabilità delle scelte, in precedenza effettuate, nonché – come risulta dagli atti – in un contesto che vedeva compromesso il rapporto fiduciario con il soggetto, già affidatario del servizio (essendo quest’ultimo coinvolto in vicende penali, legate proprio ai precedenti rapporti intercorsi con l’Amministrazione).

 

4. – Indicazioni desumibili.

La sentenza del TAR Lazio - Roma, Sez. II – bis, Sent. N. 2429 del 22 marzo 2003 prefigura uno scenario nell’ambito del quale gli Enti Locali sono chiamati ad operare almeno sino alla codificazione di dati normativi integrativi o migliorativi delle previsioni contenute nell’art. 35 della legge n. 448/2001.

Il contesto vede, in sostanza, contrapporsi una prassi consolidata (l’affidamento diretto a società partecipate) con principi determinanti processi decisionali e comportamenti amministrativi opposti (affidamento con gara).

L’evidenza di tale “conflitto” si desume dalla presa di posizione “ricognitiva” del Governo (con la Circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri n. 12727/2001) e dalla procedura di infrazione avviata dalla Commissione Europea con comunicazione del 26 giugno 2002.

I presupposti per la definizione di strategie di privatizzazione devono quindi fondarsi sulla prevalenza dei principi comunitari, in prospettiva di massima garanzia per le Amministrazioni Locali nel “sistema in evoluzione”.

Tali principi confortanto non soltanto scelte trasparenti e di privilegio per la concorrenza, ma anche e soprattutto determinazioni concrete per la realizzazione di processi di privatizzazione effettivi.

L’eccezione, data dall’affidamento “in house”, dovrebbe rimanere tale e comunque dovrebbe acquisire legittimità con rilevazione effettiva (motivazionale) delle condizioni di presupposto “tipiche” del caso, riconducibili alle connotazioni-chiave delineate dalla sentenza Teckal.

Di fatto, il comportamento dell’Amministrazione Comunale valutato dalla sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio è significativamente apprezzato: in situazione di incertezza essa ha preferito rimodulare le proprie strategie, realizzando un percorso forse meno rilevante (affidamento a terzi in luogo di costituzione di società specializzata), ma senza dubbio più “coerente” con il quadro di sistema.

Sentenza: TAR Lazio, sez. II bis, 22/3/2003 n. 2429
Sulla legittimità della scelta di un Comune di revocare la sua precedente determinazione di costituire, per il servizio di raccolta e trasporto dei rifiuti solidi urbani, una società mista per affidare il servizio stesso mediante gara.

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