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Il riscatto anticipato del servizio di distribuzione del gas nel periodo transitorio: una "doverosa" questione di legittimità costituzionale - nota a commento dell'Ordinanza del T.A.R. Veneto, Sez. I, n. 1604/2007.
di Stefano Ferla  (avv.stefanoferla@libero.it) 24 luglio 2007
Materia: gas / disciplina

Il riscatto anticipato del servizio di distribuzione del gas nel periodo transitorio: una “doverosa” questione di legittimità costituzionale - nota a commento dell'Ordinanza del T.A.R. Veneto, Sez. I, n. 1604/2007.

 

1. Premessa.

Con l'Ordinanza in commento, il T.A.R. Veneto ha sollevato questione di legittimità costituzionale in ordine all'art. 1, comma 69, nella parte in cui precisa che la disciplina del periodo transitorio relativo agli affidamenti ed alle concessioni relativi al servizio pubblico di distribuzione del gas (art. 15, comma 5, d.lgs. n. 164/2000) è da interpretarsi nel senso che “è fatta salva la facoltà di riscatto anticipato, durante il periodo transitorio, se stabilita nei relativi atti di affidamento o di concessione”.

La pronuncia è senz'altro apprezzabile, dal nostro punto di vista, in quanto coglie i rilevanti profili di illegittimità costituzionale che chi scrive aveva avuto già modo di mettere in evidenza (1). Profili che invece non erano stati attentamente vagliati dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato, le cui opzioni ermeneutiche, tuttavia, apparivano assai discutibili (2).

Al fine di una compiuta illustrazione della tematica in esame e degli esiti a cui ora è giunta la giurisprudenza con la citata Ordinanza del T.A.R. Veneto, giova prendere le mosse dall'inquadramento generale dell'istituto del riscatto e dalla sua evoluzione normativa.

 

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2. L'istituto del riscatto anticipato, come delineato nella disciplina del R.D. n. 2578/1925 (T.U. della legge sull'assunzione diretta dei pubblici servizi da parte dei Comuni e delle Province).

 

L’istituto del riscatto anticipato era contemplato, come noto, con riferimento all’intero ambito dei servizi pubblici locali, dal Testo Unico della legge sull’assunzione diretta di tali servizi da parte dei Comuni e delle Province (R.D. n.2578/1925, artt. 24-26) e dal relativo regolamento di attuazione (d.P.R. n. 902/1986).

Esso era lo specifico strumento attraverso il quale gli Enti locali esercitavano la facoltà di municipalizzare i servizi di propria competenza, rilevandoli dai concessionari privati e assumendoli in gestione diretta, o conferendoli ad aziende speciali appositamente costituite dagli Enti locali stessi.

Non si trattava, pertanto, di una mera tipologia di clausola contrattuale di recesso, inquadrabile nella sistematica civilistica, e caratterizzata soltanto da una disciplina di carattere speciale, nell’ambito della normativa concernente i servizi locali di interesse generale. Si trattava piuttosto di un potere pubblicistico ontologicamente connotato – come tutti i poteri pubblicistici, in ossequio al principio di legalità – da una finalità tipica, ovvero da un preciso vincolo di scopo.

Più precisamente, posto che all’Ente concedente era attribuito il potere di riscattare, a determinate condizioni, il servizio affidato in concessione, l’esercizio di tale potere era tutt’uno con l’assunzione diretta del servizio medesimo da parte dell’Ente stesso.

Al riguardo, il dato normativo era assai eloquente e lasciava ben pochi dubbi:

-          l’art. 1 stabiliva che “i Comuni possono assumere nei modi stabiliti dal presente testo unico l’impianto e l’esercizio diretto dei pubblici servizi”;

-          l’art. 24, nell’individuare e disciplinare il potere di riscatto, faceva riferimento, testualmente, alle “facoltà consentite dall’art. 1”, ossia propriamente all’atto stesso di assunzione diretta del servizio da parte dell’Ente locale, alla stregua del disposto dell’art. 1 appena riportato;

-          analogamente, a norma dell’art. 25, il provvedimento di riscatto coincideva con la deliberazione di assunzione diretta del servizio, la quale doveva contenere un progetto di massima, tecnico e finanziario, per la gestione diretta, nonché l’indicazione dei mezzi finanziari per farvi fronte.

Nella medesima direzione si potrebbero richiamare anche le norme del regolamento attuativo (d.P.R. n. 902/1986), che, solo per brevità, si tralasciano.

Si comprende, dunque, come riscatto e assunzione diretta del servizio appartenessero alla stessa vicenda pubblicistica; erano, per così dire, le due “facce” dell’esercizio del medesimo potere.

Va aggiunto, poi, che il riscatto, in quanto oggetto dell’ esercizio di un potere, derivava direttamente dalla legge e non dipendeva dall’autonomia negoziale delle parti in sede di contratto di concessione.

L’art. 26, R.D. n. 2578/1925, infatti, imponeva ai Comuni di inserire sempre, nei contratti di concessione, la facoltà di riscatto di cui al precedente art. 24, e rendeva altresì inderogabili in peius, per gli stessi Comuni, le condizioni (essenzialmente temporali) di riscatto stabilite da quest’ultima norma.

Pertanto, le clausole di riscatto inserite dai Comuni nei contratti di concessione non erano frutto dell’autonomia delle parti contraenti, ma costituivano nient’altro che il puntuale adempimento di un obbligo di legge, sia per quanto concerne la riscattabilità del servizio in quanto tale, sia per quanto concerne le condizioni di riscatto (salva solo la possibilità di prevedere condizioni più favorevoli per i Comuni rispetto a quelle legalmente stabilite).

 

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3. L'incidenza sull'istituto del riscatto anticipato del “Decreto “Letta” (d.lgs. n. 164/2000) e delle norme di riforma dei servizi pubblici locali.

L’istituto del riscatto, con le suddette specifiche caratteristiche, è stato investito, poi, in epoca recente, dalla complessa e articolata vicenda della riforma dei servizi pubblici locali, con i suoi vari, successivi passaggi legislativi.

Per quanto concerne il settore del gas, il d.lgs. n. 164/2000 (c.d.“Decreto Letta”), come è noto, ha imposto ai Comuni la regola della necessaria esternalizzazione dei servizi locali di distribuzione, attraverso apposite procedure di gara (art. 14) e, al contempo, ha  previsto un’anticipazione delle scadenze relative alle gestioni e alle concessioni esistenti, nell’ambito di un congruo e articolato periodo transitorio (art. 15). Nulla, tuttavia, è stato espressamente disposto in ordine alla facoltà di riscatto di cui all’art. 24, R.D. n. 2578/1925.

Nello stesso anno, poi, entrava in vigore il Testo Unico delle leggi sull’ordinamento degli Enti Locali (d.lgs. n. 267/2000), il quale, all’art. 123, comma 3, abrogava le norme del R.D. n. 2578/1925, mantenendone l’efficacia soltanto sino all’adeguamento delle aziende speciali alle nuove disposizioni, nonché facendo espressamente salvo l’esercizio del diritto di riscatto, ma limitatamente ai “rapporti in corso di esecuzione”.

Successivamente, l’art. 35, l. n. 448/2001, abrogava il suddetto art. 123, comma 3, d.lgs. n. 267/2000, e con esso la residua efficacia delle norme del R.D. n. 2578/1925, ivi compreso quanto concerneva il riscatto.

La misura trovava la sua ratio, con ogni probabilità, nella necessità di compensare i titolari delle gestioni in corso della cessazione anticipata degli affidamenti, stabilita dallo stesso art. 35, cit., in sede di riforma dei sevizi pubblici locali.

L’istituto del riscatto, quindi, doveva considerarsi definitivamente abrogato, salva la necessità di valutare la validità e l’efficacia delle clausole convenzionali stipulate nel vigore delle disposizioni previgenti.

Nel settore della distribuzione del gas, poi, come è noto, la giurisprudenza del Consiglio di Stato – discostandosi dal diverso orientamento espresso dal T.A.R. Lombardia, Sezione di Brescia (3) – si consolidava nel senso di ritenere la facoltà di riscatto tacitamente abrogata e non più esercitabile sin dall’entrata in vigore del “Decreto Letta” (4) . E ciò per due ordini di ragioni:

-          in primo luogo, si riteneva che il riscatto, come delineato dall’art. 24, R.D. n. 2578/1925, fosse coessenziale all’assunzione diretta del servizio da parte dell’Ente locale; assunzione diretta ormai incompatibile con il nuovo assetto normativo, con conseguente necessaria inoperatività anche della facoltà di riscatto;

-          in secondo luogo, si osservava che la persistenza di detta facoltà si sarebbe posta in contrasto con la ratio del regime transitorio delineato dall’art. 15, d.lgs. n. 164/2000, il quale mirava, a fronte dell’imperativa anticipazione delle scadenze contrattuali degli affidamenti, a gradualizzare il passaggio al nuovo sistema, assicurando, medio tempore, certezza e stabilità ai gestori.

 

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4. La norma di interpretazione autentica contenuta nell’art. 1, comma 69. l. n. 239/2004: il rapporto tra riscatto legale e riscatto convenzionale e i connessi profili di legittimità costituzionale.

Con la l. n. 239/2004 (nota come riforma “Marzano”), il Legislatore è intervenuto al deliberato scopo di privare di efficacia il suddetto orientamento interpretativo della giurisprudenza e consentire ai Comuni di continuare ad avvalersi della facoltà di riscatto, ora non più ai fini della municipalizzazione del servizio, bensì ai fini della più rapida messa in gara dello stesso, anticipando così l’attuazione della nuova normativa.

Questo obiettivo è stato perseguito attraverso una norma di interpretazione autentica dell’art. 15, d.lgs. n. 164/2000, ossia della disposizione che regola il regime transitorio e, segnatamente, prescrivendo che tale disposizione deve essere letta nel senso che “è fatta salva la facoltà di riscatto anticipato, durante il periodo transitorio, se stabilita nei relativi atti di affidamento o di concessione”, nonchè precisando che  “tale facoltà va esercitata secondo le norme ivi stabilite” (art. 1, comma 69, l n. 239/2004).

La scelta dell’introduzione di una norma interpretativa era finalizzata non solo e non tanto a rendere nuovamente possibile il riscatto (pur entro il periodo transitorio), ma altresì a preservare, con efficacia retroattiva, tutti i riscatti esercitati dopo l’entrata in vigore del d.lgs. n. 164/2000, con diretta incidenza anche sulle controversie pendenti, salve soltanto le pronunce già passate in giudicato.

Ebbene, tale operazione non pare immune da consistenti rilievi critici sul piano giuridico ed, in particolare, sul piano costituzionale.

Appare assai difficile, in primis, attribuire valore interpretativo alla disposizione in questione. Se, infatti, come si è evidenziato all’inizio del presente lavoro, la potestà di riscatto, come delineata dall’art. 24, R.D. n. 2578/1925, è inscindibile dall’assunzione diretta del servizio da parte dell’Ente riscattante, non appare plausibile interpretare l’art. 15 del “Decreto Letta” – ancorché esso non prenda espressamente posizione sul punto – nel senso di rendere ancora attuale la sequenza riscatto-municipalizzazione, atteso che l’articolo immediatamente precedente  (art. 14) è assolutamente chiaro nel disporre che il servizio di distribuzione del gas “è affidato esclusivamente mediante gara”.

Ed è noto che la giurisprudenza della Corte costituzionale ammette le leggi di interpretazione autentica – con conseguenti effetti retroattivi – quando la scelta interpretativa imposta dalla legge rientri tra le possibili varianti di senso del testo originario (5). E’ quindi lecito chiedersi se una disposizione di interpretazione autentica che forzi il dato normativo possa passare indenne dal sindacato di ragionevolezza ex art. 3, Cost., e risultare quindi costituzionalmente legittima.

A ciò si aggiunga – ed il rilievo appare decisivo – che la norma interpretativa pretende di rendere nuovamente operativo un istituto previsto da una disposizione – l’art. 24, R.D. n. 2578/1925 – ormai tout court abrogata, come si è visto, per effetto dell’art. 35, l. n.  448/2001, facendo salve clausole convenzionali che a detto istituto – come si dirà meglio nel prosieguo – appaiono inscindibilmente legate.

 

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5. La lettura del Consiglio di Stato (Sez. V, decisione n. 3817/2005) e i relativi profili di criticità.

Il Consiglio di Stato, posto di fronte a queste problematiche, ha ritenuto, tuttavia, che il comma 69 in esame fosse immune da profili di costituzionalità (6).

Tale norma, secondo i Giudici di Palazzo Spada, non mira a riesumare l’art. 24, R.D. n. 2578/1925, ormai abrogato, bensì fa semplicemente salve le clausole di riscatto autonomamente contemplate negli atti di affidamento o di concessione.

Se ben si comprende, secondo il Consiglio di Stato, tale effetto sarebbe compatibile con il disposto del d.lgs. n. 164/2000 (art. 15), in quanto, se da un lato l’art. 24, R.D n. 2578/1925 è incompatibile con il decreto di riforma, atteso che il riscatto ivi delineato presuppone il ricorso alla gestione diretta (come la stessa giurisprudenza amministrativa insegna), dall’altro lato non sussisterebbe analoga incompatibilità tra le clausole di riscatto inserite nei contratti di concessione ed il medesimo “Decreto Letta”. E ciò perchè tali clausole, a differenza dell’art. 24, cit., non sarebbero finalisticamente vincolate alla municipalizzazione del servizio, ma potrebbero essere azionate anche in vista di una diversa soluzione gestionale, quale l’affidamento a terzi mediante gara. 

Nella sostanza, ci pare che il massimo Organo della Giustizia Amministrativa proponga di “disancorare” le clausole convenzionali dalla norma istitutiva della potestà di riscatto, ovvero di concepire autonomamente le finalità delle une e dell’altra. In effetti, in questa logica si muove – come non ha mancato di sottolineare lo stesso Consiglio di Stato – il dato testuale della legge di interpretazione autentica, che, non a caso, non menziona affatto il Testo Unico del 1925, ma si limita a far salva la facoltà di riscatto solo “se stabilita nei relativi atti di affidamento o di concessione”, precisando poi – dato ancor più eloquente – che detta facoltà si esercita esclusivamente secondo le norme stabilite nei predetti atti di affidamento o di concessione.

E’ chiaro, allora, che le clausole convenzionali di riscatto sono concepite in una logica di totale autonomia e autosufficienza rispetto all’art. 24, R.D. n. 2578/1925.

Tale operazione – per così dire – di completa “emancipazione” delle clausole convenzionali dalla “norma-madre” appare, tuttavia, non facilmente giustificabile sul piano della ragionevolezza (costituzionalmente rilevante).

Nel vigore, infatti, del Testo Unico del 1925, nel quale l’inserimento in convenzione della facoltà di riscatto era obbligatorio a norma del già citato art. 26, le clausole in esame costituivano, per l’appunto, mera attuazione di un obbligo di legge. Esse si limitavano a recepire nel testo contrattuale un istituto di carattere pubblicistico, normativamente imposto e, come tale, destinato ad applicarsi ope legis.

Non pare, quindi, che vi sia spazio per concepire le clausole in parola a prescindere dai tratti specifici dell’istituto del riscatto, come delineati dall’art. 24, R.D. n. 2578/1925, non ultimo quello della sua inscindibilità dalla scelta della gestione pubblica diretta del servizio. Venuto meno l’istituto, allora, dovrebbero ragionevolmente seguire la stessa sorte le clausole applicative dell’istituto medesimo, in conformità al noto principio dell’invalidità successiva – richiamato dello stesso Consiglio di Stato – di cui agli artt. 1374 e 1418 c.c.

La norma di interpretazione autentica appare censurabile proprio perché, in realtà – a differenza di quanto ritenuto dal Consiglio di Stato –, sposa un’opzione ermeneutica che non appare compatibile con i dati normativi sopra esaminati: la “conservazione”, nel periodo transitorio, della facoltà di riscatto non sembra infatti plausibile come autonomo effetto della fonte contrattuale, ormai “orfana” della fonte normativa che ne era la fondamentale ed assorbente ragion d’essere, nell’ambito di una logica chiaramente pubblicistica caratterizzata dal rapporto tra potere amministrativo ex lege dell’Ente concedente e clausola convenzionale di recepimento.

Conforta in questa direzione l’orientamento dello stesso Consiglio di Stato – ribadito anche di recente – che ricostruisce il riscatto in termini di potere e ne evidenzia il fondamento squisitamente normativo (e non già contrattuale) (7). Orientamento che – per le ragioni sopra esposte – non appare coerente con la decisione del medesimo Giudice di mantenere indenne il comma 69 in esame, sul piano dei rilievi di legittimità costituzionale.

 

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6. L’art. 23, l. n. 51/2006: una sostanziale conferma della soluzione adottata con l'art. 1, comma 69, l. n. 239/2004.

Il c.d. “Milleproroghe” (d.l. n. 273/05 conv. in l. n. 51/2006) ha confermato, nella sostanza, la scelta assunta del Legislatore con il citato art. 1, comma 69, l. n. 239/2004, ma l’ha espressa, sul piano formale, in modo parzialmente differente.

L’art. 23, comma 3, l. n. 51/2006, fa semplicemente «salva » la facoltà di riscatto anticipato durante il periodo transitorio, se prevista nell’atto di affidamento o di concessione, senza più fare riferimento ad una interpretazione autentica dell’art. 15, d.lgs n. 164/2000.

La disposizione, non richiamando in parte qua – ma neppure abrogando espressamente – il sopracitato comma 69, pare abbia inteso sostituirlo, per così dire, assorbendolo, con l’auspicio, forse, di superare tutte le questioni legate alle norme di interpretazione autentica.

In realtà, le problematiche sopra poste, a nostro avviso, si rivelano pienamente attuali, anche in rapporto alla nuova formulazione normativa.

Quest’ultima, infatti, in quanto fa salva, analogamente al comma 69, esclusivamente la facoltà di riscatto convenzionale, presuppone comunque l’autonomia di tale facoltà rispetto al riscatto legale e, in definitiva, propone ancora un’opzione interpretativa del rapporto legge-contratto di concessione che ammette un riscatto anche per finalità diverse dall’assunzione diretta del servizio da parte dell’Ente locale.

Pertanto, la discutibilità sul piano costituzionale della soluzione legislativa va al di là della semplice questione dell’ammissibilità o meno, nella specie, dell’interpretazione autentica, per attenere, più in generale, alla ragionevolezza della legislazione (art. 3, comma 1, Cost.), in rapporto al corretto inquadramento – si passi o meno dalla lettura dell’art. 15, d.lgs. n. 164/2000 – della clausole convenzionali di riscatto, a fronte delle norme primarie che ne costituivano il fondamento.

 

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7. L'Ordinanza n. 1604/2007 del T.A.R. Veneto.

Con l'Ordinanza in epigrafe le suesposte considerazioni vengono finalmente fatte proprie dalla giurisprudenza.

Il T.A.R. Veneto, in particolare, esprime il suo punto di vista, articolandolo in tre  - tra loro connesse –  ragioni di critica alla citata sentenza del Consiglio di Stato n. 3817/2005.

In primo luogo il Collegio veneziano non ha mancato di rilevare l'infondatezza del principale “postulato” sui si basa l'orientamento del Supremo Giudice Amministrativo, ossia la presunta l'autonomia del riscatto convenzionale dal riscatto legale. Si legge infatti nell'Ordinanza:“(...) l'istituto convenzionale del riscatto che, come si è visto innanzi, doveva essere comunque introdotto nel testo contrattuale disciplinante i rapporti inter partes, era il medesimo contemplato in via generale ed astratta dal T.U. 2578 del 1925”.

L'argomento è ripreso – in inciso, laddove, ancora più chiaramente si afferma:  “(...) la clausola di riscatto sostanzialmente non rispondeva (...) ad una effettiva volontà contrattuale delle parti, ma al mero e del tutto doveroso richiamo ad una legge speciale venuta poi meno”.

Nessuno spazio interpretativo, dunque, per legittimare la persistenza delle clausole convenzionali di riscatto a seguito dell'abrogazione della legge speciale che detto istituto contemplava e disciplinava.

Il discorso non cambia – nota il T.A.R. Veneto, venendo al secondo argomento – osservando che la norma di interpretazione autentica è riferita all'art. 15, d.lgs. n. 164/2000 e non all'art. 24, R.D. n. 2578/1925, ossia alla norma in punto di regime transitorio e non alla norma direttamente disciplinante il riscatto.

L'art. 15, infatti, non reca alcun riferimento testuale al riscatto e quindi, a maggior ragione, come è ovvio, non può avere riguardo ad un riscatto diverso rispetto a quello di cui all'art. 24, R.D. n. 2578/1925, come sarebbe quello finalizzato non già alla gestione pubblica del servizio, bensì alla esternalizzazione dello stesso.

L'interpretazione autentica che la norma interpretativa ritiene di sposare va dunque al di là dei possibili significati della norma interpretata.

In terzo luogo – seguendo sempre l'iter argomentativo dell'Ordinanza in commento – , l'art. 1, comma 69, l. n. 239/2004, non solo è logicamente viziato in quanto si rivela incompatibile con la natura interpretativa che la norma stessa si auto-attribuisce,  ma è altresì caratterizzato da un contenuto sostanziale che confligge con gli artt. 3 e 97 Cost. (con riguardo ai principi di ragionevolezza, nonché buon andamento e imparzialità dell'azione amministrativa).

La disposizione, infatti, finisce per introdurre, con effetti retroattivi, una nuova ipotesi di recesso contrattuale, non previsto dalle legge e non contemplato dalle parti contraenti: i riscatti convenzionali, infatti, inseriti nei contratti di concessione, facevano riferimento al riscatto di cui all'art. 24, R.D. n. 2578/1925, esclusivamente finalizzato all'assunzione diretta del servizio da parte dell'Ente locale; la “nuova” facoltà di  riscatto – o meglio di recesso -  avrebbe invece la diversa funzione di anticipare la piena attuazione della riforma di settore – indotta dal diritto comunitario –  attraverso il reale assoggettamento dell'attività di distribuzione del gas ai principi di concorrenza.

Ciò equivale ad uno stravolgimento della volontà contrattuale delle parti ed, in particolare, del significato delle clausole convenzionali di riscatto. Di qui “la lesione dei principi di buon andamento e dell'imparzialità dell'azione amministrativa, che – come si legge ancora nell'Ordinanza – implicano anche l'affidamento della parte privata nelle convenzioni da essa stipulate con la pubblica amministrazione”.

L'adeguamento al nuovo sistema concorrenziale previsto dalla riforma non può essere ottenuto modificando ex post la funzione delle pattuizioni contrattuali sottoscritte dalle parti, ma deve essere realizzato “con i tempi e i modi contemplati in via generale e del tutto garantistica dal legislatore (...)” .

L'anticipazione di tale adeguamento, che la norma scrutinata consente, è invece del tutto casuale e irragionevole.

Basti pensare – anche questo aspetto è sottolineato dal Giudice a quo – che la disposizione in esame ha tra i suoi effetti anche quello di differenziare arbitrariamente il trattamento dei contratti di concessione provvisti di esplicita clausola di riscatto – come imponeva l'art. 26, R.D. n. 2578/1925 –  da quelli privi di tale clausola.

I concessionari titolari di contratti di quest'ultimo tipo vengono “premiati” –  non potendo subire alcun riscatto anticipato nel periodo transitorio – soltanto perchè le loro convenzioni furono a suo tempo sottoscritte senza il doveroso richiamo al riscatto di cui all'art. 24, R.D. n. 2578/1925 (sic!). Ma tale omissione non corrispondeva alla libera scelta delle parti di sottrarre il loro rapporto ad ogni possibilità di riscatto anticipato, ma soltanto all'inosservanza di un obbligo di legge, che sul punto non lasciava alcuna margine di autonomia negoziale ai contraenti:  non poteva esistere ex lege alcun contratto di concessione non soggetto alla disciplina legale del riscatto ex art. 24 del T.U. Del 1925; l'obbligatorietà di tale disciplina era infatti sancita, inequivocabilmente, dal successivo art. 26.

Pertanto, sul punto in questione, appare del tutto irragionevole discriminare contratto di concessione da contratto di concessione; e a maggior ragione privilegiare i contratti privi di una clausola obbligatoria ex lege.

 

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7. Conclusioni.

In conclusione, i profili di costituzionalità evidenziati appaiono, a nostro avviso, consistenti ed  idonei a legittimare una pronuncia di incostituzionalità da parte della Consulta.

Il riscatto, dunque, da “problema ancora aperto” (7), si avvia forse al suo definitivo tramonto.

Da sottolineare che, se così fosse, rilevanti sarebbero gli effetti sulle procedure di riscatto, avviate in seguito all'entrata in vigore della l. n. 239/2004, che siano state oggetto di tempestiva impugnazione in sede giurisdizionale e che costituiscano materia di giudizi non ancora conclusi con sentenza passata in giudicato.

Ove, infatti, la Corte Costituzionale dovesse ritenere fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dal T.A.R. Veneto, i riscatti impugnati sarebbero necessariamente invalidati. Resterebbero salve soltanto le sentenze passate in giudicato che avessero confermato la legittimità del riscatto, così come i provvedimenti di riscatto ormai divenuti inoppugnabili.

Considerazioni che, come è facile immaginare, sconsigliano le Amministrazioni locali di intraprendere procedure di riscatto nelle more dell'attesa pronuncia della Consulta.

 

Note:

(1) “Il riscatto del servizio di distribuzione del gas: un problema ancora aperto?”, in “Azienditalia”, n. 11/2005.

(2) Sia consentito rinviare ancora alle obiezioni mosse nel ns. lavoro citato alla precedente nota (cfr., in particolare, pag. 804-806), che peraltro saranno riprese nel prosieguo del presente articolo.

(3) Cfr., per tutte, T.A.R. Lombardia-Brescia, n. 456/2003 e n. 960/2003.

(4) Cfr, ex pluribus, Cons. St., Sez. V, n. 3455/2002; n. 3246/2003; n. 3823/2004; n. 4364/2004; n. 4788/204; n. 4791/2004.

(5) Cfr. Corte Cost. n. 525/2000; n. 311/1995; n. 397/1994.

(6) La pronuncia fondamentale nella quale il Consiglio di Stato ha preso per la prima volta posizione sul punto, motivando articolatamente, è Cons. St., Sez. V, n. 3817/2005.

(7) Per quanto concerne l’esame dell’esercizio del riscatto secondo lo schema carenza di potere /cattivo uso del potere, cfr. Cons. St., Sez. V, n. 4791/2004. Con riguardo al fondamento normativo/contrattuale del riscatto, il Consiglio di Stato ha affermato: “la facoltà di avvalersi dell’istituto del riscatto anticipato non ha la sua fonte nella disciplina convenzionale  della concessione (…), ma deriva direttamente da una norma di legge (Cons. St., Sez. V, n. 7124/2005 e n. 3146/2004; cfr, nello stresso senso, Sez. V, n. 6324/2004). 

(8) Come si intitolava il ns. contributo citato alla nota 1, proprio per la rilevanza delle questioni di costituzionalità che, a ns. avviso, si frapponevano all'operatività del riscatto nel periodo transitorio.

 

avv.stefanoferla@libero.it

Sentenza: TAR Veneto, Sez. I, 29/5/2007 n. 1604
Sulla facoltà di riscatto anticipato del servizio di distribuzione del gas: sollevata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, c. 69, primi due periodi, della L. 23 agosto 2004 n. 239 (legge "Marzano").

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