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Riparto di giurisdizione in materia di servizi pubblici. Problematiche interpretative e applicazioni giurisprudenziali della sent. n. 204/2004 della Corte Costituzionale..
di Stefano Ferla  (avv.stefanoferla@libero.it) 29 novembre 2007
Materia: servizi pubblici / giurisdizione e competenza

Riparto di giurisdizione in materia di servizi pubblici. Problematiche interpretative e applicazioni giurisprudenziali della sentenza n. 204/2004 della Corte  Costituzionale con riguardo alle concessioni di servizi pubblici: la difficile “sopravvivenza” della giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo.

 

1. Riflessioni preliminari sull'impianto fondamentale della sentenza n. 204/2004 della Corte Costituzionale, per quanto concerne la giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo in materia di servizi pubblici.

E’ noto che la Corte Costituzionale, con sentenza n. 204/2004, dichiarando parzialmente incostituzionale l’art. 33, d.lgs. 80/1998 e ss.mm.ii, ha ristretto l’ambito della giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo in materia di servizi pubblici, precisando che quest’ultima deve ritenersi limitata alle “controversie relative a concessioni di pubblici servizi, escluse quelle concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi, ovvero relative a provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione o dal gestore di un pubblico servizio in un procedimento amministrativo disciplinato dalla legge 241 del 7 agosto 1990, ovvero ancora relative all’affidamento di un pubblico servizio ed alla vigilanza e controllo nei confronti del gestore”.

Prima di affrontare specificamente l'oggetto del presente lavoro, appare necessario dedicare alcune riflessioni preliminari al nucleo essenziale della citata sentenza n. 204/2004, la quale, come noto, è stata già oggetto di molteplici approfondimenti in sede dottrinale.

La Corte ha ritenuto che l'art. 103, Cost., non consenta al Legislatore di assegnare alla giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo tutte le controversie relative a materie, nelle quali, semplicemente, la P.A. sia parte in causa, ovvero dove assumano genericamente rilievo pubblici interessi.

Un tale ambito di discrezionalità a disposizione del Legislatore, ad avviso della Consulta, sarebbe troppo esteso, in quanto renderebbe possibile una illegittima dilatazione della sfera di cognizione del Giudice Amministrativo, fino a farvi rientrare, indiscriminatamente, fattispecie nelle quali la P.A. opera iure privatorum, senza esercitare alcun potere di carattere autoritativo.

I Giudici costituzionali hanno motivato queste statuizioni sulla base di una diffusa ricostruzione del disegno dei Costituenti in tema di riparto di giurisdizione. Ricostruzione che giunge, in sintesi, ai seguenti esiti.

Come si evince dai  lavori dell'Assemblea Costituente – ampiamente citati dalla Corte – , La Carta Costituzionale ha inteso porsi in continuità con l’impostazione fondamentale della legge del 20 marzo 1865, la quale, traendo ispirazione dal principio liberale dell’unità della giurisdizione, aveva affidato interamente al Giudice Ordinario la tutela giurisdizionale dei diritti soggettivi dei cittadini nei confronti della P.A., lasciando all’esclusiva cura della stessa Amministrazione gli altri “affari”, ossia quelle controversie nelle quali la posizione del privato non assumeva la rilevanza giuridica del diritto soggettivo, in ragione della caratterizzazione autoritativa dell’agire dell’Amministrazione.

E’ propriamente nell’ambito di questi altri “affari” che prese forma, attraverso l’istituzione della IV Sezione del Consiglio di Stato (con la c.d. “Legge Crispi” del 1889), la giurisdizione del Giudice Amministrativo: una giurisdizione che si caratterizzò subito per estendere la tutela giurisdizionale nei confronti della P.A. anche a posizioni diverse dal diritto soggettivo e, segnatamente, a quelle posizioni, intrinsecamente connotate dalla veste autoritativa dei pubblici poteri, che vennero subito denominate interessi legittimi.

Il Giudice Amministrativo, dunque, entrò in scena, non per sottrarre spazio alla giurisdizione ordinaria, intesa allora quale unica giurisdizione in materia di diritti soggettivi, ivi compresi i diritti afferenti ai rapporti tra i privati e la Pubblica Amministrazione, bensì per giurisdizionalizzare la tutela di posizioni sino ad allora confinate nella sfera amministrativa.

In ragione di quanto sopra, la funzione geneticamente e ontologicamente propria del Giudice Amministrativo, secondo la Consulta, è stata e continua ad essere  quella di assicurare giustizia nell’amministrazione, ossia di offrire idonea tutela al privato in quell’ambito specifico in cui la Pubblica Amministrazione agisce come autorità.

La Corte non ha avuto dubbi nel ritenere che il comparto della Giustizia Amministrativa abbia trovato ingresso nella disciplina costituzionale con questo precipuo profilo.

In questo quadro, allora, la giurisdizione amministrativa esclusiva rappresenta un’eccezione che può trovare giustificazione solo in presenza di presupposti peculiari.

In tal senso occorre leggere l’art. 103 Cost., nella parte in cui prevede che la cognizione del Giudice Amministrativo possa estendersi anche ai diritti soggettivi, ma soltanto “in particolari materie indicate dalla legge”.

Il punto centrale della pronuncia della Consulta è costituito, a nostro avviso, proprio dalla definizione selettiva e, quindi, dalla rilevante valorizzazione dell’espressione “particolari materie”.

Si legge, segnatamente, che tali materie: “...devono essere particolari, rispetto a quelle devolute alla giurisdizione di legittimità: e cioè devono partecipare della loro medesima natura, che è contrassegnata dalla circostanza che la pubblica amministrazione agisce come autorità nei confronti della quale è accordata tutela al cittadino davanti al giudice amministrativo”.

In breve, il Giudice Amministrativo può essere chiamato all’opera dal Legislatore solo laddove la P.A. agisce come autorità.

In un successivo passaggio, i Giudici della Corte hanno ribadito il medesimo concetto in altra forma, sostenendo che sussiste un rapporto di genere a specie tra le materie nelle quali la P.A agisce come autorità – ovvero quelle tradizionalmente appannaggio della giurisdizione generale di legittimità – e quelle che la legge può assegnare alla giurisdizione amministrativa esclusiva.

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Ora, la presa di posizione dei Giudici costituzionali, senz'altro molto chiara nel suo contenuto e nei suoi presupposti teorici, non pare però aliena da problematici risvolti applicativi.

Le statuizioni sopra sintetizzate, infatti, pongono, innanzitutto, il seguente problema: se, anche in sede di giurisdizione esclusiva, il G.A. può avere di fronte soltanto un’Amministrazione connotata in senso autoritativo, non pare inutile chiedersi quale spazio residua per una giurisdizione amministrativa sui diritti e, in definitiva per la giurisdizione esclusiva tout court, atteso che è proprio la presenza della P. A intesa come autorità a conformare la posizione del privato in termini di interesse legittimo.

La sentenza, invero, non contiene una risposta di carattere generale ad un tale quesito; contiene piuttosto un risposta concreta ed operativa, laddove giunge a delimitare nel dettaglio le sub-materie che, nell’ambito dei servizi pubblici, possono legittimamente continuare a rimanere nella sfera di cognizione del Giudice Amministrativo.

Ma non sono enunciati esplicitamente i criteri in base ai quali sia possibile rintracciare materie in cui, per un verso, la P.A operi come autorità e, per altro verso, non manchino rapporti paritari tra Amministrazione e privati (e quindi diritti soggettivi in capo a questi ultimi).

La prima nozione a cui appare giocoforza fare riferimento è quella – così diffusa nelle ricostruzioni dottrinali e non a caso richiamata anche dal Giudice a quo – dell’inestricabile intreccio tra diritti soggettivi ed interessi legittimi, ovvero dello spesso citato “nodo gordiano” che dovrebbe legare le due situazioni giuridiche soggettive in parola. In sostanza, nelle materie nelle quali la contiguità tra diritti e interessi sarebbe tale da renderli difficilmente distinguibili, risulterebbe giustificato il ricorso, da parte del Legislatore, alla giurisdizione amministrativa esclusiva.

Sarebbe proprio questo – esplicito è al riguardo il Giudice remittente –  il criterio alla base dei casi di giurisdizione esclusiva introdotti anteriormente al d.lgs. n. 80/1998. Solo quest’ultimo avrebbe “inaugurato” un diverso criterio, ossia quello (illegittimo) della devoluzione per blocchi di materie.

A chi scrive, tuttavia, pare, in primo luogo, che adottare il criterio  della sostanziale indistinguibilità tra diritti e interessi, quale criterio per la scelta legislativa della giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo, non tenga adeguatamente conto che, in ogni caso, la distinzione in concreto tra le due posizioni soggettive in parola è processualmente doverosa.

E ciò in quanto ai diritti e agli interessi legittimi corrispondono due diversi processi, rispettivamente conseguenti alla specifica natura delle due situazioni soggettive: l’uno a cognizione piena e diretta della pretesa sostanziale, l’altro imperniato sul sindacato di legittimità dell'esercizio del potere amministrativo e sul conseguente (eventuale) annullamento dei relativi atti (ove illegittimi).

Posto che la distinzione tra diritti ed interessi legittimi è costituzionalizzata (art. 103 Cost.) e che da tale distinzione discendono differenti modalità di tutela, il Giudice Amministrativo, in sede esclusiva, è tenuto a qualificare, di volta in volta, la posizione soggettiva sottoposta al suo esame, per poter individuare e, quindi, applicare le pertinenti regole processuali.

Giova ricordare al riguardo che la giurisprudenza costituzionale ha da tempo evidenziato tale necessità, laddove ha sancito il principio che anche i diritti soggettivi ricadenti nella giurisdizione del Giudice Amministrativo meritano le stesse concrete modalità di tutela processuale di cui beneficiano i diritti soggettivi assegnati alla cognizione del Giudice Ordinario. Con due note sentenze “additive”, infatti, la Corte costituzionale ha da molti anni – ben prima delle innovazioni introdotte dal d.lgs. n. 80/1998 e dalla l. n. 205/200 – attribuito al Giudice Amministrativo, quando – e solo quando –  conosce di diritti soggettivi, gli stessi poteri cautelari ed istruttori di cui dispone il Giudice Ordinario (cfr. rispettivamente, n. 190/1985 e  n. 146/1987).

Tale giurisprudenza costituzionale ha, naturalmente, un solido fondamento nel principio di eguaglianza (art. 3 Cost.), il quale impone che la tutela di posizione soggettive omogenee sia la medesima, a prescindere dal plesso giurisdizionale competente, nonché nel principio della pienezza della tutela giurisdizionale dei diritti soggettivi, anche nei confronti della P.A. (artt. 24 e 113 Cost.).

Ma non si deve trascurare che detti orientamenti sono altrettanto saldamente ispirati al disposto dell’art. 103 Cost., ovvero alla norma che ha costituzionalizzato la figura dell’interesse legittimo come posizione soggettiva autonoma e distinta dal diritto soggettivo, nonché come criterio generale di individuazione della giurisdizione del Giudice Amministrativo. Tale norma non consente l’assimilazione delle modalità di tutela processuale di diritti ed interessi legittimi. Per tale ragione la Corte ha ritenuto di ampliare i poteri giurisdizionali del Giudice Amministrativo soltanto in materia di diritti soggettivi.

L'interesse legittimo, dunque, ha trovato ingresso nella Costituzione così come originariamente delineato dalle leggi istitutive del sistema italiano di Giustizia Amministrativa. L’art. 103 Cost., infatti, non contiene alcuna definizione di tale figura, ma si limita a recepirla, mutuandola da norme ordinamentali già presenti.

E non vi è dubbio che l’interesse legittimo è figura che trova la sua definizione in relazione al potere amministrativo e ai suoi caratteri peculiari. A tale figura è quindi connaturata una modalità di tutela che coincide con il controllo del corretto esercizio del potere amministrativo. Le specificità del processo di legittimità – non certo immutabili, ma pur sempre specificità –  appaiono dunque inscindibili dalla natura dell’interesse legittimo, come recepito nell’impianto costituzionale.

Per questi motivi non sarebbe ragionevole, e neppure costituzionalmente appropriato, a nostro avviso, assumere, come criterio legislativo di scelta della giurisdizione amministrativa esclusiva, la necessità/opportunità di superare le difficoltà di distinzione tra diritti e interessi in determinate materie, come se la devoluzione dell’intera materia di volta in volta considerata al medesimo Giudice esonerasse da ogni operazione qualificatoria.

Se, infatti, una qualificazione della posizione soggettiva non occorre per l’individuazione della giurisdizione, essa è tuttavia irrinunciabile e costituzionalmente doverosa per quanto concerne l’individuazione del “processo” applicabile. 

Ne deriva, allora, che ciò che comunemente viene chiamato inestricabile intreccio di diritti e interessi, in verità inestricabile non è, in quanto la stessa Costituzione impone sempre di discernere, per assicurare a situazioni omogenee tutele omogenee.

Il criterio che si impernia sulla contiguità/indistinguibilità di diritti e interessi ci appare, allora, per un verso, oscuro, sfuggente e, in definitiva, arbitrario, e, per altro verso, non coerente con i principi costituzionali in materia di tutela giurisdizionale nei confronti della P.A.

Resta, pertanto, da comprendere, in concreto, in base a quali criteri possa dirsi che una determinata materia attribuita alla giurisdizione del Giudice Amministrativo soddisfi il requisito di partecipare della stessa natura delle materie affidate alla giurisdizione di legittimità – come vuole la Corte –  e, nel contempo, rimanga effettivamente materia di giurisdizione esclusiva, senza rifluire interamente nel campo dei soli interessi legittimi.

Lo spazio disponibile sembra molto ristretto.

Lo conferma la specifica elencazione della “sub-materie”, che, secondo la Consulta, possono essere legittimamente oggetto della giurisdizione amministrativa esclusiva, nell’ambito della “macro-materia” dei servizi pubblici.

In tale elencazione, infatti, è difficile individuare materie che non contemplino l’esclusiva presenza di interessi legittimi.

Così è, emblematicamente, per “i provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione o dal gestore di un pubblico servizio in un procedimento amministrativo disciplinato dalla legge n. 241 del 7 agosto 1990” In tal caso, infatti, si tratta della tipica attività provvedimentale di tipo  procedimentalizzato. Il riferimento specifico alla l. n. 241/1990 è già sufficiente, del resto, a segnalare che si è in presenza dell’esercizio di un potere amministrativo.

Discorso analogo vale anche per le controversie relative all’affidamento di un pubblico servizio, atteso che –  come conferma la pressi giurisprudenziale –  la fase di affidamento dei contratti pubblici, sostanziandosi nell’espletamento di attività procedimentalizzata volta al perseguimento di precipui interessi pubblici, presenta, in effetti, soltanto posizioni di interesse legittimo, come tali rientranti nella giurisdizione di legittimità del Giudice Amministrativo. Ciò vale per le procedure di affidamento di tutti i contratti pubblici, siano essi contratti di appalto o contratti di concessione, abbiano per oggetto lavori, forniture o servizi da rendere a favore della P.A, ovvero concernano pubblici servizi da erogare direttamente all’utenza.

Né, infine, pare che l’attività di vigilanza e controllo nei confronti dei gestori dei pubblici servizi sfugga alla categoria dell’esercizio del potere amministrativo in senso proprio. Il controllo, infatti, costituisce –  e non da ora – una delle figure generali di classificazione del potere amministrativo.

L’unica sub-materia che appare in effetti caratterizzata dalla possibile compresenza di diritti e interessi legittimi, è quella che la Consulta ha individuato nelle controversie relative a concessioni di pubblici servizi, escluse quelle concernenti indennità, canoni o altri corrispettivi.

Alle problematiche connesse all'individuazione di tale ambito materiale è dedicata le seguente analisi, svolta alla luce delle recenti applicazioni giurisprudenziali.

 

2. Le problematiche connesse all'individuazione della giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo con riguardo alle concessioni di pubblici servizi dopo la sentenza n. 204/2004 della Corte Costituzionale.

La trattazione delle problematiche in rubrica è qui suddivisa in due parti, aventi ad oggetto divergenti letture dei dicta della Consulta: nella prima si argomenterà la tesi condivisa da chi scrive, sulla base di specifici riferimenti giurisprudenziali; nella seconda si cercherà di analizzare il diverso orientamento che si riscontra in una parte della giurisprudenza del Giudice Amministrativo, per trarne poi alcune considerazioni conclusive sui possibili “rischi” insiti nell'impianto fondamentale della sentenza n. 204/2004.

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2.1. Si deve precisare, innanzitutto, che la materia in parola (concessioni di pubblici servizi), come delineata dalla Corte Costituzionale, ha ad oggetto, a nostro avviso, le sole controversie inerenti alla fase di esecuzione del rapporto concessorio (escluse  quelle di carattere meramente patrimoniale), in quanto la fase di affidamento, compresa anch’essa nella sfera di cognizione esclusiva del Giudice Amministrativo, è stata indicata a parte dalla Consulta, come si è visto poco sopra, con la dizione “affidamento dei pubblici servizi”.

Va poi sottolineato che la Consulta ha inteso riprodurre in sentenza – rimarcandolo esplicitamente –  la formula che era contenuta nell'art. 5, l. n. 1034/1971 per definire la giurisdizione amministrativa esclusiva in materia di concessioni di beni e servizi pubblici, prima che il d.lgs m. 80/1998 intervenisse espungendo da detta norma l'ambito attinente alle concessioni di pubblici servizi, al fine di inglobarlo nella più ampia materia delineata dall'art. 33 dello stesso decreto.

La riproposizione, da parte dei Giudici costituzionali, della medesima formulazione contenuta nel testo originario del citato art. 5, l. n. 1034/1971, dovrebbe, pertanto, riattualizzare la giurisprudenza formatasi nel vigore di tale norma.

Di tale giurisprudenza, in effetti, è stata esplicitamente riaffermata l'attualità in importanti pronunce emesse a seguito e alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 204/2004.

Ebbene, secondo la giurisprudenza in punto di applicazione del citato art. 5, l. n.1034/1971, sussiste la giurisdizione amministrativa esclusiva quando la controversia riguardi la validità o la determinazione del contenuto e degli effetti del contratto di concessione, nonchè l'estensione degli obblighi e dei diritti delle parti; sussiste la giurisdizione ordinaria quando la controversia riguardi semplicemente il pagamento dei corrispettivi (cfr., tra le tante, Cass. civ., SS.UU., 10 gennaio 2003 n. 256;  25 giugno 2002 n. 9284; 9 maggio 2002 n. 6687; 7 febbraio 2002 n. 1764; 22 ottobre 2001 n. 12940; 5 dicembre 2001 n. 15425; 20 febbraio 1999 n. 88; 9 ottobre 1990 n. 9923; 12 giugno 1990 n. 5706; Cons. St., Sez, VI, 10 luglio 2002 n. 3854; Cons. St., 7 dicembre 1994, n. 1741).

Più concretamente – per esemplificare – sono state ascritte alla giurisdizione del G.A. le controversie in cui l'Amministrazione concedente o il concessionario deducano la responsabilità della controparte per allegate violazioni degli obblighi scaturenti dal rapporto concessorio (cfr. Cass. civ., SS.UU., 25 giugno 2002 n. 9284; 9 maggio 2002 n. 6687, citt.), nonché quelle in cui si prospetti “il rifiuto di una delle parti di riconoscere il diritto dell'altra parte” (Cons. St., Sez. VI, 10 luglio 2002, n. 3854).

La giurisprudenza sopra richiamata è stata ripresa e ribadita, come accennato, sia dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, sia dal Consiglio di Stato, a seguito della sentenza n. 204/2004 della Corte Costituzionale.

Per quanto concerne la Suprema Corte, esplicita è, in particolare, Cass. civ. SS.UU. 6 luglio 2005 n. 14198; nel medesimo senso, Cass. civ. SS.UU. 6 luglio 2005 n. 14198 e, da ultimo, Cass. civ. SS.UU. 6 luglio 2007 n. 15239.

Quanto al massimo Organo della Giustizia Amministrativa, particolarmente significativa è la recente sentenza della V Sezione,  n. 236 del 27.1.2006.

In tale pronuncia il Consiglio di Stato, dopo aver  qualificato in termini di concessione di pubblico servizio il rapporto portato alla sua cognizione (nella specie, si trattava di una convenzione per la gestione dei servizi di accertamento, liquidazione e riscossione delle entrate comunali), ha concluso per la sussistenza della giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo con riguardo a questioni precipuamente attinenti all'esecuzione del rapporto.

Lo ha fatto prendendo espressamente in esame quanto statuito dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 204/2004 ed invocando, a conforto, la già citata sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, n. 5336/2005, che, a seguito della predetta pronuncia della Consulta, aveva dichiarato la giurisdizione amministrativa esclusiva con riguardo ad una controversia relativa all'esecuzione del rapporto concessorio e, segnatamente, concernente una domanda di risoluzione della convenzione, avanzata da una delle parti, per inadempimento degli obblighi ivi sanciti, imputato all'altra parte, con conseguente richiesta risarcitoria.

Nella medesima direzione, non mancano neppure pronunce dei Giudici Amministrativi di primo grado. Si vedano, in particolare:

  • T.A.R. Lazio. Sez. III ter, n. 7571/2004, che, dopo la sentenza n. 204/2004, cit., ha dichiarato la giurisdizione del Giudice Amministrativo in una controversia relativa ad un “atto paritetico” di disdetta di un rapporto concessorio;
  • T.AR. Liguria, Sez, II, n. 737/2005, che, sempre prendendo in esame la sopravvenuta pronuncia della Consulta, ha concluso per la sussistenza della giurisdizione amministrativa esclusiva relativamente ad “una controversia concernente l'accertamento dell'eventuale inadempimento dell'Amministrazione ad una convenzione attuativa di concessione di servizi pubblici”.

Secondo questa impostazione giurisprudenziale, rientra nella cognizione del Giudice Amministrativo il complesso delle questioni che si fondano sul rapporto di concessione, inteso come rapporto di diritto pubblico, sia che si tratti di questioni che riguardino l’esercizio di poteri provvedimentali che la legge attribuisca all’Ente concedente (si pensi, per es., al potere di riscatto anticipato quale era previsto dall’art. 24, R.D. n 2578/1925[1]), sia che si tratti di questioni relative all’interpretazione e all’applicazione delle clausole della convenzione che accede al titolo concessorio. Questo secondo genere di questioni ha normalmente per oggetto l’accertamento dei diritti e degli obblighi delle parti, nonché l’individuazione delle relative conseguenze giuridiche: si tratta, quindi, di controversie relative a rapporti paritari tra P.A e privato, che si collocano comunque nel quadro di una regolamentazione dei rapporti stessi che trae origine da un titolo provvedimentale.

In quest'ottica, rimangono escluse dalla giurisdizione amministrativa esclusiva le sole questioni relative alla corretta determinazione di canoni, indennità od altri corrispettivi, ovvero relative all’accertamento non già dell’an, ma soltanto del quantum della prestazione economica interessata.

Ebbene, una siffatta regola di riparto in materia di concessioni di pubblico servizio sembra poter trovare spazio in quella “via stretta” delineata dalla Corte Costituzionale per la giurisdizione amministrativa esclusiva.

Infatti, le concessioni di servizio pubblico configurano rapporti di diritto pubblico, originati da un titolo provvedimentale (la concessione) e nel cui svolgimento la P.A. mantiene le prerogative pubblicistiche dell'Ente concedente, non operando in forza della sua ordinaria capacità di diritto privato.

L'inclusione, allora, della materia delle concessioni di servizio pubblico nell'ambito della giurisdizione esclusiva del G.A., salvo che per i profili prettamente economici, si spiega in quanto, in tale materia, la P.A. opera come Ente concedente e, quindi, in veste di autorità.

La circostanza che, poi, nella materia de qua, si riscontrino, a seconda delle fattispecie concrete che vengono di volta in volta in rilievo, sia posizioni di diritto soggettivo sia posizioni di interesse legittimo, lungi dall'escludere in parte qua la giurisdizione amministrativa, vale invece a confermarne e giustificarne il suo carattere esclusivo.

Infatti, ritenere che la sentenza della Corte Costituzionale n. 204/2004   ammetta la giurisdizione del G.A. solo, in concreto, nei casi in cui la posizione soggettiva azionata sia di interesse legittimo, varrebbe ad eliminare tout court la giurisdizione amministrativa esclusiva e a fornire un'interpretazione abrogatrice dell'art. 103 Cost., nella parte in cui  espressamente la prevede.

E' evidente che la sentenza n. 204/2004 non possa essere interpretata in modo da farne derivare conseguenze in contrasto con lo stesso dettato costituzionale.

Per quanto le statuizioni della Consulta non siano di facile applicazione, i Giudici costituzionali non hanno inteso certamente eliminare ogni “spazio di agibilità” per la giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo, ma piuttosto precisare che le materie di giurisdizione esclusiva sono testualmente definite particolari (come si legge all'art. 103 Cost.), in quanto devono presentare – questo, almeno, appare essere il presupposto in linea teorica – una connessione tra profili paritetici e profili autoritativi, diritti soggettivi e interessi legittimi; connessione che vi può essere solo negli ambiti materiali ai quali non sia estranea la P.A intesa come autorità.

Che la materia della controversie relative alle concessioni di pubblico servizio, come delineata dalla sentenza n. 204/2004, abbia la medesima perimetrazione di quella indicata nell’originaria versione dell’art. 5, l. 1034/1971 è del resto confermato – come già accennato –  dal dato testuale della sentenza stessa, laddove espressamente si precisa: “così come era previsto fin dall’art. 5 della legge n. 1034 del 1971”.

Appare utile osservare, poi, che, con riferimento alla materia in esame, anche altre norme dell’ordinamento non autorizzano interpretazioni maggiormente restrittive delle giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo.

Si fa riferimento alle regole sancite, in generale, dall' art. 11, l. n. 241/1990  per gli accordi di diritto pubblico tra P.A. e privati.

Tale norma, come è noto, è dedicata agli accordi determinativi del contenuto o sostitutivi di provvedimenti amministrativi; essa prende dunque in esame lo strumento contrattuale quale forma e modalità di esercizio dei pubblici poteri.

Ora, non vi è dubbio che la concessione di pubblico servizio costituisce atto provvedimentale che l'Amministrazione assume nella sua veste di autorità; la convenzione che accede all'atto di concessione integra, quindi, un contratto o accordo di diritto pubblico, che talvolta determina il contenuto del provvedimento concessorio, talvolta sostituisce integralmente quest'ultimo, costituendo l'unico supporto formale del rapporto di concessione.

Poiché, quindi, i contratti di concessione appartengono al genus degli accordi di diritto pubblico di cui all'art. 11, l. n. 241/1990, non appare inappropriato richiamare l'ultimo comma dell'articolo citato, il quale estende la giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo a tutte le controversie relative agli accordi in questione, ivi comprese, espressamente, quelle concernenti l'esecuzione degli accordi medesimi.

In questo senso si è esplicitamente pronunciato il Consiglio di Stato (V Sezione), con la già citata sentenza n. 236/2006, dove ha ricondotto un contratto di concessione fra  gli accordi di cui all'art. 11, l. n. 241/1990, con le relative conseguenze in punto di giurisdizione.

Va aggiunto che, a ben  vedere, il citato art. 11 assegna al Giudice Amministrativo un ambito più esteso di quello individuato dall’originaria formulazione dell’art. 5, l. n. 1034/1971 (ed ora dalla giurisprudenza costituzionale). In esso sono infatti comprese tutte le controversie relative alla fase di esecuzione degli accordi, senza alcuna esclusione di quelle a contenuto puramente economico. Non è da escludere che la norma, ove passasse al vaglio della Consulta, potrebbe subire una restrizione del suo ambito di efficacia, in coerenza con quanto stabilito dalla sentenza n. 204/2004.

Tuttavia, le controversie relative all’esecuzione del rapporto contrattuale non si esauriscono ai soli profili economico-quantitativi, ma involgono comunque, almeno prevalentemente, la cognizione delle posizioni di diritto soggettivo derivanti dalle clausole convenzionali. Appare quindi confermata la pertinenza di un richiamo sistematico al citato art. 11,  anche ove visto sotto la “lente” dei principi sanciti dalla giurisprudenza costituzionale citata.

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2.2. A seguito della sentenza n. 204/2004 della Corte Costituzionale, ha preso forma, tuttavia, anche un diverso orientamento giurisprudenziale, che porta alle estreme conseguenze il nucleo più problematico della pronuncia della Consulta – quello che tende a stabilire un rapporto di stretta correlazione tra l’attività autoritativa della P.A. e la giurisdizione del Giudice Amministrativo –, giungendo ad esiti che appaiono difficilmente compatibili, a nostro modo di vedere, con la persistenza stessa della giurisdizione amministrativa esclusiva in materia di servizi pubblici.

Particolarmente significative al riguardo sono alcune affermazioni contenute in due recenti decisioni del Consiglio di Stato.

2.2.1 Nella decisione del Consiglio di  Stato, Sez. V, n. 2153/2005, si legge quanto segue:

“E' da osservare in proposito che il nuovo testo dell'art. 33, comma 1, del d.lgs. n. 80/1998, non si limita a riservare al giudice ordinario le controversie relative alle indennità, ai canoni o ad altri corrispettivi connessi alle concessioni di pubblici servizi, ma, con espressione più ampia, individua la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia mediante il richiamo alla legge n. 241 del 1990 sul procedimento amministrativo, nonché ai poteri di vigilanza e di controllo sul gestore del servizio. Ne emerge una configurazione del contenzioso sottratto al giudice ordinario caratterizzata dall'esercizio di pubbliche potestà, capaci di incidere su un insieme intrecciato e non facilmente districabile di situazioni soggettive private. L'oggetto della presente vertenza va dunque valutato, non già sotto il profilo della appartenenza delle domande alla materia dei canoni, indennità o corrispettivi, bensì assumendo come parametro la possibilità di individuare atti di esercizio di pubbliche potestà di gestione in forma provvedimentale, di vigilanza o controllo sul gestore”.

Ebbene, non si ritiene, innanzitutto, che il principio di diritto enunciato qui dal Consiglio di Stato sia conforme ai dicta della Corte Costituzionale. Se, infatti, oggetto della giurisdizione esclusiva in materia di servizi pubblici fosse – come si legge nella pronuncia appena citata – solo l'attività procedimentalizzata svolta dalla P.A., in tale materia, ai sensi della l. n. 241/1990, nonchè l'attività di vigilanza e controllo esercitata nei confronti del gestore, non si comprende in cosa consisterebbero quelle “controversie relative alla concessioni di pubblici servizi, escluse quelle concernenti indennità, canoni o altri corrispettivi” che vengono distintamente menzionate nel dispositivo della Corte.

La tesi esposta nella citata sentenza n. 2153/2005 pare, dunque, avere l'effetto di neutralizzare la giurisdizione esclusiva in materia di concessioni di pubblico servizio, in contrasto con il dato testuale della sentenza n. 204/2004.

In secondo luogo sembra arduo continuare a definire “esclusiva” l'intera giurisdizione amministrativa in materia di servizi pubblici, se essa ha per oggetto soltanto – come vuole il decisum menzionato – “atti di esercizio di pubbliche potestà di gestione in forma provvedimentale, di vigilanza o di controllo sul gestore”. A fronte di tali atti, la posizione del privato appare assumere, infatti, inevitabilmente, la forma dell'interesse legittimo.

Nello specifico, la citata decisione n. 2153/2005 riguardava una domanda avanzata dal  concessionario nei confronti dell'Ente concedente, avente ad oggetto l'accertamento dell'inadempimento del contratto di concessione e la conseguente condanna risarcitoria. Analoga domanda aveva rivolto l'Amministrazione, in via riconvenzionale, nei confronti della Società concessionaria. Si trattava, cioè, del tipico giudizio di accertamento e condanna che è la regola in materia di diritti soggettivi: il Giudice era chiamato, quindi, ad individuare ed interpretare i diritti e gli obblighi convenzionalmente pattuiti tra le parti, e a trarne le relative conseguenze.

Ebbene si ritiene, al riguardo, che proprio la possibilità, per il Giudice Amministrativo, di conoscere rapporti paritari e, conseguentemente, di condurre giudizi aventi le medesime caratteristiche dei giudizi avanti il Giudice Ordinario, sia elemento essenziale per ogni fattispecie di giurisdizione esclusiva. Diversamente, la dizione “esclusiva” si risolverebbe in una espressione puramente verbale.

Quando, allora, il Legislatore decide di introdurre la giurisdizione amministrativa esclusiva in una determinata materia (al di là di ogni considerazione sui legittimi criteri della scelta), lo fa in base ad una valutazione generale ed astratta che postula la compresenza, in quella materia, di diritti soggettivi e di interessi legittimi. In sede applicativa, allora, l'interprete non dovrà nuovamente analizzare la natura delle posizioni soggettive in concreto coinvolte, ai fini del riparto di giurisdizione, ma dovrà farlo soltanto ai fini delle corretta individuazione delle regole processuali applicabili. Altrimenti si finisce per disconoscere la scelta “a monte” effettuata dal Legislatore – eventualmente, come nella specie, con il contributo “additivo” della Consulta – e per  fare applicazione dell'ordinario criterio di riparto tra le giurisdizioni, di fatto cancellando ogni spazio per la pur contemplata giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo.

Irrilevante è, quindi, la “purezza” della configurazione della singola controversia per quanto concerne la qualificazione in termini di diritto soggettivo delle posizioni giuridiche interessate. Anche nell'impostazione della Consulta, del resto, ciò che rileva è la definizione legislativa della materia (ma su un piano generale ed astratto).

2.2.2. Il medesimo impianto concettuale, qui sopra oggetto di analisi critica, si riscontra anche in una seconda pronuncia che appare utile esaminare.

Nella sentenza n. 2461/2005, la stessa V Sezione del Consiglio di Stato è stata chiamata a valutare la legittimità di un atto di risoluzione di un contratto di concessione, da parte dell'Amministrazione concedente, assunto in applicazione di una clausola convenzionale che prevedeva  la risoluzione del contratto al ricorrere di determinate ipotesi di inadempimento da parte del soggetto concessionario. L'atto dell'Ente  aveva quindi natura paritaria e si configurava – come si legge nella sentenza in esame – come esplicazione di un potere privatistico – contrattualmente sancito - “di risoluzione del contratto per inadempimento”. Si verteva dunque in materia di diritti soggettivi.

In relazione a tali premesse di carattere qualificatorio, la Sezione enunciava il seguente principio di diritto, evincibile, a suo avviso, dalla sentenza n. 204/2004 della Corte Costituzionale:

“Per quanto qui interessa, la Corte ha statuito che <la materia dei pubblici servizi può essere oggetto di giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo se in essa la pubblica amministrazione agisce esercitando il suo potere autoritativo>, così assumendo, quale criterio di verifica della giurisdizione amministrativa esclusiva in questa materia, il fatto che nella controversia la pubblica amministrazione abbia veste di autorità ovvero, in altre parole, che il giudizio verta sull'esercizio da parte dell'amministrazione del potere di cui è attributaria e, dunque, sullo svolgimento della pubblica funzione”.

“ Il precedente assetto del riparto giurisdizionale in tema di espletamento di pubblici servizi – prosesgue la sentenza –  ne risulta mutato, di modo che attualmente la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia non comprende più le controversie, riguardanti diritti soggettivi perfetti, nelle quali la pubblica amministrazione non sia coinvolta come autorità, ancorchè scaturenti da rapporti di tipo concessorio”.

Ne consegue che, secondo le statuizioni ora riportate, tutte le controversie, in punto di esecuzione di rapporti di concessione di pubblico servizio, che abbiano ad oggetto posizioni di diritto soggettivo – come quella nella specie sub iudice – dovrebbero intendersi sottratte alla giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo.

Non è difficile scorgere il de profundis per la giurisdizione esclusiva nella materia de qua, che un tale orientamento decreterebbe.

Inutile ripetere le considerazioni svolte a proposito della sopra esaminata sentenza n.  2153/2005 del Consiglio di Stato; considerazioni che – ci pare – si attaglino senz'altro anche a questa convergente decisione.

In sede conclusiva va detto che le due pronunce ora analizzate[2], ancorchè forniscano una lettura non condivisibile della sentenza n. 204/2004 per quanto concerne la corretta individuazione della giurisdizione esclusiva in materia di concessioni di pubblico servizio, concretizzano, però, a nostro avviso, anche un “rischio” che è insito nell'impostazione adottata dalla Consulta.

Infatti, aver “ancorato” sul piano costituzionale, come ha fatto il Giudice delle leggi, la giurisdizione amministrativa esclusiva all'attività autoritativa della P.A e, nel contempo, non aver enucleato criteri di carattere generale che potessero guidare il Legislatore nella scelta di materie che fossero, per un verso, compatibili con il profilo del Giudice Amministrativo ex art. 103 Cost. e che, per altro verso, vedessero l'effettiva compresenza di diritti soggettivi ed interessi legittimi, poteva lasciar prevedere una possibile tendenza giurisprudenziale ad assimilare la giurisdizione esclusiva alla giurisdizione di legittimità, con conseguente “migrazione” delle questioni di diritto soggettivo nell'ambito della giurisdizione del Giudice Ordinario.

 

3. Conclusioni.

Il quadro giurisprudenziale sopra tratteggiato segnala – si ritiene –  gli incerti confini che caratterizzano, a seguito della sentenza n. 204/2004, la giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo, e non solo nella materia dei servizi pubblici.

In quest'ultima la puntuale e diretta individuazione, da parte della Consulta, tramite la nota tecnica “manipolativa”, delle sub-materie compatibili con le norme costituzionali, dovrebbe costituire, almeno sul piano concreto, una ragione di certezza per gli interpreti e per gli operatori.

Ciò, tuttavia, non sembra valere per l'ambito relativo alle concessioni di servizi pubblici, in relazione al quale il discrimen tra le due giurisdizioni appare ancora “mobile”, in presenza di opposti orientamenti: l'uno – al quale si aderisce per le ragioni ampiamente esposte – ripropone il criterio di riparto sposato dalla giurisprudenza nel vigore dell'originario art. 5, l. n. 1034/1971 (espressamente richiamato nella sentenza n. 204/2004); l'altro tende a ri-trasferire al Giudice Ordinario le controversie relative alla fase di esecuzione del rapporto concessorio – anche non prettamente economiche –, fatta eccezione per quanto attiene all'esercizio di formali poteri di carattere provvedimentale da parte della P.A.

In conclusione, si ritiene che non manchi materia di riflessione circa le prospettive di “sopravvivenza” della giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativa, a fronte di una giurisprudenza costituzionale che tende a sospingerla sempre più – senza “argini” chiaramente definiti – verso la giurisdizione generale di legittimità.

 

 

 

 

 



[1]    Cfr. Cons. St., Sez. V, n. 6133/2006 e n. 7124/2005.

[2]    Nel medesimo senso non mancano anche sentenze dei Giudici Amministrativi di primo Grado (cfr. T.A.R. Lazio-Latina, n. 645/2004).

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