Evoluzione del sistema dei servizi pubblici locali, coniugazione con le strategie di esternalizzazione e analisi delle problematiche inerenti le risorse umane coinvolte nei processi di trasformazione.
1. – L’evoluzione del quadro normativo in materia di esternalizzazioni e di servizi pubblici locali.
1.a. – Esternalizzazioni e privatizzazioni.
Esternalizzazioni e privatizzazioni sono termini utilizzati negli ultimi anni come sinonimi, ma in realtà identificano due processi ben distinti.
Nel primo caso si ha la riconduzione all’esterno della gestione o della produzione di attività o servizi originariamente sviluppati dall’Amministrazione Locale, rispetto ai quali, tuttavia, la medesima mantiene a tutti gli effetti rilevanti funzioni di programmazione, progettazione, controllo e gestione di fasi intermedie.
Il c.d. “outsourcing” si realizza, quindi, in relazione ad attività “non strategiche” e perlopiù qualificabili come servizi di varia qualificazione inerenti il funzionamento delle Amministrazioni.
Con la privatizzazione, invece, si produce un distacco netto tra Amministrazione (cui è deputata la programmazione, cui afferisce il controllo funzionale) e soggetto gestore (cui compete la strutturazione sostanziale delle strategie di servizio e la loro gestione), in ordine ad un “oggetto” necessariamente da qualificarsi come servizio pubblico locale (a rilevanza industriale o meno).
In tal caso la determinazione dell’Ente Locale riporta l’effettuazione dell’attività (strategica) ad un soggetto diverso, il quale è chiamato a delineare impostazione, prospettive, piani di sviluppo con riferimento alle volontà della “parte pubblica di riferimento”, ma con sostanziale autonomia operativa.
Rispetto a questi elementi di differenziazione permangono molti “assetti comuni”, quali, in particolare:
a) le forme di gestione “analoghe” (il modello societario e l’affidamento in gestione sono soluzioni comuni sia al sistema delle esternalizzazioni sia a quello dei servizi pubblici locali);
b) le problematiche inerenti le verifiche sulla funzionalità dell’attività o del servizio riportato ad un soggetto gestore diverso dall’Amministrazione Locale;
c) le criticità inerenti la gestione delle risorse umane operanti nei medesimi settori di attività nell’Ente conferente.
1.b. - L’outsourcing di attività e servizi delle Amministrazioni Locali: le sue possibili configurazioni.
L’esternalizzazione è un processo tipizzato, realizzato ormai da anni negli Enti Locali: basti pensare che ogni appalto è, di fatto, un’esternalizzazione.
In linea di massima sono riconducibili a tale logica strategica (riconduzione all’esterno della produzione di attività o servizi originariamente realizzati dall’Amministrazione, con il mantenimento da parte della stessa di rilevanti funzioni operative e gestionali) proprio l’appalto e il c.d. “affidamento in gestione”, modulo affermato negli ultimi anni sulla base di uno schema evoluto della concessione.
Terziarizzare un’attività (procedimentalizzata o meno) o un complesso di interventi riconducibili alla qualificazione di “servizio (es. i servizi informatici) comporta l’adesione a modelli consolidati in ambito aziendale, con una precisa finalizzazione: la riduzione dei costi.
In tale ottica va quindi letta l’associazione “obbligata” tra il termine “outsourcing” e la formalizzazione di scelte di contenimento o riduzione di un budget specifico.
In una prospettiva di sostegno allo sviluppo di tali processi, con la legge n. 448/2001 si è avuta anche una “codificazione” dei moduli sostanziali per la realizzazione delle esternalizzazioni.
L’art. 29 della stessa legge, infatti, delinea:
a) i presupposti per la concretizzazione della particolare scelta operativa (far fare meglio, da altri, quello che si faceva originariamente “in proprio”, a minori costi);
b) i moduli gestionali.
Il legislatore ha individuato quattro vie potenzialmente percorribili:
a) acquistare sul mercato i servizi, originariamente prodotti al proprio interno, a condizione di ottenere conseguenti economie di gestione;
b) costituire, nel rispetto delle condizioni di economicità di cui alla lettera a), soggetti di diritto privato ai quali affidare lo svolgimento di servizi, svolti in precedenza;
c) attribuire a soggetti di diritto privato già esistenti, attraverso gara pubblica, ovvero con adesione alle convenzioni stipulate ai sensi dell'articolo 26 della legge 23 dicembre 1999, n. 488, e successive modificazioni, e dell'articolo 59 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, lo svolgimento dei servizi di cui alla lettera b).
L’analisi schematica di tali moduli permette di individuare tre soluzioni esperibili (acquisto presso terzi, affidamento in gestione, affidamento a società costituita), purtuttavia ciascuna caratterizzata da differenti linee strategiche di fondo.
Non v’è dubbio, infatti, che l’acquisto presso terzi e l’affidamento in gestione comportino l’effettuazione di processi di selezione determinanti competizione e individuazione di un contraente con “le giuste doti”. Diversamente, la costituzione di un soggetto di diritto privato (presumibilmente una società di capitali con partecipazione totale o comunque maggioritaria pubblica) delinea una strutturazione che, per quanto coinvolgente soggetti esterni, ha sviluppo secondo linee “di sistema” (in sostanza, la società entra a far parte del sistema “Ente Locale allargato”).
1.c. Le “esternalizzazioni improprie” (gli affidamenti “in house”).
Il quadro rappresentato evidenzia possibilità di utilizzo di moduli gestionali più o meno strutturati, rapportabili alle esigenze di ciascuna Amministrazione Locale in chiave di maggiore adattamento potenziale rispetto ad esigenze differenti.
Nota la tendenza all’utilizzo degli appalti e degli affidamenti in gestione (ad es. per gli impianti sportivi), nonché rilevabile come altrettanto frequente la terziarizzazione di “attività minori” mediante forme differenziate di “convenzionamento” con gli organismi non profit (es. convenzioni con organismi di volontariato per gestione di attività-progetti di pubblico interesse), in ambito locale si può affermare una scelta operativo-strutturale con profili maggiormente innovativi e con dati di presupposti impegnativi per gli Enti Locali: la costituzione di società per la gestione di attività o servizi esternalizzabili.
Le ragioni per la costituzione di tali soggetti possono rappresentarsi essenzialmente in tre ordini di idee:
a) la società consente di riportare all’esterno anche le risorse economiche, sottraendole ai vincoli del patto di stabilità;
b) la società consente di sviluppare strategie più “aggressive” con riferimento al settore di riferimento;
c) la società permette una gestione più snella degli acquisti e delle risorse umane.
Peraltro tale prospettiva può condurre ad un singolare paradosso, ossia alla realizzazione di “esternalizzazioni improprie”, intese come terziarizzazioni di attività presso un soggetto controllato con il fine principale di recuperare “spazi” altrimenti preclusi all’Ente Locale (es. per gestione risorse a bilancio, per assunzioni, ecc.), delineando le basi per la trasformazione dell’Amministrazione di riferimento da “parte pubblica interveniente” a “holding”.
1.d. - Le privatizzazioni “fredde” e le privatizzazioni “calde”.
I processi di trasformazione dei servizi pubblici locali sono stati segnati negli ultimi anni da una profonda revisione delle linee di regolamentazione, alla quale è succeduta una limitata riconfigurazione delle logiche di sistema.
In linea generale la normativa ha introdotto disposizioni “forti”, connotanti la prevalenza del modello societario tra i moduli di gestione, nonché particolarissima attenzione per la scelta dei gestori mediante gara.
In linea particolare la stessa normativa ha “adeguato” ad un sistema “condizionato” la riforma, garantendo un consistente periodo transitorio, facendo salvi molti affidamenti diretti, assicurando all’intero ambito dei servizi pubblici locali non a rilevanza industriale una disciplina largamente derogatoria (con prevalente attenzione per l’affidamento diretto).
Di fatto, lo sforzo del legislatore tradotto nell’art. 35 della legge n. 448/2001 si è prefigurato in un tentativo di contemperamento tra le logiche di privatizzazione “calda” (effettiva trasformazione del sistema e dei modelli di interazione gestionale) e quelle di privatizzazione “fredda” (trasformazione formale, ma non sostanziale).
1.e. - La “riforma transitoria”.
Le innovazioni prodotte dall’art. 35 della legge n. 448/2001 nel sistema normativo dei servizi pubblici locali hanno riconfigurato gli articoli 113 e 113-bis del d.lgs. n. 267/2000 assestando due sfere di assetto:
a) una afferente ai c.d. “servizi a rilevanza industriale”, da determinarsi sulla base di specifico regolamento;
b) una di riporto all’ampio novero residuale dei “servizi non a rilevanza industriale”.
Poste le questioni di legittimità costituzionale della disposizione (a fronte della potestà legislativa in materia affermata in capo alle Regioni sulla base della riforma del Titolo V della Costituzione) e quelle inerenti l’immediata applicabilità della normativa, indipendentemente dal regolamento (dato affermato da recente giurisprudenza - si veda in merito Cons. Stato, sez. V, dec. n. 2380 del 6 maggio 2003) , la riforma sembra contraddistinta da caratteri di “transitorietà”, in ragione di esplicita affermazione in tal senso riportata nell’art. 35 della stessa legge n. 448/2001, nonché di necessario coordinamento tra la stessa e le normative di settore.
Risaltano, comunque, alcuni elementi:
a) l’attenzione per il “confronto necessario” tra soggetti gestori dei servizi economicamente più importanti;
b) la varietà dei modelli gestionali per i servizi di “natura sociale”, estesa anche a dati innovativi (si pensi alla possibilità di costituire associazioni o fondazioni per la gestione dei servizi culturali e del tempo libero).
1.f. - La “riforma nella riforma”.
Il quadro normativo delineato dall’art. 113-bis nella formulazione derivante dall’art. 35 della legge n. 448/2001 è attualmente in fase di revisione sostanziale, a fronte di un ulteriore intervento del legislatore statale, “traduttivo” di elementi ricondotti all’attenzione dall’Unione Europea, mediante due procedure di infrazione.
Le innovazioni sono state delineate nell’ambito del corpus normativo configurato nel disegno di legge per la c.d. “delega ambientale”, attualmente all’esame del Senato.
Posti che tali profili potrebbero essere stralciati e rimessi in un quadro organico nell’ambito della “legge Comunitaria” per il 2003, caratterizzano senza dubbio le intenzioni del legislatore in materia, con dettagli di assoluta rilevanza in prospettiva futura.
In particolare, nell’ambito dell’art. 113-bis viene ad essere stabilito che (comma 1) ferme restando le disposizioni previste per i singoli settori, i servizi pubblici locali privi di rilevanza economica sono gestiti mediante affidamento diretto a: (…) società a capitale interamente pubblico a condizione che gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente o gli enti pubblici che la controllano.
Le novità sono riconducibili ad una doppia tematica:
a) da un lato si introduce il concetto di “servizi privi di rilevanza economica”, delineabile come “species” del genus” servizi pubblici locali, correlabile ad un parametro di qualificazione connesso al ritorno economico derivante dalla gestione del servizio;
b) dall’altro si sostituisce, nel novero dei modelli di gestione per queste particolari tipologie di servizi pubblici, quello societario “generale” con uno “speciale”, contraddistinto dal capitale sociale interamente in mano pubblica.
In questa prospettiva l’Amministrazione sarà probabilmente chiamata a qualificare i servizi di ristorazione nel quadro di quelli “privi di rilevanza economica”, a fronte di un assetto di budget fortemente condizionato dalla natura “parzialmente sociale” delle prestazioni.
La composizione societaria (quote o azioni) interamente pubblica costituisce dato rafforzativo della strettissima correlazione tra i particolari servizi (stante la loro scarsa rilevanza economica anche in funzione della composizione dell’utenza tipica e delle modalità di fruizione assistite) ed un modello di gestione non esattamente connotabile come “imprenditoriale”, in quanto sostenuto comunque dai soci pubblici.
Simile configurazione lascia presupporre comunque l’utilizzo di moduli societari interessanti, coinvolgenti non solo gli Enti Locali, ma anche altre Pubbliche Amministrazioni con forte legame territoriale interessate a sviluppare una progettualità per un modulo gestionale efficace, evolvibile in futuro.
1.g. - Gli interventi del legislatore regionale.
L’impostazione conferita alla disciplina dei servizi pubblici locali dal legislatore nazionale potrebbe peraltro essere “travolta” dalle linee in materia producibili (sulla scorta del nuovo quadro di competenze legislative dettato dalle disposizioni innovate dalla riforma del Titolo V della Costituzione, prodotte dalla L.C. n. 3/2001) dal legislatore regionale.
Tale valutazione si riconduce ad alcune prime indicazioni significative in materia, definite (a titolo esemplificativo) per la Lombardia nel pdl approvato dalla Giunta regionale nell’aprile 2003 e per l’Emilia-Romagna nel pdl regionale sulla riforma del sistema amministrativo, reso in via preliminare in data 25 marzo 2003 ed attualmente oggetto di consultazione.
Nel pdl della Lombardia l’elemento caratterizzante è segnalato nella prevalenza del modello societario, al quale si accompagna l’attenzione per la “gara necessaria” per la selezione dei soggetti gestori.
Nel pdl dell’Emilia-Romagna, invece, sul piano dei servizi privi di rilevanza economica (direttamente qualificati come “servizi sociali”) l’assetto normativo di disciplina risulta ancor più nettamente rivisto rispetto al dato attuale, in quanto sancisce che per l’erogazione dei servizi alla persona ed alla comunità, l’ente competente può optare tra istituzione, fondazione o associazione riconosciuta con partecipazione maggioritaria pubblica, affidamento in concessione a terzi, gestione in economia.
Per quanto la normativa sia ancora “in formazione”, risulta evidente l’esclusione dal novero dei modelli di gestione di quello societario, con evidenti problematiche applicative.
2. – La rilevanza della “parte pubblica” nell’azione dei soggetti gestori di attività esternalizzate o di servizi pubblici locali.
L’evoluzione del quadro normativo sopra rappresentata evidenzia almeno tre prospettive particolari:
a) le strategie di esternalizzazione e di privatizzazione sviluppabili dagli Enti Locali sono ancora fortemente condizionate da logiche di modularità e di economicità tendenti comunque all’affermazione di percorsi “sicuri”, ossia comportanti l’adozione di soluzioni il più possibile cautelative per le Amministrazioni stesse sotto il profilo organizzativo;
b) la “costituzione” di soggetti gestori di attività esternalizzate o di servizi pubblici locali (questi ultimi quantomeno non a rilevanza industriale o di natura sociale) è associata (anche in base alle linee di evoluzione normativa) a prospettive di massima garanzia per le Amministrazioni Locali in chiave di controllo (partecipazione maggioritaria o addirittura totalitaria);
c) i processi di esternalizzazione e di privatizzazione si delineano come percorsi nell’ambito dei quali le risorse umane sono tenute comunque in considerazione, in quanto depositarie di know-how specifico o comunque soggetti determinanti per l’operatività del nuovo modello gestionale.
Ne consegue un complesso di linee di analisi nell’ambito del quale l’attenzione per il fattore “risorse umane” assume rilevanza sostanziale.
3. – Le risorse umane nei processi di esternalizzazione.
L’esternalizzazione di attività o servizi dell’amministrazione locale si può configurare come una eccellente occasione di “miglioramento” delle logiche di gestione e di riqualificazione professionale delle risorse umane impegnate nei particolari settori.
Ogni processo di revisione organizzativa comportante la terziarizzazione di una o più attività originariamente realizzate dall’ente locale deve essere preceduto da una accurata analisi del quadro di risorse umane coinvolte la realizzazione dei servizi, sia con riferimento e linee produttive principali, sia con riguardo a quelle elementari.
Prendendo in esame l’esternalizzazione di alcune attività, risulta necessario considerare la struttura delle procedure e, per ciascuna di esse, il grado di coinvolgimento delle risorse umane, sia direttamente impegnate in tali attività, sia svolgenti interventi di supporto.
Solo dopo attenta valutazione dei processi produttivi delle attività, dei costi ad esse riferibili, nonché delle interazioni tra strutture organizzative sarà possibile configurare un quadro assestato degli elementi producibili in terziarizzazione.
L’impostazione conferita al progetto di outsourcing permette di elaborare le linee strategiche inerenti le risorse umane sino ad allora impegnate nella gestione delle attività, procedimentalizzate e non.
L’analisi di ogni singolo processo operativo consente di evidenziare i ruoli e le modalità di intervento del personale dell’amministrazione locale, delineando gli elementi e i passaggi in grado di evidenziare l’apporto dei singoli a ogni fase strutturata dell’attività.
L’esame delle azioni e degli interventi delle risorse umane nei processi, tradotto anche sotto il profilo economico, può condurre a tre risultati sostanziali:
a) evidenziazione di carenze e di problematiche gestionali, determinanti il ricorso alla esternalizzazione in ragione dell’impossibilità, per l’Amministrazione Locale, di porre rimedio a tali situazioni critiche a causa di limitazioni nella gestione delle risorse umane e delle dinamiche di organizzazione;
b) insufficienza di personale per far fronte alle esigenze determinate dal contesto, riflettentisi sui processi gestionali-produttivi delle attività, con necessità della terziarizzazione per riuscire a sostenere la “pressione” esterna;
c) sovradimensionamento del personale, unito a scarsa qualificazione specifica dello stesso, con conseguenze incidenti sui processi gestionali in modo “patologico”, tanto da comportare l’effettuazione di scelte di outsourcing per “riscrivere” gli stessi processi un un’ottica gestionale ottimale.
Nel primo caso le risorse umane possiedono il know-how, ma le “imperfezioni” sono desumibili dalle linee di processo: la trasformazione possibile viene ad essere determinata dall’intervento esterno in funzione di BPR - Business Process Reengineering - (si veda AIPA, “La reingegnerizzazione dei processi nella Pubblica Amministrazione”, Roma, 1998), con una probabile limitazione temporale ed un presumibile apporto para-consulenziale.
Nel secondo caso le risorse umane sono estremamente qualificate e i processi funzionano in linea ottimale rispetto ad un certo dimensionamento di attività: nel momento in cui tale dato aumenta, l’Amministrazione deve rivolgersi all’esterno per “supportare” i propri operatori (spesso con trasferimento di know-how specifico da questi agli operatori del soggetto esterno cui è stato affidato l’intervento di “assistenza”). Si tratta, peraltro, di una delle situazioni più comuni, difficilmente reversibile.
Nel terzo caso l’Amministrazione ha sbagliato nella sua strategia gestionale, unendo a questo errore l’assegnazione alle singole fasi dei processi elaborativi di risorse umane scarsamente qualificate. L’esternalizzazione è una via “quasi obbligata” per porre rimedio alle carenze, ma con un adeguato “mutamento di strategia” e con una migliore gestione delle professionalità interne (fondata principalmente sull’effettiva conoscenza delle stesse) la terziarizzazione può anche essere oggetto di revisione nel medio periodo.
4. - L’informazione come strumento per la regolazione dei processi inerenti le risorse umane nelle esternalizzazioni.
In ciascuna di queste situazioni l’elemento di maggiore importanza è senza dubbio l’informazione: l’Amministrazione Locale che intenda esternalizzare una o più attività (o singole fasi di processo - procedimento) deve porre con molta chiarezza gli obiettivi dell’outsourcing all’attenzione dei propri operatori, permettendo agli stessi di comprendere come e con quali linee di interazione essi dovranno porsi nel nuovo quadro di assetto di gestione dell’attività (amministrativa e non).
Si ponga il caso di un’Amministrazione che intenda esternalizzare parte delle attività inerenti la contabilizzazione e la fatturazione dei servizi di ristorazione, a fronte di un quadro organico ridotto e di una fortissima “pressione” dell’attività sugli operatori.
In tal caso il processo rimane comunque in carico, nelle sue linee di snodo fondamentali, all’Ente, ma le attività “consistenti” sono ricondotte all’outsourcing, al fine di ridurre la pressione sulle proprie risorse umane (impegnate anche in altre attività ad alto valore aggiunto).
La prospettiva comporta la resa di informazioni specifiche da parte dell’Amministrazione ai propri operatori, poiché gli stessi saranno chiamati ad intervenire in modo completamente innovativo nel processo (come “controllori” e non più come “gestori”), dovendo peraltro:
a) trasferire parte del loro know-how relazionale agli operatori del soggetto cui sarà affidata l’attività;
b) ridefinire le logiche relazionali con l’utenza;
c) sviluppare percorsi formativi adeguati per l’effettuazione delle verifiche sulle attività in outsourcing.
Qualora, invece, l’Amministrazione debba esternalizzare per “ridimensionare” l’organizzazione, l’informazione dovrà concentrarsi sulla rilevanza della strategia e sui vantaggi che, con la realizzazione della stessa, potranno prodursi per le risorse umane coinvolte.
Nell’ipotesi della terziarizzazione di attività qualificate (es. attività di informazione-orientamento al lavoro svolte presso un Centro Informagiovani), in precedenza svolte da operatori con background professionale limitato o nullo, l’esternalizzazione assumerà significato nella prospettiva di una sostanziale riqualificazione di tali risorse umane (garantita dal “trasferimento” di know-how specifico prodotto dagli operatori del soggetto esterno affidatario).
5. I processi di trasferimento delle risorse umane dalle Amministrazioni Locali ai soggetti gestori di attività esternalizzate o di servizi pubblici locali.
Gli elementi delineati per la gestione delle risorse umane nell’ambito dei processi di esternalizzazione ben si adattano anche a quelli di privatizzazione, con un unico dato discriminante, ossia la prevalenza, in questi ultimi, di soluzioni di trasformazione comportanti il trasferimento del personale prima in forza all’Amministrazione Locale (in parte o “in toto”) al nuovo soggetto gestore dell’attività esternalizzata o del servizio pubblico locale.
Valutando tale situazione, è necessario rilevare come la giurisprudenza abbia affermato che la disciplina stabilita dall'art. 2112 è inapplicabile in caso di mera "esternalizzazione" di attività aziendali.
Dal quadro normativo è stato invece fatto rilevare come sussista effettiva limitazione derivante da un nozione più restrittiva di ramo di azienda, che, per essere tale, deve avere una sua autonomia funzionale, nel senso che deve presentarsi come una sorta di piccola azienda in grado di funzionare in modo autonomo e non rappresenti, al contrario, il prodotto dello smembramento di frazioni non autosufficienti e non coordinate tra loro, né una mera espulsione di ciò che si riveli essere pura eccedenza di personale. Con queste caratteristiche, quindi, il ramo di azienda deve preesistere alla vicenda traslativa, nel senso che già prima esso deve essere identificabile ed idoneo a funzionare autonomamente, senza, peraltro che tale requisito venga a mancare sol perché il ramo di azienda venga integrato da altri elementi, una volta inserito nella complessiva azienda dell’acquirente (Corte Cass., sez. lavoro, sent. n. 14961 del 23 ottobre 2002).
Ed infatti in tal senso si è espressa la giurisprudenza della Corte, che non ha mai accolto la più ampia nozione di trasferimento di azienda suggerita dai giudici comunitari (es. in tema di concessioni amministrative, di stipulazione di contratto di appalto con oggetto analogo al precedente cessato, ecc.) ed ha identificato i rami di azienda come unità produttive suscettibili di costituire idoneo e completo strumento di impresa una volta che abbiano acquistato autonomia, con il passaggio ad un diverso titolare, rispetto all’originaria struttura unitaria (cfr., in particolare, Cass. 12554/1998).
Tale dato di assetto generale comporta da parte delle Amministrazioni Locali la formalizzazione di dati organizzativi evidenti, i quali potranno costituire i riferimenti per il “trasferimento” delle risorse umane a seguito della cessione del ramo d’azienda, ma solo in una chiave di effettiva ottimizzazione.
In sostanza, il processo determina:
a) il riconoscimento formale della cessazione dell’esercizio in economia dei servizi esternalizzati o pubblici;
b) la configurazione, per effetto del trasferimento di attività al nuovo soggetto gestore, dei presupposti applicativi dati dall’art.31 del D.Lgs. 165/2001, relativi al passaggio diretto di dipendenti dall’Amministrazione Locale al gestore medesimo, ai sensi e con le modalità di cui all’art. 2112 del Codice Civile;
c) lo sviluppo delle procedure di informazione e di consultazione di cui all’art. 47 commi da 1 a 4 della Legge n. 428/1990. |