|
Organismo di diritto pubblico ed imprese gestori
di servizi pubblici locali. Brevi riflessioni.
La continua evoluzione cui la normativa sui servizi pubblici locali sembra ormai destinata e le pronunce sempre più ricorrenti del giudice comunitario in materia inducono l'interprete a riflettere sulla figura dell'organismo di diritto pubblico e sulla riconducibilità ad esso delle imprese comunali gestori di servizi pubblici locali.
Delineatasi agli inizi degli anni '90 quale figura "atipica" volta a sottoporre a disciplina, e quindi al principio di concorrenzialità, tutti quegli enti, di differente configurazione giuridica, cui i poteri pubblici andavano nel tempo affidando la cura di propri interessi o comunque lo svolgimento di attività a questi correlate, l'organismo di diritto pubblico ha assunto progressivamente maggior rilevanza, sino a divenire mezzo d'influenza diretta del diritto interno ad opera del diritto comunitario.
Per tale motivo, osserva illustre dottrina, l'organismo in parola erroneamente verrebbe definito quale figura giuridica, cioè entità giuridico-soggettiva riconosciuta come tale dall'ordinamento comunitario, trattandosi piuttosto di una nozione giuridica, vale a dire di una definizione cui il legislatore comunitario ha fatto ricorso per qualificare distinte figure giuridiche e forme organizzative, affinché queste, così connotate, siano poi tenute all'applicazione di una determinata disciplina giuridica e, in particolare, all'esperimento di procedure trasparenti di gara ogni qual volta attingano dal mercato beni, lavori o servizi necessari alla propria attività. (1)
La figura o nozione di organismo di diritto pubblico nasce pertanto in un'ottica tutta comunitaria, caratterizzata dall'assenza di ogni tentativo - anche da parte della giurisprudenza - di dogmatizzazione della figura di ente pubblico e quindi da una molteplicità di organismi ed enti sottoposti a diversa disciplina a seconda degli interessi e delle finalità sottese alle varie direttive.
Infatti è noto come, contrariamente alla dottrina e giurisprudenza interna, per anni affannate nel tentativo di pervenire ad una nozione unitaria di soggetto pubblico in grado di sussumere le molteplici figure soggettive che il potere pubblico andava costituendo, il legislatore, ma anche il giudice comunitario, non abbia avvertito tale necessità, nell'evidente consapevolezza della multiforme realtà presente negli ordinamenti giuridici dei vari stati membri, che formali definizioni normative non avrebbero senz'altro consentito di "abbracciare" e quindi disciplinare. (2)
L'ordinamento comunitario infatti individua e disciplina più figure di soggetto pubblico, attribuendo loro volta per volta una qualificazione giuridica, e quindi una disciplina, a seconda del fine perseguito tramite le singole direttive.
Di qui la mutevolezza del concetto di soggetto pubblico, destinato quindi a mutare, ora forma, ora contenuto, in funzione degli interessi perseguiti dal legislatore comunitario.
L'inevitabile evanescenza del concetto di soggettività pubblica ha indotto quindi il legislatore comunitario ad individuare però, accanto agli enti pubblici istituzionali, un'ulteriore figura (o nozione) giuridica dal carattere flessibile, dinamico, in grado di adattarsi ai diversi contesti culturali e sociali presenti nei vari Stati membri e, nel contempo, ad estendere ad essi il proprio ambito di applicabilità.
Ma se l'organismo di diritto pubblico costituisce nelle intenzioni del legislatore comunitario una sorta di "comune denominatore" di diverse realtà giuridiche, di anello di congiunzione tra ordinamento comunitario ed ordinamento nazionale, esso appare però atteggiarsi anche quale elemento di verifica della compatibilità giuridica ,- si direbbe - culturale tra i due ordinamenti.
Data l'incidenza diretta del diritto comunitario sull'ordinamento interno - ora peraltro costituzionalizzato, a seguito della legge costituzionale 3/01 - le riflessioni sull'organismo di diritto pubblico sembrano quindi condurre l'interprete a più conclusioni; nello specifico, ad individuare il regime giuridico cui le imprese comunali gestori di servizi pubblici locali sono sottoposte, in particolare quando attingono dal mercato beni/servizi e lavori strumentali alla propria attività, e, in generale, a rivelare il mutamento culturale che l'ordinamento interno va subendo ad opera dell'influenza del diritto comunitario.
L'esame della giurisprudenza comunitaria, anche di recente intervenuta più volte in materia, rivela come dei tre requisiti costitutivi l'organismo di diritto pubblico, la personalità giuridica, l'influenza dominante ed il requisito teleologico (l'essere cioè l'ente istituito per soddisfare bisogni d'interesse generale non aventi carattere industriale o commerciale) - requisiti, come è noto, tutti necessari ai fini della qualificazione in parola (3) - è il terzo, vale a dire l'elemento finalistico, a connotarne la natura e quindi a fungere da discrimen rispetto ad organismi giuridici affini, a volte parimenti disciplinati all'interno di una medesima direttiva.
La difficoltà di individuare nel concreto tale elemento e, si direbbe, la "sensazione" di come su questo s'incentri in realtà il manifesto iato tra ordinamento interno ed ordinamento comunitario, inducono ora l'interprete a riflettere sulla posizione del giudice comunitario in materia, nel tentativo di comprendere appieno il significato normativo di tale funzionalizzazione e se questa coinvolga altresì l'attività svolta dal soggetto, connotandone necessariamente i caratteri.
A quest'ultimo proposito infatti è proprio la casistica giudiziaria a rivelare quanto mai sia fragile la linea di demarcazione tra attività economica ed attività priva del carattere industriale/commerciale e come anche la prima sia suscettibile di convivere con il perseguimento da parte dell'ente di bisogni di carattere generale.
Parte della dottrina ritiene decisivo in proposito distinguere le ipotesi in cui un soggetto pubblico, che produca beni e servizi rivolti al mercato, al pari di un'impresa privata, si prefigga lo scopo di correggerne l'andamento, operando nell'un caso al suo interno, nell'altro giungendo a sostituirsi a questo; tali ipotesi infatti, parimenti ammesse dall'ordinamento comunitario, risultano diversamente disciplinate.
Si presenta necessario allora verificare fino a che punto le regole di mercato, sotto l'influsso del perseguimento di bisogni generali ad opera di un ente pubblico, possano comprimersi, di tal che l'attività da questi esercitata finisca per perdere la sua connotazione economica.
Ora, se dottrina e giurisprudenza nazionale sembrano oscillare tra criteri formali (quali, ad esempio, il regime giuridico dell'attività) e sostanziali (il vincolo di economicità o le modalità di finanziamento), il giudice comunitario pare perseguire invece una logica tutta sostanziale, tesa a valorizzare l'attività nel concreto svolta dall'ente, prescindendo dalla forma organizzativa da questi rivestita. (4)
L'esame della giurisprudenza comunitaria rivela cioè, ancora una volta, un approccio pragmatico e quindi la volontà del legislatore di evitare fuorvianti e restrittive definizioni e schematizzazioni della realtà.
Osserva infatti il giudice comunitario come all'interno di uno stesso ente risultano compatibili attività di diversa natura e come quindi questo sia suscettibile di perseguire interessi di tipo commerciale accanto a bisogni privi di tale carattere. (5)
L'esigenza di assicurare certezza nell'applicazione del diritto e, nel contempo, il perseguimento del principio di concorrenzialità, sembrano indurre in vero il giudice comunitario a propendere per la qualificazione dell'ente, al cui interno risultano perseguiti interessi di diversa natura, comunque in termini di organismo di diritto pubblico, affinché questo, così connotato, sia poi tenuto ad esperire procedure di gara.
In realtà, come chiarito con successiva decisione, non è tanto l'attività esercitata dall'ente ad assumere valore determinante ai fini dell'individuazione dell'elemento finalistico e quindi della qualificazione di questi, quanto la natura dei bisogni soddisfatti o perseguiti attraverso di essa.
In effetti, l'interpretazione letterale della direttiva 92/50 rivela come il legislatore abbia inteso operare una distinzione, all'interno della categoria dei bisogni d'interesse generale, tra bisogni di carattere industriale/commerciale e bisogni privi di quest'ultimo carattere e, nel contempo, se la soddisfazione di questi ultimi non richiede necessariamente la presenza di un ente pubblico, il perseguimento d'interessi non economici risulta in vero compatibile con l'esercizio dell'attività imprenditoriale. (6)
Ne deriva pertanto ancora una volta l'irrilevanza della forma organizzativa assunta ai fini della connotazione dell'organismo e, nel contempo, come l'eventuale regime di concorrenza all'interno del quale il soggetto agisce non assuma valore determinante, ma costituisca comunque un indizio dei bisogni da questo perseguiti.
La necessità di individuare comunque riferimenti sostanziali ai fini della qualificazione dell'organismo di diritto pubblico induce però il giudice comunitario a porre nuovamente l'attenzione sull'attività esercitata dall'ente, quasi nella ricerca di tratti caratterizzanti, di indici rivelatori l'assenza o meno del carattere industriale/commerciale nei bisogni perseguiti.
Nelle riflessioni della Corte, pertanto, l'organismo non può definirsi di diritto pubblico, perché carente del requisito teleologico se, al di là della forma giuridica assunta, l'analisi della situazione di fatto e di diritto che connota l'attività rivela l'assenza del carattere industriale/commerciale dei bisogni perseguiti attraverso di esso. (7)
In particolare, al fine di determinare se il bisogno, pur generale, soddisfatto dall'ente abbia o meno il carattere richiesto dalla norma, il giudice nazionale - osserva la Corte Europea -, quale giudice naturale, è tenuto a valutare la circostanza nella quale l'ente è stato costituito e le condizioni in cui esercita la propria attività, tra cui, in particolare, l'assenza di uno scopo principalmente lucrativo, la mancata assunzione dei rischi connessi a tale attività, nonché l'eventuale finanziamento pubblico dell'attività. (8)
Ne deriverebbe che la finalità perseguita dall'ente, pur nell'ipotesi d'interesse generale, riveste nella realtà carattere industriale o commerciale, conducendo lo stesso a diversa disciplina, se l'ente agisce in fondo secondo criteri d'imprenditorialità.
E' quindi il bisogno perseguito che connota l'ente, ma costituisce comunque sintomo del carattere di questo, la natura dell'attività esercitata, la dipendenza economica dai pubblici poteri, i criteri di operatività, il mercato all'interno del quale agisce. (9)
Fattori questi - si sarebbe tentati di dire, indici di riconoscimento - che conducono ad esempio il giudice comunitario, al termine di un'estenuante excursus giudiziario nazionale, a definire l'Ente Autonomo Fiera Internazionale di Milano non in termini di organismo di diritto pubblico.
L'Ente infatti - osserva la Corte - persegue, è vero, bisogni d'interesse generale, ma soddisfa del pari gli interessi commerciali degli operatori del settore, non persegue lo scopo di lucro, ma l'attività è esercitata secondo logiche di redditività e rendimento, sopportando il rischio finanziario delle proprie decisioni all'interno di un mercato di tipo concorrenziale. (10)
Rischio finanziario che dovrebbe attestare, più di ogni altro, in uno con l'esistenza di una concorrenza articolata, la mancanza di un bisogno d'interesse generale avente carattere non industriale o commerciale. (11)
Al fine di valutare se gli interessi siano privi del carattere richiesto dalla norma - sostiene la Corte - occorre valutare se vengano soddisfatti in modo diverso rispetto all'offerta di beni e servizi sul mercato, in quanto i pubblici poteri preferiscono provvedervi direttamente o con riguardo ai quali intendono mantenere un'influenza dominante, minando la concorrenzialità del mercato. (12)
Fattori che, peraltro, esulano da ogni valutazione circa la natura pubblica o privata dell'ente, in osservanza del volere comunitario, sancito all'art.86 T., di parità tra imprese pubbliche e private. (13)
L'esame delle riflessioni della giurisprudenza rivelano quindi un approccio sostanziale e funzionale alla nozione di organismo di diritto pubblico, sostanziale in quanto fondata sull'esame concreto dell'attività esercitata dall'ente, funzionale, perché improntata sull'analisi dell'esistenza o meno dell'elemento finalistico.
E se i concetti (in primiis, il concetto di bisogno d'interesse generale) e i principi cui ricorre il legislatore comunitario vanno interpretati alla luce dell'ordinamento comunitario, posto che l'ordinamento nazionale è suscettibile di assumere - a fronte comunque di un rinvio espresso da parte del giudice comunitario - al più valore suppletivo(14) , è rimessa - come rilevato - al giudice nazionale la valutazione nel concreto dell'esistenza dei vari fattori sintomatici individuati dal giudice comunitario.
Stante quanto sopra, giova riflettere allora sulla riconducibilità alla categoria concettuale in parola delle imprese comunali gestori di servizi pubblici locali.
L'esame della posizione del giudice comunitario sembra rivelare un primo elemento di discrasia culturale tra i due ordinamenti: si direbbe, la non aprioristica rilevanza dell'esercizio da parte delle imprese citate di un servizio pubblico locale ai fini della qualificazione di queste in termini di organismo di diritto pubblico.
In coerenza con l'approccio pragmatico che contraddistingue il giudice comunitario, infatti, le imprese pubbliche locali non sembrano assumere la definizione in parola soltanto in quanto gestori di servizi pubblici locali.
Contrariamente alla tradizione nazionale, il concetto di servizio pubblico locale non sembra cioè fungere da discrimen nell'individuare il regime giuridico. (15)
D'altronde, come di recente affermato dalla Commissione Europea nel documento sui servizi d'interesse generale (Libro Verde) del 21/05/03, il termine servizio pubblico, nell'ottica comunitaria assume contorni poco netti, in quanto "in alcuni casi, si riferisce al fatto che un servizio è offerto alla collettività, in altri che ad un servizio è stato attribuito un ruolo specifico nell'interesse pubblico e, in altri ancora, si riferisce alla proprietà o allo status dell'ente che presta il servizio".
Ingenerando confusione, la Commissione Europea decideva pertanto di non utilizzare tale concetto nel documento, preferendo incentrare la riflessione sugli obblighi di servizio pubblico, cioè sui requisiti specifici imposti dalle autorità pubbliche al fornitore del servizio, al fine di garantire il conseguimento di alcuni obiettivi d'interesse pubblico.
Non consentendo l'economia del presente lavoro più approfondite considerazioni al riguardo, sembra comunque potersi cogliere nella funzionalizzazione al perseguimento di obiettivi d'interesse pubblico, così come nella realizzazione di fini sociali e nella promozione dello sviluppo economico e civile della comunità locale (art.112 D.Lgs.267/2000), e quindi, in fondo, nel comune approccio finalistico, una sorta di punto di raccordo tra le due differenti posizioni normative.
Stante quanto sopra, la riconducibilità delle imprese gestori alla categoria di organismo di diritto pubblico presuppone allora la preliminare verifica della presenza dei tre requisiti "costitutivi" richiesti dalle direttive comunitarie, vale a dire, la personalità giuridica, l'influenza dominante ed il perseguimento di bisogni d'interesse generale privi del carattere industriale o commerciale.
Due appaiono gli spunti riflessivi.
Il primo attiene al requisito dell'influenza dominante.
A quest'ultimo proposito, l'esame della giurisprudenza comunitaria rivela la necessità di un'effettiva influenza dominante da parte dei pubblici poteri, non individuabile nei casi di un mero controllo a posteriori, e ciò in quanto tale situazione non consente a questi un'incidenza diretta sulle decisioni dell'organismo.
Soddisfa per contro tale requisito una situazione in cui i poteri pubblici verificano, non solo i conti annuali, ma anche l'esattezza, la regolarità, l'economicità, la redditività e la razionalità dell'amministrazione corrente, godendo di poteri ispettivi o di verifica. (16)
Un potere d'incidenza forte, quindi, concreto, in grado, al di là dei meccanismi decisionali connessi all'utilizzo di una determinata forma organizzativa, d'influenzare realmente le decisioni dell'organismo.
Senz'altro l'aspetto più interessante attiene però, ancora una volta, alla sussistenza del requisito finalistico richiesto dalle direttive comunitarie.
Come rilevato, tale requisito, nel connotare la figura/nozione di organismo di diritto pubblico, consente di distinguerlo rispetto a soggetti affini, che il legislatore comunitario, in determinati casi, include, accanto ad essi, nel novero delle amministrazioni aggiudicatrici.
Contrariamente alle direttive 92/50, 93/36, 93/37, la direttiva 93/38, in materia di appalti nei settori esclusi, infatti, include, nell'ambito soggettivo di applicazione, accanto all'organismo di diritto pubblico, la figura dell'impresa pubblica, figura più ampia, che "taglia trasversalmente una variegata gamma di norme settoriali, intersecandosi frammentariamente con altri istituti giuridici". (17)
L'esame della relativa definizione normativa rivela in cosa si distinguano i due soggetti.
La norma infatti individua nell'influenza dominante, reale o presunta, esercitata da altra amministrazione aggiudicatrice, il requisito connotante l'impresa pubblica, mentre tace in merito ai due restanti elementi costitutivi.
Ne deriva che i due soggetti andranno a distinguersi essenzialmente in funzione dei bisogni perseguiti e quindi della sussistenza o meno dei relativi "indizi", così come individuati dalla giurisprudenza comunitaria.
Come osservato dall'Avv. La Pergola, nelle conclusioni relative al caso BF Holding, l'ente andrà, in particolare, qualificato impresa pubblica se svolge un'attività economica, caratterizzata dalla presenza, anche solo potenziale, del rischio d'impresa (18) , diversamente, ed in presenza degli ulteriori indizi sopra riportati, dovrà qualificarsi organismo di diritto pubblico. (19)
Le considerazioni suesposte rivelano l'importanza di valutare la sussistenza o meno del requisito teleologico, posto che, qualora l'ente ne sia privo, ma sia presente il requisito dell'influenza dominante, assumerà i caratteri dell'impresa pubblica e quindi sarà tenuto ad esperire procedure di gara soltanto nel caso in cui agisca nei settori esclusi, non risultando soggetto altrimenti, in caso di appalto sopra soglia, alle direttive in tema di appalti di servizi, forniture e lavori.
Stante quanto sopra, giova domandarsi allora se il mutato regime giuridico cui le imprese erogatrici di servizi a rilevanza industriale sono state assoggettate con l'art.35 L.448/01 assuma una qualche rilevanza ai fini della qualificazione normativa di tali soggetti, ora in termini di organismo di diritto pubblico, ora d'impresa pubblica, se cioè incida sulla sussistenza o meno del requisito finalistico.
L'approccio sostanziale e pragmatico del legislatore comunitario induce l'interprete ad esaminare nel concreto la situazione di fatto e di diritto in cui tali imprese sono state costituite e nella quale agiscono, evitando che la gestione di un'attività definibile, secondo la tradizione interna, quale servizio pubblico locale, integri, sic et simpliciter, il più volte citato requisito finalistico.
Ebbene, l'esame degli "indizi" della sussistenza del carattere industriale/commerciale dei bisogni, pur d'interesse generale perseguiti, così come individuati dal giudice comunitario, parrebbero, in qualche modo, condurre l'interprete - consapevole della posizione invece estensiva assunta dalla giurisprudenza nazionale - a tentare nuovi percorsi interpretativi, e a sollevare qualche dubbio circa la riconducibilità alla categoria di organismo di diritto pubblico delle imprese erogatrici di servizi a rilevanza industriale.
In effetti, esclusa ogni considerazione in merito alla forma giuridica assunta, seppur cautamente e "per il mercato" , risulta introdotto un regime concorrenziale, un regime di mercato, filtrato sì dalla presenza dell'ente locale nella veste, in fondo, oltre che di regolatore, di "stazione appaltante", ma che vede le imprese pubbliche, nel sistema a regime, in una posizione di sostanziale parità rispetto alle imprese private.
Il comma 10 dell'art.113 D.Lgs.267/2000, così come riformulato dall'art.35 L.448/01, in ossequio al principio comunitario sancito dall'art.86 Trattato, vieta peraltro ogni forma di differenziazione nel trattamento dei gestori di pubblico servizio in ordine al regime tributario, nonché alla concessione da chiunque dovuta di contribuzioni o agevolazioni per la gestione del servizio.
Ma anche l'indizio relativo all'esercizio dell'attività secondo logiche di redditività e rendimento, e quindi l'assunzione del rischio d'impresa appare sussistere, in quanto, se è vero che situazioni di eventuale squilibrio finanziario si presume tenderanno ad essere sanate dall'ente locale, appare, in qualche modo, fuorviante ravvisare in questo, una volta che il sistema sarà a regime, la sussistenza di un regime di dipendenza economica dell'impresa dai pubblici poteri, distinguendo la posizione assunta dall'ente locale, ora in termini di socio di maggioranza, ora di potere pubblico.
Al di là delle conclusioni cui tali considerazioni sembrano condurre, di certo l'esame della giurisprudenza comunitaria pare quindi indurre l'interprete ad abbandonare tradizionali schemi giuridici, formali classificazioni e definizioni normative (cui la giurisprudenza nazionale non sembra, in vero, voler rinunciare) e ad esaminare la situazione di fatto e diritto in cui le imprese pubbliche locali si trovano, alla luce di un approccio - si direbbe - culturalmente nuovo, nella consapevolezza di come questo forse conduca, però, ad un lento sfaldamento delle fondamenta del diritto amministrativo.
***
(1) M.P. Chiti, "L'organismo di diritto pubblico", Quaderni SPISA, 2000.
(2) F.Caringella, Corso di diritto amministrativo, Giuffrè ed., 2003.
(3) Cfr. Sent. Corte CE, 15.01.98, causa C 44/96, caso Mannesman,
(4) Cfr. C. CE 23/04/91, C -41/90, caso Hoefner.
(5) Sent C.G.E., caso Mannesmann.
(6) Sent. C. G.E. 10/11/98, causa 360/96, caso BF Holding.
(7) C.G.E., V, 27/02/03 n.373/00, caso A. Truley.
(8) C.G.E., V, 22/05/03 n.C-18/01, caso Taitotalo.
(9) Cfr. il diverso approccio della giurisprudenza interna, in base alla quale "per bisogno d'interesse generale non avente carattere industriale o commerciale non s'intende la non imprenditorialità della gestione, ma la funzionalizzazione dell'ente al soddisfacimento di bisogni generali della collettività" (TAR Veneto, III, 3014/26.05.03, C.Stato, VI, 4711/17.09.02, 1478/17.10.98).
(10) Sent. C. CE, 10.05.2001, cause riunite C 229/99 e 260/99, caso Ente Autonomo Fiera Internazionale di Milano.
(11) V. conclusioni Avvocato Generale nella causa 373/2000, sent., V, 27.02.2003.
(12) Sent. C.G.E., caso Taitatalo, cit.
(13) Cfr. sent. C.Ce, 15.05.2002, causa C 214/00, C. c Regno di Spagna.
(14) Cfr. Conclusioni del 13.06.2002 dell'Avvocato Generale nella causa 214/00, C c. Regno di Spagna, di cui a sent. 15.05.2003, nonché sent. CE, V, 27.02.2003, causa 373/2000.
(15) Cfr. , già Sent. C.G.E, caso Amministrazione Autonoma Monopoli di Stato, 16.06.87, causa 118/85.
(16) Cfr. C.G.E., V, 27/02/03, n. C-373/00, caso A. Truley.
(17) Cfr. G.Pericu, M.Cafagno, Impresa pubblica, in M.P.Chiti - G.Greco (a cura di), Trattato di diritto amministrativo europeo, Parte Speciale, II, Milano, 1997.
(18) Cfr. Conclusioni dell'Avv. La Pergola, sent.C.G.E. 10/11/98, causa 360/96, caso BF Holding.
(19) Cfr. G.Pericu, M.Cafagno, Impresa pubblica, op. citata.. |