Federalismo fiscale ed enti locali
Da diversi anni sentiamo parlare, in ogni sede, di federalismo. Si sono avviate discussioni e polemiche, spesso ideologiche o quanto meno di ispirazione politica. Il Paese si è diviso tra gli “entusiasti”, i “favorevoli con qualche riserva” ed i “contrari”. In realtà del federalismo si dice tutto ed il contrario di tutto e molti lo sostengono senza specificare cosa intendano. Si sta ripetendo, come i più anziani ricorderanno, ciò che negli anni ’60 è avvenuto per la “programmazione” che avrebbe risolto ogni problema, ma che, di fatto, fu più mito che realtà.
Oggi siamo partiti con la prima fase: la legge delega al Governo (5 maggio 2009, n°42) sulla quale vi è stata larga convergenza dei Parlamentari (alcuni anche di minoranza) che hanno espresso il voto favorevole o l’astensione. Il Governo dovrà approvare i decreti delegati entro due anni; poi si avvierà un periodo sperimentale; “a regime” si arriverà tra cinque anni.
Mi propongo, anzitutto, di chiarire qualche concetto precisando anzitutto che, il cammino intrapreso con la legge “delega” riguarda quello denominato, anche dalla Legge stessa, “federalismo fiscale” e non “federalismo istituzionale”, anche se, indubbiamente le istituzioni politiche ed amministrative (in particolare regioni ed enti locali) sono coinvolte.
Deve essere, poi, sottolineato che non si tratta di una novità assoluta e dirompente ma di un processo in certo senso obbligato dovendosi applicare l’articolo 119 della Costituzione, così come sostituito dall’articolo 5 della legge costituzionale 18 ottobre 2001 n. 3 (1).
Il nostro “federalismo” si differenzia da quello di altri Paesi europei (Germania, Spagna) in quanto fondato sul pluralismo degli enti del governo territoriale: Regioni, Province e Comuni. Questi enti, esponenziali delle rispettive collettività, sono (e resteranno) titolari di poteri, funzioni e compiti, stabiliti dalla Costituzione che ne garantisce, al contempo, la posizione istituzionale reciproca e definisce i rapporti che tra essi intercorrono al fine dell’esercizio delle rispettive funzioni di governo.
In questo quadro viene esclusa la sottoposizione (di carattere istituzionale) degli enti locali (e cioè comuni e province) alla Regione, a differenza di altri ordinamenti europei (e, in Italia, negli ordinamenti delle Regioni a Statuto speciale). In altre parole nel nostro Paese gli enti locali non fanno parte dell’ordinamento regionale; la loro organizzazione e le loro funzioni fondamentali sono stabilite dalle leggi dello Stato sulla base dei principi costituzionali molto puntuali, che assicurano anche ampia autonomia normativa agli enti stessi. Ricordiamo, in proposito, che l’articolo 130 della Costituzione il quale prevedeva il controllo sugli atti degli enti locali da parte di un Organo della Regione è stato abrogato dalla Legge costituzionale 3/01 sopra richiamata.
L’architettura costituzionale rende sicuramente più complessa in Italia l’attuazione del “federalismo” rispetto ad altri Paesi essendo più difficile organizzare un sistema di rapporti istituzionali stabiliti tra una pluralità assai frammentata e differenziata di attori, rispetto ai sistemi nei quali gli attori politici sono sostanzialmente due, lo Stato centrale e le regioni, le quali a loro volta dispongono del governo locale (2).
Principi e criteri del “federalismo fiscale”
I Principi ed i criteri per l’attuazione del federalismo fiscale contenuti nella Legge “delega” si possono così sintetizzare:
1. autonomia e responsabilizzazione finanziaria di tutti i livelli di governo;
2. attribuzione di risorse autonome alle Regioni e agli enti locali, secondo il principio di territorialità;
3. superamento graduale del criterio della spesa storica a favore del fabbisogno standard per il finanziamento dei livelli essenziali e delle funzioni fondamentali e della perequazione della capacità fiscale per le altre funzioni;
4. rispetto della ripartizione delle competenze legislative fra Stato e Regioni sul coordinamento tra finanza pubblica e sistema tributario;
5. esclusione della doppia imposizione sulla medesima base imponibile, salvo le addizionali previste dalla legge statale;
6. tendenziale correlazione tra prelievo fiscale e beneficio, in modo da favorire corrispondenza tra responsabilità finanziaria e amministrativa; contenimento e responsabilità nell’imposizione di tributi propri;
7. previsione che la legge regionale possa, con riguardo alle basi imponibili non assoggettate ad imposizione da parte dello Stato, istituire tributi regionali e locali nonchè determinare le variazioni delle aliquote o le agevolazioni che Comuni, Province e Città metropolitane possono applicare nell’esercizio della propria autonomia;
8. facoltà delle Regioni di istituire a favore degli enti locali compartecipazioni al gettito dei tributi e delle compartecipazioni regionali;
9. esclusione di interventi sulle basi imponibili e sulle aliquote dei tributi che non siano del proprio livello di governo;
10. previsione di strumenti e meccanismi di accertamento e di riscossione che assicurino modalità di accreditamento diretto del “riscosso” agli enti titolari del tributo;
11. definizione di modalità che assicurino a ciascun soggetto titolare del tributo l’accesso diretto alle anagrafi e a ogni altra banca dati utile alle attività di gestione tributaria;
12. premi ai comportamenti virtuosi ed efficienti nell’esercizio della potestà tributaria, nella gestione finanziaria ed economica e previsione di meccanismi sanzionatori per gli enti che non rispettano gli equilibri economico – finanziari o non assicurano i livelli essenziali delle prestazioni;
13. garanzia del mantenimento di un adeguato livello di flessibilità fiscale nella costituzione di un paniere di tributi e compartecipazioni, da attribuire alle Regioni e agli enti locali, la cui composizione sia rappresentata in misura rilevante da tributi manovrabili;
14. flessibilità fiscale articolata su più tributi con una base imponibile stabile e distribuita in modo tendenzialmente uniforme sul territorio nazionale, tale da consentire a tutte le Regioni ed enti locali, comprese quelle a più basso potenziale fiscale, di finanziare, attivando le proprie potenzialità, il livello di spesa non riconducibile ai livelli essenziali delle prestazioni e alle funzioni fondamentali degli enti locali;
15. semplificazione del sistema tributario, coinvolgimento dei diversi livelli istituzionali nell’attività di contrasto all’evasione e all’elusione fiscale;
16. trasparenza ed efficienza delle decisioni di entrata e di spesa;
17. razionalità e coerenza dei singoli tributi e del sistema tributario nel suo complesso;
18. riduzione della imposizione fiscale statale in misura adeguata alla più ampia autonomia di entrata di Regioni ed enti locali e corrispondente riduzione delle risorse statali umane e strumentali;
19. definizione di una disciplina dei tributi locali in modo da consentire anche una più piena valorizzazione della cosiddetta sussidiarietà orizzontale;
20. territorialità dell’imposta, neutralità dell’imposizione, divieto di “esportazione” delle imposte;
21. tendenziale corrispondenza tra autonomia impositiva e autonomia di gestione delle risorse umane e strumentali da parte del settore pubblico.
Punti fondamentali sono la realizzazione dell’autonomia della entrata e della spesa nonchè il superamento del sistema della finanza derivata e dei bilanci fondati sulla spesa storica. Allorché saremo giunti a regime si compirà, possiamo dirlo senza enfasi, una vera rivoluzione nel senso di rivolgimento di prassi consolidate, anche normativamente. Come già detto, verrà superato il criterio della spesa storica e della conseguente impostazione dei bilanci (preventivi) cosiddetti “incrementali”. Sinora ci si è basati sul bilancio dell’anno precedente con obbligo di giustificare gli scostamenti, non sempre ammessi dato che in diverse leggi “finanziarie” sono stati imposti “blocchi” alla spesa. E’ evidente la caratteristica “conservatrice” dell’attuale ordinamento.
Con il “federalismo” gli enti locali (così come le Regioni) saranno responsabili dei fondi che riceveranno dai cittadini: se aumenteranno i costi dovranno chiedere nuove tasse (3) ai propri cittadini (che sono poi i loro elettori); cesserà il tradizionale ping-pong tra enti locali e Governo con un rimpallo delle responsabilità sia dal lato della spesa che da quello della entrata.
Se, al contrario, l’Ente locale sarà capace di contenere i costi delle funzioni svolte, le tasse potrà ridurle. Comunque gli amministratori verranno giudicati nelle urne, e non dai giornali. Senza contare che le imprese potranno spostare i loro insediamenti (e anche le tasse che devono pagare) da una Regione o da un Comune all’altro, scegliendo le situazioni più favorevoli. Non a caso nei Paesi che hanno una struttura federale consolidata si usa dire che “il federalismo significa votare con i piedi”. Si va, insomma, dove si sta meglio.
I provvedimenti “paralleli” contenuti nella legge delega sul federalismo
Il provvedimento contiene anche alcune disposizioni in certo senso parallele al federalismo fiscale. Segnaliamo:
a) la previsione dell’obbligo (sanzionato in caso di inosservanza) dei bilanci consolidati delle regioni e degli enti locali in modo tale da assicurare le informazioni sui servizi esternalizzati. Da tempo si chiede che gli enti locali, e non solo quelli di maggiori dimensioni, presentino un rendiconto complessivo se non proprio consolidato in senso proprio delle gestioni che a loro fanno capo come titolari diretti, o come soci. Basterà accennare che il bilancio dei Comuni maggiori come Milano, Torino, Roma, Brescia rappresenta sì e no un terzo o la metà del bilancio aggregato con le loro società controllate o collegate;
b) l’obbligo di pubblicare nei siti internet i bilanci delle regioni e degli enti locali tali da riportare in modo semplificato le entrate e le spese pro capite;
c) individuazione di strumenti idonei a favorire la piena attuazioni delle norme costituzionali relative ai diritti ed alla formazione della famiglia e all’adempimento dei relativi compiti;
d) individuazione di forme di fiscalità “di sviluppo” con particolare riguardo alla creazione di nuove attività di impresa nelle aree sottoutilizzate.
e) costituzione ed effettivo avvio delle città metropolitane.
Il parere degli Enti locali:
“L’occasione può essere definita, senza esagerazioni, storica”. Questo il commento del Presidente dell’Infel, l’istituto di ricerche dell’Anci, Giuseppe Franco Ferrari in merito all’approvazione del ddl sul Federalismo fiscale. L’art. 119 era stato forse la più felice, o la meno problematica, delle disposizioni del nuovo Titolo V, come modificato nella revisione del 2001, ma necessitava più delle altre di una attuazione complessa e articolata. L’accordo politico su un testo avente queste caratteristiche è stato trovato.” “Si tratta di un raro momento di ripensamento globale, di razionalizzazione, di riordino di un coarcevo normativo stratificato, formatosi nel tempo, - ha aggiunto Ferrari – in parte addirittura prima della Costituzione, per il resto a partire dai decreti Stammati nel 1978, spesso sulla spinta di emergenze finanziarie interne o indotte dalla partecipazione alle istituzioni europee. Il risultato, che ben conosciamo, è quello di un “sistema” confuso, privo di certezze, spesso caratterizzato da diffidenze e mancanza di collaborazione tra i diversi livelli di governo. E questo in un momento in cui la competizione economica si fa durissima in campo internazionale, prima che europeo, e la compattezza interna è fondamentale per svolgere un ruolo adeguato nel contesto comunitario.” Per il Presidente Ifel “l’impegno del mondo delle autonomie in questa delicata fase deve essere massimo. Si tratta di una chance irripetibile, destinata a segnare nel bene o nel male tutto il funzionamento del revenue sharing nei prossimi decenni.” Ferrari ha poi assicurato che l’Ifel garantirà “il massimo impegno nei prossimi due anni per tenere dietro al lavoro da fare, o piuttosto per trainare l’elaborazione dei decreti e indirizzarla verso un risultato che esalti il ruolo dell’autonomia locale. Per mantenere fede a questo impegno, però, occorre l’aiuto di tutti, amministratori e funzionari. Non ci limitiamo ad ottenerlo, lo sollecitiamo.”
Note:
(1) Art. 119 Costituzione.
1. I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa.
2. I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno risorse autonome. Stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri, in armonia con la Costituzione e secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario. Dispongono di compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio.
3. La legge dello Stato istituisce un fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per i territori con minore capacità fiscale per abitante.
4. Le risorse derivanti dalle fonti di cui ai commi precedenti consentono ai Comuni, alle Province, alle Città metropolitane e alle Regioni di finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite.
5. Per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni, lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni.
6. I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno un proprio patrimonio, attribuito secondo di principi generali determinati dalla legge dello Stato. Possono ricorrere all’indebitamento, solo per finanziare spese di investimento. E’ esclusa ogni garanzia dello Stato sui prestiti dagli stessi contratti.
(2) vedi Vincenzo Cerulli Irelli: Sul federalismo fiscale (prime provvisorie osservazioni) in AUTONOMIE LOCALI: L’attuazione del federalismo fiscale e le ricadute per il Governo del territorio – edizioni ANCI RICERCHE
(3) Il termine “tasse” deve essere inteso in senso atecnico comprensivo quindi anche delle “imposte”
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