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I divieti previsti dal comma 9 dell'art. 23 bis della l. n. 133/2008 dopo il d.l. n. 135/2009.
di Riccardo Bianchini 26 ottobre 2009
Materia: servizi pubblici / disciplina

I DIVIETI PREVISTI DAL COMMA 9 DELL’ART. 23BIS DELLA L. 133/2008 DOPO IL DL N. 135/2009

 

Riccardo Bianchini

Indice:

1. Introduzione e definizione del tema

2. Linee evolutive dell’assetto normativo;

3. Lo scenario attuale

3.1. Problemi di coordinamento fra il comma 6 dell’art. 113 TUEL e il comma 9 dell’art. 23bis della l. 133/2008 nella sua originaria formulazione

3.2. Il “nuovo” comma 9 dell’art. 23bis della l. 133/2008

3.3. Una diversa interpretazione della nozione di “svolgere tramite società”

4. Limiti alla società mista e al socio privato

5. L’ipotesi di una società affidataria diretta e partecipata da più società pubbliche che la controllano congiuntamente

6. Le interferenze con il settore del gas naturale

7. Conclusioni

 

 

1. Introduzione e definizione del tema

La presente analisi mira a descrivere lo scenario entro cui sono costretti a muoversi gli operatori economici del settore dei servizi pubblici locali a seguito delle modifiche che il DL n. 135/2009 ha apportato all’art. 23bis della l. 133/2008.

Più in particolare, viene affrontato il tema dei limiti operativi derivanti dall’aver ottenuto un affidamento diretto di un servizio. Limiti che, come è noto, riguardano non soltanto l’affidatario stesso, ma anche una serie di soggetti legati da vincoli di carattere societario all’affidatario stesso.

Tali limiti, peraltro, vanno ad assommarsi a quelli che l’ordinamento conosce in ordine a settori limitrofi a quello dei sevizi pubblici locali e che, pure, vedono sovente coinvolti i medesimi soggetti che operano in tale ambito di mercato. In particolare, i limiti cui ci si riferisce sono quelli derivanti dall’art. 13 della l. 248/2006 (peraltro recentemente modificato dall’art. 4 della l. 99/2009) e dell’art. 3 commi 27 e ss. della l. n. 244/2007.

Tali due fonti normative ultime citate, come noto, escludono dal loro campo di applicazione, rispettivamente, il settore dei servizi pubblici locali e il settore dei servizi di interesse generale (in ordine alla cui differenziazione pare lecito sollevare non poche perplessità).

Tuttavia, nel descrivere l’attuale quadro delle limitazioni all’operatività delle società affidatarie dirette di servizi pubblici locali non sembra che possa escludersi che tali divieti possano agevolare l’interprete nella ricerca del senso e della direzione del percorso seguito dal legislatore.

Infatti, come si avrà modo di evidenziare, tanto l’art. 13 della l. 248/2006 (che impone l’impossibilità di svolgere qualsivoglia di tipologia d’attività per le “società strumentali” di enti pubblici, ad eccezione di quelle svolte in favore delle amministrazioni che le partecipano) quanto l’art. 3 comma 27 della l. n. 244/2007 (che impone – fra l’altro, anche - agli enti locali di dismettere le proprie partecipazioni in soggetti societari che non svolgano attività strettamente funzionali a quelle proprie dell’ente) vanno ad arricchire il già complesso quadro risultante dalla normativa specificatamente dedicata al settore dei servizi pubblici locali.

E ciò in quanto l’esperienza dell’affidamento diretto di servizi pubblici locali secondo il modello dell’in house providing ha portato alla strutturazione di soggetti societari, composti da una pluralità di enti locali, deputati allo svolgimento di una molteplicità di attività: non tutte riconducibili a quella di servizio pubblico locale.

A complicare ulteriormente il quadro normativo di riferimento vi è poi la normativa specifica per il settore del gas naturale che l’art. 23bis, nella sua nuova formulazione, lascia inalterata. Anche in riferimento ad essa occorrerà svolgere alcune considerazioni, soprattutto perché, come si vedrà, l’inciso inserito al primo comma dell’art. 23bis con il DL 195/2009 lascia aperta la questione delle limitazione all’operatività degli affidatari diretti del servizio pubblico di distribuzione di gas naturale e delle società a loro legate da vincoli societari.

 

2. Linee evolutivi dell’assetto normativo

Prima di giungere ad un’analisi dello scenario attuale, pare opportuno svolgere un breve excursus storico al fine di tentare di delineare quale sia la direzione intrapresa dall’ordinamento e, quindi, al fine di svelare quale sia la prospettiva di fondo nel quale sono andate maturando le recenti riforme del sistema dei servizi pubblici locali.

Al riguardo, conviene innanzitutto ricordare che a partire dalle modifiche introdotte all’art. 113 del  D.lgs 267/2000 con l’art. 35 della l. 448/2001, il tema dell’affidamento di servizi pubblici locali ha subito una drastica svolta nella direzione di prevedere che la selezione del soggetto titolare della gestione del servizio avvenga tramite procedure di gara ad evidenza pubblica.

Successivamente a tale modifica normativa ne sono seguite altre attraverso le quali è stata, dapprima, con l’art. 14 della l. n. 326 del 2003, reintrodotta la possibilità di operare affidamenti diretti (secondo il modulo dell’in house providing), onde poi giungere all’attuale scenario, conseguente alla l. n. 133/2008 e s.m.i., in cui l’ordinamento prevede che la modalità ordinaria di affidamento sia quella preceduta da una gara ad evidenza pubblica (per la selezione dell’affidatario, ovvero per la scelta del socio privato di una società mista affidataria diretta del servizio), mentre la possibilità di disporre un affidamento diretto è limitato alle ipotesi in cui ricorrano le eccezionali condizioni di cui al comma 3 dell’art. 23bis della l. 133/2008.

Parallelamente alla questione delle modalità di affidamento del servizio, il legislatore ha dovuto farsi carico di disciplinare un’ulteriore questione stringentemente legata ad essa e che costituisce l’oggetto principale del presente contributo: ossia quella di disciplinare i limiti entro cui soggetti titolari di affidamenti diretti possano partecipare a procedure ad evidenza pubblica per l’affidamento di altri servizi pubblici locali ovvero svolgere attività nei confronti di terzi anche diverse da quelle inerenti i servizi pubblici locali.

In riferimento a tale tematica è utile evidenziare che il senso di tali limiti alla operatività degli affidatari diretti è, quanto meno, duplice.

Da un lato, infatti, vi è la questione di garantire un corretto confronto concorrenziale fra soggetti operanti in un medesimo mercato.

Dall’altro lato vi è, invece, il portato di quell’orientamento giurisprudenziale sorto sul tema dell’attività extra moenia delle società partecipate da enti locali.

Scindendo i due aspetti, si evidenzia che, riguardo al primo di essi, il fine del divieto era (ed è tutt’ora) quello di impedire che un soggetto possa competere con gli altri operatori di mercato per aggiudicarsi la gestione di un dato servizio e, al contempo, beneficiare di affidamenti diretti di altri servizi. In questo tipo di scenario, infatti, nelle procedure di gara si verificherebbe una competizione viziata fin dall’origine, in quanto i titolari di affidamenti diretti potrebbero “spendere” nelle formulazione delle proprie offerte un vantaggio di posizione rispetto agli altri concorrenti. Vantaggio derivante dalla certezza che, comunque, essi sono e saranno titolari di altri servizi pubblici, e quindi beneficeranno di introiti (peraltro determinati in assenza di confronto concorrenziale) a prescindere dall’esito delle procedure di gara a cui parteciperanno. In sostanza, vi sarebbero soggetti che partecipano a gare sapendo di poter comunque beneficiare di altri affidamenti e soggetti che, invece, risultano completamente esposti alle logiche del mercato.

Una medesima distorsione della logica della concorrenza avverrebbe anche in altri settori, diversi da quello dei servizi pubblici e attinenti allo svolgimento di attività non soggette a concessione: infatti l’affidatario diretto andrebbe ad agire in concorrenza con altri operatori di mercato, senza che vi sia una medesima situazione di partenza fra i competitori.

Sul secondo aspetto occorre invece evidenziare come in giurisprudenza fosse maturato un cospicuo orientamento a mente del quale non sarebbe stato legittimo che una società partecipata da uno o più enti locali “impegnasse” le proprie risorse per svolgere servizi pubblici localizzati su territori di altri enti locali, qualora da tale impiego di risorse potesse derivare una più difficoltosa gestione del servizio relativo all’ente locale socio. (cfr. Cons.St. Sez. IV, 29.09.2005 n. 5204).

Invero, questa seconda tipologia di problematica è risultata in qualche modo recessiva rispetto alla prima. E ciò soprattutto perché, dopo la regolamentazione delle modalità di affidamento diretto di servizi secondo lo schema dell’in house providing operata con le modifiche all’art. 113 TUEL introdotte dalla l. n. 326/2003, il contenzioso relativo alla legittimità di affidamenti diretti si è spostato sul fronte della verifica delle condizioni di cui al comma 5, lett. c) del medesimo art. 113 TUEL, ossia i requisiti per la sussistenza di un rapporto di in house providing, maturati dapprima in sede comunitaria e poi trasfusi nell’ordinamento interno (totale capitale pubblico, “controllo analogo” e prevalenza dell’attività rivolta agli enti soci).

A partire, dunque, dalle modifiche apportate all’art. 113 del TUEL dalla l. n. 448/2001 sono state progressivamente introdotte disposizioni normative limitanti la capacità di partecipare alle procedure ad evidenza pubblica da parte degli affidatari diretti.

Con tale disposizione, infatti, è stato inserito il comma 6 dell’art. 113 TUEL (“sopravvissuto” in tale formulazione fino all’emanazione della l. 133/2008), a mente del quale “Non sono ammesse a partecipare alle gare di cui al comma 5 le società che, in Italia o all'estero, gestiscono a qualunque titolo, servizi pubblici locali in virtù di un affidamento diretto, di una procedura non ad evidenza pubblica, o a seguito dei relativi rinnovi; tale divieto si estende alle società controllate o collegate, alle loro controllanti, nonché alle società controllate o collegate con queste ultime….

Vi è pure da dire, in via di premessa, che una tale limitazione era già stata introdotta per uno specifico settore, ossia quello della distribuzione del gas naturale. Settore che avrebbe dovuto aprirsi in termini assai rapidi alla logica della concorrenza fra operatori di mercato (salve le molteplici proroghe disposte dal legislatore negli anni successivi all’emanazione del D.lgs 164/2000). Prevede infatti l’art. 14, comma 5, del D.lgs 164/2000, fin dalla sua originaria formulazione, l’esclusione dalla partecipazione alle gare per l’affidamento del servizio “delle società, delle loro controllate, controllanti e controllate da una medesima controllante, che, in Italia o in altri Paesi dell'Unione europea, gestiscono di fatto, o per disposizioni di legge, di atto amministrativo o per contratto, servizi pubblici locali in virtù di affidamento diretto o di una procedura non ad evidenza pubblica”. La disposizione normativa disciplinava poi la possibilità di partecipare alle gare per i soggetti che beneficiassero di pregressi affidamenti diretti del servizio di distribuzione del gas naturale, qualora tali affidamenti rientrassero dei limiti del periodo transitorio disciplinato dall’art. 15 del medesimo D.lgs 164/2000 (ma anche tale previsione ha subito ulteriori modificazioni, di modo che, adesso, è consentita a tutti gli affidatari la partecipazione alla “prima gara”).

Ciò premesso, concentrandosi sulla disciplina generale dell’affidamento dei servizi pubblici locali, si evidenzia che l’art. 113 TUEL, nella formulazione conseguente alle modifiche introdotte con la l. 448/2001, prevedeva quale unica modalità di affidamento del servizio lo svolgimento di una procedura ad evidenza pubblica (comma 5 art. 113 TUEL).  

Parallelamente, come visto, il comma 6 del riformato art. 113 introduceva una disposizione normativa volta ad imporre un divieto di partecipazione alle procedure ad evidenza pubblica preordinate all’affidamento di servizi pubblici locali per quei soggetti che fossero titolari di servizi pubblici locali a seguito di un affidamento diretto, nonché per soggetti legati da vincoli societari all’affidatario diretto.

Tale disposizione normativa, pur nell’accavallarsi di modifiche (e progetti di modifiche) dell’art. 113 TUEL, è rimasta invariata nel tempo, fino al nuovo scenario introdotto dall’art. 23bis della l. 133/2008.

Di modo che con la novella del 2009 avrebbe potuto sorgere la necessità di coordinare il comma 6 dell’art. 113 TUEL con il comma 9 dell’art. 23bis (ma nei fatti, stante l’intervenuta modifica dell’art. 23bis, non pare sia sorta tale necessità).

Tale ultima disposizione, infatti, nell’originaria formulazione, prescriveva quanto segue: “I soggetti titolari della gestione di servizi pubblici locali non affidati mediante le procedure competitive di cui al comma 2, nonché i soggetti cui è affidata la gestione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali degli enti locali, qualora separata dall'attività di erogazione dei servizi, non possono acquisire la gestione di servizi ulteriori ovvero in ambiti territoriali diversi, ne' svolgere servizi o attività per altri enti pubblici o privati, né direttamente, né tramite loro controllanti o altre società che siano da essi controllate o partecipate, né partecipando a gare. Il divieto di cui al periodo precedente non si applica alle società quotate in mercati regolamentati. I soggetti affidatari diretti di servizi pubblici locali possono comunque concorrere alla prima gara svolta per l'affidamento, mediante procedura competitiva ad evidenza pubblica, dello specifico servizio già a loro affidato. In ogni caso, entro la data del 31 dicembre 2010, per l'affidamento dei servizi si procede mediante procedura competitiva ad evidenza pubblica.”

In sostanza, il comma 9 sopra riportato dettava una serie di limitazione per gli affidatari diretti difforme rispetto a quella inserita al comma 6 dell’art. 113 TUEL: e tale difformità è relativa sia al profilo oggettivo del divieto (non più soltanto la partecipazione a gare, ma anche o svolgimento di attività rivolte a favore di terzi), sia al profilo soggettivo inerente l’estensione del divieto a soggetti a vario titolo legati all’affidatario.

Prima di procedere oltre e verificare l’attuale stato dell’assetto normativo, occorre quindi sottolineare quale sia il dato di fondo che caratterizza il percorso seguito dall’evoluzione normativa.

Da un’iniziale impostazione (ossia quella antecedente all’introduzione di un obbligo di bandire gare ad evidenza pubblica) in cui non vi erano limitazioni né alla partecipazione a gare, né allo svolgimento di altre attività per gli affidatari diretti (salvi i limiti giurisprudenziali emersi in tema di attività extra moenia), dopo le modifiche introdotte con la l. 448/2001 il legislatore ha imposto che gli affidatari diretti non potessero partecipare a gare ad evidenza pubblica. E tale divieto era esteso anche ad altri soggetti legati da vincoli societari con gli affidatari diretti.

Successivamente, con l’emanazione della l. 248/2006, è stata introdotta una limitazione per tutte le società strumentali degli enti locali (e regionali) (art. 13), prevedendo che esse potessero operare esclusivamente a favore degli enti soci, con divieto di svolgere qualsivoglia altra attività e con divieto di partecipare ad altre società.

Tuttavia, mentre in sede di emanazione del decreto legge 4 luglio 2006, n. 223 (poi convertito con modifiche nella l. 248/2006), la disposizione non recava alcuna esclusione per i servizi pubblici, in sede di conversione in legge il legislatore introduceva una rilevante modifica a tale art. 13: ossia veniva esplicitato che i limiti di cui a tale disposizione non sono applicabili al settore dei servizi pubblici.

Ancora successivamente, con la l. 244/2007, all’art. 3, commi 27 e ss., venivano introdotti nuovi limiti riferiti alle società partecipate dalle amministrazioni pubbliche (questa volta non solo locali e regionali). Tali limiti riguardano la possibilità per le amministrazioni di costituire (o mantenere partecipazioni in) società pubbliche, qualora tali soggetti non fossero strettamente funzionali al perseguimento delle attività istituzionali degli enti soci.

Anche in questo caso viene sancita l’esclusione dall’ambito di applicazione della diposizione il settore dei servizi pubblici (tramite l’uso della locuzione “servizi di interesse generale”).

Fin qui, dunque, un doppio binario seguito dall’ordinamento in relazione ai limiti operativi delle società pubbliche: per le società operanti nei servizi pubblici – anche grazie ai “ripensamenti” maturati in corso di conversione in legge del DL 223/2006 – non vi erano divieti di svolgere attività ulteriori o limitazioni alla loro costituzione, diversamente alle società impegnate nello svolgimento di attività diverse da quelle di servizio pubblico. Tali ultime società, infatti, sono onerate dal rispetto di una doppia serie di limitazioni. Una prima serie riguarda la loro costituzione e il loro mantenimento, che è conforme all’ordinamento soltanto se esse svolgano attività strettamente strumentali ai fini istituzionali degli enti soci; una seconda serie riguarda invece l’impossibilità per esse, se operanti quali società strumentali degli enti soci, di svolgere qualsivoglia altra attività e di partecipare ad altri soggetti societari. 

Si giunge quindi alla stesura del comma 9 dell’art. 23bis della l. 133/2008 che (anche nell’originaria formulazione, antecedente alle modifiche di cui al DL 135/2009) prevede limiti per gli affidatari diretti relativi sia alla partecipazione a gare, sia allo svolgimento di altre attività per conto di soggetti terzi. Ossia viene introdotto anche nel settore dei servizi pubblici una limitazione analoga a quella esistente per le “società strumentali” (ma diversa nelle modalità in cui il legislatore giunge ad imporre l’isolamento dell’affidatario diretto). 

La direzione intrapresa dall’ordinamento è dunque evidente: l’intento, che è andato a rafforzarsi nel tempo, è quello di giungere ad “isolare” gli affidatari diretti di servizi pubblici locali, in modo da sancire un’impossibilità giuridica di cumulare, al contempo, la veste di affidatario diretto e di esercente qualsiasi altra attività. Allineando così la disciplina dei servizi pubblici locali a quella emanata in di tema di “società strumentali”operanti in settori diversi da quello dei servizi pubblici locali.

Tale intento giunge fino all’estremo di impedire che anche altri soggetti – formalmente estranei alla vicenda dell’affidamento diretto, ma – legati da vincoli societari all’affidatario diretto siano onerati dai predetti divieti.

Infatti, anche nel settore dei servizi pubblici, pur non giungendo al divieto di partecipazione ad altre società sancito dall’art. 13 della l. 246/2008 per le “società strumentali”, si giunge comunque ad impedire lo svolgimento di qualsiasi attività “anche tramite … società …partecipate”.

 

3. Lo scenario attuale

 

3.1. Problemi di coordinamento fra il comma 6 dell’art. 113 TUEL e il comma 9 dell’art. 23bis della l. 133/2008 nella sua originaria formulazione

Come è noto, l’art. 23bis non prevedeva un’abrogazione esplicita delle disposizioni ad esso previgenti attraverso un’esatta individuazione delle disposizioni da ritenersi non più efficaci. Al contrario, l’ultimo periodo del primo comma così disponeva (e dispone tutt’ora se pur con l’esclusione di alcune norme di settore): “Le disposizioni contenute nel presente articolo si applicano a tutti i servizi pubblici locali e prevalgono sulle relative discipline di settore con esse incompatibili.

Residuava, e residua tutt’ora, il compito dell’interprete di comprendere quali disposizioni del previgente art. 113 TUEL fossero da ritenersi incompatibili e, quindi, superate dalle disposizioni di cui all’art. 23bis.

Da ciò i problemi di coordinamento fra il comma 6 dell’art. 113 TUEL e il comma 9 dell’art. 23bis della l. 133/2008.

Infatti, da un punto puramente logico, le previsioni di cui al comma 6 dell’art. 113 del TUEL e le previsioni di cui al comma 9 dell’art. 23bis (sia nella originaria formulazione che nell’attuale), non sono fra loro incompatibili.

Così come l’art. 113 comma 6 pone una propria serie di divieti, anche l’art. 23bis comma 9 poneva (e pone tutt’ora) una diversa serie di divieti. Di modo che poteva rigidamente osservarsi la possibilità giuridica della coesistenza delle due distinte serie di divieti. Infatti, le disposizioni di cui al comma 6 dell’art. 113 TUEL non sono logicamente incompatibili con quelle del comma 9 dell’art. 23bis, in quanto - verrebbe da dire - un divieto non esclude l’altro.

Ciò perché la prima di tali disposizioni mira ad impedire la partecipazione alle gare per l’affidamento di servizi pubblici locali ad una serie di soggetti; la seconda mira invece ad impedire lo svolgimento di qualsiasi attività (anche acquisita tramite gara) ad una serie di soggetti diversa.

Vero è, tuttavia, che l’intento che è sembrato implicitamente emergere dalla riforma operata con l’art. 23bis, perlomeno riguardo al regime di preclusioni alla partecipazione alle gare per gli affidatari diretti, è quello di voler sovrapporre alla “vecchia” impostazione di cui al comma 6 dell’art. 113 del TUEL una nuova impostazione, che prenda in considerazione anche le società partecipate (sulla scorta, presumibilmente, di quanto già era avvenuto in tema di società strumentali non operanti nei servizi pubblici locali ad opera dell’art. 13 della l. 246/2006).

Di conseguenza, le previsioni di cui all’art. 23bis sembrano aver superato quelle dell’art. 113, comma 6 del TUEL, con la conseguenza che il regime di preclusioni alla partecipazione a gare per l’affidamento di servizi pubblici locali era esclusivamente quello derivante dall’art. 23bis.

Di conseguenza, prima della riforma del 2009, il divieto di partecipare a gare per l’affidamento di servizi pubblici locali (ovviamente salva la questione della partecipazione alle “prime gare”) doveva ritenersi operante in capo:

-          all’affidatario diretto;

-          alla società che controlla un affidatario diretto;

-          alla società controllata da un affidatario diretto;

-          alla società in cui possiede una partecipazione un affidatario diretto.

Due precisazioni sono però necessarie.

In primo luogo, come già evidenziato, la serie di soggetti sopra individuata, non solo non avrebbe potuto (e non può tutt’ora) partecipare a gare per l’affidamento di servizi pubblici, ma anche le era impedito (e le è tutt’ora) svolgere attività a favore di terzi.

In secondo luogo, ed è ciò che più interessa, deve essere rilevato che nell’originaria formulazione dell’art. 23bis, la locuzione “non possono … svolgere servizi o attività per altri enti pubblici o privati… tramite loro controllanti o altre società che siano da essi controllate o partecipate” sembrava avere l’univoco significato di imporre il divieto a tutte le società legate da vincoli di controllo o partecipazione con l’affidatario diretto (salvo la società che ha partecipazioni in un affidatario diretto senza controllarlo). Nel senso che l’uso (certo non tecnicamente corretto) della locuzione “svolgere tramite società” sarebbe stato a significare una sorta di presunzione che tutte le attività svolte da società legate da vincoli di controllo o partecipazione con l’affidatario diretto, svolgerebbero le ulteriori attività “per conto” dell’affidatario stesso.

Ma tale questione, come si avrà modo di esporre nel prosieguo, necessita di una specifica analisi dopo che la riforma del 2009 ha enormemente ampliato il novero dei soggetti che ricadono sotto l’egida del divieto. 

 

Per meglio chiarire la portata dell’interpretazione dell’art. 23bis, comma 9, nel senso di ritenere superate tutte le preclusioni di cui all’art. 113, comma 6, del TUEL, occorre ricordare che tale ultima disposizione precludeva la partecipazione alle gare per quei soggetti che fossero legati all’affidatario diretto secondo modelli diversi rispetto all’art. 23bis. Era infatti preclusa la partecipazione alle gare alla società che:

-          controlla un affidatario diretto;

-          è controllata da un affidatario;

-          è collegata ad un affidatario diretto;

-          è controllata da una società che controlla un affidatario diretto;

-          è collegata con una società che controlla un affidatario diretto.

 

Quindi, nello scenario successivo alla l. 133/2008 (ma antecedente al DL 135/2009) tutta una serie di soggetti che alla luce dell’art. 113, comma 6 del TUEL non avrebbero potuto partecipare a gare ad evidenza pubblica per l’affidamento di servizi pubblici locali vedevano rimossa tale limitazione. In particolare, i soggetti che beneficiavano di tale maggiore operatività erano le società controllate o collegate a società che controllano un affidatario diretto.

 

3.2. Il “nuovo” comma 9 dell’art. 23bis della l. 133/2008

Il DL 135/2009 ha fornito una nuova formulazione del comma 9 dell’art. 23bis, il quale adesso così dispone: “Le società, le loro controllate, controllanti e controllate da una medesima controllante, anche non appartenenti a Stati membri dell'Unione europea, che, in Italia o all'estero, gestiscono di fatto o per disposizioni di legge, di atto amministrativo o per contratto servizi pubblici locali in virtù di affidamento diretto, di una procedura non ad evidenza pubblica ovvero ai sensi del comma 2, lettera b), nonché i soggetti cui è affidata la gestione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali degli enti locali, qualora separata dall'attività di erogazione dei servizi, non possono acquisire la gestione di servizi ulteriori ovvero in ambiti territoriali diversi, né svolgere servizi o attività per altri enti pubblici o privati, né direttamente, né tramite loro controllanti o altre società che siano da essi controllate o partecipate, né partecipando a gare…

A fronte di tale testo normativo, la problematica sopra esposta della necessità di coordinamento con il comma 6 dell’art. 113 TUEL risulta completamente superata: infatti, la serie di soggetti individuati dal “nuovo” comma 9 dell’art.23bis risulta inglobare completamente quella di cui al comma 6 dell’art. 113 TUEL.

Peraltro, come subito si vedrà, la tecnica legislativa utilizzata risulta, quantomeno, foriera di duplicazioni. Infatti, la prima parte del comma 9 individua una serie di soggetti ai quali si applica il divieto, dopodiché, la seconda parte del comma 9, individua un’ulteriore serie di soggetti ai quali si applica il divieto utilizzando la locuzione “tramite loro controllanti o altre società…”

In pratica, il legislatore ha operato una vera e propria moltiplicazione (o forse un’elevazione a potenza) dei soggetti destinatari dei divieti di cui al comma 9.

Cercando di ricondurre ad intelligibilità il contenuto del comma 9, e quindi cercando di comprendere quali siano i soggetti che, in concreto, ricadono nell’applicazione dei divieti, è necessario distinguere analiticamente tutti i soggetti menzionati dal comma 9 attraverso la combinazione della prima parte del comma con la seconda.

Emerge allora che, allo stato attuale, il divieto di partecipare a gare ad evidenza pubblica e di svolgere qualsiasi altra attività rispetto al servizio affidato direttamente si applica, oltre che all’affidatario diretto, ai sensi della prima parte del primo periodo del comma 9, ai seguenti soggetti:

-          la società che controlla l’affidatario diretto;

-          le società controllate dall’affidatario diretto;

-          le società controllate da una società che controlla un affidatario diretto;

 

E fin qui niente di nuovo sembra avvenire. Anzi, sembra che vi sia una riproduzione del comma 5 dell’art. 14 del D.lgs 164/2000 relativo al settore del gas naturale.

I problemi, semmai, giungono con la seconda parte del comma 9.

Infatti, in essa il legislatore individua tutta un’altra serie di soggetti, legati a quelli individuati nella prima parte del comma, con una formula linguistica assai peculiare.

Il legislatore afferma che i soggetti di cui alla prima parte del comma 9 (affidatario diretto, società controllante, società controllate e società controllate dalla medesima controllante) non possono svolgere alcuna attività, neppure “tramite loro controllanti o altre società che siano da essi controllate o partecipate”.

Questa formulazione (“tramite loro controllate…”) era già presente nella prima versione del comma 9. In tale momento, però, non sembrava destare particolari preoccupazioni o problemi interpretativi, in quanto la prima parte del comma 9, anziché individuare una serie di soggetti, nominava il solo affidatario diretto. E in tale scenario (ossia quello antecedente al DL 135/2009) era agevole, per non dire scontato, interpretare la pur singolare formulazione della disposizione normativa nel senso che essa impediva a tutta una serie di soggetti societari di svolgere quelle attività che erano vietate per l’affidatario diretto.

In altri termini, la locuzione “svolgere tramite società” era funzionale a veicolare i divieti in capo a soggetti diversi dall’affidatario diretto, ma legati ad esso da vincoli di controllo o partecipazione.  

Ma lo scenario conseguente alle modifiche della prima parte del comma 9 è totalmente diverso.

Continuando a ritenere che la formulazione “svolgere tramite società” contenuta nella seconda parte del comma veicoli una sorta di presunzione tale per cui tutti i soggetti individuati dalla disposizione, se svolgono alcune attività, lo starebbero facendo “per conto” dell’affidatario diretto, si giungerebbe ad un’estensione dei divieti del comma 9 a dir poco smisurata.

Infatti, combinando la serie di soggetti di cui alla prima parte del comma (società, le loro controllate, controllanti e controllate da una medesima controllante), con la seconda serie di soggetti di cui alla seconda parte del comma (controllanti o altre società che siano da essi controllate o partecipate), deriverebbe che i divieti di cui al comma 9 sarebbero applicabili, in forza della seconda parte di esso, a una platea di società che in parte sono già ricomprese nella prima parte del comma e in parte sono assai “lontane” dall’affidatario diretto.

Questo perché, a mente della seconda parte del comma 9, sono sottoposti ai divieti (in neretto i soggetti nuovi rispetto alla prima parte):

 

-          la società che controlla:

o   l’affidatario diretto (ed è la stessa ipotesi della prima parte del comma 9)

o   una società che controlla l’affidatario diretto (ossia la controllante della controllante dell’affidatario diretto);

o   una società controllata dall’affidatario diretto (ossia l’affidatario diretto stesso);

o   le società controllate da una società che controlla un affidatario diretto (ossia la società che controlla l’affidatario diretto, ossia un soggetto già previsto dalla norma)

 

Quindi, rispetto alla prima parte del comma 9 è individuato un solo nuovo soggetto: la controllante della controllante dell’affidatario diretto. (Per inciso, tale soggetto era già compreso nel comma 6 dell’art. 113 TUEL)

 

-          la società controllata:

o   dall’affidatario diretto (ed è la stessa ipotesi della prima parte del periodo)

o   dalla società che controlla l’affidatario diretto (ossia la medesima ipotesi della prima parte del periodo: controllata dalla medesima controllante);

o   dalla società controllata dall’affidatario diretto (ossia la società controllata indirettamente dall’affidatario diretto);

o   dalla società controllata da una società che controlla un affidatario diretto (ossia la società controllata da un soggetto che ha in comune con l’affidatario diretto la medesima controllante);

Quindi, rispetto alla prima parte del comma 9 sono individuati due nuovi soggetti: 1) la società controllata da una società controllata dall’affidatario diretto; 2) la società controllata da una società che ha la medesima controllante dell’affidatario diretto)

 

-          la società partecipata:

o   dall’affidatario diretto;

o   dalla società che controlla l’affidatario diretto

o   dalla società controllata dall’affidatario diretto;

o   dalla società controllata da una società che controlla un affidatario diretto;

 

E qui l’ampliamento non pare bisognevole di ulteriori spiegazioni. Si segnala, semmai, che rispetto al comma 6 dell’art. 113 TUEL rimangono fuori dal divieto le società collegate, qualora il collegamento sia instaurato attraverso la partecipazione di una società terza nell’affidatario o nella controllante di esso.

 

Ricostruito in tal modo lo spettro di applicazione della disposizione non può che censurarsi la quasi assoluta incomprensibilità della disposizione. Il legislatore, infatti, utilizzando due serie di soggetti fra loro combinati, introduce un vero e proprio fascio di soggetti ai quali risulta applicabile il divieto, costringendo l’interprete a qualcosa che assomiglia più a un gioco di parole che a un’interpretazione normativa.

Tuttavia, lasciando da parte possibili critiche alla tecnica legislativa utilizzata, è interesse verificare quale sia l’esatto portato della disposizione normativa: ossia capire quali siano, in concreto, i soggetti ai quali il divieto si applica.

Al riguardo, una prima ed immediata soluzione potrebbe consistere nel ritenere che tutti i soggetti summenzionati siano destinatari del divieto.

Cosa che, però, porta a far ricadere nel divieto anche soggetto assai “lontani”, in termini di vincoli societari, all’affidatario diretto: sarebbero infatti sottoposti al divieto, ad esempio, le società partecipate da una società controllata dalla medesima controllante dell’affidatario diretto.

Volendo adottare una modalità di computo della lontananza rispetto all’affidatario diretto analoga a quella utilizzata per il computo di gradi di parentela, si evidenzia che la disposizione potrebbe giungere ad imporre i divieti del comma 9 fino alla società legata all’affidatario diretto da un legame di terzo grado.

E ciò che più stupisce è il fatto che il legislatore equipari l’ipotesi di società controllata a quella di società partecipata. Proprio in riferimento a tale seconda tipologia di legame, infatti, potrebbero sorgere i più forti problemi di carattere operativo per i gruppi societari di cui faccia parte un affidatario diretto, senza che, magari, vi sia un’effettiva “contaminazione” fra le varie componenti del gruppo.

In ogni caso, occorre ricordare che il senso della disposizione - come precedentemente evidenziato – dovrebbe essere quello di limitare il rischio di una distorsione dei meccanismi della concorrenza indotti dal fatto che un medesimo soggetto sia, al contempo, affidatario diretto e competitore con altri soggetti non affidatari diretti nell’ambito di procedure ad evidenza pubblica e nello svolgimento di attività non concessionate.

In tale prospettiva pare allora davvero eccessivo un divieto che si propaghi fin nei più remoti angoli del gruppo societario di cui faccia parte un affidatario diretto.

 

 

3.3. Una diversa interpretazione della nozione di “svolgere tramite società”

 

Come visto, combinando la prima e la seconda parte del comma 9, ne deriva che l’ambito applicativo del divieto sia caratterizzato da forte ampiezza.

Tale circostanza, tuttavia, deriva dall’idea che la locuzione utilizzata dal legislatore in apertura della seconda parte del comma (“tramite controllanti o altre società…”), stia ad indicare che tutte le società controllate, controllanti o partecipate dall’affidatario diretto siano immediatamente soggette al vincolo.

In altri termini, il legislatore, nella prima parte del comma individua una serie di soggetti, dopodiché afferma che a tali soggetti (oltre che alla “società delle reti”) si applichino alcuni divieti. Tali divieti sono esplicitati con la seguente formulazione linguistica: non possono acquisire la gestione di servizi ulteriori ovvero in ambiti territoriali diversi, né svolgere servizi o attività per altri enti pubblici o privati, né direttamente, né tramite loro controllanti o altre società che siano da essi controllate o partecipate, né partecipando a gare.

Quindi, tutti i soggetti indicati nella prima parte del comma non possono né acquisire ulteriori servizi, né svolgere attività per conto di soggetti terzi. E tali attività non possono essere svolte né direttamente né tramite una serie di società legate da vincoli di controllo o partecipazione.

Tuttavia, occorre soffermarsi sulla possibile interpretazione della locuzione “svolgere tramite società (controllata/controllante/partecipata)”.

Come visto, una prima e immediata interpretazione sarebbe quella di ritenere che tale locuzione significhi che tutti i servizi e le attività svolte dalla società controllanti/controllate/partecipate rispetto all’affidatario diretto (o agli altri soggetti di cui alla prima parte del comma 9) siano di per sé imputabili all’affidatario diretto, il quale starebbe svolgendo “tramite” tali soggetti attività vietate dal comma 9.

Tuttavia, una tale interpretazione non trova riscontro in altro se non nel voler attribuire – come peraltro parrebbe logico – una precisa intenzione al legislatore: quella di dettare un limite invalicabile per gli affidatari diretti, di tal ché la loro presenza in un gruppo societario non possa “contaminare” il principale presupposto della concorrenza, ossia la posizione di parità fra contendenti.

In tale ottica, sarebbe logico ritenere che il legislatore abbia cercato di serrare quanto più possibile la stretta intorno agli affidatari diretti, per cui chi versasse in una tale ipotesi non potrebbe sfuggire ai divieti del comma 9 neppure confinando l’affidamento diretto nella “pancia” di una società controllata nell’ambito di un unico gruppo societario deputato, al contempo, a mantenere affidamenti diretti e concorrere nel mercato. 

Ma tale intento poteva essere “tranquillamente” accettato come argomento interpretativo quando, nella prima formulazione del comma 9, non vi era una doppia elencazione di soggetti.

Adesso, invece, che la prima parte del comma 9 è stata modificata introducendo fin da subito individuazione di un novero di soggetti onerati dai divieti del comma 9 stesso, la locuzione “svolgere tramite società” potrebbe trovare una diversa – e forse più ragionevole – interpretazione.

In altri termini, dopo il DL 135/2009, l’intento di segregare l’affidatario all’interno di un divieto di contaminare le logiche della concorrenza sembrerebbe già sufficientemente realizzato con la prima parte del comma 9, laddove si individuano destinatari dei divieti quei medesimi soggetti che, più o meno costantemente, sono stati individuati come ricadenti sotto il divieto di partecipare a gare (dall’art. 14, comma 5 in tema di gas naturale, con formulazione identica; dal comma 6 dell’art. 113 TUE con formulazione parzialmente diversa, in cui sono ricomprese le società collegate).

Quindi, l’intento di segregare gli affidatari diretti, se si prende a riferimento di ragionevolezza l’assetto preesistente alla legge n. 133/2008, sarebbe già soddisfatto con la prima parte del comma 9.

Certo, come si è evidenziato in precedenza, l’ordinamento ha conosciuto negli ultimi anni norme assai stringenti per le società pubbliche “strumentali”, alle quali è interdetta la partecipazione a qualunque altra società (art. 13 l. 248/2006). Ed è da sottolineare nuovamente che in fase di prima stesura (ossia prima della conversione in legge) tale norma prevedeva la propria applicazione anche al settore dei servizi pubblici.

Tuttavia, fra la disposizione di cui all’art. 13 della l. 248/2006 e il comma 9 in esame sussiste una netta differenza di impostazione:

-          l’art. 13 impone esplicitamente il divieto di partecipare ad altre società;

-          il comma 9, pur non vietando di partecipare ad altre società, e pur non imponendo di dismettere una tale partecipazione, tende a vietare alle società partecipate lo svolgimento di qualunque attività. 

Pare dunque possibile rimeditare il punto di partenza del ragionamento: ossia che la locuzione “svolger tramite società” stia ad indicare che tutte le attività svolte dalle società richiamate dalla seconda parte del comma 9 siano, necessariamente, sottoposto al divieto. Ossia che non tutte le attività svolte da tali società siano attribuibili ai soggetti indicati nella prima parte del comma 9.

In altri termini, potrebbe essere logico e giuridicamente sostenibile ritenere che i divieti di cui al comma 9 sia applicabili a tutta la pletora di soggetti sopra indicati soltanto se, e nella misura in cui, sia provato che lo svolgimento delle attività vietate sia nient’altro che un mascheramento dello svolgimento di attività dei soggetti di cui alla prima parte del comma 9.

Peraltro, pare opportuno aggiungere che, da un punto di vista giuridico, l’utilizzo della locuzione “svolgere tramite società” appare di quantomeno dubbia decifrazione, soprattutto se si intenda attribuire a tale locuzione il significato secondo cui tutte le attività svolte da società controllate/controllanti/partecipate siano attività che l’affidatario diretto “svolge tramite di loro”.

 

Ovviamente, una tale impostazione – sebbene in grado di circoscrivere l’ampiezza dei divieti del comma 9, riconducendoli, forse, a ragionevolezza – produrrebbe un ulteriore fronte di criticità interpretativa: ossia l’individuazione dei mezzi di prova necessari per dimostrare che vi sia un effettivo svolgimento di attività da parte dell’affidatario diretto (e degli altri soggetti di cui alla prima parte del comma 9) “per tramite” di società controllate/controllanti/partecipate; e, prima ancora, la necessità di capire se la prova di tale circostanza dovesse essere addotta dall’affidatario diretto o dal soggetto che si oppone allo svolgimento dell’attività (che potrebbe essere anche una stazione appaltante in sede di procedura di gara).

Vale inoltre la pena di evidenziare come l’istituto, oramai pienamente acquisito dal settore degli appalti pubblici, dell’avvalimento, potrebbe essere l’implicito riferimento della locuzione “svolgere tramite società”. Potrebbe cioè essere non del tutto irragionevole circoscrivere la portata della seconda parte del comma 9 interpretando la disposizione nel senso che essa, in definitiva, giungerebbe a vietare ai soggetti considerati nella prima parte del comma di utilizzare strumenti giuridici analoghi all’avvalimento, attraverso i quali “prestino” i propri requisiti e le proprie aziende ai soggetti elencati nella seconda parte del comma 9.

Anche perché pare evidente che, per quanto non sia espressamente menzionato l’istituto dell’avvalimento nel corpo del comma 9, potrebbe essere logico affermare che gli affidatari diretti non potrebbero prestarsi ad essere società avvalsa, non perlomeno se colui che si avvalga dei requisiti sia una società controllata/controllante/partecipata.

 

Detto ciò, preme ulteriormente evidenziare che, laddove si affermasse un’interpretazione particolarmente restrittiva del comma 9, si verificherebbero non pochi problemi anche in riferimento ad altri temi strettamente legati alla questione dei divieti del comma 9.

In particolare, sembra degno di nota verificare come il summenzionato comma 9 – soprattutto qualora si interpreti la locuzione “svolgere tramite società” nel senso sopra descritto - abbia precipui riflessi anche su altri temi, sui quali brevemente ci si sofferma.

 

4. Limiti alla società mista e al socio privato

Come è noto, dopo le modifiche del DL 135/2009, diviene modalità ordinaria di affidamento quella della costituzione di una società mista. Con la precisazione, però, che la selezione del socio avvenga mediante procedura competitiva ad evidenza pubblica, la quale abbia ad oggetto, al tempo stesso, la qualità di socio e l'attribuzione dei compiti operativi connessi alla gestione del servizio e a condizione che al socio sia attribuita una partecipazione non inferiore al 40 per cento (art. 23bis, comma 2, lett. b)).

Ovviamente, la società mista, in quanto affidatario diretto di un servizio pubblico locale, incontra i limiti di cui al comma 9.

Infatti la gara che pure viene espletata non è finalizzata a selezionare la società mista rispetto ad altre società, ma il solo socio privato. Quindi non stupisce – e anzi è una conseguenza del tutto ovvia – che la società mista non possa svolgere nessun’altra attività se non quella affidata.

Peraltro, se così avvenisse, vi sarebbe l’ulteriore violazione dei principi inerenti la contrattualistica pubblica, in quanto, dopo che la scelta del privato per la stipula del contratto (nel caso di specie, associativo) sia avvenuta sulla base di un preciso oggetto della gara (affidamento del servizio alla società mista), il privato beneficerebbe della posizione acquisita anche per svolgere attività diverse da quelle oggetto della procedura selettiva.

Non sembra quindi creare di per sé particolari problemi interpretativi il fatto che la società mista ricada nell’applicazione dei divieti del comma 9.

Tuttavia, potrebbe sorgere il problema di comprendere se – oltre che alla società mista - siano applicabili i divieti del comma 9 anche al privato che partecipi alla società mista.

Infatti, il comma 2, lett. b) dell’art. 23bis impone una partecipazione minima del privato al capitale sociale della società mista pari al 40%, ma non pone alcun limite massimo.

Per cui, qualora il privato partecipasse in misura tale da assicurarsi il controllo della società, potrebbe ritenersi che esso, in applicazione del comma 9, sia soggetto controllante e, quindi, sia destinatario dei divieti ivi contenuti.

Peraltro, giova ricordare che il controllo societario non si determina prendendo a riferimento il dato meramente quantitativo della partecipazione al capitale sociale. Infatti, l’unica definizione di società controllata riscontrabile nell’ordinamento, ossia quella dettata dall’art. 2359 c.c., così dispone: “Sono considerate società controllate: 1) le società in cui un'altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell'assemblea ordinaria; 2) le società in cui un'altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell'assemblea ordinaria; 3) le società che sono sotto influenza dominante di un'altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa.

Per cui, nell’ipotesi, non certo infrequente, che la componente pubblica della società mista sia costituita da una pluralità di enti locali, potrebbe avvenire che tale società, anche a prescindere dal superamento della quota di capitale del 50% da parte del privato, sia qualificabile come controllata dal socio privato.

I riflessi di un tale scenario sono evidenti e gravissimi: il privato sarebbe soggetto al comma 9 e, quindi, impossibilitato a svolgere qualsivoglia attività. Non solo, il divieto si ripercuoterebbe anche all’interno del gruppo societario di cui faccia parte il privato.

Ovviamente problemi di tal tipo prescindono dall’interpretazione del comma 9 sopra descritti, e tuttavia è evidente che tanto più ampio sia l’ambito di applicazione del comma 9, tanto più gravi sarebbero i rischi di un’estensione dei divieti al socio privato di una società mista affidataria diretta del servizio.

 

 

5. L’ipotesi di una società affidataria diretta e partecipata da più società pubbliche che la controllano congiuntamente

 

Tema particolarmente ostico pare quello di comprendere come si declini il divieto di cui al comma 9 qualora l’affidatario diretto non sia la società immediatamente partecipata dall’ente locale, ma una società partecipata da più società pubbliche.

Va ricordando, infatti, che, almeno nella prospettazione della Corte di Giustizia delle Comunità Europee, può sussistere un legittimo affidamento diretto secondo il modulo dell’in house providing anche in ipotesi di controllo indiretto (Cfr CGCE, Sez. I, 11/5/2006 n. C-340/04, in cui si afferma che un controllo indiretto “indebolisce” i requisiti dell’in house, ma non si afferma che siano di per sé esclusi).

In sostanza, per aggirare i divieti del comma 9 potrebbe avvenire che l’affidamento diretto sia formalizzato in capo a una società in riferimento alla quale più enti locali esercitino il necessario “controllo analogo”, pur senza partecipare direttamente al capitale sociale dell’affidatario diretto. Attribuendo invece la partecipazione in tale soggetto in capo a società pubbliche partecipate, queste sì, dagli enti affidanti.

In tale prospettiva potrebbe avvenire che nessuna delle società pubbliche che partecipano al capitale dell’affidatario diretto sia qualificabile come “società controllante”, con la conseguenza che sarebbe possibile, per le predette società pubbliche, nonché per tutte le società da esse controllate o partecipate, svolgere le “altre attività” vietate dal comma 9.

Vero è che, tuttavia, si produrrebbe il paradosso secondo cui i divieti non si applicherebbero in quanto l’affidatario diretto sarebbe privo di un “controllo” univoco, benché partecipato integralmente da società pubbliche le quali eserciterebbero congiuntamente un “controllo” necessario ai fini della legittimità dell’affidamento diretto.

In altri termini, gli enti locali soci delle società pubbliche “intermedie” eserciterebbero un controllo, anche per tramite di tali società, sulle scelte gestionali dell’affidatario diretto, senza che tuttavia sia ravvisabile un controllo di tipo societario.

Il punto che sembra maggiormente stridere consiste nel fatto che, in tema di affidamento diretto, sussiste una prima definizione giuridica di “controllo analogo”, attinente al tema della legittimità dell’affidamento, e una seconda definizione di “controllo”, attinente al tema dell’estensione dei divieti di cui al coma 9.

La prima di tali due definizione è ancorata al portato della giurisprudenza comunitaria e nazionale, e ha a che fare con l’esistenza di una reale ed effettiva capacità dell’ente affidante di ingerire nelle scelte gestionali dell’affidatario, a prescindere finanche dalla partecipazione diretta al capitale sociale (purché sia rispettato il limite del totale capitale pubblico).

La seconda di tali due definizioni di “controllo”, stante l’espresso riferimento alle nozioni di “società controllata” non può che riferirsi alle ipotesi definite dalla fonte normativa codicistica di diritto comune.

Per cui, anche la paradossale problematicità dell’applicazione dei divieti di cui al comma 9 alle società pubbliche sopra indicate sia determinata dall’assenza di un’unitaria disciplina giuridica delle società pubbliche. Una disciplina, cioè, che sia in grado di fornire chiarezza, e soprattutto certezza, in ordine allo status giuridico di soggetti che, dietro la forma di società di diritto comune, celano interessi (o comunque capitali) pubblici.   

 

6. Le interferenze con il settore del gas naturale

Ulteriore fronte di ambiguità lasciato aperto dall’attuale assetto delle disposizioni normative esistenti riguarda le interferenze del comma 9 dell’art. 23bis con il settore del gas naturale.

Come evidenziato in premessa, a seguito delle modifiche apportate con DL 135/2009, l’art. 23bis lascia salve le disposizioni normative inerenti il settore della distribuzione di gas naturale. (“Sono fatte salve le disposizioni del decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 164, e dell’articolo 46-bis del decreto-legge 1º ottobre 2007, n. 159, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 novembre 2007, n. 222, in materia di distribuzione di gas naturale”)

Tuttavia, tali disposizioni riguardano le modalità di affidamento del servizio, i limiti alla partecipazione alle gare, la durata del periodo transitorio, la partecipazione alle “prime gare”, e altre questioni che, però, sono tutte quante estranee al tema oggetto della presente analisi: ossia i divieti incontrati dall’affidatario diretto e dai soggetti ad esso legato nell’assunzione di altri servizi e nello svolgimento di altre attività a favore di terzi.

Per chiarire, il comma 5 dell’art. 14 del D.lgs 164/2000 preclude la partecipazione alle gare per l’affidamento del servizio di gas naturale a tutta una serie di soggetti, ma non prevede (ovviamente) che gli affidatari diretti del servizio di distribuzione di gas naturale non possano svolgere altri servizi o attività: un tale divieto era semmai veicolato dall’art. 113, comma 6 del TUEL in riferimento alla partecipazione a gare per l’affidamento di altri sevizi pubblici locali.

Oggi, dunque, occorre interrogarsi in ordine al significato da attribuire alla disposizione di cui al comma primo, seconda parte, dell’art. 23bis, a mente del quale “Sono fatte salve le disposizioni..” in tema di distribuzione di gas naturale.

Tale “salvezza” delle norme sul gas, infatti, non sembra precludere all’applicazione di quelle disposizioni inserite nell’art. 23bis che non riguardano l’affidamento del servizio di distribuzione del gas naturale. In altri termini, il problema è quello di comprendere se gli affidatari diretti di un servizio di distribuzione di gas naturale, oltre a non poter partecipare alle gare per l’affidamento di tale servizio ai sensi del comma 5, dell’art. 14 del D.lgs 164/2000 (salvo la “prima gara”), abbiano o meno limitazioni nello svolgimento di altri servizi e altre attività.

La risposta, invero, sembra scontata. Infatti, poiché il comma 1 dell’art. 23bis non prescrive che le disposizioni contenute in tale articolo non si applicano al settore del gas naturale, ma prescrive unicamente che sono “fatte salve le disposizioni” in tema di distribuzione di gas naturale, anche ai gruppi societari all’interno dei quali è presente un affidatario diretto del servizio di distribuzione del gas naturale dovrebbero applicarsi, o meglio sarebbe dire propagarsi, i divieti di cui al comma 9.

Così posta, la questione parrebbe priva di elementi di contraddittorietà. Tuttavia, occorre evidenziare che il settore della distribuzione di gas naturale dovrebbe essere il settore di mercato nell’ambito del quale i principi della concorrenza trovino massima applicazione. Infatti, l’unica modalità di affidamento possibile è quella della procedura di gara ad evidenza pubblica, senza che sia possibile né l’affidamento a società mista né a società legata da un vincolo di in house providing.

Per cui gli operatori di mercato della distribuzione del gas naturale - pur in attesa della definizione degli ambiti territoriali – già sono sottoposti all’espletamento di gare per l’affidamento delle nuove concessioni.

Al contempo, però, essi rimangono beneficiari di affidamenti diretti in quanto proprio il legislatore, attraverso la continua modificazione dei termini di durata del periodo transitorio e, poi, con l’introduzione di un “non termine” decorrente dalla definizione di ambiti territoriali non ancora effettuata, ha lasciato molti operatori di mercato nella situazione in cui essi, necessariamente, risultano affidatari diretti.

Quindi, da un lato essi già sono sottoposti alla concorrenza qualora intendano partecipare a gare per l’affidamento di nuove concessioni di distribuzione. Dall’altro lato non possono evitare di continuare ad essere affidatari diretti del servizio, in quanto la competenza a bandire le nuove procedure è in capo agli enti locali, senza che vi sia un termine certo di cessazione di tutti gli affidamenti diretti, come invece il comma 8 dell’art. 23bis impone per tutti gli altri servizi pubblici.

Conseguenza di tutto ciò è la stridente situazione in cui, proprio i soggetti che non potranno che partecipare a gare pubbliche per vedersi affidati il servizio, sono comunque onerati dal divieto di cui al comma 9 dell’art. 23bis, senza che vi sia un termine certo in ordine alla cessazione degli affidamenti diretti stessi. E tale divieto, che non si applica alla “prima gara”, si applica però immediatamente a tutte le altre attività.

Proprio in riferimento al settore della distribuzione di gas naturale vi è un’”altra attività” che è strettamente legata alla distribuzione, ossia la vendita di gas naturale.

Allo stato attuale vige la necessità di una separazione societaria (nonché contabile e gestionale, per l’applicazione delle disposizioni inerenti il c.d. unbundling) fra società di distribuzione del gas naturale e società di vendita, nel senso che, pur essendo ammissibile che in un medesimo gruppo societario siano presenti le attività di distribuzione e di vendita di gas naturale, fra di esse vi deve essere una distinzione societaria.

Ebbene, almeno stando ad una lettura formale dell’art. 23bis comma 1, sono fatte salve le (sole) disposizioni “in materia di distribuzione di gas naturale”. Niente invece viene detto in tema di vendita di gas naturale.

L’ovvia conseguenza di ciò è l’ipotesi che i divieti di cui al comma 9 potrebbero essere ritenuti applicabili anche per quanto riguarda lo svolgimento di tale attività, con evidenti problemi derivanti, soprattutto, da un’estensione dell’ambito soggettivo di applicazione dei divieti che preclude la possibilità di mantenere nell’ambito di un medesimo gruppo societario l’attività di vendita con la presenza di affidamenti diretti.

 

7. Conclusioni

Giungendo quindi alla conclusione della presente analisi, sembra necessario soffermarsi su un dato di fondo: ossia sul fatto che la direzione intrapresa dall’ordinamento sia, inequivocabilmente, quella di giungere ad una totale segregazione degli affidatari diretti. Nel senso che – soprattutto se venisse ad imporsi un’interpretazione del comma 9 fortemente restrittiva – avverrebbe che la presenza di soggetti affidatari diretti all’interno di un gruppo societario sarebbe ostativa allo svolgimento di qualsivoglia attività da parte delle altre società facenti parte del gruppo, anche nell’ipotesi di ricorrere a complicate architetture societarie.

Infatti, la contaminazione del gruppo derivante dalla presenza di un affidatario diretto porterebbe alla sostanziale illiceità di qualsiasi attività del gruppo, ivi comprese lo svolgimento di attività a favore di soggetti privati e la partecipazione a gare pubbliche.

Proprio sotto quest’ultimo aspetto conviene poi ricordare che l’ultima parte del comma 9 consente agli affidatari diretti di partecipare, comunque alla “prima gara”: “I soggetti affidatari diretti di servizi pubblici locali possono comunque concorrere alla prima gara svolta per l'affidamento, mediante procedura competitiva ad evidenza pubblica, dello specifico servizio già a loro affidato.”

Ma tale possibilità è prevista soltanto per gli affidatari diretti, quindi, stando ad un’interpretazione letterale della disposizione, tutti i soggetti che, in forza di legami societari con l’affidatario diretto, soggiacciono ai divieti del comma 9, non potrebbero partecipare neppure alla prima gara.

Anche in questo caso, le conseguenza sembrano assai gravi, soprattutto nell’ipotesi, non certo infrequente, che l’affidatario del servizio sia integrato in un gruppo societario.

Se questa, dunque, è la direzione dell’ordinamento, l’esito del percorso parrebbe univoco. Ossia la progressiva erosione delle ipotesi i gruppi societari all’interno dei quali siano presenti affidatari diretti di servizi pubblici. Di più, la progressiva erosione della non infrequente figura di società pubbliche affidatarie dirette di una pluralità di servizi.

Infatti, il comma 9 esplicitamente afferma, fra le altre cose, che l’affidatario diretto non può “acquisire la gestione di servizi ulteriori ovvero in ambiti territoriali diversi”.

Tutto quanto evidenziato, occorre ricordare che l’affidamento diretto di un servizio pubblico potrà avvenire soltanto al ricorrere delle particolari condizioni di cui al comma 3 dell’art. 23bis. In altri termini, l’affidamento diretto di un servizio, cessato il periodo transitorio, dovrebbe risultare una fattispecie particolarmente residuale. In questo scenario, quindi, la presenza di un affidatario diretto all’interno di un gruppo societario dovrebbe risultare, anch’essa, un’ipotesi di non frequente verificazione.

In definitiva, la direzione sembrerebbe quella del “ritorno” alla condizione in cui singole società siano costituite – in modo eccezionale – per la gestione di singoli servizi, in controtendenza rispetto all’oramai avvenuta strutturazione in gruppi societari di multiutilities partecipate da enti locali.

Tuttavia, lo stato attuale delle cose conosce proprio la condizione inversa: ossia l’esistenza di molti affidamenti diretti e l’integrazione degli affidatari diretti all’interno di gruppi societari, per cui, da qui alla piena entrata a regime dell’attuale assetto normativo (che è immediata rispetto all’applicazione dei divieti di cui al comma 9), gli operatori di settore, se non intendano rischiare l’estromissione da ogni gara e il divieto di svolgere qualsivoglia attività, dovranno presumibilmente congegnare meccanismi di segregazione degli affidamenti diretti esistenti. A meno di non quotarsi in borsa e beneficiare del regime di maggior favore riconosciuto per tali soggetti.

Tutto il quadro così ricostruito sembra però difettare di un elemento essenziale, o meglio di un presupposto di senso: se è vero che le regole di diritto comunitario non impongono al legislatore italiano di procedere in una tale direzione di demonizzazione degli affidamenti diretti (demonizzazione che poi si traduce in una “persecuzione” di soggetti societari legati all’affidatario diretto), quale sarebbe il principio, mai nominato, che inspira e legittima l’opera legislativa?

Invero, i principi della concorrenza non sembrano sufficienti a giustificare l’operato del legislatore, proprio perché il tema della concorrenza è strettamente legato alle competenze normative comunitarie e proprio in tale sede è emerso e si è consolidato il modello di affidamento in house.

Vi è però un ulteriore principio, che pur rimanendo innominato, pare alla base del percorso di riforma intrapreso: ossia il principio di sussidiarietà orizzontale sancito dall’art. 118, comma 4, della Costituzione. Tale principio, pur a fronte dei contrasti dottrinali sorti, dovrebbe veicolare l’idea di un tendenziale arretramento dell’intervento pubblico nello svolgimento di attività, e quindi dell’intervento pubblico nell’economia, tutte le volte in cui sia possibile lo svolgimento delle medesime attività da parte del privato senza pregiudizio per interessi di carattere generale.

La limitazione dell’operatività delle società pubbliche sembra quindi potersi inserire in tale filone, poiché gli affidamenti diretti dovrebbero essere circoscritti alle ipotesi in cui sia impossibile ricorrere al mercato per selezionare il concessionario, e poiché la presenza di un affidatario diretto in un gruppo societario renderebbe arduo lo svolgimento di altre attività da parte degli altri soggetti facenti parte del medesimo gruppo.

In definitiva, l’erosione del sistema delle società pubbliche, caratterizzate dalla presenza di affidamenti diretti, potrebbe essere correlato – e in esso trovare significato – al principio di sussidiarietà orizzontale.

Tuttavia, tale principio dovrebbe condurre ad una limitazione dell’intervento pubblico nello svolgimento di attività imprenditoriali, senza distinzione fra intervento di enti locali o regionali, e intervento statale. Invece, la riforma dei servizi pubblici locali, ovviamente, non impone divieti per coloro che svolgano attività direttamente affidate se tali attività non sono qualificabili come servizio pubblico locale. Così come la disciplina di cui all’art. 13 della l. 248/2006 non è applicabile che alle società partecipate da enti locali e regionali, e non a società strumentali rispetto ad enti statali.

Il percorso seguito dal legislatore (statale) è dunque quello di imporre divieti alle realtà locali, in forza – verosimilmente – dell’applicazione di un principio costituzionale, il principio di sussidiarietà orizzontale, che invece dovrebbe essere applicabile e applicato a tutto il sistema pubblico, non solo locale. Limitazioni dalle quali sono però fatte salve quelle realtà locali, di maggiore consistenza economica, che sono in grado di sostenere la quotazione in borsa del proprio sistema di partecipazioni societarie.

   

 

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