Note di analisi sull’evoluzione del sistema normativo di riferimento per i servizi pubblici locali
di Alberto Barbiero
1. – Note di premessa sulle trasformazioni del quadro normativo di riferimento per i servizi pubblici locali.
L’analisi delle modifiche del quadro normativo di riferimento per i servizi pubblici locali prefigurate dall’art. 14 del d.l. n. 269/2003 può essere condotta solo presupponendo dei criteri di esame che tengano in considerazione l’introduzione di ulteriori, possibili variabili del processo di trasformazione, sia in sede di conversione in legge del decreto, sia in fase di attuazione della stessa, dovendo supporre profili di complessità nella concretizzazione dei nuovi moduli gestionali proposti.
Altro elemento da valutare è il “peso relativo” della “riforma della riforma”, riportata ad una manovra finanziaria complessa, operata con uno strumento non ortodosso (il decreto – legge), soggetta a forti critiche per le sue impostazioni strutturali (1) e considerata da alcuni interlocutori significativi come soluzione non ancora definitiva (2).
L’attenzione per la revisione delle componenti - chiave del sistema dei servizi pubblici locali è del resto da sempre elevata, esplicitata da interlocutori “operativi” (3) e dagli Enti Locali (per lo sviluppo di strategie efficaci), quindi tradotta nel decreto – legge dal Governo per superare le obiezioni presentate dalla Commissione UE nelle procedure di infrazione (4).
La rimodulazione delle linee di riforma ha condotto allo “stralcio” progressivo ed esplicito delle discipline di settore dalla stessa, evidenziando al contempo la necessità di un “quadro stabilizzato”, tale da consentire alle Amministrazioni Locali di impostare adeguate strategie, soprattutto con riferimento ai servizi a rilevanza economica.
Nella nuova normativa “di rafforzamento” prodotta dal d.l. n. 269/2003 si presentano due filoni di sviluppo, in linea di massima interconnessi, ma probabilmente con formalizzazione temporale differente, ossia l’adeguamento del sistema e la definizione per lo stesso di “strumenti” di garanzia.
L’evoluzione del quadro normativo per impulso del livello di governo “centrale” non deve trascurare, tuttavia, le elaborazioni che si stanno definendo per opera dei legislatori regionali.
In tal senso risulta interessante rilevare come in alcuni contesti siano già stati formulati dei testi normativi con articolazione complessa, finalizzati principalmente a disciplinare gli ambiti operativi ed i processi di affidamento dei servizi pubblici locali a rilevanza economica.
Da tali proposizioni si può comunque desumere l’incertezza in merito ai moduli di sviluppo per la gestione dei servizi, in quanto in alcuni si privilegia l’approccio concorrenziale (affidamento esclusivamente mediante gara, come affermato dall’art. 2, comma 2 del Pdl 300/2003 approvato dalla Giunta regionale della Lombardia il 14 febbraio 2003), in altri si delineano soluzioni più vicine al dettato normativo statale (affidamento con gara, tuttavia contemperato da alcune deroghe, come esplicitato nell’art. 7 del PDL 39/2003 approvato dalla Giunta regionale della Toscana il 20 ottobre 2003).
L’assetto definitivo delle linee-guida normative in materia di servizi pubblici locali deve quindi ritenersi sia dipendente dalla formalizzazione incrociata di due processi di normazione, rispetto ai quali anche l’UE avrà modo di effettuare le sue valutazioni, posta la permanenza delle procedure di infrazione della normativa comunitaria.
2. – La nuova configurazione classificatoria dei servizi pubblici locali.
Il primo elemento di analisi della “riforma della riforma” è immediatamente e direttamente desumibile dalla modificazione dello schema classificatorio adottato per i servizi pubblici locali, con riconduzione dei medesimi a due categorizzazioni generali fondate sulla loro rilevanza economica o meno, risalendo all’assetto distintivo della formulazione originaria dell’art. 113 del d.lgs. n. 267/2000.
La classificazione si conforma alle linee di tendenza affermate a livello comunitario, secondo un criterio di distinzione accertabile secondo quanto affermato nel Libro Verde UE sui servizi di interesse generale (punto 2.3. della relazione della Commissione).
Per quanto riguarda la distinzione fra servizi di natura economica e servizi di natura non economica, secondo la posizione comunitaria ogni attività che implica l’offerta di beni e servizi su un dato mercato è un’attività economica (5). Pertanto, i servizi economici e non economici possono coesistere all’interno dello stesso settore e talora possono essere forniti dallo stesso organismo. Inoltre, se da un lato può non esserci mercato per la fornitura alla popolazione di particolari servizi, dall’altro potrebbe esserci un mercato a monte in cui le imprese contrattano con le autorità pubbliche la fornitura di questi servizi. Per questi mercati a monte valgono le regole del mercato interno, della concorrenza e degli aiuti di stato.
Affermazione altrettanto rilevante è quella per cui “la gamma dei servizi che possono essere offerti su un dato mercato è soggetta all’evoluzione tecnologica, economica e sociale e si è ampliata nel tempo”. Risulta evidente come, di conseguenza, la distinzione fra attività economiche e non economiche palesi un carattere dinamico ed evolutivo, tanto che negli ultimi decenni sempre più attività hanno assunto una rilevanza economica. Per un crescente numero di servizi, tale distinzione è divenuta superflua. Nella sua comunicazione del 2000, la Commissione ha definito alcuni esempi di attività non economiche, in particolare quelle che per loro natura sono intrinsecamente di pertinenza dello Stato: l’istruzione nazionale e i programmi obbligatori per la previdenza sociale di base e alcune attività di organismi che assolvono funzioni ampiamente sociali, che non sono destinate ad impegnarsi in attività industriali o commerciali. Considerando che la distinzione non è statica nel tempo, nella Relazione sul Consiglio europeo di Laeken, la Commissione ha sottolineato che non sarebbe né fattibile né auspicabile fissare a priori un elenco definitivo di tutti i servizi di interesse generale che sono da considerarsi di natura “non economica”.
Un possibile sviluppo interpretativo potrebbe aversi in ordine al “recupero” della connotazione “imprenditoriale” dei servizi di rilevanza economica (sulla scorta dell’antica formulazione dell’art. 113 in precedenza richiamata), accludendo nell’ambito del servizio pubblico locale il “modulo” delineato dall’art. 2082 del Codice Civile (6). In linea generale può essere richiamata la concettualizzazione aziendalistica di economicità, intesa come “capacità di recuperare i costi sostenuti con i ricavi conseguiti oltre alla possibile remunerazione del capitale investito” (7).
Tuttavia l’attesa per una tipizzazione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica e privi della stessa (prefigurata dall’originario assetto della riforma ex art. 35 della legge n. 448/2001, con definizione demandata ad un regolamento, mai approvato) è andata delusa e sembra comunque impossibile da realizzare effettivamente.
La classificazione innovata dall’art. 14 del d.l. n. 269/2003 rende probabili due sviluppi:
a) l’enucleazione dei servizi a rilevanza economica potrebbe aversi sulla base delle specificazioni determinate dalle discipline di settore o ad opera dei legislatori regionali (per apprezzabili tentativi), con eventuale sostegno da interpretazioni ed indicazioni giurisprudenziali (8);
b) la differenziazione degli elementi presupponenti una classificazione anziché un’altra potrebbe aversi a seconda dei contesti e dei sistemi di sviluppo locale (9).
In questa seconda chiave prospettica, determinati servizi potrebbero assumere rilevanza economica in alcuni contesti, in forza di evoluzioni di mercato, risultandone invece comunque privi in altri (nei quali, ad esempio, sia richiesto un intervento pubblico sociale forte).
Il sistema dei servizi pubblici locali, quindi, potrebbe essere delineato “per contesti”, con risultanze singolari (assetto a “geometria variabile”, quantomeno per le soluzioni gestionali principali), ma del tutto riflettenti situazioni specifiche, anche complesse (10).
3. – La relazione tra la disciplina generale e le normative di settore.
Il profilo applicativo generale, affermato nell’innovato comma 1 dell’art. 113 del d.lgs. n. 267/2000, qualifica le disposizioni come norma a tutela della concorrenza, date come:
a) inderogabili (costituendo quindi un vincolo teorico per la legislazione regionale);
b) integrative delle discipline di settore (che mantengono assetti normativi consolidati, i quali dovranno essere contemperati con moduli, tempi e linee di sviluppo operativo dettate dal “nuovo” art. 113).
L’ambito di applicazione viene ad essere “rimodellato” per via di:
a) una previsione di salvaguardia della disciplina di settore (es. acqua, trasporti pubblici locali) e di quella attuativa di normative comunitarie;
b) una previsione di esclusione esplicita per la regolamentazione specifica di alcuni settori (quali il mercato elettrico ed il gas).
Si determina una diversa finalizzazione, in quanto nel primo caso (sub a) si ammette un sostanziale contemperamento (per spazi interpretativi delle norme), mentre nel secondo (sub b) si conferma l’effettiva intangibilità dei sistemi speciali, che seguono peraltro il loro piano di sviluppo.
Tuttavia, proprio in questo secondo caso, potrebbero aversi problemi qualora le Amministrazioni decidessero di ricondurre tali attività ad affidamenti pluriservizi (in base al comma 8 dell’art. 113), purtuttavia dovendo tener conto della loro difficile, se non impossibile “omogeneizzazione”.
Una compenetrazione tra il quadro normativo generale e la disciplina di settore si ha anche nell’innovato comma 5, nel quale si declinano i modelli gestionali applicabili, e nel comma 7, con estensione del modulo criteriale per le gare alle discipline di settore.
In sostanza si afferma un assetto-chiave per la selezione di gestori, diffuso in tutti gli ambiti per servizi a rilevanza economica (fatta eccezione per energia e gas, apparentemente “esclusi in toto”), il quale rende coordinabili i processi selettivi in prospettive multiservizi.
L’innovazione normativa apportata dal d.l. n. 269/2003 ammette inoltre la prevalenza delle discipline di settore:
a) qualora vietino il conferimento della proprietà delle reti a società costituite dagli Enti Locali (anche se interamente pubbliche);
b) qualora stabiliscano un congruo periodo di transizione per il passaggio dal vecchio al nuovo sistema.
4. – La prevalenza del modello societario.
Le innovazioni prodotte nel sistema normativo di riferimento per i servizi pubblici locali dall’art. 14 del d.l. n. 269/2003 presentano un elemento di continuità rispetto alla riforma del 2001, determinato nella “preferenza” del legislatore per il modello societario come soluzione gestionale “forte”, proponibile in ambedue gli ambiti di classificazione generale.
Le declinazioni compositive delle società (interamente private, selezionate con gara; a partecipazione mista o totale pubblica, destinatarie di affidamento diretto del servizio) evidenziano l’importanza del modulo nelle strategie sviluppabili dalle Amministrazioni Locali, nonché la sua connotazione come struttura di riferimento “ideale” sotto il profilo operativo, rispetto alla quale possono essere realizzate sinergie informative e di controllo particolarmente efficaci.
Proprio l’esercizio del controllo dell’Ente Locale - socio sull’organismo rappresenta il dato con maggiore criticità nella sua fase applicativa, soprattutto in ragione della “misura” della partecipazione e dei suoi strumenti tradottivi nelle dinamiche societarie.
Il particolare profilo viene in gioco in modo assolutamente rilevante in ordine all’affidamento del servizio pubblico locale, che potrà aversi direttamente solo con la ricorrenza di alcuni presupposti specifici, primo tra tutti il connubio tra la caratterizzazione “prevalentemente” o totalmente pubblica del capitale sociale, il dimensionamento della partecipazione e il riconoscimento del ruolo dell’Amministrazione come socio “qualificato”.
Tale interazione è senza dubbio “volta a sancire il legame funzionale e la possibilità di controllo che devono legare la società a prevalente capitale pubblico affidataria del servizio alla comunità locale, come già accadeva per le aziende speciali comunali, (fra le altre, TAR Lombardia, Milano, Sez. III, n. 2917/2001, Brescia, n. 222/2001)”.
In realtà, l’analisi va condotta per ogni caso concreto sulla sussistenza o meno di un nesso funzionale e di controllo tale da giustificare la deroga al più generale principio dell’affidamento dei servizi pubblici mediante pubblica gara (come sostenuto dal TAR Lombardia – Milano, Sez. III – Sent. n. 4807 del 16 ottobre 2003).
Simile prefigurazione deve essere “formalizzata” negli atti principali dallo stesso Ente Locale, valutativa della complessità organizzativa del servizio, delle potenzialità di intervento territoriale del soggetto gestore, della razionalizzazione dell’impiego delle risorse disponibili, con vantaggi che vanno oltre il mero risparmio finanziario derivante dalle economie di scala e che invece possono consentire una maggiore qualità del servizio con margini di sicurezza più elevati (“giustificando” anche l’estensione territoriale dell’attività dell’impresa prescelta come partecipata e affidataria).
Inoltre, alla proposizione sul nesso funzionale deve accompagnarsi la definizione, anche attraverso gli strumenti civilistici, di “rapporti di potere” tra i soci e di dinamiche societarie volte a garantire le parti pubbliche (addirittura ammettendosi che l’effettiva attuazione di patti parasociali di contenuto sostanzialmente pubblicistico possa comportare una correzione della disciplina civilistica che altrimenti estrometterebbe l’Ente Locale dall’effettiva partecipazione alla vita della società a causa di una ridotta quota di partecipazione, come evidenziato nella sentenza in precedenza richiamata).
Posti tali elementi, deve considerarsi come aspetto positivo la sostanziale “varietà” di linee operativo-gestionali per le quali la normativa “riformata” deputa il modello societario
Tale modello non sembra essere posto in discussione nemmeno dalla previsione (comma 12) sulle “privatizzazioni” per alienazione di azioni o quote, modificata peraltro con una formulazione strana, che sembra lasciare presupporre lo sviluppo di più processi del genere nel corso della vita della società mista, comunque a cadenza regolare (riportata alla scadenza del periodo di affidamento del servizio dall’innovazione introdotta dall’art. 14 del d.l. n. 269/2003).
4.1. – Una modulazione “particolare”: la società a capitale interamente pubblico con controllo “forte” dell’Ente Locale.
L’assetto strutturale più innovativo, nell’ambito della proposta di modelli societari dettata dalle linee di riforma del sistema dei servizi pubblici locali, è senza dubbio quello configurativo della società con partecipazione totalitaria di capitale pubblico, per la quale devono sussistere due ulteriori elementi “confermativi” del ruolo speciale (rectius, garantito) delle Amministrazioni socie:
a) gli Enti pubblici titolari del capitale sociale devono esercitare sulle dinamiche societarie un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi;
b) la società realizza la parte più importante della propria attività con l’Ente o gli Enti pubblici che la controllano.
La natura del “controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi”, esperibile dai soggetti pubblici partecipanti, non ha un criterio di qualificazione esattamente definibile, ma può essere delineata per tentativi interpretativi.
L’impostazione delle relazioni tra i soci costituisce il primo ambito nel quale possono essere strutturate adeguate garanzie per il controllo forte, ossia mediante patti parasociali nei quali a ciascuna Amministrazione sia riconosciuta la partecipazione a comitati esecutivi, in ipotesi assimilabili funzionalmente ai c.d. “patti di sindacato”.
Altre soluzioni possono aversi negli statuti, con definizione ampia degli strumenti e delle modalità di gestione:
a) dei flussi informativi;
b) dei controlli e delle verifiche sulle attività societarie;
c) delle interazioni istituzionali.
Date le logiche di controllo, la Società deve comunque esplicitare l’effettività della sua relazione con le Amministrazioni di riferimento anche sotto il profilo produttivo, accertabile sulla base di un parametro dimensionale, ossia la “prevalenza” dei servizi erogati ricondotta proprio agli Enti controllanti.
Deve ritenersi che in tale connotazione rientrino tutti i servizi qualificati come “pubblici” e rivolti alla comunità locale, a soddisfazione delle esigenze governate dalle Amministrazioni socie.
Le parti “ulteriori” di attività sono qualificabili, invece, come i servizi innovativi e complementari (anche commerciali) che ciascun soggetto imprenditoriale può realizzare nello sviluppo delle sue finalizzazioni tipiche.
Non è escluso, quindi, che la Società possa sviluppare attività di questo tipo dimensionalmente significative, ma comunque sempre inferiori a quelle con principale caratterizzazione di servizio pubblico locale.
E’ opportuno rilevare come il modello “a partecipazione pubblica totalitaria” implichi accurate definizioni delle relazioni strategiche tra i soci pubblici e dei piani di sviluppo aziendale (business plan).
4.2. – La gestione (o il conferimento della proprietà) delle reti attraverso (a) Società.
La gestione delle reti, degli impianti e delle dotazioni patrimoniali degli Enti Locali utilizzate per i servizi pubblici locali a rilevanza economica è affidabile, secondo modulo generale (art. 113, comma 4, come rivisto dall’art. 14 del d.l. n. 269/2003):
a) direttamente, a società con partecipazione totalitaria di capitale pubblico;
b) mediante procedure ad evidenza pubblica, a imprese idonee così selezionate.
La differenza, rispetto alla configurazione normativa previgente, è determinata dalla diversa struttura della società partecipata potenziale affidataria diretta, “alternativa” all’affidamento a gara. Si produce una prima affermazione del modello “totalmente pubblico”, legato per tre versi (partecipazione, controllo istituzionale, prevalenza erogativa a favore) all’Ente Locale – socio, ipotizzabile come soluzione di maggiore garanzia per la gestione di passaggi di transizione nella trasformazione o per complessi strutturali articolati.
Su tale versante, peraltro, si pensi alle potenziali linee strategiche di intervento delle Amministrazioni, con riferimento allo sfruttamento delle utilità secondarie delle reti (ad es. per la posa di cavi di telecomunicazioni, ecc.).
L’opzione “società interamente pubblica” (anche se non meglio qualificata come “controllata sostanzialmente” e “con prevalente attività rivolta ai soci”) è presentata dal legislatore del d.l. n. 269/2003 anche per l’eventuale conferimento della proprietà delle reti, degli impianti e delle strutture connesse (art. 113, comma 13 innovato nella prima parte), in quei casi nei quali la strategia delle Amministrazioni sia finalizzata ad un alleggerimento dei vincoli funzionali.
Purtuttavia la scelta è realizzabile solo a condizione che il capitale sociale sia connotato come incedibile (con definizione nelle premesse d’indirizzo, nello Statuto e nei patti parasociali) e che non sussistano preclusioni opponibili in base a diverse previsioni delle normative di settore.
L’interazione tra le Amministrazioni potrà aversi, in questo caso, anche in forma associata, a maggior garanzia di scelte per area vasta o per far fronte a complessità strutturali legate al territorio.
5. – I percorsi per l’affidamento dei servizi pubblici locali a rilevanza economica.
Le innovazioni di maggior significato apportate all’impianto normativo dell’art. 113 del d.lgs. n. 267/2000 dall’art. 14 del d.l. n. 269/2003 riguardano le modalità di affidamento (rectius, secondo quanto esplicitato nel dato legislativo, di erogazione del servizio con conferimento della titolarità dello stesso) dei servizi pubblici locali di rilevanza economica.
La trasformazione risulta sostanziale e, teoricamente, realizzata in base alle sollecitazioni dell’Unione Europea.
Tuttavia la portata delle nuove norme presenta molte criticità e vari profili interpretativi che sembrano delineare linee di sviluppo del sistema dei servizi pubblici locali eccessivamente “garantiste” per situazioni consolidate.
La triplice alternativa proposta in termini di moduli gestionali per l’erogazione del servizio (affidamento a società private mediante gara, affidamento diretto a società miste con socio scelto mediante gara, affidamento diretto a società interamente a capitale pubblico) evidenzia nettamente due soluzioni su tre come fortemente orientate a mantenere in capo a soggetti controllati dagli Enti Locali ampi spazi di intervento nei mercati locali, con aperture molto relative a logiche effettivamente concorrenziali.
Nulla vieta di ipotizzare, peraltro, che la “riforma della riforma” induca le Amministrazioni a dare impulso a privatizzazioni sostanziali per i servizi pubblici locali di rilevanza economica, rimettendo alle procedure di gara la selezione del gestore in chiave di maggior risparmio (puntando ai controlli per garantire l’efficienza dei servizi stessi) e di destrutturazione necessaria del sistema (a fini di reinvestimento delle risorse acquisite).
La disposizione offre tre percorsi e la scelta delle strategie rispetto a questi costituisce la “cartina di tornasole” per valutare la maturità delle Amministrazioni nell’affrontare i mutamenti del contesto.
5.1. – L’affidamento con gara.
Le nuove definizioni normative contenute nell’art. 14 del d.l. n. 269/2003 conferiscono sostanziale evidenza all’affidamento del servizio pubblico di rilevanza economica mediante gara con procedura ad evidenza pubblica, ponendolo in un dato organico, nell’ambito del quale esso è posto a diretto confronto (in termini di alternative sostanziali) con altre due soluzioni “mediate”.
La selezione “pubblica”, con rinvio al confronto sul e dal mercato specifico, assicura la rispondenza agli “asset” comunitari e sembra rispondere a due ordini di esigenze:
a) riportare una “parte” importante della normativa generale su moduli già sperimentati nelle normative di settore;
b) dettare una regola che in realtà si prefigura anche come opportunità per gli Enti Locali privi di effettive capacità di attivare processi di privatizzazione comportanti la costituzione in proprio o anche in forma associata di soggetti di diritto privato da deputare alla gestione.
Rispetto a tale prefigurazione le Amministrazioni sono tuttavia tenute ad elaborare moduli di gara fondati su parametri rigorosi, ossia sollecitare gli offerenti:
a) a presentare business plan realistici, con importanti dati di investimento;
b) a produrre servizi nel rispetto di standard prestazionali, organizzativi, economici e qualitativi non derogabili, ma solo migliorabili.
Per altro verso, gli Enti Locali sono chiamati a trasformare il loro ruolo, in una prospettiva di valorizzazione della regolazione, anche alla luce di quanto dettato dal comma 7 (criteri di gara) e dal comma 11 (contratto di servizio) dello stesso art. 113.
5.2. – L’affidamento (diretto) a società mista “mediato” dalla scelta del socio con gara.
Il secondo modulo per l’erogazione dei servizi pubblici locali a rilevanza economica è delineato con l’affidamento degli stessi a società a capitale misto pubblico-privato, nelle quali il socio privato sia scelto attraverso l’espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica che abbiano dato garanzia di rispetto delle norme interne e comunitarie in materia di concorrenza, secondo le linee di indirizzo emanate dalle autorità competenti attraverso provvedimenti o circolari specifiche.
La disposizione presuppone anzitutto la costituzione di una società mista, nella quale la garanzia rispetto al mercato è offerta dalla selezione “pubblica” del socio privato.
Non è fatto riferimento esplicito ad alcun dato normativo regolante la selezione, pertanto, posta l’affermazione generica del rispetto delle norme interne e comunitarie in materia, l’eventuale traduzione procedurale può quindi essere ricondotta al D.P.R. n. 533/1996 o a più ampie modulazioni conformi alle disposizioni del Trattato UE inerenti la salvaguardia della concorrenza.
Le indicazioni si delineano come “orientative”, ossia richiamanti diversi strumenti mediante i quali possono essere “codificate” le regole della gara (“provvedimenti” normativi e amministrativi, circolari), con evidente vantaggio logico per il privilegio del risultato sulla forma.
Tuttavia, una volta scelto il socio privato e costituita la Società, l’Amministrazione è necessariamente portata ad affidare direttamente alla stessa la gestione del servizio pubblico locale di rilevanza economica.
Si viene ad ingenerare il curioso connubio tra la scelta del socio e la scelta del soggetto gestore del servizio, determinata come contestuale e tale da imporre all’Amministrazione l’adeguata impostazione delle procedure in modo da poter individuare un “partner” in grado di sostenere il nuovo organismo con know-how, capitali, risorse umane e strumentali.
La formula, apparentemente “semplificativa” (seppure in passato contestata da interpretazioni giurisprudenziali che richiedevano la necessaria distinzione tra la procedura di scelta del socio e quella di selezione del soggetto gestore del servizio), lascia aperti alcuni profili critici in ordine:
a) al coordinamento tra la durata della società e il periodo di gestione del servizio;
b) alla sorte della società a scadenza dell’affidamento del servizio.
Resta il dubbio, inoltre, che la scelta del socio con gara non sia sufficiente a soddisfare il criterio di “garanzia” della concorrenza presupposto dalle indicazioni in sede comunitaria, dovendosi assumere che la relazione amministrativa tra Ente Locale e neocostituito organismo gestore viene a concretizzarsi con un affidamento diretto “condizionato”.
5.3. – L’affidamento diretto a società interamente pubblica (ovvero, la codificazione dell’affidamento “in house”)
Il dato più problematico nel quadro di riforma delineato per i moduli gestionali dell’erogazione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica è comunque rinvenibile nel terzo percorso, rispetto al quale l’Amministrazione può affidare (anche in tal caso direttamente) le attività ad una società a capitale interamente pubblico, controllata dagli Enti-soci in modo analogo ai loro servizi e realizzatrice della parte più importante dei propri “prodotti” tipici per i soggetti pubblici che la controllano.
La previsione normativa non solo completa la revisione del comma 5 dell’art. 113 del d.lgs. n. 267/2000, ma addirittura porta a codificazione effettiva il modello di gestione dei servizi “in house”.
Le caratteristiche della Società “tutta pubblica”, già proposta per le reti, corrispondono infatti a quelle definite dalla giurisprudenza comunitaria, a partire dalla nota sentenza “Teckal”, intese come soluzioni garantiste dell’unica deroga ipotizzabile al principio di concorrenza.
La contrapposizione con il primo modello (selezione del gestore mediante gara) è evidente, ma vuol salvaguardare situazioni delicate e, soprattutto, vuol offrire un’alternativa a processi di privatizzazione troppo “forti” per molte Amministrazioni Locali.
E’ fuor di dubbio che un simile organismo (assimilabile a quello di diritto pubblico, almeno per la configurazione che di questo è data dalla giurisprudenza) costituirà sede di “governo” di servizi pubblici in particolari contesti, dovendo pertanto sorreggersi su interazioni societarie ben equilibrate.
Deve rilevarsi, inoltre, come possa anche presentarsi con caratteristiche tali da “attrarre” Amministrazioni Pubbliche non locali, sulla scorta di una tendenza collaborativa in via di sperimentazione (si veda, peraltro, l’art. 30 dello stesso d.l. n. 269/2003, nella parte in cui facoltizza gli Enti Locali a costituire STU con l’Agenzia del Demanio per la valorizzazione di immobili di proprietà pubblica).
6. – Il periodo transitorio.
La concreta traduzione dei “principi comunitari” e, quindi, del confronto concorrenziale (“di mercato”) nel settore dei servizi pubblici locali di rilevanza economica è considerevolmente “condizionata” dai commi 15-bis e 15-ter dell’art. 113 del d.lgs. n. 267/2000, introdotti dall’art. 14 del d.l. n. 269/2003.
Il dato di riferimento (contenuto nel comma 15-bis) è prodotto con la fissazione di un termine, individuato nel 31 dicembre 2006, rispetto al quale la disposizione stabilisce una declaratoria di cessazione di tutte le concessioni di servizi rilasciate senza procedura ad evidenza pubblica.
La norma si rende applicabile anche a quei settori per i quali le discipline speciali non abbiano definito un congruo periodo di transizione.
Le deroghe possibili a tale previsione generale sono tuttavia varie e fondate su differenti criteri.
Il comma 15-bis stabilisce anzitutto due eccezioni per requisiti “soggettivi”, stante l’affermazione dell’esclusione dalla cessazione delle concessioni rilasciate a società miste nelle quali la scelta del socio sia avvenuta con procedura ad evidenza pubblica ed a società con capitale interamente pubblico (e con dinamiche di controllo definite e con prevalenza dei servizi prodotti a favore dei controllanti).
Il comma 15-ter delinea invece due possibili estensioni temporali per il periodo transitorio, il quale può essere “allungato” per differimento:
a) di un anno (quindi al 31 dicembre 2007), qualora almeno dodici mesi prima la scadenza del termine generale (quindi al 31 dicembre 2005) sia stata costituita dalle Amministrazioni Locali, mediante fusioni, una nuova società capace di servire un bacino di utenza complessivamente non inferiore a due volte quello originariamente servito dalla società maggiore;
b) di due anni (quindi al 31 dicembre 2008), qualora un’impresa affidataria, a seguito di fusioni con altri soggetti gestori almeno dodici mesi prima della scadenza del termine generale, si trovi ad operare in un’ambito corrispondente a quello provinciale o a quello individuato come “ottimale” dalle norme vigenti.
L’estensione temporale si pone come “garanzia” degli sviluppi strategici delle multiutilities e, per quanto disposizione facilmente esponibile a critiche, “fotografa” un quadro in evoluzione “per aggregazioni”.
7. – La nuova disciplina delle forme di gestione dei servizi pubblici locali privi di rilevanza economica.
Uno dei profili di maggiore criticità delle innovazioni introdotte dal d.lgs. n. 269/2003 riguarda la codificazione “rigida” delle forme di gestione dei servizi pubblici locali privi di rilevanza economica.
Rispetto alla formulazione originaria delineata dall’art. 35 della legge n. 448/2001, il dato normativo prefigurato dalle modifiche introdotte dall’art. 14 del decreto struttura in modo molto più “restrittivo” (per quel che riguarda le opzioni di scelta dei modelli gestionali) l’art. 113-bis del d.lgs. n. 267/2000.
Le possibili aperture al mercato (già nella formulazione originaria dell’art. 113 bis del TUEL ricondotte ad ipotesi fortemente contestualizzate, utilizzabili in alternativa “motivata” ai moduli tradizionali) sono state eliminate, mediante la soppressione del modulo dell’affidamento in gestione a terzi, con gara (peraltro sin dalla sua introduzione nel quadro ordinamentale non perfettamente compreso nelle sue caratterizzazioni principali, quindi spesso considerato come “sinonimo” della concessione di servizio pubblico).
Una ulteriore restrizione sostanziale per le possibili strategie delle Amministrazioni nell’ambito dei servizi privi di rilevanza economica è stata determinata dalla riconfigurazione del modello societario utilizzabile per la gestione degli stessi servizi, con passaggio dalla società mista (con partecipazione dell’Ente concretamente definibile a sua scelta) a quella con capitale interamente pubblico.
Tale caratterizzazione di fondo elaborata del legislatore riduce considerevolmente le possibilità di organizzazione dei servizi definibili da Comuni e Province, soprattutto in quanto pone l’obbligo per gli stessi di avvalersi, in alternativa ai modelli tradizionali (istituzione, azienda speciale, in casi eccezionali gestione in economia) ed a quelli “specializzati” per taluni settori (fondazioni ed associazioni, con strutturazione riferita ai servizi culturali e del tempo libero) di uno strumento per il quale essi devono effettuare investimenti significativi (per la costituzione, per la capitalizzazione, per la messa in operatività, per il sostegno nella fase di start-up, ecc.).
In un’ottica di ottimizzazione delle risorse e di flessibilizzazione delle attività, gli Enti Locali potrebbero essere indotti a valutare come opportune iniziative più modeste sotto il profilo strategico (ad es. ricorso ad un’azienda speciale), ma (almeno sulla carta) più sicure per le politiche di bilancio a medio termine.
Le “chiusure” normative (che potrebbero recare pregiudizio a molti processi di trasformazione gestionale di servizi pubblici locali privi di rilevanza economica, soprattutto di natura sociale e culturale) possono essere tuttavia “forzatamente” interpretate in chiave prospettica positiva, ammettendo la società interamente pubblica come soluzione funzionale alla traduzione efficace di sinergie operabili in ambiti con forti criticità da parte di varie Amministrazioni, altrimenti non realizzabili.
L’innovazione nell’art. 113-bis potrebbe infatti consentire l’orientamento delle Amministrazioni Locali verso iniziative comuni, volte ad attestare l’intervento pubblico in settori nei quali le dinamiche di mercato:
a) costituiscono una variabile sostanziale, anche con differenziazioni geografiche rilevanti (si pensi a particolari servizi culturali, nonché ai servizi socioeducativi);
b) hanno scarso appeal per i privati, quantomeno per la fase di penetrazione iniziale, preludendo ad un payback degli investimenti nel medio periodo non molto significativo (diversamente sostenibile dai soggetti pubblici).
Le linee di innovazione degli organismi societari introdotte dalla riforma posta per tali persone giuridiche con il d.lgs. n. 6/2003 permettono anche di valutare come soluzione ad alto grado di efficacia il ricorso al modello “leggero”, ossia alla “nuova” Società a responsabilità limitata (particolarmente interessante come modulo di riferimento per gestioni di servizi con massa critica non straordinariamente rilevante o con finalizzazioni funzionali limitate), deputando invece la Società per azioni all’intervento in contesti complessi (es. per iniziative multiservizi, comprensive anche di attività “non essenziali” dell’Ente Locale esternalizzate ai sensi dell’art. 29 della legge n. 448/2001).
Un aspetto di sostanziale interesse è dato, inoltre, dalla connotazione della società interamente pubblica come potenziale gestore multiservizi con processi di affidamento “facilitati”, in quanto diretti, giustificati dalla capitalizzazione, dal controllo “forte” e dalla produzione di attività principalmente (rectius, prevalentemente) a favore degli Enti controllanti.
Non deve escludersi, pertanto, una possibile apertura all’intervento su mercati locali del medesimo organismo societario, il quale potrebbe anche essere chiamato a confrontarsi con “competitor” privati o pubblici, con analoga configurazione.
8. – Considerazioni sulle linee di riforma e sulle possibili evoluzioni.
Date le importanti trasformazioni del d.l. n. 269/2003 per il sistema normativo dei servizi pubblici locali, corre l’obbligo di evidenziare alcuni aspetti critici “a margine”, sui quali le Amministrazioni possono avviare riflessioni a fini di pianificazione.
8.1. – La “limitata” attenzione per i servizi pubblici locali privi di rilevanza economica.
Le trasformazioni recenti del quadro normativo in materia di servizi pubblici locali evidenziano un dato incontrovertibile: il legislatore (sia esso statale o regionale) dedica scarsa attenzione a quelli “privi di rilevanza economica”, assumendo per gli stessi decisioni ad impatto organizzativo meno significative, presupponenti logiche regolatorie meno legate al mercato.
Tuttavia la soglia di attenzione dovrebbe essere innalzata, eventualmente mediante azioni intraprese dagli stessi Enti Locali, in funzione della rimodulazione degli assetti di fondo di tale settore, reputabili come proscenio rispetto al quale le Amministrazioni saranno chiamate ad elaborare strategie di intervento molto complesse.
Si tratta, del resto, dell’ambito nel quale più probabilmente potranno verificarsi “riconfigurazioni” di mercato tali da comportare la riclassificazione di un servizio nei suoi termini di rilevanza economica (ed in tal senso risulta palesemente a conforto il trend consolidatosi in questi anni con la costituzione di società miste alle quali è stato affidato il servizio di ristorazione scolastica – produzione pasti, ritenuto per presupposto “non a rilevanza economica”, ma di fatto ricondotto ad una sezione di mercato tra le più “accese” sotto il profilo delle dinamiche concorrenziali).
8.2. – Le norme “integrative e complementari” in evoluzione.
Le indicazioni di riforma derivanti dal d.l. n. 269/2003 e dai progetti di legge contenenti disposizioni sul sistema dei servizi pubblici locali si pongono come previsioni di “assestamento” delle linee di riforma a suo tempo segnate dall’art. 35 della legge n. 448/2001, ma non sembrano rappresentare il “punto di quadratura del cerchio”.
Su altri versanti, infatti, si possono prevedere sviluppi ulteriori, come quelli già evidenziabili nell’ambito del disegno di legge C 1798-B, inerente la delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l'integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione, approvato dalla Camera ed ora assegnato al Senato (S 1753 B), nel quale si apportano ulteriori modificazioni al quadro generale delineato dall’art. 113 del d.lgs. n. 267/2000 per i servizi a rilevanza economica.
In particolare, la disposizione “in itinere” esclude l’applicabilità dello stesso art. 113 al settore del trasporto pubblico locale che resta disciplinato dal decreto legislativo 19 novembre 1997, n. 422, ma anche agli impianti di trasporto a fune per la mobilità turistico-sportiva, eserciti in aree montane.
Viene ad essere inserita anche una disposizione “di garanzia”, nella quale si afferma che in ogni caso in cui la gestione della rete, separata o integrata con l’erogazione dei servizi, non sia stata affidata con gara ad evidenza pubblica, i soggetti gestori di cui ai precedenti commi provvedono all’esecuzione dei lavori comunque connessi alla gestione della rete esclusivamente mediante contratti di appalto o di concessione di lavori pubblici, conclusi a seguito di procedure ad evidenza pubblica, ovvero in economia nei limiti di cui all’articolo 24 della legge n. 109/1994 e all’articolo 143 del regolamento di cui al DPR n. 554/1999.
Nel complesso dato normativo viene ad essere anche configurato un nuovo modello, nella parte in cui si afferma che qualora la gestione della rete, separata o integrata con la gestione dei servizi, sia stata affidata con procedure di gara, il soggetto gestore può realizzare direttamente i lavori connessi alla gestione della rete, purchè qualificato ai sensi della normativa vigente e purchè la gara espletata abbia avuto ad oggetto sia la gestione del servizio relativo alla rete, sia l’esecuzione dei lavori connessi. Qualora, invece, la gara abbia avuto ad oggetto esclusivamente la gestione del servizio relativo alla rete, il gestore deve appaltare i lavori a terzi con le procedure ad evidenza pubblica previste dalla legislazione vigente.
Il dato singolare è la possibile “modulazione” della gara per la gestione della rete, alla quale può essere abbinata o meno anche l’esecuzione dei lavori connessi.
***
1) Le problematiche del nuovo assetto normativo sono state evidenziate da S. Cassese, “Il Neosocialismo municipale”, in “Corriere della sera” del 29 ottobre 2003, pag. 1. Nell’articolo di fondo l’a. afferma che “ si consente a enti pubblici locali di svolgere, attraverso società per azioni, in monopolio, ogni genere di attività, a condizione che gli enti locali esercitino sulle società un controllo analogo a quello svolto sui propri servizi e che le società realizzino la parte più importante della propria attività con l' ente pubblico. È una formula ambigua e pericolosa. Si presta a molti abusi, per la sua latitudine. È presa in prestito dagli appalti pubblici e applicata ai servizi pubblici, un settore al quale è logicamente estranea. Fornisce un altro esempio dell' abuso della società per azioni e del diritto privato, da parte della pubblica amministrazione.”.
2) Il presidente di Confidustria, Antonio D’Amato, ha espresso (si vedano “la Repubblica”, pag. 39 e il “Corriere della sera”, pag. 25, entrambi del 30 ottobre 2003) forti perplessità sul dato normativo, preannunziando un “confronto serrato” , volto ad aprire spazi per le privatizzazioni su base locale.
3) Si veda in merito la Nota del Centro Studi Confindustria n.3-4 del 23 luglio 2003, di G. Sgarra, “Aspetti critici della disciplina dei servizi pubblici locali”.
4) Nella relazione di accompagnamento al testo del DDL di Conversione in legge del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, recante disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell'andamento dei conti pubblici - AS 2518 sono evidenziate le “intenzioni” del legislatore.
“L’articolo 14 introduce disposizioni finalizzate a dare una maggiore efficacia ai principi di trasparenza, concorrenza e pubblicità. Con la norma in esame si attua un consistente intervento correttivo della riforma dei servizi pubblici locali varata nel dicembre del 2001 con l’articolo 35 della legge 28 dicembre 2001, n. 448, che aveva in parte novellato il testo unico degli enti locali (decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 – articoli 113 e 113-bis). Viene innanzitutto determinata una data unica, il 31 dicembre 2006, entro la quale tutte le gestioni in essere cesseranno. Viene inoltre soppresso il rinvio al regolamento che avrebbe dovuto, fra l’altro, indicare quali dei servizi pubblici locali rivestono rilevanza industriale. Altra modifica riguarda la possibilità di proseguire negli affidamenti già ricevuti (fino al 31 dicembre 2006) connesso alla abrogazione del periodo transitorio.
Si prevede che l’erogazione del servizio sia effettuata attraverso il conferimento della titolarità del servizio: a) a società di capitali individuate attraverso l’espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica; b) a società a capitale misto pubblico e privato nelle quali il socio privato sia stato individuato con procedure ad evidenza pubblica; c) a società a capitale interamente pubblico a condizione che la «parte pubblica» eserciti un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente o gli enti pubblici che la controllano”.
5) Sentenza della Corte di giustizia nelle cause congiunte C-180-184/98 Pavel Pavlov and Others v Stichting Pensioenfonds Medische Specialisten [2000] ECR I-6451
6) Un’analisi efficace su tale problematica, riferita alla riforma “originariamente” proposta dall’art. 35 della legge n. 448/2001, è proposta da A. Pericu, “Fattispecie e regime della gestione dei servizi pubblici locali privi di rilevanza industriale”, in Aedon, n. 1/2002, rif. http://www.aedon.mulino.it/archivio/2002/1/pericu.htm.
7) Cfr. in tal senso D. Capobianco, “Servizi locali, la riforma è addolcita”, in Italia Oggi del 7 novembre 2003, pag. 43.
8) Uno sviluppo simile si è avuto già per la classificazione fondata dai previgenti articoli 113 e 113-bis del d.lgs. n. 267/2000, con interventi significativi della giurisprudenza amministrativi, volti ad enucleare alcune macro-categorizzazioni , e da queste, la tipizzazione “industriale” o meno di alcuni servizi. In merito si vedano le pronunzie del TAR Puglia – Lecce, sez. II, sent. n. 486 del 20 febbraio 2003, sent. n. 638 del 3 marzo 2003, sent. n. 779 del 17 marzo 2003, del TAR Lombardia – Milano, sez. III, sent. n. 994 del 14 aprile 2003, del TAR Campania – Napoli, sez. I, sent. n. 4203 del 30 aprile 2003, sent. n. 10768 del 1 agosto 2003 e sent. n. 11543 del 22 settembre 2003, del Consiglio di Stato, sez. V. dec. n. 2380 del 6 maggio 2003, nonché del TAR Sardegna, sent. n. 1413 del 14 ottobre 2003.
9) Sull’affermazione dei sistemi territoriali subnazionali e sulle loro caratterizzazioni si veda P. Perulli, “La regolazione dei sistemi locali”, Bologna 2002, partic. pagg. 45-70.
10) Un’analisi interessante, in tale prospettiva, è stata sinteticamente rappresentata da M. Dugato, “Il servizio pubblico locale: realtà e virtualità nei criteri di classificazione”, in “Giornale di Diritto Amministrativo”, 2003, pagg. 929-932. L’a., trattando dei criteri e dei “parametri” per l’identificazione del servizio pubblico locale, individua tra i caratteri oggettivi di un’attività qualificabile appunto come s.p.l., il rapporto della stessa con il mercato, affermando che “l’attività economica diretta alla soddisfazione di un bisogno primario della collettività può dirsi servizio pubblico in senso tecnico (e giustificare la conseguente attribuzione di diritti speciali) soltanto quando l’intervento pubblico sia necessario per sopperire alla mancanza ovvero all’insufficienza o inadeguatezza del mercato”. A sostegno della sua tesi, l’a. evidenzia come sia sostanzialmente differente la gestione di un teatro di prosa da parte di un piccolo Comune (risultando assente l’offerta di attività corrispondenti) da quella realizzata da un grande Comune, il quale viene ad operare in un mercato nel quale l’offerta è ampia, adeguata e comunque sufficiente a far fronte alle esigenze dell’utenza potenziale.
|