Di Roberto Fazioli (1)
Con questo contributo si vuole proporre un nuovo sistema di “induzione cadenzata all’obbligo di gara” che tenga conto sia dell’urgenza dell’introduzione di meccanismi incentivanti l’efficienza nelle performance degli operatori, sia della valorizzazione dei soggetti relativamente più efficienti attraverso il loro discernimento. Si propone, cioè, di coniugare il sistema della for-the-market competition con la tradizione della benchmarking regulation, in modo tale che l’avvio repentino delle gare avvenga con cadenzamenti studiati attraverso procedimenti di tipo valutativo fondati empiricamente e non più solo sulla valutazione aprioristica di modelli generali ed astratti.
Il contributo che segue, inevitabilmente, prende le mosse da una analisi per evolvere nella proposizione. Nel paragrafo 1, quindi, si richiama la rilevanza dell’efficacia dell’azione di “governo del sistema”, ovvero di implementazione di una scelta pubblica ormai ineludibile: coniugare efficienza, eficacia e apertura al mercato. Nel successivo paragrafo 2 il tema è declinato sui problemi di responsabilizzazione al risultato, così latente in molte aree del sistema della produzione dei servizi pubblici. Tali argomentazioni analitiche sono valutate, nel paragrafo 3, sulle esperienze internazionali.
Col paragrafo 4 si afronta la questione centrale della “proposta normativa”, overo viene illustrata la proposta di “nuova politica della concorrenza” immediatamente operabile nel settore dei servizi pubblici localia vocazione industriale. Nel paragrafo 5 si entra nel merito dei possibili algoritmi valutativi utilizzabili. Nel paragrafo 6, inoltre, si indicano alcune opzioni efficientanti le strategie di costruzione della gara rispetto agli oiettivi generali che inducono il processo di liberalizzazione.
Infine, con il paragrafo 7, si cerca di trare le conseguenze organizzative del processo di liberalizzazione graduale che si è ipotizzata anche sulla base delle omologhe esperienze internazionali.
1. DALLA SCELTA PUBBLICA ALLA SUA ATTUAZIONE
Da più d’un secolo gli enti locali in Italia, in Europa e nel mondo industrializzato hanno concretizzato la loro missione istituzionale incidendo sul territorio di giurisdizione attraverso o l’offerta di servizi alla cittadinanza (o parte di essa) o la realizzazione di interventi, investimenti e altre attività atte a dotare la collettività di nuovi strumenti o infrastrutture, oppure intervenendo a modificare, alterare, sviluppare le modalità d’offerta di beni o servizi da parte di privati sugli altri privati. Il fine è sempre stato, formalmente, la ricerca del massimo benessere della collettività di riferimento (ovvero quella che costituisce il bacino di consenso di riferimento del policy-makers). In ogni caso, in ogni fase storica, in ogni luogo pur sempre d’interventi pubblici “non-di-mercato” si tratta: si pensa, cioè, che calibrare interventi pubblici in un sistema o “migliorabile” o “non ben funzionante”. Si ritiene, così, di pubblica utilità intervenire nelle regole del gioco di un particolare “mercato inefficiente” o nei punti di esso “mal funzionanti”. Fin qui, tutto chiaro e noto. Ora, però, si pone il problema del … “e quindi?”, del “come?”.
Si è determinata una scelta pubblica nei servizi locali e, quindi, si pone sempre il conseguente problema di attuazione: come intervenire? Con quali procedure? Con quali strumenti? Con quali controlli di risultato?
La teoria delle public choices ha già analizzato a fondo il tema della formazione delle scelte delle autorità di governo democratiche, ma a nulla varrebbe senza un’omologa analisi dello strumentario utilizzabile per la loro attuazione. Essa è tanto più complessa quanto più complesso e articolato è il sistema dei bisogni collettivi cui le scelte pubbliche cercano di rispondere e quanto più complessi ed in continua evoluzione sono le tecnologie dei mezzi atti a realizzare beni e servizi di pubblica utilità (o presunta tale dal policy maker di riferimento). Se, poi, inserissimo la variabile temporale, allora il problema dell’attuazione ottimale di scelte pubbliche diventerebbe veramente complicato. Nel tempo, infatti, come si dovrebbero progettare ex-ante gli eventuali intervenire per aggiustamenti? Come rendere uno strumento d’azione continuamente ottimale o ottimalizzabile nel tempo?
La problematica che cerco di stigmatizzare conduce, per quanto riguarda l’agire pratico degli enti locali, in una analisi delle procedure pubbliche di selezione degli strumenti d’intervento. Procedure come serie di azioni, protocolli operativi, volti al raggiungimento di un obiettivo.
2. IL RISCHIO DELLA SCELTA ASTRATTA DERESPONSABILIZZANTE
Come si è detto sopra, la gran parte della letteratura che analizza i problemi di attuazione delle scelte pubbliche ha prodotto, in termini prescrittivi, solo una ricetta mai studiata nelle sue applicazioni pratiche generali e particolare: la regolazione della procedura per scegliere l’atuatore della medesima scelta pubblica. Non, quindi, lo strumento atto a raggiungere con la maggiore probabilità possibile un risultato, bensì la procedura che togliesse responsabilità al policy maker rispetto ai propri annunci: la gara per la scelta del contraente un contratto di servizio, un meccanism,o di asta asetticamente considerato come scelta ottimale in sé.
Una prima considerazione critica è di natura altrettanto metodologica: data la complessità degli obiettivi che strutturano la scelta pubblica, possiamo ancora sostenere che esiste solo una procedura? Che possa essere preconizzabile la procedura generale ed astratta per l’agire pubblico di cui sopra? La risposta di chi abbia buon senso e consapevolezza non potrebbe che essere negativa, pur tuttavia in Italia il dibattito attinente le modalità d’intervento degli enti locali è ancorato all’ideologia del mercato concorrenziale e perfetto, ancora visto come il taumaturgo d’ogni problema. Dimentichi della logica di meccanismi strutturalmente fiduciari, nella fattispecie dei servizi pubblici locali la procedura di “gara per il mercato locale“ è stata consacrata come l’unica procedura per il corretto funzionamento operativo di ogni ente locale.
La gara è, quindi, divenuta un valore in sé, un’apoteosi della necessità di disporre di una procedura deresponsabilizzante il “sistema pubblico appaltante” rispetto ai risultati effettivamente raggiunti. E’ chiaro che le teorie dei mercati perfettamente contendibili, le teorizzazioni dei contratti perfetti, pur nella loro vacuità applicativa, hanno fortemente inciso nella visione dell’unica procedura possibile: la gara. Ciò, certamente in Italia.
Orbene, mentre nei sistemi tecnologicamente più voluti è acclarata la necessità della complessa ricerca di una gamma di strumenti d’intervento, essendo ormai assodata la consapevolezza che non esiste un solo taumaturgico strumento per attuare un disegno complesso, in Italia gli sforzi legislativi e giuridici sono monotonicamente orientati all’ineluttabilità dell’obbligatorietà della gara in ogni segmento di attività pubblica. Mentre altrove si è già maturata la consapevolezza della ricerca del mix ottimale di strumenti, mentre si sta affermando la rinnovata priorità di riforme dell’intervento pubblico sempre più orientate ad affermare la centralità del risultato dell’azione pubblica come unica cartina di tornasole della sua efficacia, in Italia si è arrivati alla aprioristica ottimalità della procedura di gara generalizzata ed astratta con un cipiglio ideologico e acritico trasversale agli schieramenti politici. Oggi, infatti, l’esito delle politiche d’intervento pubblico dipende non già dal senso di “responsabilità di risultato” del policy maker, bensì al suo ingessamento in procedure oggettivamente deresponsabilizzanti e rigide.
3. VERSO UNA INCENTIVAZIONE ALLA RESPONSABILITÀ DI RISULTATO: LA LEZIONE DELLE ESPERIENZE INTERNAZIONALI
Al fine di voler contribuire ad un comunque necessario processo di riforma delle politiche d’intervento degli enti locali in Italia, mi concentrerò su una delle modalità sostanzialmente previste e utilizzate nei paesi europei e che in Italia conosce oggi un ostracismo che andrebbe quantomeno analizzato nei suoi aspetti positivi e negativi: il modello In-House. Al contempo, cercherò di delineare forme di “uscita dall’In-House” per trovare forme di bilanciamento fra l’esigenza della procedura generale ed astratta e la necessità di rivalorizzare le responsabilità di risultato.
In ragione del principio costituzionalmente previsto e tutelato di responsabilizzazione degli enti locali e, quindi, della loro autonomia decisionale e gestionale, coerentemente a quanto diffusamente riscontrabile in Europa, il “sistema In-House”, ovvero dell’auto-organizzazione della produzione e organizzazione di taluni beni e servizi rappresenta, con i suoi aspetti positivi e negativi, un sistema d’intervento pubblico caratterizzato dal massimo livello di responsabilizzazione del policy-maker.
La strumentario col quale si potrebbe far tesoro delle esperienze internazionali di intervento pubblico locale è abbastanza ampio e, ovviamente, non può trovare spazio in questo contributo un’analisi appropriatamente completa. Già la carenza di sistematici studi empirici sulla tematica è indicativa della scarsa diffusione di un approccio di regulation fondato sulle best-practical-practices.
In estrema sintesi possiamo stilizzare come segue:
• Interventi attraverso relazioni di medio-lungo termine con soggetti “terzi” rispetto all’autorità di governo locale, con differenti sistemi di regolazione ex-ante ed ex-post.
• Interventi attraverso forme contrattuali di delega agli “operatori di mercato”.
• Intervento attraverso soggetti partecipati.
Nella prima gamma di modalità d’intervento l’autorità di governo “sceglie” secondo procedure più o meno “aperte” un interlocutore terzo idoneo a realizzare una serie più o meno predefinita di interventi o erogazioni di beni e servizi. Si può trattare di soggetti aventi caratteristiche intrinseche specifiche tali da richiedere la minimizzazione dell’intervento regolatorio ex-post, come, ad esempio, il sistema dei soggetti no-profit, oppure di soggetti privati miranti alla legittima massimizzazione del loro profitto e, quindi, richiedenti una “dose” di regolazione ex-post tanto più importante quanto più ardua è la convergenza fra gli obiettivi pubblici e quelli privati.
Nella seconda fattispecie troviamo tutte quelle forme di deleghe operative su base contrattuale che si rifanno alla teorizzazioni del mitizzato e inesistente “contratto perfetto o ottimale” sia nel tempo che nella gamma degli accadimenti prevedibili. Gli strumenti di public procurement e le differenti forme di project-financing rientrano in tale ampia ed articolata gamma di strumenti che, comunque, si rifanno a soggetti “terzi” contrattualizzati dall’autorità di governo al raggiungimento di obiettivi pubblici dichiarati attraverso la loro prestazione.
Si tratta di strumenti che devono la probabilità di successo alla “completezza del contratto” e alla credibilità del commitment dell’interlocutore contrattualizzato. È evidente che la complessità degli oggetti contrattuali, la loro dinamica e variabilità nel tempo e le difficoltà a normare tutte le fattispecie ipotizzabili e le contingenze future, rendono tale sistema di “interventi contrattuali” assai spesso apparentemente appealing nel breve periodo, ma assai inaffidabile e sovente rischioso ed oneroso nel tempo.
Il terzo insieme, infine, concerne le forme più o meno “diluite” di auto-produzione di beni e servizi attraverso forme di intervento diretto o consorziato dell’ente locale sovente con strumenti di tipo societario, come, appunto, le società cosiddette In-House providing. Si tratta di forme di autoproduzione che implicano il diretto coinvolgimento del policy-maker che declina le proprie scelte in atti delega interorganica a strutture dell’ente o ad esso strettamente appartenenti, ad esempio con strumenti societari partecipati e controllati alla stessa stregua di quanto avviene fra strutture tecnocratiche e decisionali dell’ente. Ovviamente, a fronte della flessibilità dello strumento controllato pienamente si finisce con lo scontare, come vedremo meglio in seguito, il rischio di assenza di adeguati incentivi impliciti ai risultati.
L’analisi adeguata degli strumenti di cui al cenno sopra sintetizzato è sostanzialmente assente in letteratura. Tale analisi deve, in ogni caso, essere effettuata da chiunque abbia responsabilità istituzionali di scelta pubblica e deve essere fatta tenendo conto dei seguenti warnings o campanelli d’allarme:
a) poliedricità delle problematiche da trattare (e non univocità dell’oggetto contrattuale) (2) ;
b) evoluzione intertemporale dei bisogni e, quindi, delle tipologie di offerta pubblica;
c) imprescindibilità dei fenomeni di incompletezza contrattuale sia per l’impossibilità di prevedere e pre-normare ogni accadimento, sia per l’impossibilità di creare adeguati vincoli, obblighi e commitment al soggetto contrattualizzato che, conseguentemente, diviene titolare di un diritto contrattuale.
Posto che la ricetta ottimale non esiste, specie se si volessero approfondire i problemi sopra indicati, il ricorso alla metodologia induttiva del “far tesoro dalle esperienze” potrebbe certo aiutare. Altrettanto utile rimarrà sempre il criterio di valutazione fondato sulla reversibilità di una scelta (una opzione con tratti di costosa reversibilità se non di totale assenza di reversibilità de facto o de jure sarebbe difficilmente sostenibile) ovvero sulla valutazione dei “costi di uscita” o, in generale dei “costi dell’eventuale variazione nel tempo”. Ancora, la possibilità di valutare alternative diventa, in questi contesti, un altro criterio di valutazione di bontà della metodologia di scelta.
Ulteriori criteri metodologici di valutazione delle scelte fra opzioni di modalità d’intervento potrebbero, dunque, essere:
• valutabilità di esperienze registrabili pregresse;
• costi d’uscita o di cambiamento dell’opzione intrapresa;
• effettiva comparabilità fra alternative reali.
Uno sguardo alle esperienze internazionali di cui fare tesoro può risultare utile. Possiamo provare a modellizzare, addirittura, il vastissimo panorama di dette esperienze.
I) Un modello di matrice statunitense volto alla diffusione della molteplicità dell’insieme degli operatori come un valore in sé ed un rafforzamento dei poteri di Public Commission indipendenti che, sinergicamente all’Antitrust, verificano le performance registrate presso i vari operatori nell’offerta di servizi universali, dando luogo ad un reale confronto sulla frontiera dell’efficienza relativa, ovvero delle best-practices. La benchmarking regulation ha quindi portato a sintesi il public commitment sui risultati dell’azione di governo locale con la dimostrabilità dell’esito delle scelte tramite confronto continuo sulle performance fattuali.
II) Un modello di matrice continentale - europea o “renano” fondato sulla centralità degli enti locali, l’assenza di regolatori settoriali e un chiaro rafforzamento dell’antitrust in veste non solo di “tutore della complessità dell’offerta”, ma, anche, di vigilanza sulle performance delle imprese stesse.
III) Un modello francese di tradizione e impostazione “dirigista” che, in passato, sanciva la sostanziale assenza di processi di decentramento decisionale rafforzando in pochi “campioni nazionali” l’organizzazione industriale dell’offerta è difficilmente applicabile in Italia, anche per la differente architettura delle competenze e delle istituzioni decentrate. Tale modello si basa sul forte ruolo di vigilanza di commissioni non indipendenti, bensì organiche al policy-maker.
IV) Il non meglio definibile “modello italiano”, invece, si concentra sull’ottimalità teorica del modello ex-ante e non vi è traccia alcuna della “centralità della performance”, bensì tutto il dibattito e tutto il portato normativo è incentrato sui modelli generali e astratti di affidamento del servizio.
4. L’OBIETTIVO DELLA GARA E LA NECESSITÀ DI MANTENERE LA RESPONSABILITÀ DI RISULTATO.
I processi di riforma dei servizi pubblici locali che si sono accavallati in Italia negli ultimi lustri rendono comunque necessario lo sforzo di addivenire ad un processo di riforma delle politiche pubbliche locali che valorizzino la loro capacità di produre responsabilizzazione nei risultati delle azioni di governo. A ciò si deve poi sommare la necessità di calibrare procedure che enfatizzino il concetto di “apertura” al mal funzionanete “mercato”. Fino ad ora, l’introduzione del meccanismo della gara è stato frequentemente additato come minaccia di posizioni di monopolio locale che hanno dato luogo a risultati a volte pessimi a volte eccellenti. La capacità di organizzare ottimali forme di “autoproduzione” di beni e servizi, infatti, non è certo né diffusa, né costante.
Al fine di (1) dare efficacia, oltre che efficienza, alle politiche pubbliche locali e (2) dare segnali di valorizzazione o, all’opposto, di sanzione alle pratiche operative locali, occorre introdurre forme di discernimento, valutabilità e intelligente graduralità allo slogan dell’obbligo della gara secco e totale.
A partire dalla centralità dell’approccio comunitario dell’indifferenza rispetto alle tipologie proprietarie nella valutazione dei soggetti e, peraltro, dell’assoluto divieto di discriminazione, recuperando sia l’approccio statunitense della centralità delle performance come guida del timing dell’intervento delle Public Commission nei settori delle public utilities e quello tedesco dell’organizzazione delle funzioni di autorità regolatrice nella medesima autorità antitrust, si potrebbe pervenire ad una politica di graduale introduzione dell’obbligo di gara articolabile come segue:
a) legiferazione di una procedura di progressiva diffusione dell’obbligo della comparazione empirica delle opzioni di affidamento e, in particolare, della procedura concorsuale ad evidenza pubblica (la gara) specie per i nuovi affidamenti dei servizi pubblici locali, senza più distinzione fra “economici” e “non-economici” (3), semmai fra “industriali” e “non-industriali”;
b) impostare un timing delle gare articolato sulle performance attuali registrate nei vari contesti e nei vari soggetti gestori, indipendentemente dalla loro caraterizzazione proprietaria, impostando sull’Autorità Antitrust la vigilanza sulle “inefficienze comparate” per impostare le priorità delle gare e sulle Autorità di Regolazione la funzione di modellizzazione delle procedure concorsuali e, soprattutto, dei parametri tecnico-qualitativi dei servizi oggetto delle gare medesime, enfatizzando, così, i differenti ruoli nella regolazione delle differenti authorities.
c) organizzazione dei poteri d’intervento in capo all’Autorità Antitrust secondo il principio dei “due tempi”: ad una prima azione di analisi e valutazione fondata solo sulle risultanze delle performance dei soggetti gestori sui cittadini/utenti, seguirebbe una azione supplettiva, qualora un più ampio consesso istituzionale (4) verificasse situazioni di oggettiva inefficienza relativa;
d) avvio delle prime gare a cadenza biennale a cominciare dai contesti di acclarata inefficienza relativa (5) (ovviamente oltre ai contesti di adesione volontaria alla procedura di gara di cui trattasi), dando, così, “contenuto” alle scelte dell’Antitrust oltre che valore “procedurale”;
e) articolazione della gara non solo con centralità sugli aspetti innovativi, organizzativi, di qualità, ecc…, oltre che di prezzo, ma, anche e soprattutto, con forme di premialità e sanzionabilità del gestore fondati sugli indicatori di qualità dei servizi da rendersi alle collettività, sulle indicazioni di disponibilità agli investimenti e su forme di self-commitments, ovvero su assunzioni predefinite in contesto di gara selettiva (6).
La prospettiva di una strategia di cadenzamento ragionato dei processi di liberalizzazione o, meglio, di diffusione dei meccanismi di “comptetizione per il mercato” (gare per l’affidamento di servizi pubblici locali) può determinare l’avvio di due importanti percorsi virtuosi per il sistema delle local utilities italiane:
a) induce stimoli effettivi all’efficienza, con chiara responsabilizzazione sia del management che del policy maker locale in quanto i primi renderebbero contendibile la loro stessa posizione qualora l’azienda gestita non si collocasse sulla frontiera di efficienza relativa, mentre i secondi vedrebbero sfumare la possibilità di pieno controllo della loro partecipata e delle azioni di local policy che attraverso di esse vengono perpetuate qualora le loro stesse scelte determinassero fenomeni involutivi negativi dell’efficienza gestionale.
b) La certezza e la credibilità di processi di regolazione del sistema delle imprese dedite alla produzione ed offerta di servizi pubblici locali, vuoi perché forzate alle gare per il loro range di scarsa efficienza, vuoi perché confermate per meritorietà nella loro posizione operativa, determinano un forte contenimento dei costi del servizio del capitale per investimenti e attività omologhe da parte del sistema del credito. Ciò per l’evidente ragione che l’incertezza determina induzioni all’elevazione degli spread bancari a causa del rischio implicito (7).
5. POSSIBILI ALGORITMI O INDICATORI VALUTATIVI UTILIZZABILI
Al fine di rendere efficace un processo di monitoraggio continuo degli indicatori di performance di aziende affidatarie di servizi pubblici locali a rilevanza industriale ocorre che essi siano:
(a) desumibili da informazioni aziendali “istituzionalizzabili ed esternalizzabili”;
(b) di sufficientemente chiara lettura;
(c) coerenti agli obiettivi della regolazione pubblica ed agli incentivi alla virtuosità gestionale che si vuole promuovere.
Si possono, in una prima forte semplificazione, dividere gli indicatori di perfomance utilizzabili in un’area di “indicatori di performance economica all’utenza” e di un’altra area di “indicatori di performance economica alla proprietà aziendale”.
Della prima tipologia potrebbero far parte i “segnali di prezzo”, ovvero le tariffe dei servizi pubblici erogati. Siccome, però, le tariffe sono viziate da politiche di carattere redistributivo con cui gli enti locali cercano spazi ovvi di azione che, però, si rivelerebbe “distorsivi”, allora occorrerebbe porre a premessa che:
1) la tariffa sia impostata col meccanismo del full-cost-recovering da parte dell’autorità di regolazione del settore.
2) Dalla tariffa sia dedotti tutti i presumibili costi di investimento e/o manutenzione straordinaria, ovvero gli ammortamenti, gli oneri finanziari sui mutui, gli accantonamenti. In tal modo, la tariffa secondo il modello prefigurato, darebbe un segnale di “pseudo-mercato” corretto.
3) Dagli indicatori di Bilancio consuntivo siano enfatezzate e rese partecipi la proprietà delle poste o indicatori di “bilancio per centri di costo” in grado di essere effettivmente “portatori di inforazioni di efficienza gestionale”.
A mero titolo di esempio, per quanto concerne il punto (3), la mole delle “partite straordinarie” che ogni anno portano nei bilanci aziendali memoria di sé, andrebbe relativizzata con indicatori di volume aziendali, al fine di meglio comprendere con una certa facilità il peso del ricorso sistematico alle partite straordinaire.
Dal punto di vista procedurale, la strategia istituzionale di “cadenzamento delle gare” potrebbe concretizzarsi come segue:
Fase di avvio – gli affidamenti diretti sono sottoposti a monitoragio da parte dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato onde entrare nel merito delle conseguenze in termini di “offerta efficiente” da parte dei gestori in essere, oltre che per fornire adeguato e credibile benchmarking per valutazioni spettanti in merito a nuovi affidamenti diretti.
Prima Fase di applicazione – i sogetti gestori che rappresentano risultati di performance ricadenti nel cluster del 10%/20% di maggior ineficienza sono sottoposti ad un “approfondimento di indagine” al termine del quale l’Autorità evidenzia una situazione di “affidamento non economicamente corretto” e, quindi, predispone la procedura di comunicazione agli organi competenti, in grado di far avviare un forzato processo di valutazione di alternanza gestionale fondato sull’avvio della gara.
Fasi “a regime” – l’intero “sistema delle local utilities” viene de facto e de jure vagliato sulla base delle risultanze in termini di efficienza relatiova e può, quindi, simulare effettivamente l’introduzione generalizzata dell’istituto della gara, vuoi per svolgimento effettivo della stessa in modo cadenzato, vuoi per l’inserimento nel sistema di adeguati stimoli concorrenziali, com prevede, peraltro, il quadro normativo di vigilanze, tutela e promozione della concorrenza del mercato.
Al fine di poter avviare efficacemente la sopra indicata innovazione procedurale, si potrebbe far ricorso, nel breve periodo, ad un processo i selezione di soggetti caratterizzati da affidamenti diretti che siano focus group di tale analisi in via, ovviamente, riservata.
In tale processo, è bene evidenziare, si ritiene che si possa assistere ad una forte valorizzazione del ruolo dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato nell’ormai ventennale processo di complicata ricerca di percorsi forzosi (e spesso general generici) di piena liberalizzazione del sistema delle local utilities. Ciò in piena coerenza sia con le principali esperienze di liberalizzazioni dei paesi più avanzati europei e oltreoceano, sia con il quadro delle “regole europee” sul tema.
6. UNA COMPETIZIONE AMPIA, ARTICOLATA E AFFIDABILE: IL MECCANISMO DEL SELF-COMMITMENTS
L’ultimo punto (5) della proposta pragmatica di cui al precedente paragrafo 4 accenna ad aspetti assolutamente centrali nella definizione di un processo di “costruzione di mercati” comunque complicati dalla poliedrica natura dei servizi pubblici locali. In effetti, l’ineluttabile complessità dei servizi pubblici è dovuta alla poliedricità del loro “oggetto”: cosa sono? Si tratta di beni e/o servizi che vengono prodotti ed erogati secondo modalità sovente disomogenee e spesso in termini opzionali ad una domanda al suo interna assai differenziata per bisogno, sensibilità, cognizione. La loro natura è altrettanto poliedrica dal punto di vista tecnologico e dell’acquisibilità economica e cognitiva. Tale poliedricità, peraltro, varia nel tempo e nello spazio.
La letteratura sovente dissimula quelle poliedricità col generico riferimento alla “qualità del servizio” e la confina, dal punto di vista dell’architettura dei sistemi o modelli di regolazione, a “carte dei servizi” dove referenti tecnici specificano dall’esterno i parametri su cui cercare di valutare (nel migliore dei casi) le peculiarità qualitative dei servizi in questione.
La letteratura non offre, oggi, una ricetta efficace sulla regolazione delle matrici qualitative dei servizi ed i modelli di asta pubblica confinano quella problematica in valutazioni ad hoc da parte di esogene strutture tecniche di valutazione. In tale esogenizzazione della regolazione dei fattori poliedrici di qualità dei servizi si trascura il fattore credibilità delle offerte che gli operatori partecipanti alle gare formulano allo scopo. Ora, la proposta di “Self-commitments auctions” cerca di rendere credibili le sanzioni sugli obiettivi di qualità.
Le gare per l’affidamento di servizi pubblici si svolgerebbero su due fasi più rilancio finale:
Fase 1 - accreditamento e prevalutazione dei soggetti concorrenti, al fine di creare una short-list di imprese che credibilmente possono assumere la responsabilità del servizio per un congruo numero di anni. In questa fase si potrebbero prevedere sia le “accettazioni del Piano Economico Finanziario di riferimento”, sia le valutazioni curriculari e le certificazioni dei soggetti partecipanti.
Fase 2 – Divisa in due parti pricing and quality aims – Se la prima è intuibilmente riferentesi alle componenti economiche dell’offerta prospettata, la seconda parte si struttura nella formulazione di una serie di indicatori di qualità intrinseca del servizio richiesto definiti dalla Commissione valutatrice ai quali i concorrenti devono giustapporre sia il livello di standard che si propone sia, soprattutto, la sanzione che si intenderebbe accettare di pagare in caso di comprovato mancato raggiungimento dell’uno o dell’altro parametro qualitativo. In tal caso, quindi, la selezione sarebbe orientata verso il soggetto che esprime la massima auto-sanzione per il mancato raggiungimento dei parametri qualitativi del servizio.
Il meccanismo del self-commitment abbatte, peraltro, il costo del potenziale contenzioso, in quanto le sanzioni possono essere fidejussate e, comunque, ascrivibili non già a soggetti terzi, bensì all’oferta dello stesso concorrente.
La procedura sopra semplicemente tratteggiata si richiama alla benchmarking regulation che fonda la sua valenza operativa sui propri connotati di “realismo”, ovvero di derivazione dall’economia applicata, anziochè dalla forse eccessiva enfasi data in letteratura alla metodologia prettamente teorica generale, sovente priva di coerenti risultanze applicative.
7. CONSEGUENZE ORGANIZZATIVE DEL PROCESSO DI LIBERALIZZAZIONE GRADUALE: LA HOLDING COMUNALE PER LE PARTECIPAZIONI
Nel delineato quadro normativo e regolativo, indipendentemente dalle forme organizzative prescelte, nella scelta delle modalità di affidamento dei servizi devono rimanere rispettati gli obiettivi di:
- non operare forme di discriminazione;
- evitare forme di sussidio incrociato;
- garantire l’efficienza industriale;
- garantire la parità di trattamento nell’affidamento di servizi, pertanto con possibilità di operare extra territorio solo per i servizi affidati non in monopolio;
- tener conto di un processo di liberalizzazione differenziato tra i diversi settori;
- salvaguardare i benefici derivanti dalla sinergia per servizi e attività comuni.
Nel sistema delle Utilities italiane, si assiste sovente a una strutturazione per cui, all’interno di una stessa società multi utility, si verifica la convivenza (anche se in alcuni in unbundling societario) di servizi pubblici locali a rilevanza economica e non economica, servizi strumentali, servizi liberalizzati secondo il principio della concorrenza nel mercato e per il mercato.
La normativa in continua evoluzione si è spesso rivelata diversificata per ogni diversa tipologia di servizi svolta.
Nell’esercizio delle scelte di governo locale, è tuttavia opportuno, oltre al rispetto delle norme, poter garantire il mantenimento di un ruolo di coordinamento e controllo (a favore dei soci) da parte della società holding, non frazionare, anche per limitare i costi complessivi e il coordinamento, i settori di operatività in altrettante società direttamente in capo all’ente locale, mantenere un obiettivo di efficacia, efficienza ed economicità e non svilire una storia di società pubblica multiutility a servizio della città e dei cittadini.
In tale contesto, appare rilevante ipotizzare una strutturazione a holding, dove la capogruppo abbia un ruolo di cabina di regia dell’ente con ruolo di service nei confronti delle società di scopo affidatarie, in base alla normativa di riferimento, dei servizi pubblici locali.
Si tratterebbe di una soluzione estremamente innovativa, la quale consentirebbe alle società, una volta riorganizzate attraverso la separazione societaria e la definizione di una struttura a holding, di mantenere un assetto societario suscettibile di idoneo coordinamento con l’ente o gli enti locali soci e di continuare a svolgere attività sia in regime di esclusiva che in regime di concorrenza.
Tale soluzione si basa sull’art. 2, comma 7 del d.P.R. n. 168 del 2010 ove si stabilisce che “I soggetti gestori di servizi pubblici locali, qualora intendano svolgere attività in mercati diversi da quelli in cui sono titolari di diritti di esclusiva, sono soggetti alla disciplina prevista dall'articolo 8, commi 2-bis e 2-quater, della legge 10 ottobre 1990, n. 287, e successive modificazioni”.
Tale norma, sembra infatti ammettere che un soggetto affidatario diretto possa partecipare a gare o comunque svolgere attività liberalizzata previa separazione societaria e comunicazione all’Autorità garante per la concorrenza e il mercato.
In sostanza, le conseguenze organizzative delle nuove norme, ipotizzando la riqualificazione delle utilities nazionali, riguardano il posizionamento delle attuali multiutilities come holding patrimoniali pubbliche, che partecipano società di scopo distinte per i diversi servizi gestiti, laddove i singoli affidamenti alle società di scopo siano in linea con le norme generali e di specifico settore.
In tal modo, la holding patrimoniale:
• Svolge un ruolo di coordinamento a favore dei soci;
• Detiene la proprietà di reti impianti e altre dotazioni;
• Non detiene affidamenti diretti nei settori in cui possiede la proprietà dei cespiti.
Al contempo, in questo modello:
• Per ogni società di scopo esiste un affidamento sulla base delle norme vigenti per lo specifico relativo settore;
• Non si effettuano forme di sussidio incrociato fra gli specifici settori, grazie a idonee forme di unbundling societario;
• i contatti tra la società holding e le società di scopo sono regolati sulla base di contratti basati sulla separazione societaria e contabile fra servizi.
Note
1) Università di Ferrara.
2) Si pensi alla poliedricità anche solo definitoria di sistemi di attività e servizi che sono comunemente appaltati come il Servizio idrico Integrato, il ciclo dei rifiuti, un sistema di mobilità urbana, ecc…
3) In effetti, anche se un servizio fosse erogato senza una adeguata controprestazione dell’utente come il riconoscimento di una tariffa, si tratterebbe comunque di poduzioni di beni o servizi aventi la loro struttura economica e finanziaria e, quindi, comunque da ricondurre a forme di pagamento da parte dell’unica utente rappresentante la collettività beneficiario: l’ente locale.
4) E’ qui evidente il riferimento implicito alla copartecipazione, nella fase evidentemente sanzionatoria, di più rappresentanze di interessi (consumatori, enti locali, imprese, ecc…) e istituzioni.
5) Le metodologie di benchmarking evaluation, di analisi parametrica e non-parametrica delle frontiere di efficienza, ecc… costituiscono metodologie valutative assai disponibili in tale direzione.
6) Questo punto riveste una chiara centralità nell’innovazione “di processo” che si vuole prospettare: se, ad esempio, venisse chiesto ai partecipanti di una gara di dichiarare ex-ante la rispettiva disponibilità a pagare sanzioni in caso di inadempimento sui differenti aspetti nei quali si articola la loro medesima offerta competitiva, allora la credibilità delle “dichiarazioni di gara” assumerebbero una dimensione di affidabilità assai ampia e priva di rischi di contenzioso ex-post.
7) In questa nota non viene sviluppato il pur importante e cruciale sistema dei rapporti fra sistema bancario e imprese pubbliche locali onde sviscerare il tema della sostenibilità degli oneri finanznairi presso le local utilities italiane. |