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Le società partecipate non possono gestire contestualmente servizi pubblici locali e servizi strumentali.
di Alberto Barbiero  (albertobarbiero@albertobarbiero.n) 2 novembre 2011
Materia: società / partecipazione pubblica

 

Premessa

 

La Corte dei conti, sez. reg. controllo per la Lombardia, con il parere n. 517/2011/PAR del 17 ottobre 2011 ha evidenziato come l’art. 13 della legge n. 248/2006 vieti ad una società partecipata di gestire allo stesso tempo servizi pubblici locali e servizi strumentali.

La pronunzia permette la ricostruzione dell’articolato quadro interpretativo formatosi sulla norma, determinante rilevanti riflessi anche sulle strategie degli enti locali (particolarmente quelli di minori dimensioni) in ordine alla gestione delle proprie partecipazioni.   

 

1. Servizi strumentali: qualificazione.

 

Gli indicatori della natura “strumentale” di un servizio svolto da una società partecipata sono individuabili:

a) nella realizzazione dell’attività soddisfacente necessità proprie della sola amministrazione (senza alcuna proiezione diretta sulla comunità locale);

b) nella fruizione limitata agli operatori e nell’incidenza ricondotta alle sole strutture dell’ente;

c) nella delineazione dei profili economici principalmente come dati di costo soddisfatti con risorse proprie dell’ente (disponibilità di bilancio).

Per una precisa configurazione delle caratteristiche di una società che gestisce servizi strumentali, si veda quanto precisato dal Tar Lazio – Roma, sez. III, con la sentenza n. 2514 del 21 marzo 2008.

L’art. 13 della legge n. 248/2006 (legge di conversione del d.l. n. 223/2006) stabilisce che le amministrazioni locali possono gestire i servizi strumentali con società interamente partecipate o miste, ma a condizione che le stesse:

a) abbiano oggetto sociale esclusivo;

b) svolgano la loro attività solo a favore delle amministrazioni costituenti e affidanti.

La giurisprudenza ha elaborato alcuni elementi interpretativi, che permettono di individuare almeno tre parametri della c.d. “esclusività” dell’oggetto sociale:

a) l’oggetto sociale può prevedere l’esercizio di più attività strumentali, non necessariamente di una sola (TAR Veneto, sez. I, sent. n. 230 del 2 febbraio 2009);

b) la definizione dell’oggetto sociale deve essere intesa come specificazione di dettaglio delle attività che la Società andrà a realizzare, per cui il catalogo compreso nell’oggetto sociale non può, pertanto, essere “aperto” o indifferenziato e non può comprendere servizi pubblici locali (TAR Sardegna, sez. I, sentenza n. 1371 del 11 luglio 2008);

c) l’oggetto sociale è immodificabile rispetto alla sue definizione originaria, poiché una sua variazione presupporrebbe l’affidamento di servizi ulteriori, in violazione della determinazione “originaria” della funzionalizzazione della stessa Società (Consiglio di Stato, sez. V, sentenza n. 1756 del 23 marzo 2009).

La disposizione delinea inoltre un vincolo specifico per l’operatività di tale tipo di Società, che si sostanzia nella possibilità, per le stesse, di svolgere prestazioni solo a favore degli enti:

a) che le hanno costituite (ipotesi riferibile ad es. alle Società controllate da un unico socio pubblico);

b) che partecipano al capitale sociale (ipotesi riferibile ad es. alle Società con partecipazione articolata, anche non rilevante, tra più soci pubblici, nonché alle Società miste);

c) che hanno affidato i servizi alla Società stessa (ipotesi riferibile a Società nelle quali l’affidamento sia avvenuto in forza di una determinazione non correlata alle strategie societarie complessivamente intese, ma comunque presupponente l’esercizio del controllo analogo).

Il vincolo originario è confermato dalla previsione per cui la Società non può comunque estendere il proprio “portafoglio affidamenti”, poiché non può svolgere prestazioni a favore di altri soggetti pubblici o privati, né in affidamento diretto né con gara, quindi dovendo ricondurre la propria attività necessariamente ed esclusivamente ai soggetti che originariamente si sono rapportati ad essa in chiave funzionale.

La stessa disposizione vieta la gestione di servizi strumentali da parte di soggetti che gestiscano servizi pubblici locali.

Il comma 1 dell’art. 13, infatti, delineando il campo applicativo della disposizione, la riferisce alle “società, a capitale interamente pubblico o misto, costituite o partecipate dalle amministrazioni pubbliche regionali e locali per la produzione di beni e servizi strumentali all’attività di tali enti in funzione della loro attività” e stabilisce contestualmente che essa non comprende i soggetti operanti nei servizi pubblici locali per i servizi di committenza o come centrali di committenza apprestati a livello regionale a supporto di enti senza scopo di lucro e di amministrazioni aggiudicatrici.

Nella prospettiva di contrasto alle distorsioni della concorrenza, la norma prevede che entro un certo periodo, le società che gestiscono entrambe le attività debbano scorporare i servizi strumentali: tale termine, più volte posticipato, ha avuto la sua ultima e definitiva scadenza al 4 gennaio 2010.

L’art. 13 della legge n. 248/2006 stabilendo infatti le condizioni per la costituzione o la partecipazione a società che gestiscono servizi strumentali, prevede anche che i soggetti che non abbiano le caratteristiche dettate (tra le principali, oggetto sociale esclusivo, attività svolta solo a favore dei soci aderenti-affidanti) debbano cessare le attività non consentite.

Rientrano quindi in tale condizione le società che gestiscono servizi pubblici locali, le quali non possono risultare contestualmente affidatarie di servizi strumentali.

 

2. Il percorso e la scadenza previsti dall’art. 13 della legge n. 248/2006 per la cessione di attività (servizi strumentali) non consentite.

 

Il comma 3 dell’art. 13 individua due percorsi finalizzati ad assicurare la corretta impostazione delle modalità di dismissione dei servizi strumentali da parte di soggetti non specificamente deputati a questo.

Le attività improprie possono essere:

a) cedute a terzi mediante procedura ad evidenza pubblica;

b) riportate per scorporo ad una società separata, appositamente costituita (ovviamente nei termini e alle condizioni di cui al comma 1 dello stesso art. 13). 

La disposizione stabilisce anche che la cessazione delle attività non consentite deve avvenire “entro quarantadue mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto” (il c.d. “decreto Bersani”): il termine risulta così riformulato, rispetto al dato originario, in base alle modifiche da ultimo apportate dall’art. 20, comma 1-bis della legge n. 14/2009).

Il d.l. n. 223/2006 è entrato in vigore il 4 luglio 2006 e, pertanto, la scadenza individuata dalla disposizione era riportata al 4 gennaio 2010.

Su tale aspetto sono intervenute linee interpretative che hanno sostenuto la possibilità di “avvio” delle procedure di cessione o scorporo societario entro quella data, ammettendo una sostanziale “proroga tecnica”.

Tale posizione è stata tuttavia confutata da alcune valutazioni dottrinali e da alcune sezioni regionali di controllo della Corte dei Conti, che, in sede di parere, hanno evidenziato invece la necessaria conclusione delle operazioni di “depurazione” delle attività improprie entro quel termine (si veda ad es. in merito, Corte dei Conti, sez. reg. controllo Calabria, deliberazione n. 17 del 29 gennaio 2010).

Più volte, inoltre, le stesse sezioni regionali della Corte dei Conti hanno evidenziato la stretta relazione tra questo processo e quello previsto dall’art. 3, commi 27-29 della legge n. 244/2007, relativo alla verifica di coerenza con le proprie finalità istituzionali, da parte delle amministrazioni pubbliche (tra cui gli enti locali)  delle proprie partecipazioni in società.

Nella verifica di coerenza rientra, infatti, anche il riconoscimento delle specificità delle società che gestiscono servizi strumentali (come evidenziato anche dall’ANCI nella recente circolare 3 novembre 2010 relativa agli adempimenti sulla costituzione o il mantenimento di società a partecipazione comunale, ai sensi dei commi 27 e segg., dell’articolo 3, della legge 24 dicembre 2007 n. 244, ed alla dismissione delle partecipazioni vietate), al fine proprio di evidenziarne le peculiarità e, pertanto, l’esclusione dal divieto di costituzione di società prive di funzionalizazione pubblica, dettato proprio dall’art. 3, comma 27 della legge n. 244/2007.

 

3. Qualificazione delle attività affidate ad una società partecipata.

 

L'art. 13  della legge n. 248/2006 rimette al soggetto gestore delle attività improprie (ossia i servizi strumentali dei quali non può essere affidatario) le operazioni in ordine alla loro riconduzione al mercato o l'eventuale scorporo societario.

Tuttavia, poichè si tratta di servizi affidati dagli enti soci, in risposta alla soddisfazione di loro esigenze, risulta necessaria una decisione da parte di tali amministrazioni, configurabile come indirizzo strategico.

Si pensi ad esempio al caso di servizi manutentivi delle dotazioni informatiche affidato da un ente locale a una società partecipata multiservizi, operante principalmente come gestore di servizi pubblici, ma con specifico know how nel settore IT.

Tale attività è oggetto di un processo di esternalizzazione governato dall’amministrazione locale, che richiede una scelta di fondo da parte dello stesso soggetto affidante: non potendo più mantenere il servizio strumentale in capo alla società partecipata, l’amministrazione deve recedere unilateralmente dal contratto con la stessa (per evidenti ragioni di interesse pubblico) e ricondurre al mercato il complesso di attività.

Il ruolo-chiave dell’ente locale è ulteriormente evidenziato dalle situazioni nelle quali i servizi affidati hanno una difficile connotazione, in rapporto ai parametri identificativi degli stessi come attività di interesse generale o strumentali: solo all’amministrazione compete la qualificazione delle attività affidate alle società partecipate.

Le stesse possono essere configurate come servizi pubblici locali quando siano deputate a soddisfare esigenze della comunità locale (es. il servizio di teleriscaldamento), mentre sono individuabili come servizi strumentali quando siano rispondano a fabbisogni della sola amministrazione affidante (es. il servizio calore per gli uffici comunali).

Restano quindi all’ente locale i poteri sostanziali di qualificazione delle attività affidate alle società partecipate (come recentemente evidenziato, in relazione alla qualificazione dei servizi pubblici locali, sia dalla giurisprudenza amministrativa sia dalla Corte Costituzionale, nell’ambito della sentenza n. 325/2010) e le decisioni strategiche in ordine alla loro gestione.

 

4. Condizioni di esercizio dei servizi strumentali e limiti.

 

Il Consiglio di Stato, sez. V, con la sentenza n. 3766 del 12 giugno 2009 ha evidenziato che la norma (art. 13 del decreto Bersani) vieta l’attività extra moenia alle società costituite o partecipate dalle amministrazione pubbliche regionali o locali “per la produzione di beni e servizi strumentali all’attività di tali enti in funzione della loro attività”, ma, aggiunge subito, “con esclusione dei servizi pubblici locali”.

Poiché la proposizione escludente si collega immediatamente alla indicazione delle attività affidate, ossia “produzione di beni e servizi strumentali dell’attività di tali enti”, il significato delle parole e la connessione di esse porta a concludere che le società che sono affidatarie di servizi pubblici locali sono state escluse dal divieto di svolgere prestazioni per soggetti diversi.

L’organo di giustizia amministrativa afferma conseguentemente che nei confronti della società a capitale pubblico affidataria di servizi pubblici locali non opera  il divieto di svolgere attività per soggetti diversi dall’ente costituente o partecipante.

L’analisi interpretativa conferma la valutazione di base per cui possono definirsi strumentali all’attività di tali enti in funzione della loro attività, con esclusione dei servizi pubblici locali,  tutti quei beni e servizi erogati da società a supporto di funzioni amministrative di natura pubblicistica  di cui resta titolare l’ente di riferimento e con i quali lo stesso ente provvede al perseguimento dei suoi fini istituzionali.

Le società strumentali sono, quindi, strutture costituite per svolgere attività strumentali rivolte essenzialmente alla pubblica amministrazione e non al pubblico, come invece quelle costituite per la gestione dei servizi pubblici locali  che mirano a soddisfare direttamente ed in via immediata esigenze generali della collettività (cons. Stato, Sez. V, dec. 14 aprile 2008 n.1600).

Lo stesso Consiglio di Stato. Sez. V, con la sentenza n. 3767 del 12 giugno 2009 ha anche sancito che la distinzione, accolta dal “decreto Bersani”, tra società strumentali da un lato, e società per la gestione di servizi pubblici locali dall’altro,  è stata confermata dalla legge 24 dicembre 2007 n. 244 (finanziaria 2008), il cui art. 3, comma 27, recita come segue: “Al fine di tutelare la concorrenza e il mercato, le amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, non possono costituire società aventi per oggetto attività di produzione di beni e di servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, né assumere o mantenere direttamente o indirettamente partecipazioni, anche di minoranza, in tali società. È sempre ammessa la costituzione di società che producono servizi di interesse generale e l’assunzione di partecipazioni in tali società da parte delle amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165.”

Il comma 4-octies dell’art. 18 del d.l. 29 novembre 2008 n. 185, convertito nella legge 28 gennaio 2009 n. 2,  ha ulteriormente ampliato l’area di impiego della società, aggiungendo, dopo le parole ”servizi di interesse generale”, le parole “e che forniscono servizi di committenza o di centrali di committenza a livello regionale a supporto di enti senza scopo di lucro e di amministrazioni aggiudicatrici di cui all'articolo 3, comma 25, del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163”.

Dunque, volendo rapportare il dato qualificativo dei servizi pubblici a quello dei servizi strumentali e muovendo dal dato di diritto positivo fornito dall’art. 112 del d.lgs. n. 267/2000, deve ritenersi che la qualificazione di servizio pubblico locale spetti a quelle attività caratterizzate, sul piano oggettivo, dal perseguimento di scopi sociali e di sviluppo della società civile, selezionati in base a scelte di carattere eminentemente politico, quanto alla destinazione delle risorse economiche disponibili ed all’ambito di intervento, e, su quello soggettivo, dalla riconduzione diretta o indiretta (per effetto di rapporti concessori o di partecipazione all’assetto organizzativo dell’ente) ad una figura soggettiva di rilievo pubblico.

Tale orientamento riflette linee di analisi elaborate in materia dalla Corte di Cassazione e da altri gradi della giurisprudenza amministrativa, efficacemente sintetizzati dal TAR Calabria – sez. Reggio Calabria, con la sentenza n. 1076 del 24 ottobre 2007, nella quale viene ad essere evidenziato che un determinato servizio può essere qualificato come pubblico solo se l'attività in cui si realizza è diretta a soddisfare in via immediata esigenze della collettività, esulando dal relativo ambito le prestazioni, di carattere strumentale, rese al soggetto preposto al suo esercizio (Corte Cass. Civ., Sez. Un., sent. n. 17573 del 3 agosto 2006 )” – che sin dalla pronunzia della Cassazione sez. un. n. 71/2000 ha precisato che “il servizio si qualifica come "pubblico" perché l'attività in cui esso consiste si indirizza istituzionalmente al pubblico, mirando a soddisfare direttamente esigenze della collettività in coerenza con i compiti dell'amministrazione pubblica (che possono essere realizzati direttamente o indirettamente, attraverso l'attività di privati).

Il servizio pubblico è, cioè, caratterizzato da un elemento funzionale (soddisfacimento diretto di bisogni di interesse generale) …”.

Qualora una società partecipata (ed i relativi enti locali soci)  non abbia proceduto all’analisi delle attività gestite, deve necessariamente e tempestivamente sottoporre a verifica il complesso delle attività ad essa affidate, al fine di rilevare se tra queste ve ne siano una o più qualificabili come “servizi strumentali”, ossia servizi fruiti solo dalle strutture organizzative degli enti soci e non dalle rispettive comunità locali.

Qualora siano rilevabili attività con queste caratteristiche,la società partecipata, in quanto soggetto configurabile principalmente come gestore di servizi pubblici locali, deve avviare un percorso di dismissione o scorporo, concertato con i comuni soci di riferimento.

L’analisi deve coinvolgere gli enti affidanti, al fine di poter verificare se, al momento dell’affidamento, l’attività conferita fosse individuabile come semplice servizio strumentale satisfattivo dei bisogni della sola amministrazione o come servizio complementare alla gestione di un servizio pubblico.

In termini esemplificativi, la problematica sussiste quando la Società che gestisce servizi pubblici locali risulti affidataria dall’ente locale socio (ad esempio un Comune) di servizi di manutenzione ordinaria delle strade comunali, di gestione della segnaletica orizzontale e verticale, nonché del servizio di manutenzione di pronto intervento per le stesse strade.

A supporto della configurazione come servizi strumentali delle attività sopra individuate come modulazioni differenziate del facility management è possibile richiamare i numerosi pareri dell’AGCM, che hanno evidenziato la natura strumentale di tali attività e di altre similari.

Si fa riferimento, tra le varie indicazioni fornite, ai pareri AGCM n. AS 655 del 16 dicembre 2009 (inerente la manutenzione segnaletica stradale), n. AS 590 del 19 marzo 2009 (inerente la manutenzione del patrimonio comunale, comprese le strade), nonché n. AS 587 del 2 febbraio 2009 (inerente servizi di supporto tecnico e di manutenzione ordinaria) nei quali si evidenzia come si tratti di attività che presentano natura “strumentale” rispetto alle esigenze della pubblica amministrazione e non sono attività rese direttamente a favore della collettività.

 

5. Alcuni presupposti per la distinzione dei profili gestionali dei servizi pubblici locali e di quelli strumentali.

 

Alcuni interventi della giurisprudenza amministrativa permettono di analizzare compiutamente i presupposti distintivi tra i servizi pubblici locali e quelli strumentali, nonché di valutare le conseguenze per società partecipate di secondo e di terzo livello che gestiscano tali attività.

Il Consiglio di Stato in adunanza plenaria ha chiarito con la decisione n. 17 del 4 luglio 2011 molti profili critici relativi all’applicazione dell’art. 13 della legge n. 248/2006, ma ha anche prodotto importanti interpretazioni in ordine al sistema delle partecipazioni e alla sua articolazione su più livelli.

L’elemento di maggior portata innovativa è infatti fornito con la definizione delle  società di terzo grado, che vengono individuate come quelle caratterizzate da forme di partecipazione indiretta o mediata, che non sono state costituite da amministrazioni pubbliche e non sono finalizzate a soddisfare esigenze strumentali delle medesime.

Il primo livello del meccanismo di relazione è pertanto quello dell’amministrazione pubblica, che partecipa ad una società alla quale traspone su un secondo livello la realizzazione di una o più attività. Questa società può ulteriormente articolare lo sviluppo delle attività, passandole ad un terzo livello produttivo mediante la partecipazione ad una società appositamente costituita e in genere sottoposta a pieno controllo.

Quando la società partecipata direttamente dall’ente locale è configurata come soggetto gestore di servizi strumentali secondo i parametri dell’art. 13 del decreto Bersani, i divieti contenuti nella norma si estendono anche alle eventuali società da essa partecipate.

Il Consiglio di Stato evidenzia come, a fronte di tale situazione, le finalità della disposizione di evitare effetti distorsivi della libera concorrenza si perseguano non solo vietando le attività diverse da quelle classificabili come strumentali rispetto alle finalità dell’ente pubblico, ma anche vietando la partecipazione delle società strumentali ad altre società.

L’alterazione della libera concorrenza può realizzarsi anche in via mediata, ossia fruendo dei vantaggi derivanti dall’investimento del capitale di una società strumentale in altro soggetto societario costituito con finalità neppure indirettamente strumentali, ma anzi intrinsecamente imprenditoriali.

La decisione dell’adunanza plenaria si collega agli elementi elaborati nella sentenza della Corte costituzionale n. 328/2008, sulla base dei quali ha ricavato il principio per cui sono applicabili alle società controllate da società strumentali e costituite con capitale di queste gli stessi limiti che valgono per le società controllanti, ove si tratti di attività inerenti a settori precluse a queste ultime.

Infatti, l’utilizzazione di capitali di una società strumentale per partecipare, attraverso la creazione di una società di terzo grado, a gare ad evidenza pubblica comporterebbe, sia pure indirettamente, l’elusione del divieto di svolgere attività diverse da quelle consentite a soggetti che godano di una posizione di mercato avvantaggiata.

Il Consiglio di Stato ha peraltro preso in esame anche la situazione relativa alle società di terzo livello partecipate da società affidatarie di servizi pubblici locali, per le quali è giunto a conclusioni diametralmente opposte.

Quando la società partecipata dall’ente locale non risulta essere qualificabile come società strumentale per l’attività istituzionale dei Comuni soci, in quanto svolge servizi di interesse generale rivolti a soddisfare esigenze della comunità locale, ad essa non sono applicabili i limiti previsti dall’art. 13 della legge n. 248/2006 e, quindi, nemmeno il divieto di partecipazione alle gare pubbliche previsto dalla stessa norma.

Questa stessa situazione, legittimante un’operatività più ampia, si riflette anche sulla società controllata di terzo grado, che è individuabile come soggetto operante nel mercato secondo le regole della libera concorrenza.

 

6. L’impossibilità, per la stessa società partecipata dall’ente locale, di risultare affidataria (e soggetto gestore) contemporaneamente di servizi pubblici locali e servizi strumentali.

 

La necessaria separazione, sia funzionale sia organizzativa, tra la gestione dei servizi pubblici locali e quella dei servizi strumentali, è stata evidenziata dalla Corte dei conti, sez. reg. contr. per la Lombardia, con la deliberazione 517/2011/PAR del 17 ottobre 2011.

Nel parere è preso in esame il caso di una società (partecipata da più Comuni) che gestisce sia servizi pubblici locali (ciclo integrato dei rifiuti) sia servizi strumentali (individuati come tali sulla base di alcuni pareri dell’AGCM).

Peraltro la distribuzione delle quote tra i comuni soci è proporzionale al numero degli abitanti ed il bacino complessivo superiore ai 30.000 abitanti; la società appare quindi in linea con le disposizioni previste dal comma 32 dell’art. 14 della legge n. 122/2010 per consentire agli stessi comuni soci (tutti con popolazione inferiore ai 30.000 abitanti) di derogare ai limiti quantitativi in merito al numero di partecipate, posti dallo stesso comma 32.

La Corte dei conti ha focalizzato la propria analisi su due temi:

a) se vi siano margini di operatività da parte degli enti locali nell’affidamento diretto a società partecipate di servizi di natura strumentale;

b) più in particolare, se sia possibile o meno procedere all’affidamento degli stessi ad una società che svolga, altresì, altre attività rientranti nella categoria dei servizi pubblici locali a rilevanza economica.

Nel parere si evidenzia come nel corso degli anni, in assenza di specifici divieti e in presenza di una disciplina normativa non sempre puntuale e soggetta a numerosi cambiamenti, alcuni enti abbiano utilizzato lo strumento societario per svolgere funzioni ed attività di loro competenza in modo eterogeneo, senza distinguere fra la gestione di servizi pubblici locali, a rilevanza economica o privi di rilevanza economica, e servizi strumentali.

La Corte dei conti sostiene che se è dubbio che la commistione fra le varie attività fosse ammissibile negli anni scorsi, oggi non lo è sicuramente più perché il legislatore ha dettato regole precise e differenziate per la gestione delle varie funzioni ed attività, stabilendo, altresì, specifiche incompatibilità fra la gestione di attività strumentali che vedono quale destinatario ed interlocutore l’ente locale e le attività a rilevanza economica che presentano un’incidenza sul mercato, sia pure locale.

L’analisi pone come acquisito il principio per cui il requisito della strumentalità sussiste allorquando l’attività che le società sono chiamate a svolgere sia rivolta agli stessi enti promotori o comunque azionisti della società per svolgere le funzioni di supporto di tali amministrazioni pubbliche, secondo l’ordinamento amministrativo in relazione al perseguimento dei loro fini istituzionali (richiamando le indicazioni del Consiglio di  Stato, sez. V, espresse con le sentenze 5 marzo 2010, n. 1282 e 12 giugno 2009, n. 3766).

Sulla base di tali presupposti la Corte dei conti lombarda ritiene che, vista la loro natura e la deroga alle ordinarie procedure di affidamento, le società strumentali non possano svolgere, in relazione alla loro posizione privilegiata, altre attività a favore di altri soggetti pubblici o privati poiché in caso contrario si verificherebbe un’alterazione o comunque una distorsione della concorrenza all’interno del mercato locale di riferimento.

È in tale ottica che si giustifica, del resto, la previsione di cui al secondo comma dell’art. 13 della legge n. 248/2006, che impone che gli enti locali prevedano per le società strumentali un oggetto sociale esclusivo.

Anche a seguito dell’intervento della Corte costituzionale in relazione allo stesso art. 13, risulta che l’ambito di operatività delle società strumentali sia limitato e circoscritto allo svolgimento di attività in favore dell’ente locale che le ha costituite (con richiamo alla sentenza della Corte costituzionale 1 agosto 2008, n. 326).

Inoltre, in base alla previsione legislativa risultante dal medesimo art. 13, agli enti locali è precluso lo svolgimento di attività strumentali per il tramite di società che non siano ad oggetto esclusivo. In sostanza non è possibile che la stessa società che opera in house svolga per conto di uno o più enti attività strumentali e gestisca servizi pubblici locali.

Nel parere si evidenzia come in conseguenza del divieto legislativo gli enti locali dovevano intervenire entro il 4 gennaio 2010 per adottare soluzioni organizzative che comportassero la reinternalizzazione dei servizi strumentali, ovvero l’affidamento a terzi con gara dei servizi pubblici locali a rilevanza economica o, ancora, la creazione di distinti organismi societari per la gestione in modo separato delle attività strumentali e dei servizi pubblici locali.

Secondo la Corte dei conti, quindi, è indubbio che i soci che detengono partecipazioni in società alle quali siano state affidate contemporaneamente sia attività riconducibili a servizi strumentali e attività riconducibili a servizi pubblici locali a rilevanza economica, se non hanno ancora provveduto ad eliminare l’anomalia devono provvedere, anche per evitare di incorrere nelle specifiche violazioni previste dallo stesso art. 13 della legge n. 248/2006.

Dati questi elementi, nell’ambito del parere n. 517/2011 si rileva l’interessante configurazione, da parte dei magistrati contabili, delle possibili soluzioni organizzative per l’attuazione della separazione gestionale tra servizi pubblici locali e servizi strumentali.

La prima opzione (connotata come la più semplice) è data nella riconduzione dei servizi strumentali all’interno dell’ente locale, con la contestuale applicazione alla società che continuerebbe a gestire i servizi pubblici locali la disciplina vigente in materia.

Secondo la Corte dei conti, gli enti locali possono in alternativa continuare la gestione dei servizi strumentali per il tramite della società e riportare la gestione del servizio pubblico locale all’interno dell’ente locale che successivamente procederà ad affidarli secondo le modalità previste dalla disciplina di settore.

A fronte tuttavia di una società composta da una pluralità di soci e che abbia la gestione di una pluralità di servizi, il parere evidenzia come sia possibile in tal caso individuare una soluzione più articolata e complessa che garantisca, da una parte, il rispetto della disciplina normativa vigente e, dall’altra, gli interessi degli enti e delle comunità locali ad avere servizi caratterizzati da modalità di gestione nelle quali prevalga l’efficienza e l’economicità.

Le soluzioni astrattamente ipotizzabili che siano conformi all’attuale quadro normativo sono tuttavia limitate.

Secondo l’analisi dei magistrati contabili, qualora gli enti locali soci vogliano mantenere la gestione associata sia dei servizi strumentali che di quelli pubblici locali a rilevanza economica, la soluzione che sembra la più equilibrata e meno dispendiosa è quella di ricorrere alla scissione societaria prevista e regolamentata dal codice civile.

In questo modo verrebbero a crearsi due distinti organismi: uno destinato a svolgere le attività strumentali e l’altro quelle di servizio pubblico locale. A quest’ultimo risulterebbe applicabile la disciplina specificamente dettata dal legislatore, sia in ordine alle modalità di affidamento che di gestione del servizio, con obbligo per gli enti costituenti di attivarsi per rendere l’affidamento conforme alla previsione normativa citata sopra.

Altre soluzioni che prevedano il mantenimento della società originariamente affidataria della molteplicità di servizi con la previsione che la stessa possa costituire altre società per la gestione di alcuni servizi e cedere i rami d’azienda relativi alla gestione dei servizi pubblici locali a società appositamente costituite non sembrano a giudizio della Corte dei conti lombarda percorribili.

Proprio rispetto a questo punto, il parere reputa che l’eventuale costituzione di una società holding, aldilà di qualsiasi valutazione sui limiti di ammissibilità di tale scelta, non sia comunque soluzione idonea a risolvere il contrasto con il dettato normativo che prevede percorsi distinti e separati per la gestione dei servizi strumentali e di quelli pubblici locali.      

 

7. Elementi desumibili dalla posizione espressa dalla Corte dei conti Lombardia.

 

Gli elementi di analisi esplicitati dalla sezione regionale di controllo per la Lombardia della Corte dei conti nella deliberazione n. 517 del 17 ottobre 2011 sollecitano alcune riflessioni.

Anzitutto gli enti locali sono pienamente responsabilizzati nell’effettuazione delle scelte strategiche per la definizione dei modelli organizzativi per la gestione dei servizi pubblici locali e di quelli strumentali, dovendo peraltro esercitare le opzioni nel rigoroso rispetto del quadro normativo che disciplina la costituzione e la funzionalizzazione delle società partecipate.

In questa prospettiva, il parere evidenzia come debba essere necessariamente concretizzata la separazione gestionale delle attività strumentali da quelle di servizio pubblico, a fronte:

a) della scadenza (4 gennaio 2010) del termine per effettuare il riassetto;

b) delle pesanti conseguenze che la commistione determina, poiché i contratti relativi ai servizi strumentali gestiti impropriamente da una società affidataria principalmente di servizi pubblici locali sono nulli (e tale effetto è espresso chiaramente nell’art. 13 della legge n. 248/2006).

Le amministrazioni locali non possono quindi mantenere situazioni spurie, a rischio anche di eventuali interventi di soggetti terzi, quali ad esempio imprese operanti nel settore dei servizi strumentali affidati, abilitate dalla situazione contra legem ad agire in giudizio.

Per altro verso il parere sostiene chiaramente la possibilità, se ne ricorrono le condizioni a fronte di quanto dettato dall’art. 14, comma 32 della legge n. 122/2010, per gli enti locali di costituire società specificamente deputate alla gestione di servizi strumentali (e solo di questi), rafforzando l’opzione esercitabile in base a quanto espressamente stabilito nello stesso art. 13.

 

 

 

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