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Il ruolo dei servizi pubblici locali nelle economie territoriali
Note al margine di una Ricerca Confservizi-Nomisma
di Bruno Spadoni 6 dicembre 2011
Materia: servizi pubblici / disciplina

Il ruolo dei servizi pubblici locali nelle economie territoriali

 

Note al margine di una Ricerca Confservizi-Nomisma

 

 

La Confservizi e Nomisma, in collaborazione con Unicredit, hanno realizzato una Ricerca  centrata sul tema dei servizi pubblici locali quali fattori di sviluppo delle economie territoriali. L’argomento è affrontato in due parti. Nella prima si fornisce il quadro della situazione in essere e degli andamenti economico-finanziari del settore con particolare riferimento alle infrastrutture e agli investimenti.

Nella seconda parte vengono evidenziati gli effetti moltiplicativi sulle economie territoriali esercitati dagli investimenti nei servizi pubblici locali individuando i settori economici che maggiormente beneficiano di tali ricadute. L’analisi, condotta in base alle tavole input-output dell’economia italiana, comprende anche una parte sperimentale focalizzata su aree territoriali rappresentative delle principali circoscrizioni geografiche.  I risultati dell’indagine pongono in risalto un effetto di maggiore rilievo nelle aree del Mezzogiorno rispetto al Centro e al Nord fornendo così un supporto empirico all’indirizzo, generalmente condiviso, circa la necessità di imprimere un’accelerazione agli investimenti nelle Regioni meridionali al fine di colmare i pesanti squilibri nell’infratrutturazione e negli standard quali-quantitativi di prestazione dei servizi.

Nella prima parte della ricerca, come si è detto, ci si concentra soprattutto su una fotografia dell’esistente. Una fotografia, peraltro, scattata con un grandangolo al fine di osservare i servizi pubblici locali in un più generale contesto di politica economica evidenziandone ruolo e potenzialità ai fini dello sviluppo.

Un primo elemento di analisi concerne il nesso tra livelli di infrastrutturazione e assetti economici e industriali con particolare riguardo alla situazione del Mezzogiorno la cui sottodotazione costituisce, ad un tempo, causa ed effetto del suo ritardo. Gli squilibri che affliggono le Regioni meridionali si traducono in situazioni di diffuso degrado ambientale e sociale alla base di un circolo vizioso tra arretratezza dei servizi, sfiducia nelle istituzioni e ricerca di soluzioni individuali, non sempre lecite, ai bisogni collettivi (si pensi, in particolare, all’evasione tariffaria, agli allacci e alle discariche abusivi, al modesto ricorso alla raccolta differenziata, ecc.). Si produce, insomma, una sorta di “alegalità di massa” che costituisce il terreno di coltura della malavita organizzata abbassando così le condizioni di sicurezza e legalità e quindi scoraggiando l’attività economica e di investimento (come è dimostrato da studi empirici da cui risulta che nelle tre Regioni del Mezzogiorno in cui si concentra il 75% del crimine organizzato il valore aggiunto pro-capite del settore privato è pari al 45% di quello registrato al Centro-Nord).

Il divario territoriale e le condizioni di arretratezza del Mezzogiorno sono documentati nella Ricerca sotto diversi punti di vista. Circa lo squilibrio nella dotazione dei servizi viene fornito un indicatore generale che rapporta il valore della produzione dei gestori dei servizi pubblici locali al PIL. Si rileva al riguardo che, a fronte di un’incidenza media nazionale del 2,3%, tale percentuale si attesta al 3,4% nel Nord-Est e al 3% nel Nord-Ovest, mentre il Centro è collocato all’1,9% e il Sud allo 0,8%. Dal punto di vista dell’ assetto imprenditoriale i dati evidenziano un rilevante divario determinato dall’insufficiente dimensione delle gestioni localizzate nel Mezzogiorno. Nelle Regioni settentrionali, infatti, il fatturato medio per impresa è tra gli 80 e i 100 milioni di euro mentre nel Mezzogiorno ci si colloca sui 25 milioni di euro a dimostrazione di una situazione di accentuata frammentazione. 

Per quanto concerne, infine, le conseguenze degli squilibri infrastrutturali sullo sviluppo economico confrontando il grado di sviluppo dell’economia regionale (misurato attraverso il reddito disponibile) con l’indice di dotazione delle infrastrutture economiche risulta che nelle Regioni situate nel Nord-Ovest e nel Nord-Est il reddito disponibile è di oltre 19 mila euro a fronte di indici di infrastrutturazione rispettivamente di 109 e 115 (ponendo la media nazionale pari a 100); nel Mezzogiorno il reddito disponibile è di circa 13 mila euro e l’indice di infrastrutturazione di 80.

I dati confermano quindi che gli squilibri infrastrutturali delle Regioni del Sud costituiscono un rilevante ostacolo alla crescita economica e sociale e che gli investimenti nei servizi pubblici, nell’attuale contesto di crisi, rappresentano sia uno strumento di politica anticongiunturale, sia una delle riforme strutturali da tutti invocate per garantire una ripresa solida e duratura.

Questa affermazione, generalmente condivisa, va tuttavia qualificata e specificata.  Gli investimenti nelle infrastrutture, infatti,  presentano fabbisogni diversi a seconda dei settori, delle caratteristiche delle opere e delle specifiche situazioni e determinano ricadute economiche e produttive differenti.

In particolare non sempre gli interventi nelle “grandi opere” producono interamente gli effetti attesi. In molti casi il grado di utilizzo delle infrastrutture di rango nazionale non è ai limiti della saturazione e, più di frequente,  il congestionamento  si manifesta a valle, nei nodi urbani che costituiscono veri e propri “colli di bottiglia” del sistema. Gli investimenti nelle “grandi opere”, inoltre, presentano nella maggioranza dei casi periodi prolungati di progettazione e realizzazione con picchi di spesa e di occupazione molto differiti nel tempo. Ciò rende assai meno efficace la loro funzione anticongiunturale con il rischio, anzi, che gli stimoli si manifestino quando la congiuntura ha cambiato di segno determinando indesiderati effetti prociclici.

Con ciò non si intendono mettere in discussione tout court gli interventi nelle infrastrutture nazionali che in alcune circostanze sono essenziali; in generale, tuttavia, gli investimenti che producono maggiori effetti anticiclici e di stimolo allo sviluppo sono quelli su scala locale, sia in quanto essi incidono direttamente sulle situazioni di congestionamento e di squilibrio, sia perché garantiscono una maggiore prossimità e aderenza ai bisogni presenti sul territorio, sia perché le loro minori dimensioni e complessità comportano procedure e tempi più spediti innalzando la loro efficacia anticongiunturale.

I dati contenuti nella Ricerca forniscono elementi di supporto a queste affermazioni.

In particolare dal confronto tra i numeri indici del valore della produzione nazionale e quelli delle imprese di servizio pubblico locale emergono due fenomeni: da un lato il contributo positivo di questi settori allo sviluppo per effetto di dinamiche di crescita sistematicamente superiori a quelle nazionali, dall’altro il ruolo anticiclico di contrasto alla recessione evidenziato dal mantenimento di trend di incremento a fronte di una caduta della produzione nazionale in occasione della crisi manifestatasi a partire dal 2008. 

Questa minore sensibilità alle conseguenze della crisi è da porre  in relazione alle caratteristiche dei servizi e alla struttura economico-patrimoniale delle imprese che li gestiscono. Per un verso essi, data la loro essenzialità, hanno una domanda rigida, non solo al prezzo, ma anche al reddito disponibile, per altro verso la struttura dell’attivo delle imprese è costituita prevalentemente da impieghi produttivi e assai meno da investimenti finanziari determinando una minore esposizione a fenomeni speculativi.

I dati relativi agli andamenti delle principali variabili economiche riferite al comparto dei servizi pubblici locali e il confronto con quelli dei settori industriali censiti da Mediobanca consentono di evidenziare le peculiarità dei servizi pubblici locali.

Considerando il periodo 2004-2010 i ricavi da vendite e prestazioni, attestatisi nel 2010 a quasi 37 miliardi di euro, hanno registrato un trend di crescita molto accentuato, pari al 9,5% medio annuo; l’incidenza delle spese del personale sul totale dei costi si è ridotta progressivamente nel tempo passando dal 26% del 2004 al 20% del 2010 nonostante in questi anni l’occupazione del comparto sia aumentata complessivamente del 5%; i risultati di esercizio hanno segnato un costante miglioramento, mai interrotto, con un incremento medio annuo nel lasso di tempo analizzato del 3,8%; gli investimenti, infine, sono cresciuti costantemente ad un ritmo di oltre il 7% in media annua, ben al di sopra dell’economia nazionale e degli altri comparti economici nonostante la brusca caduta avutasi nel settore trasporti nell’ultimo biennio a causa del drastico ridimensionamento dei trasferimenti pubblici dovuto al mancato rifinanziamento delle leggi in materia.

Dal confronto con gli andamenti delle imprese industriali censite da Mediobanca emerge con evidenza l’opposta reazione alle conseguenze della recessione. Nel biennio 2008-2009 si riscontra che mentre le imprese industriali hanno segnato una contrazione media annua dei ricavi del 7% quelle di servizi pubblici locali si sono mantenute su un sentiero di crescita, di quasi l’8% nel 2008 e dell’1,7% nel 2009. Anche i risultati d’esercizio delle imprese industriali hanno subito un peggioramento assai sostenuto (circa il 21% in media nei due anni considerati) mentre nei servizi pubblici locali è proseguito un andamento positivo ad un ritmo medio annuo di oltre il 2,7%.

Questo diverso andamento, come si è detto, è anche da ricondurre alla configurazione patrimoniale delle imprese pubbliche locali rispetto a quelle industriali che determina una minore esposizione alla speculazione e alla variabilità dei mercati finanziari. In particolare risulta che mentre nei servizi pubblici locali l’incidenza delle immobilizzazioni materiali, in larga parte composte da reti e impianti, copre oltre il 46% dell’attivo e quella delle immobilizzazioni finanziarie l’8,5%,  nelle imprese industriali, all’opposto, le percentuali delle immobilizzazioni materiali e finanziarie sono rispettivamente del 22% e del 26%.  Queste caratteristiche fanno dunque dei servizi pubblici locali un terreno prioritario di destinazione degli investimenti.

Le più acute situazioni di arretratezza e di squilibrio sono concentrate soprattutto nei servizi idrici, dei rifiuti e nei trasporti pubblici locali e sono all’origine delle emergenze ambientali e idrogeologiche che si presentano ricorrentemente in prevalenza (ma non solo) nel Mezzogiorno e nelle aree urbane. Si pensi in particolare agli effetti disastrosi sul territorio di eventi atmosferici non previsti, alla situazione dei rifiuti in molte aree del Sud e all’insostenibile inquinamento atmosferico nelle grandi città largamente dovuto al congestionamento del traffico privato e all’insufficiente utilizzo del trasporto pubblico.

Per affrontare tali emergenze, in assenza di un disegno programmato di interventi, si fa in genere ricorso ad azioni di natura straordinaria posti in essere a posteriori dell’emergenza stessa. Questa prassi, oltre a produrre risultati scarsamente efficaci, presenta costi più che raddoppiati rispetto ad una pianificazione degli investimenti. In questi casi, infatti, agli oneri delle opere infrastrutturali si aggiungono quelli dei danni prodotti dall’evento emergenziale  e, in varie circostanze, anche le multe dovute a procedure comunitarie di infrazione (si pensi ai casi della depurazione delle acque e dei rifiuti in Campania).

Tali squilibri, peraltro, lungi dall’essersi ridotti sono andati accentuandosi nel tempo per effetto anche di una sensibile contrazione di risorse pubbliche destinate alle infrastrutture. Si consideri, al riguardo, che recenti studi hanno evidenziato una correlazione positiva tra dotazione di infrastrutture e spesa pro-capite per investimenti a conferma della tendenza all’allargamento delle già profonde distanze tra Centro-Nord e Sud.

Una prima valutazione in merito al fabbisogno di investimenti nei principali servizi pubblici locali quantifica questo valore complessivamente in quasi 10 miliardi medi annui con orizzonti temporali diversi da settore a settore (30 anni nell’idrico, 5 anni nei rifiuti e nel gas, 7/10 anni nel trasporto pubblico locale).

E’ evidente che un impegno di tale portata, per venire realmente realizzato, ha bisogno di essere supportato da adeguate misure e da comportamenti coerenti sia sul piano degli assetti istituzionali, sia su quello gestionale, sia nelle politiche industriali e regolatorie,

 

I presupposti istituzionali

Il problema principale, sotto questo aspetto, è costituito dalla perdurante incertezza. Da oltre dieci anni i servizi pubblici locali sono oggetto di percorsi di riforma succedutisi a breve distanza l’uno dall’altro determinando una situazione di precarietà che ha ostacolato la definizione di organici processi di sviluppo. Anche i più recenti provvedimenti emanati a valle del referendum abrogativo dell’articolo 23 bis, non è ancora certo che costituiscano un approdo istituzionale definitivo. Essi, peraltro, risentono della situazione economica in cui sono stati concepiti e tendono a privilegiare, nell’ambito delle misure anti-crisi, le esigenze di cassa, attraverso procedure di privatizzazione, rispetto a organiche politiche di liberalizzazione che potrebbero favorire l’innalzamento dell’efficienza complessiva del sistema. Inoltre l’indicazione di termini temporali per la transizione dall’affidamento diretto alla gara (sia per le società in house che per le miste) irrealisticamente ristretti fa ritenere che si dovranno necessariamente adottare misure di proroga accentuando in tal modo la già rilevante situazione di incertezza.

 

La politica industriale

Nonostante nell’ultimo decennio si siano realizzati nel Centro-Nord estesi fenomeni di aggregazioni aziendali, le situazioni di frammentazione sono ancora prevalenti in alcuni settori nelle aree meridionali e costituiscono una pesante remora all’industrializzazione dei servizi e all’innovazione tecnica e gestionale. Le norme di riforma succedutesi negli ultimi anni non hanno sufficientemente contribuito al superamento del problema (si pensi alle disposizioni più recenti che consentono il ricorso alla gestione in house per servizi di valore non oltre i 900 mila euro). Anche la soppressione delle Autorità d’ambito per i servizi idrici e dei rifiuti e il rinvio alle normative regionali rischia di provocare significative differenziazioni tra una Regione e l’altra ostacolando fenomeni di aggregazione gestionale di rango multiregionale. Occorrerebbe, quindi, delineare un percorso di politica industriale volto a promuovere la crescita dimensionale delle gestioni dei servizi pubblici locali, sia sul terreno normativo e regolatorio, sia su quelli finanziario e fiscale adottando misure che incentivino questi processi.

 

Assetti, strumenti e soggetti di regolazione

Alla regolazione spetta il compito di assicurare il rigoroso rispetto della distinzione del ruolo imprenditoriale da quello pubblico e di creare i presupposti per una gestione economica ed efficiente. In particolare occorre specificare gli obiettivi pubblici e gli eventuali oneri da finanziare con i trasferimenti garantendo comunque che vengano coperti integralmente i costi, compresi  quelli del capitale. Il conseguimento di adeguati livelli di economicità costituisce una condizione essenziale per il ricorso a fonti di finanziamento diverse, sia pubbliche che private, indispensabile a fronte del cospicuo fabbisogno di investimenti.

Quanto ai soggetti di regolazione  la soluzione da privilegiare è il ricorso a soggetti terzi indipendenti (Autorità  o anche Agenzie a condizione che rispondano a requisiti di autonomia e competenza) al fine anche di  sciogliere alcuni delicati nodi: da un lato il superamento della concentrazione presso l’ente locale di ruoli diversi, non di rado in conflitto e dall’altra quella di disporre di strumenti adeguati per le politiche di indirizzo e controllo.

 

 

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