HomeSentenzeArticoliLegislazionePrivacyRicercaChi siamo
L'affidamento della gestione del servizio idrico integrato
di Costantino Tessarolo 11 aprile 2012
Materia: acqua / servizio idrico integrato

 

 

 L’affidamento della gestione del servizio idrico integrato.

 

1.         l referendum del giugno 2011 e l’abrogazione dell’art. 23-bis del d.l. 112/2008.

 

La disciplina generale dei servizi pubblici locali aventi rilevanza economica, contenuta nell’art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008 (conv. dalla l. n. 133/2008) modif. dall’art. 15 del d.l. n. 135 del 2009 (conv. dalla l. n. 166/2009), è stata abrogata (con il d.p.r. n. 113/2011) a seguito del referendum popolare svoltosi il 12 e 13 giugno 2011. In via derivata, risulta, altresì, abrogato il d.p.r. n. 168 del 2010, che costituiva il regolamento di attuazione del citato art. 23-bis.

            E’ opportuno sottolineare che l’obiettiva ratio del quesito referendario concernente l’abrogazione dell’art. 23-bis è stata ravvisata “nell’intento di escludere l’applicazione delle norme, contenute nell’art. 23-bis che limitano rispetto al diritto comunitario, le ipotesi di affidamento diretto e, in particolare, quelle di gestione in house di pressochè tutti i servizi pubblici di rilevanza economica (ivi compreso il servizio idrico)” (Corte cost. sent. n. 24 del 26 gennaio 2011, con la quale è stato dichiarato ammissibile il requisito referendario concernente l’abrogazione dell’art. 23-bis).

            Inoltre, secondo la Corte costituzionale, dall’abrogazione dell’art. 23-bis non ne è conseguita “alcuna reviviscenza delle norme abrogate da tale articolo” (il riferimento è chiaramente rivolto alle disposizioni dell’art. 113 del t.u. 267/2000 – c.d. TUEL – abrogate, implicitamente, dall’art. 23-bis ed esplicitamente, dall’art. 12 del d.p.r. 168/2010), né, tanto meno, alcun “vuoto normativo”, ma “l’applicazione immediata della normativa comunitaria” (sent. n. 24/2011, cit.).

            Ciononostante, il legislatore interno ha ritenuto di dover nuovamente intervenire sulla materia dei servizi pubblici locali, dettando, con l’art. 4 del d.l. n. 138 del 2011 (conv. dalla l. n. 148 del 2011) modif. dall’art. 9 dalla l. n. 183 del 2011 e dall’art. 25 del d.l. n. 1 del 2012, una disciplina di carattere generale,

ripresa, peraltro, in gran parte, da quanto previsto dall’art. 23-bis e, soprattutto, dal d.p.r. n. 168/2010, facendo così “rivivere” norme che erano state abrogate con il predetto  referendum del 12 e del 13 giungo 2011.

            Il servizio idrico integrato è stato, però, escluso (fatte salve alcune disposizioni che qui non interessano) dall’ambito di applicazione della “nuova” disciplina dei SPL recata dall’art. 4 del d.l. 138/2011 (comma 34).

 

2.         L’organizzazione territoriale del servizio idrico integrato.

 

L’art. 3-bis del d.l. 13 agosto 2011, n. 138 conv. dalla l. 14 settembre 2011, n 138, introdotto con l’art. 25, comma 1, del d.l. gennaio 2012, n. 1, conv. dalla l. 24 marzo 2012, n. 27 ha, per quanto qui interessa, previsto che:

a) le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano organizzano, entro il 30 giugno 2012, lo svolgimento dei SPL “a rete” di rilevanza economica in ambiti o bacini territoriali ottimali e omogenei tali da consentire economie di scala e di differenziazione idonee a massimare l’efficienza del servizio;

b) la dimensione degli ambiti o bacini territoriali deve essere di norma non inferiore almeno a quella del territorio provinciale, ma le regioni possono individuare, sulla base di criteri e principi stabiliti dalla norma in esame, specifici bacini territoriali di dimensione diversa da quella provinciale;

c) è, comunque, fatta salva l’organizzazione di SPL di settore in ambiti o bacini territoriali ottimali già prevista ai sensi delle discipline di settore vigenti e delle disposizioni regionali che abbiano già avviato la costituzione di ambiti o bacini territoriali di dimensione non inferiore a quella del territorio provinciale o di quella diversa individuata dalle regioni nonché in attuazione di specifiche direttive europee.

            In virtù di tale “salvezza”, appare evidente che le norme recate dal citato art. 3-bis avranno, presumibilmente, uno scarso impatto sull’organizzazione territoriale del SII, dovendo lo stesso già ora, in applicazione della vigente normativa di settore statale e regionale, essere organizzato sulla base di “ambiti territoriali ottimali definiti dalle regioni in attuazione della l. 5 gennaio 1994, n. 36” (art. 147, comma 1, d.l.vo 152/2006).

 

3.  La soppressione delle autorità d’ambito territoriale.

 

            Con l’art. 2, comma 186-bis della l. 23 dicembre 2009, n. 191 (introdotto con l’art. 1, comma 1-quinquies del d.l. 25 gennaio 2010 n. 2 conv. dalla l. 26 marzo 2010, n. 42) è stata disposta:

a) la soppressione delle autorità d’ambito territoriale (AAT) di cui all’art. 148 del d.l.vo 152/06 decorso “un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge” e, cioè, secondo quella che è stata l’interpretazione prevalente (poi confermata dal legislatore), dall’entrata in vigore della l. 191/2009 (avvenuta il 1 gennaio 2010);

b) la nullità, decorso il predetto termine, di “ogni atto compiuto dalle autorità d’ambito territoriale”;

c) l’attribuzione con legge, da emanare entro un anno dall’entrata in vigore della l. 191/09, da parte delle regioni ad altri enti (v. infra) delle funzioni già esercitate dalle AAT, “nel rispetto dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza”;

d) la permanenza dell’efficacia dell’art. 148 del d.l.vo 152/06 in ciascuna regione sino all’entrata in vigore della legge regionale di attribuzione delle funzioni già esercitate dalle soppresse AAT;

e) l’abrogazione dell’art. 148 del d.l.vo 152/06 entro un anno dall’entrata in vigore della l. 191/09, a prescindere dall’entrata in vigore della legge regionale di attribuzione delle funzioni già esercitate dalle soppresse AAT.

            I termini di scadenza previsti dalla su riportata disposizione sono stati prorogati, dapprima, al 31 marzo 2011 (art. 1, comma 1 d.l. 29 dicembre 2010, n. 225), successivamente, al 31 dicembre 2011 (dpcm 25 marzo 2011) e, infine, al 31 dicembre 2012 (art. 13, comma 2, d.l. 29 dicembre 2011, n. 216).

 

3.1. La legittimità costituzionale delle disposizioni sulla soppressione delle autorità d’ambito territoriali.

 

            La Corte costituzionale, con sentenza 12 aprile 2011, n. 128, ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1° quinquies del d.l. 25 gennaio 2010, n. 2 conv. dalla l. 26 marzo 2010, n. 42 (con il quale, come detto, è stato introdotto il comma 186-bis dell’art. 2 della l. 191/2009), in quanto la disciplina delle autorità d’ambito territoriale ottimale rientra nelle materie della tutela della concorrenza e della tutela dell’ambiente, di competenza legislativa esclusiva  statale. Tale disciplina attiene alla tutela della concorrenza, perché l’individuazione di un’unica autorità d’ambito consente la razionalizzazione del mercato; attiene, allo stesso tempo, alla tutela dell’ambiente, perché l’allocazione delle competenze sulla gestione all’autorità d’ambito territoriale ottimale serve a razionalizzare l’uso delle risorse e le interazioni e gli equilibri fra le diverse componenti della “biosfera” intesa “come sistema […] nel suo aspetto dinamico”.

            Lo Stato ha, pertanto, piena facoltà di disporre la soppressione delle autorità d’ambito. Ciò non significa – osserva, tuttavia, la Corte – che alle regioni sia vietato qualsiasi intervento al riguardo. Infatti, lo stesso art. 1, comma 1-quinquies del d.l. n. 2 del 2010, nel prevedere che “le regioni attribuiscono con legge le funzioni già esercitate dalle autorità, nel rispetto dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza”, riserva al legislatore regionale un’ampia sfera di discrezionalità, consentendogli di scegliere i moduli organizzativi più adeguati a garantire l’efficienza del SII, nonché forme di cooperazione fra i diversi enti territoriali interessati.

 

3.2. L’attribuzione delle funzioni già esercitate dalle autorità d’ambito territoriali.

 

            Ai sensi dell’art. 2, comma 38, lett. a), della l. 244/2007, le regioni possono, attribuire le funzioni già esercitate dalle AAT alla provincia corrispondente con l’ambito territoriale ottimale (ATO) ovvero, in caso di bacini più ampi, assumere esse stesse l’esercizio di dette funzioni o affidarle alle “province interessate” le quali dovranno esercitarle sulla base di appositi accordi. Le regioni possono, tuttavia, anche prevedere, in alternativa, che le funzioni spettanti ai comuni in materia di servizi idrici vengano attribuite ad una delle forme associative tra comuni di cui agli artt. 30 e segg. del t.u. 267/2000 (TUEL), “composte da sindaci o loro delegati che vi partecipano senza percepire alcun compenso”. In virtù di tale disposizione è, quindi, consentito alle regioni di stabilire che le funzioni predette vengano svolte, ad esempio, attraverso “uffici comuni” da costituire mediante convenzioni (art. 30) o da consorzi (art. 31) o da unioni di comuni (art. 32) o mediante altre modalità di gestione associata individuate con legge regionale (art. 33).

 

4. La “rilevanza economica” del servizio idrico integrato

4.1. Qualificazione del servizio idrico integrato.

 

            Il servizio idrico integrato (SII) va qualificato come servizio pubblico locale (SPL) di “rilevanza economica” per cui resta escluso ogni potere delle regioni di pervenire ad una diversa qualificazione (Corte cost. 17 novembre 2010, n. 325).  Le regioni non sono, quindi, competenti a disciplinare il SII regionale come servizio privo di rilevanza economica e a stabilire autonomamente sia le forme giuridiche dei soggetti cui affidare il servizio, sia il termine di decadenza degli affidamenti in essere.

            Tale disciplina si porrebbe, infatti, in contrasto con la normativa statale che ricomprende il SII tra i servizi dotati di rilevanza economica e che attiene, perciò, alla materia “tutela della concorrenza” di competenza esclusiva dello Stato, ai sensi dell’art. 117, comma 2, lett. e), Cost. (Corte cost., sent. n. 325/2010, cit.).

 

4.2. L’abrogazione del criterio della adeguatezza della remunerazione del capitale investito.

 

            L’abrogazione, operata con il d.p.r. 113/2011, emanato a seguito dell’esito positivo del referendum popolare svoltosi il 12/13 giugno 2011, del riferimento al criterio della “adeguatezza della remunerazione del capitale investito”, contenuto nel comma 1 dell’art. 154 del d.l.vo 152/06 (c.d. “codice dell’ambiente”), per la determinazione della tariffa del SII, persegue “la finalità di rendere estraneo alle logiche del profitto il governo e la gestione dell’acqua” (Corte cost. 26 gennaio 2011, n. 26). Il carattere remunerativo della tariffa non può, tuttavia, essere considerato elemento caratterizzate da nozione di “rilevanza economica”. E’, infatti, coessenziale alla nozione di “rilevanza” economica del SII l’esercizio dell’attività con metodo economico, “nel senso che essa, considerata nella sua globalità, deve essere svolta in vista quantomeno della copertura in un determinato periodo di tempo, dei costi mediante i ricavi (di qualsiasi natura questi siano, ivi compresi gli eventuali finanziamenti pubblici). L’eliminazione del riferimento al criterio della “adeguatezza della remunerazione del capitale investito” non ha, pertanto fatto venir meno la nozione di tariffa come corrispettivo, determinata in modo tale da assicurare “la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio secondo il principio del recupero dei costi e secondo il principio di chi inquina paga” (Corte cost. n. 26/2011, cit.).

 

5.  L’affidamento della gestione del servizio idrico integrato

5.1. L’organismo competente.

 

            La disciplina dell’affidamento della gestione del SII attiene alle materia tutela della concorrenza e tutela dell’ambiente, riservate alla competenza legislativa esclusiva dello Stato (Corte cost. 21 marzo 2012, n. 62).

            L’abrogazione dell’art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008 (conv. dalla l. n. 133/2008) disposta con d.p.r. n. 113/2001 a seguito dell’esito positivo del referendum popolare svoltosi il 12 e 13 giugno 2011 non ha comportato il venir meno della vigenza del terzo periodo dell’art. 1, comma 1-quinquies del d.l. 25 gennaio 2010, n. 2, conv. dalla l. 26 marzo 2010, n. 42, in forza del quale, come visto, alla legge regionale compete soltanto disporre l’attribuzione delle funzioni delle soppresse AAT, “nel rispetto dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza” e, non spetta, di conseguenza, provvedere direttamente all’esercizio di tali funzioni, affidando la gestione del SII ad un soggetto determinato.

            Da ciò deriva, in particolare, secondo la citata sentenza della Corte costituzionale n. 62 del 2012, che, in base alla normativa statale, la legge regionale deve limitarsi ad individuare l’ente o il soggetto che eserciti le competenze già spettanti alle AAT e, pertanto, anche la competenza di deliberare la forma di gestione del SII e di aggiudicare la gestione di detto servizio.

            La Corte costituzionale ha, quindi, con la sentenza n. 62 del 2012, dichiarato costituzionalmente illegittima la legge della regione Puglia n. 11 del 2011 (in particolare, artt. da 5 a 14), perché, in contrasto con la normativa statale, ha disposto l’affidamento della gestione del SII ad un’azienda pubblica regionale (l’Acquedotto Pugliese-AQP), così escludendo, da un lato, che l’ente regionale successore delle competenze dell’AAT (ossia l’Autorità idrica pugliese) deliberi con un proprio atto le forme di gestione del SII e provveda all’aggiudicazione del servizio al soggetto affidatario e, dall’altro, stabilendo essa stessa che il SII sia affidato ad un’azienda pubblica regionale, da identificarsi necessariamente nell’unica azienda pubblica regionale istituita al fine di detta gestione, cioè, nell’azienda denominata “Acquedotto Pugliese-AQP”, prevista dalla medesima legge regionale Puglia n. 11 del 2011. Poiché, la normativa statale non consente che la legge regionale individui direttamente il soggetto affidatario della gestione del SII e che stabilisca i requisiti generali dei soggetti affidatari di tale gestione (così determinando, indirettamente, anche le forme di gestione), la Corte ha ritenuto “evidente” la violazione da parte della predetta normativa regionale dell’art. 117, comma 2, lett. e) ed s) Cost., che è stata, perciò, dichiarata costituzionalmente illegittima.

            E’ da segnalare che la Corte costituzionale, con sent. n. 307 del 20 novembre 2009, - in fattispecie di legge regionale (l.r. Lombardia n. 26/2003 modif. dalla l. r. 18/2006), che prevedeva per l’affidamento della gestione del SII solo la gara pubblica, con conseguente esclusione delle altre forme contemplate dall’art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008 (all’epoca vigente) – ha ritenuto le citate norme regionali non in contrasto con la Costituzione, in quanto più rigorose di quelle statali sotto il profilo della tutela della concorrenza e in quanto emanate nell’esercizio di una competenza residuale propria delle regioni, ossia quella relativa ai servizi pubblici locali. Non sembra che tra la sentenza n. 62/2012 e la sentenza n. 307/2009 vi sia una perfetta coincidenza, posto che mentre la prima esclude qualsiasi competenza legislativa delle regioni in materia di affidamento della gestione del SII, trattandosi di materia attinente alla tutela della concorrenza e alla tutela dell’ambiente, la seconda ammette, invece, l’intervento regionale nella suddetta materia, non solo ove questo sia diretto a favorire la concorrenza, ma anche perché l’affidamento della gestione del SII appartiene alla competenza esclusiva delle regioni in materia di servizi pubblici locali.

            La scelta della forma di gestione del SII spetta, dunque, all’organismo (ente, autorità, ecc.) a cui la regione ha attribuito o attribuirà l’esercizio delle funzioni in tale materia in sostituzione delle soppresse AAT. Quest’ultime, peraltro, sino a quando non interverrà detta attribuzione, è da ritenere che possano ancora esercitare la funzione in questione perché: a) la loro soppressione, la nullità degli atti, l’abrogazione dell’art. 148 del d.l.vo hanno decorrenza dal 1 gennaio 2013, salvo che non intervenga precedentemente la legge regionale di attribuzione ad altro “soggetto” delle funzioni da esse esercitate; b) l’art. 150, comma 1, del d.l.vo n. 152/2006, che attribuisce alle AAT la funzione di deliberare la forma di gestione del SII è stato abrogato solo parzialmente con l’art. 12, comma 1, lett. b) del d.p.r. 168/2010; la citata disposizione del “codice dell’ambiente” è stata, infatti, abrogata “ad eccezione della parte in cui individua la competenza dell’autorità d’ambito per l’affidamento e la gestione del SII” e, quindi, limitatamente alla frase “fra quelle di cui all’art. 113, comma 5, del d.l.vo 18 agosto 2000, n. 267”, peraltro, a sua volta, abrogato dallo stesso art. 12, comma 1, del d.p.r. 168/2010.

 

5.2. La “pubblicizzazione” della gestione del servizio idrico integrato.

 

            E’ opportuno subito chiarire che l’abrogazione dell’art. 23-bis del d.l. 112/2008 non ha determinato la “pubblicizzazione” della gestione del SII, ma, come si vedrà, reso solo più agevole l’affidamento in house del servizio stesso, che le disposizioni dell’art. 23-bis (v. commi 3 e 4) e, ora, quelle dell’art. 4 del d.l. 138/2011 (v. comma 13) rendono praticamente impossibile.

            A tal proposito merita di essere ricordato che la richiesta referendaria tendente, attraverso l’abrogazione dell’art. 150 del d.l.vo 152/2006, ad ottenere, appunto, la “pubblicizzazione” del SII (che secondo i promotori del referendum sarebbe potuta avvenire tramite aziende speciali) è stata dichiarata inammissibile dalla Corte costituzionale con sentenza 26 gennaio 2011, n. 25.

 

5.3. Le forme di gestione del servizio idrico integrato

 

            L’art. 4 del d.l. 138/2011 è (fatte salve l’eccezioni di cui si è detto) inapplicabile al SII, per cui a tale servizio non sono neppure applicabili le modalità gestionali previste da tale norma per i SPL aventi rilevanza economica.

            L’abrogazione dell’art. 23-bis del d.l. 112/2008 e l’inapplicabilità al SII dell’art. 4 del d.l. 138/2011 non ha, però, determinato per tale servizio alcun “vuoto normativo”, ma l’”applicazione immediata nell’ordinamento italiano della normativa comunitaria” concernente i servizi di interesse economico generale (Corte cost. sent. 24/2011).

 

5.4. L’affidamento a terzi della gestione del SII mediante procedura ad evidenza pubblica.

 

            Sulla modalità di affidamento a terzi della gestione del SII mediante procedura ad evidenza pubblica, non ha, in pratica, esercitato alcuna influenza il referendum (non era, del resto, questo lo scopo dei promotori del referendum).

            La procedura competitiva ad evidenza pubblica, deve, invero, anche adesso, sia pure non in virtù del comma 2, lett. a), dell’art. 23-bis e del comma 8 dell’art. 4, ma in applicazione dell’analoga disposizione contenuta nell’art. 30, comma 3, del d.l.vo 163/2006 (codice dei contratti pubblici) svolgersi nel rispetto dei principi del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) e dei principi di imparzialità, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento, mutuo riconoscimento, proporzionalità.

           

5.5. L’affidamento della gestione del SII a società “mista”.

 

            Nel caso di affidamento della gestione del SII a società “mista” abrogazione dell’art. 23-bis e l’inapplicabilità al detto servizio dell’art. 4 non ha fatto venir meno l’obbligo che:

a)         il partner privato venga scelto mediante selezione pubblica;

b)         la gara sia “a doppio oggetto”, riguardi, cioè, non solo la “qualità di socio”, ma,  al tempo stesso, l’attribuzione di “specifici compiti operativi connessi alla gestione del servizio”;

c)         il socio privato svolga tali specifici compiti operativi per l’intera durata dell’affidamento del servizio;

d)        nel bando siano previsti criteri e modalità di liquidazione della quota del socio privato alla cessazione della gestione.

Gli obblighi suddetti non sono venuti meno, giacchè essi risultano imposti dalla giurisprudenza comunitaria e nazionale (Cons. St., ad plen. 3 marzo 2008, n. 1; sez. II, parere n. 456 del 18 aprile 2007; Corte giust., 15 ottobre 2009, C-196/08; v., altresì, Commissione europea, “comunicazione interpretativa del 5 febbraio 2008, sull’applicazione del diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni ai partenariati pubblici-privati istituzionalizzati – PPPI) al fine di poter affidare la gestione di un SPL avente rilevanza economica senza dover ricorrere  alla “doppia gara” (quindi, in definitiva, ad affidare il servizio ad una società mista “direttamente”).

E’, invece, venuto meno l’obbligo dell’attribuzione al soci privato di una quota di partecipazione al capitale della società mista non inferiore al 40%. Tuttavia, se si considera che anche l’affidamento del SII ad una società mista rappresenta una forma di partenariato pubblico/privato assimilabile alla concessione, ne deve conseguire che la partecipazione del socio privato a detta società non può essere meramente simbolica o, comunque, di scarso rilievo, ma, al contrario, significativa, ossia tale da consentirgli di poter esercitare una effettiva influenza sulla organizzazione, direzione e controllo della società stessa e, perciò, anche sull’erogazione del servizio.

            Del resto la Corte costituzionale (sent. n. 29 del 1 febbraio 2006), a proposito di una disposizione regionale (legge regionale Abruzzo 5 agosto 2004, n. 23), che stabilisce un limite minimo (40% del capitale sociale) per la partecipazione azionaria del socio privato, da scegliere con procedura ad evidenza pubblica, della società cui può essere affidata la gestione di un SPL di rilevanza economica, ha ritenuto che la previsione di un siffatto limite risponde “all’esigenza di evitare che partecipazioni minime o addirittura simboliche si possano risolvere in una elusione delle modalità complessive di conferimento della gestione del servizio pubblico locale”.

 

5.6. L’affidamento in house

 

            Nel caso di affidamenti diretti in house, l’abrogazione dell’art. 23-bis e l’inapplicabilità al SII dell’art. 4, con la conseguente immediata (ed esclusiva) applicazione del diritto comunitario comportano che:

a)         per tali affidamenti è necessario, ma anche sufficiente, che il soggetto affidatario abbia i requisiti Teckal (dalla nota sentenza della Corte di giustizia 18 novembre 1999, C-107/98) e, cioè, che sia a totale partecipazione pubblica, che su di esso l’ente affidante eserciti un controllo analogo a quello che esercita sui propri servizi e che il soggetto affidatario svolga la parte “prevalente” della propria attività a favore dell’ente affidante”;

b)         il soggetto affidatario non deve più essere necessariamente una società di capitali, ma può avere una qualsiasi configurazione giuridica prevista dall’ordinamento, purchè compatibile con i  sovra indicati requisiti Teckal.

 

6. La non adesione dei comuni con popolazione fino a mille abitanti inclusi nel territorio delle comunità alla gestione unica del SII.

6.1. Unicità o unitarietà della gestione del servizio idrico integrato.

 

            L’art. 147, del d.l.vo 3 aprile 2006, n. 152, nel prevedere, al comma 1, che i servizi idrici “sono organizzati sulla base degli ambiti territoriali ottimali [ATO] definiti dalle regioni in attuazione della l. 5 gennaio 1994, n. 36” (c.d. “legge Galli”), consentiva alle regioni medesime di “modificare le delimitazioni degli ambiti territoriali ottimali per migliorare la gestione del servizio idrico integrato”, nel rispetto, tra l’altro, dei principi di “unicità della gestione” e del “superamento della frammentazione verticale delle gestioni” (comma 2, lett. b).

            L’art. 150, comma 1, del “codice dell’ambiente”, a sua volta, prevedeva che le autorità d’ambito, nel rispetto del piano d’ambito e del “principio di unicità della gestione” per ciascun ambito deliberano la forma di gestione fra quelle di cui all’art. 113, comma 5 del t.u. 267/2000 (TUEL) [il c. 1 dell’art. 150, è stato abrogato con l’art. 12, c., lett. b), del d.p.r. 7 settembre 2010, n. 168, ad eccezione della parte in cui individua la competenza dell’autorità d’ambito per l’affidamento e la gestione del SII].

            La parola “unicità” è stata, tuttavia, in entrambe le norme sopra riportate, sostituita, con l’art. 2, comma 13 del d.l.vo 16 gennaio 2008, n. 4 (c.d. decreto correttivo), con quella di “unitarietà”.

            Al riguardo, occorre ricordare che con l’art. 148, comma 5, del d.l.vo 152/2006 (nel testo originario) era stato previsto che: “Ferma restando la partecipazione obbligatoria all’autorità d’ambito di tutti gli enti locali […], l’adesione alla <gestione unica> del servizio idrico integrato è facoltativa per i comuni con popolazione fino a mille abitanti inclusi nel territorio delle comunità montane, a condizione che la <gestione del servizio idrico> sia operata direttamente dalla amministrazione comunale ovvero tramite una società a capitale interamente pubblico e controllata dallo stesso comune […]”.

            E’, quindi, chiaro che, in virtù di tale deroga concessa ai comuni con popolazione fino a mille abitanti inclusi nel territorio della comunità montana, non era più possibile fare riferimento alla “unicità della gestione”, espressione che è stata, pertanto, corretta in quella, maggiormente appropriata, di “unitarietà della gestione”.

            Giova ancora notare che alcuna rilevanza può attribuirsi alla circostanza che il citato comma 5 dell’art. 148  sia stato successivamente modificato con l’art. 2, comma 14 del d.l.vo n. 4 del 2008 (decreto correttivo), posto che tale norma modificativa ha mantenuto immutata la facoltà per i comuni in questione di gestire il SII (ora si precisa che deve essere “l’intero SII” e che deve esserci il “consenso dell’autorità d’ambito competente”).

 

6.2. La sentenza della Corte costituzionale n. 246 del 24 luglio 2009.

 

            Con la sentenza in epigrafe, la Corte ha esaminato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 148, comma 5 del d.l.vo 152/2006, il quale, come detto, prevede (e continuerà a prevedere fintanto che non avrà effetto la sua abrogazione) la possibilità per i “comuni con popolazione fino a mille abitanti inclusi nel territorio delle comunità montane” di non aderire “alla gestione unica del servizio idrico integrato”. Ad avviso della Corte, il citato art. 148, comma 5, del d.l.vo 152/2006 attiene alla tutela dell’ambiente, con prevalenza rispetto alla materia dei SPL, perché “giustifica la possibilità di deroghe all’unicità della gestione del servizio sul piano soggettivo”, in ragione dell’elemento tipicamente ambientale costituito dalla peculiarità idrica delle zone comprese nei territori delle comunità montane. Se, infatti, le modalità dell’organizzazione del SI, nelle loro linee generali, sono riconducibili alla materia della tutela dell’ambiente, di competenza legislativa esclusiva dello Stato, rientra in tale competenza anche stabilire le condizioni in presenza delle quali i Comuni minori appartenenti alle comunità montane possono “non partecipare alla gestione unica del SII”, e cioè che la gestione del servizio sia operata direttamente da parte dell’amministrazione comunale ovvero tramite una società a capitale interamente pubblico controllata dallo stesso comune.

            Con la medesima sentenza, la Corte ha, inoltre, affermato che l’art. 148, c. 5 d.l.vo 152/2006 e la l. n. 36 del 1984,  richiamata dall’art. 8, c. 1, lett. b) della legge di delegazione, fissano il principio del “superamento della frammentazione delle gestioni”, che “può realizzarsi, indifferentemente, sia con l’<unitarietà> delle gestioni, sia con l’<unicità>”.

 

7. La separazione tra gestione delle reti ed erogazione del servizio idrico integrato.

 

            Le discipline di settore possono prevedere – determinandone i casi – che la gestione delle reti e degli impianti destinati all’esercizio di un pubblico servizio locale avente rilevanza economica, sia tenuta distinta dall’erogazione del servizio. Le discipline di settore devono, inoltre, prevedere, nel caso in cui sia stabilita la separazione tra le due predette attività, che sia garantito l’accesso alla rete a tutti i soggetti legittimati all’erogazione dei relativi servizi” (art. 113, comma 3, t.u. 267/2000).

            La normativa statale che disciplina il servizio idrico integrato non prevede la separazione tra gestione delle reti ed erogazione del servizio [cfr. art. 151, comma 2, lett. m) e art. 153, d.l.vo n. 152/2006]. Tale principio “risulta vincolante per il legislatore regionale, in quanto riconducibile alla competenza esclusiva dello Stato in materia di funzioni fondamentali dei comuni [art. 117, comma 2, lett. p), Cost.]. Infatti, “le competenze comunali in ordine al servizio idrico sia per ragioni storico-normative sia per l’evidente essenzialità di questo alla vita associata delle comunità stabilite nei territori comunali devono essere considerate quali funzioni fondamentali degli enti locali”, la cui disciplina è stata dal citato art. 117 della Costituzione “affidata alla competenza esclusiva dello Stato” (Corte cost. 20 novembre 2009, n. 307, che ha dichiarato costituzionalmente illegittima una disposizione legislativa della Regione Lombardia che imponeva la separazione tra la gestione della rete e l’erogazione del SII).

 

8.     La proprietà delle infrastrutture idriche

 

 

   L’appartenenza degli “acquedotti” (ossia delle “infrastrutture idriche”) al demanio accidentale dei comuni è prevista dall’art. 824, comma 1, cod. civ. in combinato disposto con l’art. 822, comma 2, cod. civ.

Con l’art. 113, c. 13 del t.u. 267/2000 (TUEL), è stato, però, consentito agli enti locali di “conferire la proprietà delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali a società a capitale interamente pubblico, che è incedibile”.

            In tal modo, stando a quanto affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 320 del 25 novembre 2011, i beni appartenenti al demanio comunale (nella specie, le infrastrutture  idriche) hanno perso una delle loro caratteristiche fondamentali e cioè l’”inalienabilità” (art. 823, comma 1, cod. civ.), giacchè “la sola partecipazione pubblica, ancorchè totalitaria, in società di capitali non vale a mutare la disciplina della circolazione giuridica dei beni che formano il patrimonio sociale e la loro qualificazione”.

Il sistema previsto dal combinato disposto degli artt. 824, comma 1 e 822, comma 2, cod. civ. è stato, tuttavia, sia pure limitatamente al settore idrico, ripristinato con il comma 1 dell’art. 143 del d.l.vo 152 del 2006. La norma predetta dispone, infatti, che “gli acquedotti, le fognature, gli impianti di depurazione e le altre infrastrutture idriche di proprietà pubblica, fino al punto di consegna e/o misurazione, fanno parte del demanio ai sensi degli articoli 822 e seguenti del codice civile e sono inalienabili se non nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge”.

            Secondo la Corte costituzionale il “regime demaniale stabilito […] dell’art. 143 del d.l.vo n. 152 del 2006” è incompatibile “con il conferimento in proprietà previsto dal comma 13 dell’art. 113 del TUEL”.

            La Corte, peraltro, non afferma che il comma 13 dell’art. 113 del TUEL deve intendersi tacitamente abrogato (limitatamente al settore idrico) a seguito dell’entrata in vigore del comma 1 dell’art. 143 del d.l.vo 152/2006. Tale conseguenza è, invece, fatta discendere dall’entrata in vigore del comma 5 dell’art. 23-bis del d.l. 112/2008 conv. dalla l. 133/2008 che ha (come il comma 1 dell’art. 143 del d.l.vo 152/06) stabilito il “regime demaniale” delle infrastrutture idriche (in realtà non solo delle infrastrutture idriche, posto che il citato comma 5 dell’art. 23-bis fa riferimento alle “reti” in generale).

L’art. 23-bis del d.l. 112/08 conv. dalla l. 133/2008 è stato abrogato (con il d.p.r. 18 luglio 2011, n. 113), a seguito dell’esito del referendum del 12 e 13 giugno 2011, ma questo non ha provocato la reviviscenza delle norme abrogate dallo stesso art. 23-bis (v. Corte cost. sent. n. 24 del 2011). Le disposizioni del comma 5 dell’art. 23-bis sono state reintrodotte con il comma 28 dell’art. 4, del d.l. 138/2011 conv. dalla l. 148/2011, che, però, come detto, non è, ai sensi del comma 34 dello stesso art. 4, applicabile al settore idrico.

            Ed, allora, non applicandosi al settore idrico il comma 13 dell’art. 113 perché definitivamente abrogato e neppure il comma 28 dell’art. 4 del d.l. 138/2011 per l’esclusione espressa stabilita dal comma 34, “ne deriva che questo settore continua ad essere disciplinato dalla sopra evidenziata normativa e, in particolare, dal citato art. 143 del d.l.vo n. 152 del 2006, che, come visto, prevede la proprietà demaniale delle infrastrutture idriche e, quindi, la loro inalienabilità se non nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge” (Corte cost. sent. n. 320/2011).

L’abrogazione del comma 13 dell’art. 113 del TUEL, per incompatibilità con le disposizioni del comma 5 dell’art. 23-bis del d.l. 112/2008 conv. dalla l. 133/2008 e del comma 1 dell’art. 143 del d.l.vo 152/2006, ha fatto venir meno, a decorrere dall’entrata in vigore di tali disposizioni, il “titolo” (costituito, appunto, dal comma 13 dell’art. 113 del TUEL), che consentiva, in deroga al combinato disposto degli artt. 824, comma 1 e 822, comma 2, cod. civ., il conferimento in proprietà delle infrastrutture idriche alle società patrimoniali, nel senso che, essendo le predette infrastrutture idriche beni demaniali, le stesse non possono più essere di proprietà di società di capitali.

            Le infrastrutture idriche, pertanto, a seguito dell’abrogazione del comma 13 dell’art. 113 del TUEL, hanno, per così dire, “riassunto” la natura giuridica di beni demaniali appartenenti ai comuni che, a suo tempo, li hanno (allora legittimamente) conferiti alle società patrimoniali.

            Tali infrastrutture, giusto il disposto dell’art. 153, comma 1, del d.l.vo 152/2006, devono, quindi, essere “affidate in concessione d’uso gratuita, per tutta la durata della gestione, al gestore del servizio idrico integrato che ne assume i relativi oneri nei termini previsti dalla convenzione e dal relativo disciplinare”.

 

HomeSentenzeArticoliLegislazioneLinksRicercaScrivici