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Note critiche sulle società holding degli enti locali (e sulla possibilità di costituire tali società).
di Alberto Barbiero  (albertobarbiero@albertobarbiero.net) 24 aprile 2012
Materia: società / disciplina

 

 

Note critiche sulle società holding degli enti locali (e sulla possibilità di costituire tali società).

 

Premessa metodologica.

 

L’analisi è finalizzata a rinvenire nel quadro normativo e nelle sue interpretazioni elementi utili per valutare se un ente locale possa costituire una società holding per gestire le proprie partecipazioni.

 

L’analisi comprende sia i dati normativi di diritto societario (con focalizzazione sull’art. 2497 del codice civile) sia quelli di tipo pubblicistico, inerenti le società partecipate da amministrazioni pubbliche (ed enti locali in particolare).

 

1. Quadro di presupposto.

 

1.1. Norme del diritto societario su controllo e gruppi: dati applicativi riferibili alle società partecipate dagli enti locali.

 

L’art. 2359 del codice civile delinea le situazioni relative al controllo societario, individuando quali sono le società controllate:

1) le società in cui un'altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell'assemblea ordinaria;

2) le società in cui un'altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un'influenza dominante nell'assemblea ordinaria;

3) le società che sono sotto influenza dominante di un'altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa.

In rapporto al sistema delle società partecipate dagli enti locali (c.d. “sistema allargato”) la giurisprudenza ha rapportato tale quadro di riferimento al rapporto di controllo esercitato dall’ente locale sulle società da esso controllate, al fine di configurare  in capo al socio pubblico, di un potere di controllo sulla società-organo assimilabile a quello, individuale, delineato dai primi due commi dell’art. 2359 del codice civile (Tar Campania – Napoli, sez. I, sentenza n. 8055 del 13 settembre 2006).

Tale posizione è stata rivista dal Consiglio di Stato, sez. V, con la sentenza n. 1365 del 9 marzo 2009, aderendo alle valutazioni espresse in ambito comunitario dalla Corte di Giustizia Ue con la sentenza del 13 novembre 2008, in causa C-324-07, sulla vicenda “Coditel Brabant SA”, nella quale si afferma che per valutare se un’autorità pubblica concedente eserciti sull’ente concessionario un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi è necessario tener conto di tutte le disposizioni normative e delle circostanze pertinenti.

Da quest’esame deve risultare che l’ente concessionario è soggetto a un controllo che consente all’autorità pubblica concedente di influenzarne le decisioni.

Deve trattarsi di una possibilità di influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni importanti di detto ente (v., in tal senso, sentenze Parking Brixen, cit., punto 65, e 11 maggio 2006, causa C 340/04, Carbotermo e Consorzio Alisei, Racc. pag. I 4137, punto 36.

La diversa linea tracciata dalla Corte di Giustizia, alla quale il Consiglio di Stato aderisce, è quindi nel senso dell’esigenza che il controllo della mano pubblica sull’ente affidatario sia effettivo, anche se non necessariamente tradotto nei moduli del diritto societario.

In particolare, il requisito del controllo analogo non sottende una logica "dominicale", rivelando piuttosto una dimensione "funzionale": affinché il controllo sussista anche nel caso di una pluralità di soggetti pubblici partecipanti al capitale della società affidataria non è dunque indispensabile che ad esso corrisponda simmetricamente un "controllo" della governance societaria (Consiglio di Stato, sez. V, sentenza n. 8970 del 29 dicembre 2009).

Il requisito del "controllo analogo" postula un rapporto che lega gli organi societari della società affidataria con l’ente pubblico affidante, in modo che quest’ultimo sia in grado, con strumenti pubblicistici o con mezzi societari di derivazione privatistica, di indirizzare "tutta" l’attività sociale attraverso gli strumenti previsti dall’ordinamento; risulta quindi indispensabile che le decisioni più importanti siano sempre sottoposte al vaglio preventivo dell’ente affidante o, in caso di in house frazionato, della totalità degli enti pubblici soci.

Sotto il profilo delle modulazioni del controllo, l’art. 2497 del codice civile ridefinito dalla riforma del diritto societario presenta una formulazione che è stata oggetto di analisi della dottrina per verificare se siano configurabili in capo al socio pubblico (l’ente locale) i poteri di direzione e di coordinamento in rapporto alla società dallo stesso partecipate.

La disposizione stabilisce infatti al comma 1 che le società o gli enti che, esercitando attività di direzione e coordinamento di società, agiscono nell'interesse imprenditoriale proprio o altrui in violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società medesime, sono direttamente responsabili nei confronti dei soci di queste per il pregiudizio arrecato alla redditività ed al valore della partecipazione sociale, nonché nei confronti dei creditori sociali per la lesione cagionata all'integrità del patrimonio della società. Non vi è responsabilità quando il danno risulta mancante alla luce del risultato complessivo dell'attività di direzione e coordinamento ovvero integralmente eliminato anche a seguito di operazioni a ciò dirette

Tale dato normativo è stato rapportato in particolare ai casi nei quali l’ente locale abbia costituito un rapporto con la società partecipata fondato sui presupposti dell’in house providing delineato dalla giurisprudenza comunitaria.

Secondo la sentenza della Corte di giustizia 18 novembre 1999, in Causa C-107/98, Teckal, per un legittimo affidamento in house è necessario che concorrano i seguenti elementi:

a) l'amministrazione deve esercitare sul soggetto affidatario un "controllo analogo" a quello esercitato sui propri servizi;

b) il soggetto affidatario deve svolgere la maggior parte della propria attività in favore dell'ente pubblico di appartenenza.

In ragione del "controllo analogo" e della "destinazione prevalente dell'attività", l'ente in house non può ritenersi terzo rispetto all'amministrazione controllante, ma deve considerarsi come uno dei servizi propri dell'amministrazione stessa.

Le caratteristiche di tale relazione sono lette dalla dottrina in termini transitivi, per cui il controllo analogo e la prevalenza dell’attività a favore degli enti soci se da un lato sono “requisiti che legittimano l’affidamento dei servizi in house senza pubblica gara (…), al contempo sono prova certa che la società partecipata altro non è che una longa manus dell’ente locale, il quale è dunque, ad ogni effetto di legge, titolare indiscusso dell’attività di direzione e di coordinamento della controllata”[1]. 

A tale assunto consegue la valutazione per cui “in questa logica, l’ente locale viene ad assumere tutte le responsabilità che l’art. 2497 del codice civile ricollega alla posizione del soggetto che si trovi al comando di un gruppo di imprese o, se si preferisce, di una holding”.[2]

 

1.2. La posizione interpretativa prima del 2009.

 

Peraltro, in termini immediatamente successivi alla riforma del diritto societario che ha condotto alla nuova formulazione dell’art. 2497 del codice civile (e delle disposizioni ad esso correlate), sono state evidenziate le problematiche relative all’applicazione del quadro normativo al sistema degli enti locali, a fronte della creazione dei c.d. “gruppi comunali, intesi come entità economiche unitarie, ancorché costituite da più entità giuridiche”[3].

Il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti, nel documento “Enti locali – attività di direzione e coordinamento” del dicembre 2006 come in tali circostanze l’esistenza di una holding consenta di tradurre in linee strategiche gli indirizzi di carattere programmatico e regolatorio delineati dall’Ente Locale.

Il CNDC ha rilevato come l’attività di direzione e coordinamento svolta dalla holding sia quindi più facilmente riconoscibile in quanto l’interesse imprenditoriale della stessa è insito nella sua forma privatistica di società lucrativa.

Nel documento si evidenzia invece come sia diverso il caso in cui il Gruppo Comunale non si avvalga per l’attività di direzione strategica di una “holding”, ma di un’unità organizzativa interna preposta alla gestione delle partecipazioni possedute. In tale fattispecie il riconoscimento dell’esistenza di un’attività di direzione e coordinamento diviene più complesso per due ordini di motivi:

- il primo di carattere interpretativo in quanto sostenuto da una corrente di pensiero che circoscrive ai soli enti pubblici economici l’applicabilità degli artt. 2497 e seguenti c.c., in virtù della letteralità del primo comma dello stesso art. 2497 che testualmente recita: “le società o gli enti che, esercitando attività di direzione e coordinamento di società, agiscono nell’interesse imprenditoriale proprio o altrui in violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società medesime, sono direttamente responsabili nei confronti dei soci di queste per il pregiudizio arrecato alla redditività ed al valore della partecipazione sociale…..”

- il secondo di carattere sostanziale in relazione all’attività svolta dall’Ente, che delineando indirizzi e svolgendo funzione regolatrice del mercato è carente di quegli elementi effettivi di direzione e coordinamento che la norma pone come presupposto per la sua applicazione.

La tesi che porta a ritenere estranei alla portata della norma gli Enti Locali fonda inoltre sul presupposto che gli enti pubblici territoriali sono deputati a soddisfare la generalità dei bisogni delle comunità rappresentate, le cui eventuali attività imprenditoriali svolte assumono carattere marginale e accessorio rispetto alle altre loro attività istituzionali, senza alcuna assunzione di ruolo di “imprenditore commerciale”.

Al contrario altra dottrina ritiene che l’interesse dei soci e dei creditori, che la norma intende tutelare, debba prevalere sull’aspetto meramente testuale, per non vanificare la portata della norma come strumento di garanzia in presenza di abusi. In sostanza si deve ricercare uno strumento di tutela che possa essere utilizzato in caso di violazione dei principi di corretta gestione imprenditoriale e societaria anche tramite il perseguimento di interesse non imprenditoriale.

Tale orientamento che potrebbe apparire a prima vista una “forzatura interpretativa ” si renderebbe in realtà necessario per fornire una tutela ai soggetti che gli articoli 2497 e seguenti del codice civile intendono proteggere.

Secondo il CNDC è di tutta evidenza quindi che una soluzione a tali dubbi interpretativi sarebbe fornita dalla costituzione di una “holding” deputata a svolgere il ruolo di direzione e coordinamento oltre che di controllo, così escludendo di fatto ogni coinvolgimento e responsabilità diretta dell’Ente Locale.

Nel documento si rilevava quindi come per gli enti locali che intendessero svolgere le attività esternalizzate come un impresa economicamente unitaria ancorché articolata in più soggetti giuridicamente autonomi, quindi con una fisionomia definibile di “Gruppo”, fosse da ritenere appropriato e raccomandabile la costituzione di una holding cui deputare, nel più funzionale ambito di autonomia privata, l’attività di direzione e coordinamento cui l’ente locale non può preventivamente rinunziare considerata la sempre maggiore attenzione che verrà dedicata a queste attività di cui, per l’attuale conformazione contabile come evidenziato anche dalla Corte dei Conti, spesso non rimane traccia nei bilanci di Province e Comuni.

In tale quadro si veniva comunque ad evidenziare un dato con incidenza sostanziale su qualsiasi tentativo interpretativo dell’art. 2497, comma 1: la locuzione utilizzata «società ed altri enti» non consentirebbe alcuna possibilità di escludere, dall’ambito applicativo della normativa, gli enti pubblici[4].

 

1.2. La disposizione di interpretazione autentica contenuta nella legge n. 102/2009.

 

La portata applicativa dell’art. 2497 del codice civile in relazione alle società partecipate dagli enti locali ha avuto un chiarimento da una disposizione di interpretaizone autentica, contenuta nell’art. 19, comma 6 del d.l. n. 78/2009, convertito nella legge n. 102/2009.

Tale disposizione, peraltro, rientra in un pacchetto di norme sulle società pubbliche.

In base a questo dato legislativo, il comma 1 dell’art. 2497 del codice civile si interpreta nel senso che “per enti si intendono i soggetti giuridici collettivi, diversi dallo Stato, che detengono la partecipazione sociale nell’ambito della propria attività imprenditoriale ovvero per finalità di natura economica o finanziaria.”

La norma specifica quindi che per enti si intendono i soggetti giuridici collettivi, diversi dallo Stato, che detengono la partecipazione sociale nell'ambito della propria attività imprenditoriale ovvero per finalità di natura economica o finanziaria.

In tema la dottrina[5] ha evidenziato che “a mente dell’art. 2497 cod. civ. si considerano etero dirette quelle società sulle quali gli enti che “esercitando attività di direzione e coordinamento di [ tali ] società, agiscono nell’interesse imprenditoriale proprio o altrui in violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società medesime, sono direttamente responsabili nei confronti dei soci di queste del pregiudizio arrecato alla redditività ed al valore della partecipazione sociale, nonché nei confronti dei creditori sociali per la lesione cagionata all’integrità del patrimonio della società”. Sul tema è intervenuto l’art. 19 del d.l. n. 78/2009 (“provvedimento anticrisi”) che ha disposto una interpretazione autentica che prevede: “L’articolo 2497 , primo comma del codice civile si interpreta nel senso che gli enti si intendono i soggetti giuridici collettivi, diversi dallo Stato, che detengono la partecipazione sociale nell’ambito della propria attività imprenditoriale ovvero per finalità di natura economico finanziaria”.

Secondo la stessa analisi dottrinale, dalla lettura della norma si evince che, sotto il profilo del soggetto che sottopone a direzione e coordinamento viene prevista espressamente l’esclusione dello Stato, mentre rientrano nella nozione di “enti” di cui all’art. 2497 cod. civ. i soggetti giuridici collettivi per i quali la partecipazione sociale è finalizzata: - all’esercizio della propria attività imprenditoriale ovvero - per finalità di natura economico finanziaria.

Tale distinzione sembra avvalorare la tesi in base alla quale gli enti pubblici locali (province e comuni) non potevano essere sottoposti alle disposizioni dell’art. 2497 cod. civ. in quanto svolgono eminentemente fini istituzionali e solo in parte anche attività riconducibili ai criteri dell’impresa.

La norma di interpretazione autentica è più precisa e fa riferimento sia all’attività imprenditoriale propria che, in alternativa, a finalità di natura economica (conseguire ricavi superiori a costi) che finanziaria (lucrare rendite di natura finanziaria).

La dottrina si chiede quindi come interpretare l’art. 2497 del codice civile alla luce delle novità nel caso di società detenute dagli enti locali che ai sensi dell’art. 3 comma 27 e seguenti della legge n. 244/2007 (Legge finanziaria 2008) debbono unicamente:

- prestare servizi di interesse generale nei limiti di competenza dell’ente locale socio;

- svolgere servizi o attività strumentali per il perseguimento dei fini istituzionali dell’ente locale socio, la cui disciplina di riferimento è l’art. 13 del d.l. n. 223/2006 (c.d. decreto Bersani, convertito nella legge n. 248/2006).

Sulla base di tale distinzione, così come interpretata anche dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 326/2008 la dottrina ritiene possibile ripartire la partecipazioni comunali in due categorie:

a) le società che gestiscono servizi di interesse generale e svolgono un’attività d’impresa;

b) le società che prestano servizi o attività strumentali per il perseguimento dei fini istituzionali dell’ente locale socio, non svolgono un’attività d’impresa ma funzioni amministrative (cd. società semi amministrazioni).

A fronte di tali elementi, quindi:

- qualora l’ente locale detenga partecipazioni di categoria a) l’ente locale e la sua società partecipata sono sottoposte a tutta la disciplina dell’art. 2497 e seguenti del codice civile al pari di ogni altro socio “privato” che esercita attività di direzione e coordinamento sulle proprie controllate;

- qualora l’ente locale detenga partecipazioni di categoria b) non si applicano le disposizioni dell’art. 2497 del cod. civ.

Tale posizione riflette le valutazioni espresse dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili (CNDCEC) nel proprio studio del maggio 2010 sulla costituzione delle holding da parte di enti locali[6], nel quale si precisa che nel caso della costituzione di una società holding sembra plausibile l’applicazione dell’art. 2497 del codice civile in capo alla società holding medesima, mentre non sembra applicabile, secondo la novella interpretazione, in capo all’ente locale che detiene unicamente la partecipazione in una società (la holding) che svolge per suo conto un’attività meramente strumentale né per finalità economiche che di natura finanziaria .

Inoltre il CNDCEC evidenzia come in merito alla portata della responsabilità del socio ente pubblico locale che esercita l’attività direzione e coordinamento, si deve rilevare che trattasi di responsabilità patrimoniale per risarcire il danno causato agli altri soci e ai creditori della società partecipate. Il danno non è risarcibile se si da dimostrazione del c.d interesse compensato, vale a dire se dall’operazione il gruppo ente locale, cui fa parte la società partecipata, ha ottenuto un beneficio complessivo.

Il comportamento che da luogo alla responsabilità è l’attività di direzione e coordinamento in violazione dei principi di corretta gestione societaria ed imprenditoriale attuata per perseguire interessi “imprenditoriali” propri del socio che controlla: nel caso di enti locali appare assai improbabile immaginare un comportamento illegittimo (la maggior parte della dottrina qualifica la responsabilità ex art. 2497 del codice civile come responsabilità da fatto illecito) e quindi tale responsabilità difficilmente si rinviene in capo ad un ente pubblico.

La sottrazione degli enti locali all’ambito applicativo della disposizione sembra essere sostenuta dalla dottrina, quando evidenzia che “il sintagma "soggetti giuridici collettivi", infatti, se esclude dal- l'applicazione della norma le persone fisiche, certamente può essere utilizzato tanto per indicare enti privati quanto per indicare soggetti pubblici e dunque non si può ricavare da questo un presupposto soggettivo utile a comprendere l'applicabilità o meno della disciplina in commento agli enti pubblici”[7].

Ciò in quanto “la norma chiarisce in maniera espressa che l'ente di cui al 2497 c.c. e segg. (…) è un ente imprenditore ossia è un ente che quand'anche non costituito sotto forma di società persegue uno scopo lato senni lucrativo”. Quindi “così intesa, dunque, per quanto la parola "enti" sia oggettiva­mente ambigua, risulta difficilmente configurabile un'attività dí dire­zione e coordinamento svolta dalla pubblica amministrazione che non fa questo di "mestiere", che non ha fini imprenditoriali e — soprat­tutto — che non può emettere direttive giustificatamente pregiudizie­voli”.

Tale analisi giunge anche ad alcune valutazioni estreme: “una volta che l'ente pubblico locale abbia deliberato di esternalizzare quella specifica attività, di "privatizzarla" (seppur solo formalmente) utilizzando uno strumento societario e dunque sul presupposto che questa sia la scelta migliore, in quanto tipicamente si ritiene che questa sia la modalità più efficiente di gestione, non può poi tornare indietro e farsi holding operativa. Insomma, sarebbe contraddittorio, da un lato, decidere di affidare un servizio pubblico ad un soggetto terzo e, dall'altro, pretendere di continuare a gestire quell'attività in proprio, seppur nel nuovo ruolo di capogruppo che svolge attività di direzione e coordinamento ".

Tale posizione ha riflessi tuttavia sulla modulazione del c.d. “controllo analogo”, poichè  “se è vero, dunque, che il "controllo analogo" per giustificare l'ec­cezione alle regole della concorrenza (facendo sì che le società "in hou­se" possano vedersi affidato un servizio pubblico senza lo svolgimento di una gara) deve essere particolarmente stringente, è altresì vero che sempre di controllo deve trattarsi.”. Pertanto “il controllo analogo può anche essere ex arate, ad esempio pretendendo di conoscere in anticipo i piani in­dustriali e finanziari delle proprie controllate o, ex post, e quindi veri­ficare l'attività svolta richiedendo una informativa costante e facendo magari valere il rapporto contrattuale instaurato con il contratto di servizio, ma tutto ciò è cosa ben diversa da quella direzione unitaria (gestionale) che caratterizza la disciplina sulla direzione e coordina­mento”[8].

 

2. Le situazioni di controllo nella normativa pubblicistica riguardante gli enti locali e le società partecipate dagli stessi.

 

2.1. Esercizio del controllo da parte degli enti locali sulle società partecipate.

 

Le disposizioni a carattere ordinamentale degli enti locali, afferenti all’esercizio dei poteri degli stessi nei confronti dei soggetti partecipati, delineano storicamente la relazione di controllo tra l’amministrazione socia e la società da essa partecipata, mediante connotazione:

a) dei poteri di indirizzo del consiglio, in rapporto:

a.1.) all’organizzazione dei pubblici servizi, costituzione di istituzioni e aziende speciali, concessione dei pubblici servizi, partecipazione dell'ente locale a società di capitali, affidamento di attività o servizi mediante convenzione (art. 42, comma 2, lett. e del d.lgs. n. 267/2000);

a.2.)  agli indirizzi da osservare da parte delle aziende pubbliche e degli enti dipendenti, sovvenzionati o sottoposti a vigilanza (art. 42, comma 2, lett. g del d.lgs. n. 267/2000);

a.3.) alla definizione degli indirizzi per la nomina e la designazione dei rappresentanti del comune presso enti, aziende ed istituzioni, nonché nomina dei rappresentanti del consiglio presso enti, aziende ed istituzioni ad esso espressamente riservata dalla legge (art. 42, comma 2, lett. m del d.lgs. n. 267/2000);

b) dei poteri relativi alle nomine degli amministratori degli organismi partecipati, attribuiti al sindaco (o al presidente della provincia) il quale, sulla base degli indirizzi stabiliti dal consiglio, provvede alla nomina, alla designazione e alla revoca dei rappresentanti del comune e della provincia presso enti, aziende ed istituzioni (art. 50, comma 8 del d.lgs. n. 267/2000).

Tali disposizioni rappresentano, pur nella loro origine precedente alla riforma del diritto societario, una sintetica evidenziazione dei “poteri” dell’ente locale quale soggetto controllore di organismi partecipati, quindi connotano l’esercizio dei poteri del socio in rapporto a quegli organismi che assumono veste di società (partecipate) di capitali (per azioni o a responsabilità limitata).

L’esercizio di tali poteri è tuttavia condizionato da alcuni aspetti particolari, che sono propri della genesi delle società partecipate da amministrazioni (pubbliche) locali, legata alla loro funzionalizzazione (pubblica).

Tale aspetto è stato originariamente sintetizzato da alcune pronunzie della Corte dei conti, con riferimento particolare a quella della sez. reg. contr. per la Calabria, nella deliberazione n. 59 del 17 novembre 2006, nella quale è stato evidenziato che la ratio delle disposizioni in materia di società pubbliche, maggioritarie e minoritarie, è unicamente quella di migliorare, attraverso l’utilizzo di moduli privatistici e, segnatamente, dello strumento delle società di capitale, la gestione dei servizi pubblici “che abbiano per oggetto produzione di beni ed attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali” (art.112 del Tuel).

Su queste basi normative deve essere escluso che gli enti locali possano procedere alla costituzione di società per azioni per finalità diverse rispetto a quelle stabilite dalla legge, ivi incluse, finalità esclusive di natura prettamente commerciale ed imprenditoriale.

Quando una società non abbia come obiettivo la realizzazione di opere necessarie al corretto svolgimento di un pubblico servizio, né la realizzazione di infrastrutture ed altre opere di interesse pubblico, ne discende che il Consiglio comunale dovrà verificare i modi e le forme di modificazione dell’oggetto sociale, riportando questo ed, ovviamente, le attività della società, nell’ambito delle attività che costituiscono servizi pubblici locali, dovendosi per tali definire quelle attività che mirano a soddisfare esigenze proprie di una platea indifferenziata di utenti ed il cui gestore sia sottoposto ad una serie di obblighi volti a garantire il rispetto, nell’erogazione del servizio, di norme di continuità, regolarità, capacità e qualità, cui non potrebbe essere assoggettata una comune attività economica.

Nell’ipotesi in cui il Comune non rinvenga elementi significativi di pubblico interesse nello svolgimento delle attività delle suddette società e non sia in grado di avviare le attività delle stesse verso la prestazione di servizi pubblici, dovrebbe concludersi per un obbligo di cessione delle quote.

L’art. 3, comma 27 della legge n. 244/2007 ha sancito e codificato tale prefigurazione necessaria (la funzionalizzazione pubblica dell’attività delle società partecipate dagli enti locali), stabilendo che:

a) al fine di tutelare la concorrenza e il mercato, le amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, non possono costituire società aventi per oggetto attività di produzione di beni e di servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, né assumere o mantenere direttamente partecipazioni, anche di minoranza, in tali società;

b) è sempre ammessa la costituzione di società che producono servizi di interesse generale e che forniscono servizi di committenza o di centrali di committenza a livello regionale a supporto di enti senza scopo di lucro e di amministrazioni aggiudicatrici di cui all'articolo 3, comma 25, del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e l'assunzione di partecipazioni in tali società da parte delle amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nell'ambito dei rispettivi livelli di competenza.

L’elemento-chiave di qualsiasi operazione dell’ente locale finalizzata alla costituzione di una società si rinviene nella coerenza delle attività della stessa con le finalità istituzionali dell’ente, possano essere queste traducibili in attività di servizio pubblico (rivolte a soddisfare esigenze della comunità locale) o in servizi strumentali (volti a soddisfare esigenze proprie della sola amministrazione).

Il ruolo dell’ente locale come socio nelle società da esso costituite non può quindi prescindere dalla proiezione delle sue finalità istituzionali nel quadro di attività dell’organismo partecipato e, peraltro, tale elemento è destinato a caratterizzare la vita stessa delle medesime società, che operano necessariamente per la soddisfazione di esigenze della comunità locale o dell’amministrazione, potendo ampliare il proprio panel di attività con finalizzazioni differenti solo in misura residuale.

Diversamente, un ente locale non può costituire una società con l’intento di perseguire finalità lucrative in ambito commerciale, come dimostrato da vari interventi giurisprudenziali e dall’efficace pronunzia della Corte dei conti, sez. reg. contr. Lombardia, con la deliberazione n. 861/2010/PAR del 15 settembre 2010, che ha escluso la possibilità, per un ente locale, di costituire una società partecipata per l’esercizio di un’attività tipicamente commerciale perché diretta alla produzione ed al commercio di un bene rispetto al quale gli enti locali agirebbero come operatori nel libero mercato (il caso riguardava la costituzione di una società per l’installazione e la gestione di impianti fotovoltaici), peraltro con una posizione ben più favorevole di quella di un soggetto privato, tale da porsi in deciso contrasto sia con le regole sulla concorrenza che con quelle sul divieto di aiuti di stato che sono contenute nel Trattato istitutivo dell’Unione europea e, in ogni caso, da falsare la libertà del mercato.

 

2.2. Relazione tra enti locali e società partecipate in relazione alle dinamiche economico-finanziarie del “sistema allargato”.

 

La rilevanza degli organismi partecipati per l’ente locale che ne è socio è evidenziata anche da altre disposizioni del Tuel, che delineano il sistema allargato e la logica del consolidamento dei conti: in tal senso rileva l’art. 172, il quale prevede (comma 1, lett. b) che al bilancio siano allegate anche le risultanze dei rendiconti o conti consolidati delle unioni di comuni, aziende speciali, consorzi, istituzioni, società di capitali costituite per l'esercizio di servizi pubblici, relativi al penultimo esercizio antecedente quello cui il bilancio si riferisce.

La necessità di una correlazione esplicita tra il bilancio dell’ente locale e quelli delle sue partecipate è stata peraltro evidenziata da varie pronunzie della Corte dei Conti, tra le quali spicca la valutazione della sez. reg. controllo Piemonte, con il parere n. 2 del 12 gennaio 2010.

In tale analisi si rileva che sugli equilibri di bilancio degli enti locali incidono direttamente i risultati degli organismi partecipati, tanto che il risultato economico finale della gestione degli enti locali comprende anche il risultato della gestione operativa che include i costi ed i ricavi derivanti anche dall’esercizio di attività svolte attraverso società partecipate.

L’evoluzione sostanziale è stata tradotta dall’Osservatorio per la finanza locale del Ministero dell’interno nel Principio contabile n. 4, approvato nell’aprile 2009 nella sua formulazione preliminare, il quale afferma che la redazione del bilancio consolidato non rappresenta un obbligo di legge ma costituisce comunque un elemento necessario ai fini di una rappresentazione veritiera e corretta degli andamenti economici, finanziari e patrimoniali del “gruppo ente locale”.

L’evoluzione di tale dato è ora desumibile dal d.lgs. n. 118/2011, il quale definisce i principi in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli

schemi di bilancio delle Regioni, degli enti locali  e dei loro enti e organismi strumentali, esclusi gli enti di cui al titolo secondo del decreto (gli enti del servizio sanitario nazionale).

In particolare, l’art. 2, comma 2 stabilisce che gli enti strumentali delle amministrazioni locali che adottano la contabilità finanziaria affiancano alla stessa, ai fini conoscitivi, un sistema di contabilità economico-patrimoniale, garantendo la rilevazione unitaria dei fatti gestionali, sia sotto il profilo finanziario che sotto il profilo economico-patrimoniale.

Risulta quindi evidente come il quadro normativo ordinamentale:

a) riconosca il “gruppo ente locale”;

b) delinei in capo all’ente locale poteri particolari di “guida” del gruppo, peraltro esplicitamente funzionalizzati al perseguimento di attività istituzionali e alla soddisfazione di interessi pubblici.

La Corte dei Conti, sez. reg. controllo per la Lombardia, con la deliberazione n. 7/2012/PAR del 19 gennaio 2012 ha, tra l’altro, richiamato l’esegesi della giurisprudenza contabile secondo cui l’art. 18 comma 2 bis della l. n. 133/2008 condiziona l’assoggettamento al patto di stabilità interno delle società ivi citate alla definizione delle modalità e della relativa modulistica. Conseguentemente, non può farsi derivare dalle predette norme l’obbligo attuale, in capo agli enti controllanti, di valutare il rispetto del patto di stabilità attraverso un bilancio consolidato funzionale ad un’analisi della situazione finanziaria della società unitamente a quella dell’ente locale (Corte dei Conti, sez. reg. contr. Piemonte, n. 14/2010; cfr., altresì, sez. reg. contr. Sardegna n. 24/2010; Corte dei Conti, SS.RR. in sede di controllo del. n. 28/2011).

Sulla base di tali elementi, la Corte dei Conti lombarda ha evidenziato l’opportunità sostanziale di un consolidamento dei risultati economici e finanziari del “gruppo municipale”, al fine di una corretta rappresentazione del bilancio comunale, sottolineando l’esigenza di tener conto comunque dei risultati delle società a partecipazione pubblica totale o maggioritaria (in termini di ammontare di spese e di debito), insieme a quelli dell’ente locale, al fine di evitare il formarsi di situazioni occulte di debito destinate a gravare sulla collettività pubblica.

Peraltro l’analisi fa riferimento ad un quadro evolutivo nel quale è stato evidenziato in relazione ai principi contabili internazionali (IPSAS n. 6) ed ai principi contabili per gli enti locali elaborati dall’Osservatorio per la finanza e la contabilità degli enti locali (principio n. 4), come il bilancio consolidato sia un valido strumento per conoscere e valutare la situazione finanziaria, oltre che economica e patrimoniale degli enti che consolidano i conti (Corte dei Conti, sez. reg. contr. Veneto, n. 4/2008; Corte dei Conti, sez. reg. contr. Piemonte, n. 14/2010).

Sul piano normativo, lo stesso art. 152 del d.lgs. n. 267/2000 stabilisce che il regolamento di contabilità degli enti locali assicura, di norma, la conoscenza consolidata dei risultati globali delle gestioni relative ad enti od organismi costituiti per l’esercizio di funzioni e servizi; l’art. 172 comma 1 lett. b) dello stesso testo unico prevede tra gli allegati obbligatori del bilancio di previsione dell’ente locale anche le risultanze dei rendiconti o conti consolidati delle aziende speciali, consorzi, istituzioni, società di capitali costituite per l’esercizio di servizi pubblici, relativi al penultimo esercizio antecedente quello cui il bilancio si riferisce. Il successivo art. 230 TUEL dispone, poi, che il regolamento di contabilità può prevedere la compilazione del conto consolidato patrimoniale per tutte le attività e le passività interne ed esterne.

L’ente locale ha peraltro un ampio spettro di operatività in relazione al suo ruolo di socio e, al contempo, di soggetto regolatore per i servizi affidati alla società (soggetto gestore)[9].

Anche in relazione alle dinamiche economico-finanziarie la normativa in materia di società partecipate da amministrazioni pubbliche (anche locali) ha introdotto elementi regolatori della funzionalizzazione pubblica come chiave di lettura complessiva del rapporto tra gli enti soci e le società stesse.

In tal senso assume particolare rilevanza l’art. 6, comma 19 della legge n. 122/2010 (conversione in legge del d.l. n. 78/2010), il quale stabilisce che:

a) al fine del perseguimento di una maggiore efficienza delle società pubbliche, tenuto conto dei principi nazionali e comunitari in termini di economicità e di concorrenza, le amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, non possono, salvo quanto previsto dall'art. 2447 codice civile, effettuare aumenti di capitale, trasferimenti straordinari, aperture di credito, né rilasciare garanzie a favore delle società partecipate non quotate che abbiano registrato, per tre esercizi consecutivi, perdite di esercizio ovvero che abbiano utilizzato riserve disponibili per il ripianamento di perdite anche infrannuali;

b) sono in ogni caso consentiti i trasferimenti alle società di cui al primo periodo a fronte di convenzioni, contratti di servizio o di programma relativi allo svolgimento di servizi di pubblico interesse ovvero alla realizzazione di investimenti;

c) al fine di salvaguardare la continuità nella prestazione di servizi di pubblico interesse, a fronte di gravi pericoli per la sicurezza pubblica, l'ordine pubblico e la sanità, su richiesta della amministrazione interessata, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri adottato su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con gli altri Ministri competenti e soggetto a registrazione della Corte dei Conti, possono essere autorizzati gli interventi di cui al primo periodo dello stesso comma.

Tale previsione, quindi, costituisce vincolo (insuperabile) per l’ente locale socio, atteso che la volontà del legislatore è stata proprio quella di accentuare il contenimento della spesa pubblica, scongiurando, di conseguenza, l’evenienza di diffuse sopravvenienze passive nel comparto delle società a partecipazione pubblica, con il conseguente e gravoso onere della copertura a carico dei Comuni, dei relativi disavanzi entro i limiti della quota di spettanza[10]. 

Al contempo è rilevabile come il sistema vincolistico così predisposto, subisca delle eccezioni, per disposizione dello stesso legislatore, il quale al secondo periodo dell’esaminando comma 19 - art. 6 –, attenuando il rigore dell’originario divieto, stabilisce che: “ Sono in ogni caso consentiti i trasferimenti alle società di cui al primo periodo a fronte di convenzioni, contratti di servizio o di programma relativi allo svolgimento di servizi di pubblico interesse ovvero alla realizzazione di investimenti. Al fine di salvaguardare la continuità nella prestazione di servizi di pubblico interesse, a fronte di gravi pericoli per la sicurezza pubblica, l’ordine pubblico e la sanità, su richiesta dell’amministrazione interessata, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri adottato su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con gli altri Ministri competenti e soggetto a registrazione della Corte dei conti, possono essere autorizzati gli interventi di cui al primo periodo del presente comma “.  Quindi, tale eccezione consente il “ trasferimento ”, nell’ipotesi in cui: l’oggetto, posto dallo specifico statuto a scopo sociale, preveda l’espletamento di servizi di pubblico interesse, seppur previa autorizzazione, ovvero la realizzazione di investimenti.

Tali elementi evidenziano due profili di sostanziale rilevanza in relazione all’ipotesi di costituzione di una società holding da parte di un ente locale.

La normativa pubblicistica sul ruolo delle amministrazioni (pubbliche) locali come soci di società da essi costituite e partecipate configura per gli enti soci poteri rilevantissimi in relazione al funzionamento e alla vita della società, comunque sempre preordinati alla salvaguardia di interessi pubblici preminenti. Da ciò si ha conferma della particolarità dell’ambito in cui operano le società partecipate dagli enti locali, che necessariamente le pone su un piano diverso da quello in cui possono operare società “interamente” private.

Tale quadro normativo lascerebbe supporre l’esistenza di un “diritto societario speciale”, nel quale l’ente locale potrebbe esercitare attività di “direzione e coordinamento” non discendenti dall’applicazione (non conferibile) dell’art. 2497 del codice civile, bensì da norme di tipo pubblicistico, speciali.

 

2.3. Elementi desumibili dalla normativa pubblicistica sui servizi pubblici e sulle società partecipate dalle amministrazioni pubbliche in ordine alle attività di controllo, direzione e coordinamento delle società partecipate dagli enti locali ai fini dell’individuazione di dati a favore della costituzione di una società holding.

 

La normativa di tipo pubblicistico inerente le società partecipate da amministrazioni pubbliche (da enti locali in particolare) non prevede il modello della holding e non determina alcun rinvio alla normativa  civilistica tale da consentire per via mediata l’applicazione dei moduli di diritto societario riferibili alle holding stesse (artt. 2359 e ss., tantomeno degli artt. 2497 e ss., partic. art. 2497-sexies del codice civile).

Le disposizioni in materia di servizi pubblici locali (SPL) con rilevanza economica (art. 4, comma 33 della legge n. 148/2011) evidenziano marginalmente la possibilità che sussistano rapporti di controllo societario tra soggetti affidatari delle attività di interesse generale.

L’elemento più significativo è desumibile dall’art. 4, comma 33 della legge n. 148/2011, quando nel primo periodo, andando a stabilire il divieto di affidamento di servizi ulteriori, individua tra i destinatari della norma “le società, le loro controllate, controllanti e controllate da una medesima controllante, anche non appartenenti a Stati membri dell'Unione europea, che, in Italia o all'estero, gestiscono di fatto o per disposizioni di legge, di atto amministrativo o per contratto servizi pubblici locali in virtù di affidamento diretto, di una procedura non ad evidenza pubblica ovvero (…)” per affidamento a società mista con socio privato operativo.

Tuttavia le stesse norme presuppongono una forma di necessaria relazione diretta tra l’ente locale (affidante) e la società che gestisce i servizi (affidataria), sia essa configurabile secondo il modulo “in house” (a capitale interamente pubblico) o secondo il modulo di partenariato pubblico-privato (società mista), indipendentemente dalla sua connotazione come società partecipata di secondo livello (direttamente partecipata dall’ente locale, individuato come il controllante di primo livello) o di terzo livello (partecipata dalla società partecipata di secondo livello). Tale dato è chiaramente desumibile dall’art. 4, commi 12 (per le società miste) e 13 (per le società affidatarie in house): in tali norme non è rinvenibile alcuna soluzione “mediata” da altri organismi societari. 

La relazione tra le società partecipate di secondo e terzo livello è oggetto da qualche anno di approfondimenti anche in sede giurisprudenziale, tanto che sul tema è recentemente intervenuto il Consiglio di Stato, in adunanza plenaria, con al decisione n. 17 del 14 agosto 2011, nella quale si analizza il tipo di rapporto, la sua genesi e si definiscono alcuni limiti che possono incidere sulla partecipata di terzo livello.

Tale decisione prende in esame, peraltro, la normativa che disciplina le società che gestiscono “servizi strumentali”, in attuazione di quanto previsto dall’art. 13 della legge n. 248/2006 (legge di conversione del d.l. n. 223/2006, noto anche come “decreto Bersani”), evidenziando i profili di interazione possibile tra partecipate di secondo e di terzo livello operanti in questo settore.

 

2.4. Possibili parametri normativi costituenti presupposti per la costituzione di una società holding da parte di un ente locale.

 

Alla stessa normativa si rimette il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili (CNDCEC) nel proprio studio del maggio 2010 sulla costituzione delle holding da parte di enti locali[11], per sostenere come nella stessa disposizione il riferimento alle società di intermediazione bancaria (con esplicitazione della non applicazione dei limiti della norma alle stesse), che possono assumere partecipazioni, evidenzi (implicitamente) la possibilità di composizione delle partecipazioni societarie dell’ente locale in una holding[12].  

Il quadro normativo e quello giurisprudenziale nazionale sembrano quindi ammettere (implicitamente) la sussistenza di condizioni che consentono agli enti locali di costituire “gruppi” di società, società holding per la gestione delle partecipazioni e della governance.

La leva sarebbe pertanto riconducibile proprio all’art. 13 della legge n. 248/2006, il quale tuttavia presenta più di una contraddizione sostanziale in questa prospettiva, in quanto il dato normativo generale riferibile alle società deputate a gestire servizi strumentali evidenzia come esse non possano partecipare ad altre società o enti aventi sede nel territorio nazionale.

Sempre secondo la disposizione (ultimo periodo del comma 1 dell’art. 13) le società che invece svolgono l’attività di intermediazione finanziaria prevista dal testo unico di cui al decreto legislativo 1 settembre 1993, n. 385, sono escluse dal divieto di partecipazione ad altre società o enti.

Uno dei casi più recenti di processo costitutivo di una società holding fondata su tale disposizione è quello di “Roma Capitale Holding S.p.a.”: nel parere reso dall’Agenzia per il controllo e la qualità dei servizi pubblici locali del Comune di Roma, reso nel giugno 2011 ha evidenziato come la holding possa reputarsi inclusa nella categoria dei soggetti che svolgono attività di intermediazione finanziaria di cui all’art. 113 del testo unico bancario, trattandosi di soggetti che esercitano intermediazione finanziaria “non nei confronti del pubblico”. Tale società può, dunque, detenere partecipazioni in altre società, perseguendo il suo oggetto sociale di holding, valendo per essa l’esclusione dal divieto di partecipare ad altre società prevista dall’art. 13 della legge n. 248/2006.

E’ proprio su tale punto che si concentra l’analisi del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili (CNDCEC) nel documento[13] sulle holding degli enti locali, l’attività finanziaria e i modelli di governance, pubblicato l’8 aprile 2011, per il quale proprio l’esplicita esclusione dettata dall’ultimo periodo del comma 1 dell’art. 13 con riguardo alle società finanziarie “il rimando al testo unico bancario è da intendersi ad una peculiare attività: l’assunzione di partecipazione e ciò che ad esso è connesso. Si raggiungerebbe così il fine voluto dal legislatore in sede di conversione dell’art. 13 del decreto Bersani, vale a dire ritenere legittime le società holding finanziarie delle regioni in quanto ontologicamente società strumentali necessarie per il perseguimento delle finalità di gestione delle attività della regione stessa”[14].

Peraltro nello stesso documento si evidenzia come “le conclusioni esegetiche raggiunte per le holding regionali valgono anche per le holding degli enti locali che (…) vengono prese in considerazioni in questa sede quale mezzo per la più efficace amministrazione delle partecipate e quindi per il corretto esercizio dei diritti di socio”.

Nel documento si rinvia ad una valutazione della Corte dei conti, nella quale si precisa che[15] in base all’impianto normativo risultante dall’art. 3, comma 27 e ss. della legge n. 244/2007 la società holding controllata da un ente pubblico ha una capacità limitata e circoscritta dagli interessi dell’ente pubblico e non può operare al di fuori del perimetro stabilito dall’ente con la delibera adottata ai sensi dell’art. 3, comma 27 e ss. della legge n. 244 del 2007.

La Corte rileva peraltro che in caso contrario, qualora si ammettesse che la società holding possa operare al di fuori di quei limiti si avrebbe un ipotesi di elusione del sistema normativo che ha inteso limitare l’ambito di operatività delle partecipazioni societarie detenute dagli enti locali.

Se l’oggetto sociale della holding rispetta i limiti predefiniti dalla delibera adottata dal Consiglio provinciale o comunale, la società non potrà che detenere partecipazioni che non siano in contrasto con le previsioni dell’ente locale.

La pronunzia della Corte dei conti lombarda riconosce quindi l’esistenza delle holding e i loro limiti operativi, ma non ne configura il modello, né, tantomeno, connota per esse un dato normativo di riferimento.

 

2.5. Riferimenti normativi per le c.d. società patrimoniali (o “società degli asset”) connettibili alle società holding.

 

Nel quadro normativo in materia di SPL con rilevanza economica si rinvengono però nell’art. 113 del d.lgs. n. 267/2000 (Tuel) alcune disposizioni che, sopravvissute agli effetti abrogativi dell’art. 23-bis della legge n. 133/2008 e del correlato d.P.R. n. 168/2010 (abrogati a loro volta in conseguenza del referendum del 12-13 giugno 2011), disciplinano la gestione delle reti e la possibile costituzione di società a questo deputate dagli enti locali proprietari.

I riferimenti sono rinvenibili nei commi 2, 3, 4, 11 e 13 dello stesso art. 113 del Tuel.

In particolare, il comma 13 connota la configurazione che possono avere le società (partecipate dagli enti locali) per la gestione delle reti (di proprietà degli enti locali), stabilendo che:

a) le amministrazioni locali, anche in forma associata, nei casi in cui non sia vietato dalle normative di settore, possono conferire la proprietà delle reti, degli impianti, e delle altre dotazioni patrimoniali a società a capitale interamente pubblico, che è incedibile.

b) tali società pongono le reti, gli impianti e le altre dotazioni patrimoniali a disposizione dei gestori incaricati della gestione del servizio o, ove prevista la gestione separata della rete, dei gestori di quest'ultima, a fronte di un canone stabilito dalla competente Autorità di settore, ove prevista, o dagli enti locali;

c) a tali società gli enti locali possono anche assegnare, ai sensi della lettera a) del comma 4, la gestione delle reti, nonché il compito di espletare le gare per l’affidamento dei servizi pubblici locali con rilevanza economica.

 

2.6. Modelli possibili per le società holding degli enti locali.

 

Le analisi sviluppate dalla Corte dei Conti e in dottrina, nonché le esperienze realizzate da alcune amministrazioni locali hanno fattivamente determinato i presupposti per una classificazione tipologica delle società holding, fondata sostanzialmente su tre modelli:

a) la società holding “pura”;

b) la società holding congiunta a quella che gestisce gli asset patrimoniali;

c) la società holding derivante da una società di gestione di un servizio (pubblico).

In questa prospettiva di analisi si rileva, per l’ambito di intervento delle società partecipate dagli enti locali, una distinzione principale e sostanziale tra:

a) holding pura, se l’attività della società si esaurisce nella direzione e nel coordinamento delle partecipazioni;

b) holding mista (o “impura”), se essa svolge anche attività operative.

La differenziazione è in realtà più sintetica rispetto a quella tradizionalmente affermata nel diritto societario[16] e data da tre moduli[17]:

a) la holding di tipo industriale o miste, nelle quali una società, oltre a svolgere l’ordinaria attività operativa di impresa, mediante l’intervento nel processo produttivo delle aziende possedute costituente il suo oggetto sociale, acquisisca anche una posizione di dominanza mediante partecipazioni sociali in altre società;

b) la holding pura, nella quale la capogruppo assolve una funzione puramente strumentale e, mediante il possesso di uno o più pacchetti azionari e l’esercizio dei poteri inerenti, esplica l’attività di direzione e di controllo del gruppo;

c) la holding operativa nella quale la capogruppo esplica l’attività direttiva anche con l’esercizio delle funzioni economiche e finanziarie nei confronti delle società possedute, ponendo uno stretto legame tra il grado di diversificazione degli investimenti della holding ed il ruolo che questa può assumere nel coordinamento finanziario del gruppo.

La holding pura è caratterizzata[18]:

a) sotto il profilo funzionale, dalla gestione del portafoglio di partecipazioni (dell’ente locale);

b) in relazione all’oggetto sociale, da una connotazione dell’attività come esclusiva;

c) in ordine all’intervento nelle dinamiche economico-finanziarie del sistema allargato, dall’assenza di flussi finanziari correnti (in quanto non ha nessuna attività di gestione).

La società holding mista o impura provvede anche alla gestione di altre attività, oltre a quelle relative al portafoglio partecipazioni, con prevalente coniugazione con attività di gestione delle reti e del patrimonio immobiliare degli enti locali soci: in tali casi si determina una “fusione” tra la funzionalità della holding e quella delle società di gestione delle reti (o più note come società patrimoniali)[19].

Un modulo particolare è quello delle holding miste che detengono le partecipazioni di società dell’ente locale e sono contestualmente gestori di servizi pubblici locali, in base ad affidamenti diretti in house. Si tratta, tuttavia, di una situazione particolare, connessa a processi di evoluzione del quadro gestionale dei servizi o a fasi intermedie di razionalizzazione delle partecipazioni.

 

2.7. Analisi di casi.

 

Pur in assenza di elementi normativi (specifici) a supporto, molti enti locali hanno costituito società da essi interamente partecipate, alle quali hanno trasferito le proprie partecipazioni in società che gestiscono servizi pubblici locali.

Tali società sono state pertanto configurate come holding (meglio, come controllanti l’intero complesso di partecipazioni in Società con funzioni gestorie di SPL), con i relativi poteri rispetto alle controllate.

La configurazione è stata fondata, nei casi esaminati, sul modulo della società di gestione delle reti, definita anche come “società patrimoniale”, assumendo a riferimento, nella normativa speciale di tipo pubblicistico, le disposizioni dell’art. 113 del Tuel.

In termini di prassi sostanziale si possono rilevare alcuni esempi significativi dell’una e dell’altra tipologia:

a) come holding pura può essere analizzata Publiservizi S.p.a., società holding di 36 comuni della Toscana[20];

b) come holding mista può essere analizzata la società Livia Tellus Governance S.p.a., costituita dal Comune di Forlì nel 2011[21].

Tale seconda società risponde all’impostazione fondata sulla combinazione tra il ruolo di holding (“è strumento organizzativo del Comune di Forlì, mediante il quale l’ente locale partecipa nelle società, anche di servizio pubblico locale” e “detiene le partecipazioni in società” rispondenti ai criteri di coerenza con le finalità istituzionali del Comune stesso)  e quello di “patrimoniale – gestore delle reti” configurato secondo le norme dell’art. 113 del Tuel.

In questo disegno, le società che gestiscono servizi pubblici locali sono pertanto configurate come “partecipate di terzo livello”, pur risultando affidatarie (anche dirette) dal soggetto titolare degli stessi servizi (il Comune di Forlì).

 

3. Il trasferimento delle azioni o delle quote (relative a partecipazioni in società) dall’ente locale alla società holding.

 

La costituzione di una società holding con l’ovvia finalizzazione della stessa in relazione alla gestione delle partecipazioni dell’ente locale in società di gestione di servizi pubblici locali presuppone il trasferimento della proprietà delle partecipazioni dall’ente locale alla stessa holding.

Il quadro normativo in materia di servizi pubblici locali e le interpretazioni che ne ha reso la giurisprudenza sembrano evidenziare un presupposto sostanziale nel rapporto tra l’ente locale e la società deputata a gestire il servizio:  gli enti devono detenere direttamente le partecipazioni delle società che svolgono servizi pubblici in base ad affidamento diretto.

Opzioni diverse sono state analizzate in modo critico, tanto che è stato rilevato come “il controllo mediante le tanto diffuse holding pubbliche porta al rischio che la naturale circolazione dei titoli rappresentativi del capitale crei delle sopravvenute situazioni di incompatibilità di cui ci si avvede quando è troppo tardi per rimediare. Se, infatti, la velocità di circolazione delle azioni e delle quote societarie favorisce inconsapevoli situazioni di colleganza, per converso non aiutano a risolverle quando siano sollevate in giudizio, cristallizzando nel contenzioso la situazione della compagine societaria al momento della domanda di partecipazione alla gara, ovvero dell’aggiudicazione”[22].

Nei primi interventi di analisi delle holding il presupposto per il trasferimento delle partecipazioni è stato individuato nell’art. 113, comma 2 del d.lgs. n. 267/2000 (peraltro norma ancora vigente), senza il pregiudizio al mantenimento del servizio in capo alla società originariamente partecipata dall’ente locale (e affidataria del servizio)[23].

La norma specifica regola la cessione delle partecipazioni detenute dagli enti locali in società che gestiscono servizi pubblici locali: il comma 12 stabilisce infatti che l'ente locale può cedere tutto o in parte la propria partecipazione nelle società erogatrici dei servizi mediante procedure ad evidenza pubblica da rinnovarsi alla scadenza del periodo di affidamento. Tale cessione non comporta effetti sulla durata delle concessioni e degli affidamenti in essere.

Rispetto a tale prospettiva devono essere inoltre considerate alcune disposizioni a portata più ampia (riferite in generale a Società partecipate dalle amministrazioni pubbliche o da particolari categorie di enti locali), che prevedono percorsi per la “dismissione” delle partecipazioni da parte degli enti soci: rileva in tal senso la norma prevista dall’art. 14, comma 32 della legge n. 122/2010 (peraltro recentemente modificata prima dalla legge n. 106/2011, quindi dalla legge n. 148/2011), riferita in via principale ai Comuni con popolazione inferiore ai 30.000 abitanti.

La normativa non prevede, tuttavia, norme specifiche in ordine alla cessione di partecipazioni da parte dell’ente locale ad una o più società che possano assumere la configurazione di holding: il quadro sembra delineare di fatto questo ruolo in capo alle stesse amministrazioni.

Il CNDCEC evidenzia[24] come sia constatabile che non vi sono vincoli di legge a tale trasferimento e che quindi, fermo restando che lo statuto della holding dovrà prevedere l’incedibilità delle azioni del socio unico ente locale, requisito peraltro indispensabile per poter partecipare in diverse società da trasferire alla holding medesima, occorre anche considerare i vincoli negli statuti delle partecipate e/o pattizi per attuare il conferimento.

L’elemento critico (probabilmente il più delicato) che si innesta nel processo costitutivo di una holding da parte di un ente locale è dato proprio dal trasferimento delle partecipazioni.

La partecipazione diretta dell’ente locale nella società costituita e individuata come soggetto gestore di servizi pubblici locali o strumentali, sia essa configurata come società a capitale interamente pubblico o come società mista, costituisce infatti il presupposto essenziale per l’affidamento delle attività, a fronte di una normativa che su un versante (per i servizi pubblici l’art. 4 della legge n. 148/2011) o sull’altro (l’art. 13 della legge n. 248/2006) determina la sequenzialità e la connessione tra le due situazioni.

 

4. Elementi interpretativi del quadro normativo vigente attestanti la possibilità o meno di costituzione di società holding da parte degli enti locali.

 

4.1. Le valutazioni del CNDCEC.

 

In  relazione all’esperibilità della costituzione di una società holding come soluzione per la gestione delle partecipazioni societarie dell’ente locale, il CNDCEC rileva[25] come il dato normativo non determini condizioni sostanzialmente ostative rispetto a tale possibilità, risultando tuttavia necessarie alcune condizioni per supportare effettivamente tale scelta.

In primo luogo parrebbe necessario prevedere espressamente nello statuto dell’ente locale la possibilità che le società comunali possano essere partecipate e controllate anche indirettamente, ai sensi dell’art.2359 del codice civile.

Infatti lo statuto dell’ente locale può sopperire al silenzio della legge, legittimando quindi l’ente locale che compie la scelta, e ciò anche in base a quanto espressamente previsto dall’art. 35 comma 12 Legge finanziaria 2002, laddove ha modificato l’art. 42 del Tuel, che assegna alla competenza comunale, segnatamente al consiglio: “l’organizzazione dei servizi pubblici comunali, […]la partecipazione dell’ente a società di capitali, l’affidamento di attività o servizi mediante convenzione” di cui la holding rappresenterebbe appunto un’espressione organizzativa.

Il CNDCEC ritiene quindi che attraverso il potere di regolamentazione organizzativa, tramite la predetta previsione statutaria, l’ente locale statuisce la holding quale modulo organizzativo che esprime, come già detto, un mezzo per (i) attuare un’azione amministrativa coordinata ed unitaria (amministrazione delle partecipate) e per (ii) organizzare le partecipate comunali in modo efficiente, efficace ed economico, nonché quale espressione diretta dell’ente locale (indirizzo e controllo).

In secondo luogo dovranno mantenersi inalterate le convenzioni di affidamento (contratti di programma), stipulate fra l’ente locale e società che esplicano, con affidamento diretto, i servizi pubblici, in quanto il potere di affidamento/concessione non può che rimanere in capo all’ente locale.

Proprio questo secondo elemento riporta alla criticità della necessaria relazione sequenziale (e necessaria) tra partecipazione societaria (diretta) e affidamento del servizio.

 

4.2. Le considerazioni della Corte dei Conti.

 

Varie sezioni regionali di controllo e la sezione centrale per le autonomie della Corte dei Conti sono intervenute più volte sul tema delle società holding costituite da enti locali.

Il fenomeno è riconosciuto, come evidenziato da numerosi interventi ricognitivi delle sezioni regionali.

La Corte dei conti, sez. aut., con la deliberazione n. 13/AUT/2008 del 18 settembre 2008 ha affermato che particolarmente adatta agli enti di grandi dimensioni, centrali rispetto a reti di società “satellite”, potrebbe essere la creazione di un apposito organismo societario, totalmente partecipato dall’ente locale, che opera come holding titolare delle partecipazioni in precedenza detenute dall’ente, il quale coadiuva e fornisce servizi a tutte le aziende del gruppo e supporta gli organi politici nelle decisioni strategiche. Tale modello ingenera perplessità nella misura in cui non soddisfa completamente l’esigenza di governance delle esternalizzazioni, quanto meno con riferimento ai servizi gestiti da soggetti non partecipati, e qualifica la holding come asse portante delle decisioni politiche, che invece dovrebbero rimanere in capo all’ente.

La sezione regionale di controllo per il Friuli Venezia Giulia, nella deliberazione n. FVG/39/2011/VSGF del 4-5 luglio 2011 ha proceduto alla disamina dettagliata del ruolo della società “Friulia” S.p.a. quale holding della Regione Friuli Venezia Giulia e, come tale, strumento per la governance delle partecipazioni regionali (particolarmente alle pagine 81-82).

Peraltro, la Corte dei Conti, sez. per le Autonomie, con la deliberazione n. 2/AUT/2011/INPR, approvativa delle Linee guida e relativi questionari per gli Organi di revisione economico-finanziaria degli Enti locali, per l’attuazione dell’articolo 1, commi 166-168 della legge 23 dicembre 2005, n. 266”.– Bilancio di previsione 2011. Rendiconto della gestione 2010., nello schema relativo alle informazioni sugli organismi in perdita partecipati direttamente chiede che sia esplicitato se si tratta di società holding, con evidenziazione della natura finanziaria o operativa delle stesse. 

Il riconoscimento della diffusione di tali moduli societari non ha tuttavia impedito alla Corte dei Conti, sez. autonomie, nella deliberazione n. 14/SEZAUT/2010/FRG del 22-30 giugno 2010, di esprimere valutazioni critiche, se non addirittura negative.

Nel documento di analisi del sistema delle società partecipate, la Corte afferma che perche il nuovo sistema dei controlli funzioni appare necessario che si strutturi all’interno dell’ente un’ efficace governance, adeguatamente attrezzata tanto sotto il profilo dell’organizzazione che delle competenze tecniche, la quale sia in condizione di gestire il fenomeno delle partecipazioni non solo di primo livello, in cui l’ente agisce come holding, ma anche e soprattutto quando il socio pubblico agisce attraverso holding.

Rispetto a tale prospettiva, nella deliberazione n. 14/2010 viene ad essere prioritariamente rilevato come, alla luce del nuovo quadro normativo, la costituzione o il mantenimento di società holding da parte degli enti locali appaia di dubbia ammissibilità.

Perche la holding non si risolva in strumento di elusione degli obblighi e dei vincoli (anche costituzionali, per esempio, in materia di indebitamento) posti all’ente locale, produttivo solo di costi aggiuntivi privi di adeguata contropartita in termini di miglioramenti gestionali, deve improntare la propria attività ai principi di corretta gestione societaria, fondata sull’adeguatezza dei propri assetti e della struttura del gruppo al fine di esercitare compiutamente l’attività di direzione e coordinamento (art. 2497 del codice civile).

Il socio pubblico che la detiene deve avere responsabilmente la piena capacita di comprendere i presupposti, le ragioni e gli effetti delle scelte adottate dalla società holding ed essere effettivamente in grado di orientarne le decisioni soltanto verso opzioni che non violino i principi di legalità, buon andamento, trasparenza e pubblicità, che governano l’azione delle pubbliche amministrazioni. Sotto l’aspetto più strettamente contabile, non eludibile appare la necessità di adottare un piano dei conti unico che raggiunga un grado di dettaglio adeguato alle esigenze sia conoscitive che di controllo del socio pubblico e della cittadinanza di riferimento.

Nella stessa deliberazione, la sezione per le Autonomie della Corte dei Conti evidenzia, in rapporto agli obblighi di razionalizzazione delle partecipazioni per i comuni tra 30.000 e 50.000 abitanti previsti dall’art. 14, comma 32 della legge n. 122/2010, come questi, potendo detenere una sola società partecipata, sia verosimile che faranno confluire le partecipazioni in una multiutility (con delicate operazioni di conferimento, fusione, e quant’altro) anche nella forma di holding, sostenendo tuttavia che tale modello gestionale potrebbe risultare compatibile con il sistema normativo attualmente vigente solo ove si rivedessero i limiti operativi imposti alle società strumentali dell’ente locale dall’art.13 del d.l. 223/2006, convertito in legge 248/2006.

La Corte evidenzia peraltro (nota 88 alla stessa deliberazione) come possa molto difficilmente riconoscersi alla società holding i caratteri richiesti dall’art. 3, comma 27, della legge finanziaria 2008. Tale valutazione è stata condivisa anche da alcune sezioni regionali (da ultimo Corte dei conti, sez. reg. contr. Lombardia, deliberazione-parere n. 517/2011/PAR del 17 ottobre 2011, la quale ha evidenziato che tralasciando ogni questione in merito ai limiti di ammissibilità della costituzione di società holding da parte degli enti locali, si tratterebbe di una soluzione inidonea a risolvere il contrasto con il dettato normativo che prevede percorsi distinti e separati per la gestione dei servizi strumentali e di quelli pubblici locali).      

La sezione regionale di controllo per la Lombardia, con la deliberazione  n. 1051/2010/COMP del 13 dicembre 2010, approvativa di una “Indagine sulle esternalizzazioni negli enti locali della regione Lombardia” ha evidenziato come in base all’impianto normativo risultante dall’art. 3 comma 27 della legge n. 244/2007, la società holding controllata da un ente pubblico ha una capacità limitata e circoscritta agli interessi cristallizzati dall’ente pubblico e non può operare al di fuori del perimetro stabilito dall’ente con la delibera adottata ai sensi dell’art. 3 comma 27 della l. n. 244/2007.

In caso contrario, qualora si ammettesse che la società holding operi al di fuori di quei limiti, si avrebbe un’ipotesi di elusione del sistema normativo che ha inteso limitare l’ambito di operatività delle partecipazioni societarie detenute dagli enti locali.

Se l’oggetto sociale della holding rispetta i limiti predefiniti dalla delibera adottata dal Consiglio provinciale o comunale, la società medesima non potrà detenere partecipazioni in contrasto con le previsioni dell’ente locale.

In sintesi, la valutazione che gli enti locali devono compiere ai sensi dell’art. 3 comma 27 e segg. della legge n. 244/2007 concerne le sole partecipate dirette, tenendo conto della loro attività.

In particolare, se si tratta di holding, il vaglio ricomprende la tipologia delle loro partecipazioni nonché il relativo oggetto, prevedendo – altresì - che a livello statutario vengano richiamati i limiti di compatibilità previsti dall’ente locale nella delibera consiliare di mantenimento.

Nella deliberazione delle sezioni riunite in sede di controllo n. 15/CONTR/10 del 14 maggio 2010 (Rapporto sul coordinamento della finanza pubblica)  il fenomeno è preso in considerazione, per i possibili intenti elusivi.

La Corte dei conti rileva infatti l’elevato incremento del numero di società holding che gli enti locali stanno costituendo, affermando che anche se per gli enti di maggiori dimensioni la scelta può essere determinata dall’esigenza di gestire in modo più razionale le diverse partecipazioni societarie, non può essere sottovalutato il rischio che la dilatazione di tale tendenza sia anche connessa alla circostanza che l’applicazione alla sola società “direttamente partecipata dall’ente locale” dei limiti legislativi previsti in materia, renda di fatto esenti da controlli le singole società operative partecipate dalla holding.

Una posizione ancor più netta in ordine alle criticità riferibili alle società holding degli enti locali è rinvenibile nell’analisi condotta dalla Corte dei Conti, sez. reg. controllo per la Lombardia, nella deliberazione n. 1/2012/PRSE del 10 gennaio 2012, la quale ha evidenziato come in linea generale, la scelta discrezionale delle amministrazione locali di acquisire partecipazioni societarie in via indiretta (cioè attraverso l’acquisizione di quote da parte delle proprie società partecipate di primo livello) soggiace alle recenti limitazioni di legge che regolano la materia.

La stessa sezione, all’indomani dell’entrata in vigore della legge finanziaria per il 2008 (art. 3, co. 28 della legge n.244 del 2007, e succ. mod.), ha rilevato che il legislatore, pur non affrontando la questione della detenzione indiretta di quote societarie da parte delle amministrazioni locali, ha inteso porre una stretta correlazione fra finalità proprie dell’ente pubblico e utilizzo dello strumento societario, legittimando e circoscrivendo, allo stesso tempo, il ricorso alla modalità societaria per lo svolgimento di attività di competenza dell’ente locale.

Conseguentemente, in base all’impianto normativo risultante dall’art. 3, co. 27 e segg. la società holding controllata da un ente pubblico ha una capacità limitata e circoscritta dagli interessi dell’ente pubblico e non può operare al di fuori del perimetro stabilito dall’ente con la delibera adottata ai sensi dell’art. 3, co. 27 e segg. della legge n. 244 del 2007. In caso contrario, qualora si ammettesse che la società holding possa operare al di fuori di quei limiti si avrebbe un’ipotesi di elusione del sistema normativo che ha inteso limitare l’ambito di operatività delle partecipazioni societarie detenute dagli enti locali>> (Lombardia/874/2010/PAR del 21 settembre 2010).

Secondo la Corte dei Conti lombarda, infatti, la partecipazione societaria indiretta, di fatto, “allenta” il controllo che l’ente locale deve esercitare sui propri organismi partecipati poiché, nell’assemblea societaria della partecipata di secondo livello, non interviene il rappresentante dell’amministrazione comunale, bensì il rappresentante della società partecipata di primo livello.

Conseguentemente, l’amministrazione comunale deve valutare con particolare ponderazione il ricorso alla partecipazione societaria indiretta tenendo, altresì, presente il fatto che l’interposizione di un organismo societario di secondo livello può trovare ragione d’essere in presenza di particolari circostanze, quali ad esempio lo svolgimento di una attività che richiede una organizzazione imprenditoriale di una certa complessità.

 

4.3. Gli elementi (critici) desumibili dall’ordinamento comunitario in ordine alle società holding.

 

Nei vari interventi della Corte dei conti e della giurisprudenza nazionale non sono desumibili elementi che analizzino la criticità inerente il rapporto tra la partecipazione dell’ente locale nella società e l’affidamento del servizio (pubblico o strumentale).

Tale aspetto emerge invece dall’ambito comunitario, dove, essendo stato evidenziato già nel 2006, torna alla ribalta nell’analisi che si sta sviluppando in relazione ai rapporti “pubblico-pubblico”.

La Commissione Europea, nel documento di lavoro “Commission Staff Working Paper - concerning the application of EU public procurement law to relations between contracting authorities ('public-public cooperation') - SEC(2011) 1169 final” precisa come if the contracting authority influences the entity's decisions only through a holding company, this may weaken any control that may be exercised by the contracting authority. Consequently, the first Teckal-criterion may not be met.”[26].

Il documento della Commissione Europea fa riferimento alla nota sentenza C-340/04, Carbotermo SpA and Consorzio Alisei v Comune di Busto Arsizio and AGESP SpA., [2006] ECR I-04137, nella quale al paragrafo 39 si evidenzia come l’eventuale influenza di un comune esercitata sulle decisioni della società da esso partecipata mediante una società holding determini come conseguenza che “l’intervento di un siffatto tramite può, a seconda delle circostanze del caso specifico, indebolire il controllo eventualmente esercitato dall’amministrazione aggiudicatrice su una società per azioni in forza della mera partecipazione al suo capitale”.

Da ciò ne consegue che l’ente locale non esercita sulla società aggiudicataria dell’appalto pubblico in questione un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi quando le sue partecipazioni siano gestite da una holding.

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] M. Nico, “Le società partecipate dagli enti locali”, pag. 29, Maggioli-Rimini, 2009.

[2] Cfr. M. Nico, “Le società partecipate dagli enti locali”, pag. 29, Maggioli-Rimini, 2009.

[3] C.D’Aries, “Le indicazioni del Cndc sulle regole per i “gruppi” a partecipazione pubblica”, pagg. 20-26, in “Diritto e Pratica amministrativa”, ed. Il Sole 24 Ore, n. 3 – marzo 2007.

[4] M. Sebastianelli, “Direzione e coordinamento: riflessi applicativi”, in Azienditalia, ed. Ipsoa-Kluwers, n. 10/2007, partic. pag. 735.

[5] Risposta a quesito a cura di G. Boldrini - (Consigliere nazionale ODCEC delega enti locali, in http://www.solmap.it/PA/DettaglioQuesiti.aspx?idMessaggio=5991

[6]CNDCEC, documento “Costituzione della Holding”, maggio 2010, partic. pag. 6, rinvenibile in http://www.cndcec.it/Portal/Documenti/Dettaglio.aspx?id=90ede02b-b22d-4edc-9e1b-dc91a05df7c4

[7] M. Carlizzi, “La direzione unitaria e le società partecipate dagli enti pubblici”, in Rivista del diritto commerciale e del diritto generale delle obbligazioni”, n. 4/2010, partic. pag. 1193 e ss.

[8] M. Carlizzi, “La direzione unitaria e le società partecipate dagli enti pubblici”, in Rivista del diritto commerciale e del diritto generale delle obbligazioni”, n. 4/2010, partic. pag. 1208.

[9] A titolo esemplificativo si veda lo schema di C. Vermiglio, La gestione della partecipazione azionaria nelle società partecipate dagli enti locali: profili di governance rilevabile in http://host.uniroma3.it/facolta/economia/db/materiali/insegnamenti/619_3940.pdf

[10] Corte dei conti, sez. reg. contr. Abruzzo, deliberazione n. 355/2010/PAR del 10 novembre 2010.

[11]CNDCEC, documento “Costituzione della Holding”, maggio 2010, rinvenibile in http://www.cndcec.it/Portal/Documenti/Dettaglio.aspx?id=90ede02b-b22d-4edc-9e1b-dc91a05df7c4

[12] CNDCEC, documento “Costituzione della Holding”, maggio 2010, pag. 10.

[13]CNDCEC, documento “Holding degli enti locali, attività finanziaria e modelli di governance”, aprile 2011, rinvenibile in http://www.cndcec.it/Portal/Documenti/Dettaglio.aspx?id=dc54ac6f-4aad-4316-a129-56e60426ceca

[14] CNDCEC, documento “Holding degli enti locali, attività finanziaria e modelli di governance”, aprile 2011, pag. 12.

[15] Corte dei conti, sez. Reg. contr. Lombardia, deliberazione n. 874/2010/PAR del 21 settembre 2010.

[16] Cfr. in sintesi A. Sergiacomo, rilevabile in http://www.ipsoa.it/Opinione/Impresa/le_holding_di_partecipazione_id1031139_art.aspx

[17] Cfr. G. Bibolini, “Imprenditore ed impresa nell’evoluzione della giurisprudenza”, in Consiglio Superiore della Magistratura – Quaderno n. 94, rilevabile in http://www.csm.it/quaderni/quad_94/qua_94_12.pdf

[18] Si fa riferimento all’analisi di A. Bonechi, “La holding per la gestione dei servizi pubblici locali”, in atti del convegno Utilitas “Le politiche di aggregazione aziendale e i loro effetti sul management delle public utilities”, partic. pagg. 10-11, rinvenibile in http://www.consiag.it/_upload/pdf/00000674_bonechi.pdf

[19] Si veda in merito A. Barbiero, Le società patrimoniali degli enti locali, Halley Ed. – Matelica 2007.

[20] Lo statuto è rilevabile in http://www.publiservizi.it/assets/documenti/STATUTO-in-Vigore.pdf

[21] Lo statuto è rilevabile in  http://www.comune.forli.fc.it/upload/forli/gestionedocumentale/statuto%20notaio_784_21730.pdf

[22] M.Fracanzani, “Le Società degli enti pubblici: tra autonomia di impresa e responsabilità erariale”, in http://www.giustizia-amministrativa.it/documentazione/studi_contributi/2009_8_Fracanzani_Le_societ%C3%A0_degli_enti_pubblici.htm

[23] G. Boldrini, “Gli enti locali e le forme di gestione dei servizi pubblici locali tra normativa nazionale e giurisprudenza comunitaria”, EURO PA 2005 – Atti, rilevabile in http://www.euro-pa.it/atti2005/relazioni_22/boldrini_giosue.pdf

[24] CNDCEC, documento “Costituzione della Holding”, maggio 2010, pag. 21.

[25] CNDCEC, documento “Costituzione della Holding”, maggio 2010, pag. 16.

[26]European Commission – Commission Staff Working paper  SEC(2011) 1169 final, cfr. http://ec.europa.eu/internal_market/publicprocurement/docs/public_public_cooperation/sec2011_1169_en.pdf

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