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Società miste di trasformazione urbana e problemi di inquadramento costituzionale della disciplina.
di Gerardo Guzzo 27 aprile 2012
Materia: società / disciplina

SOCIETA’ MISTE DI TRASFORMAZIONE URBANA E PROBLEMI DI INQUADRAMENTO COSTITUZIONALE DELLA DISCIPLINA

 

di

Gerardo Guzzo*

Sommario: 1. Premessa. 2. La funzione delle società di trasformazione urbana. 3. Costituzione ed oggetto delle STU. 4. La forma delle STU. 5. La convenzione. 6. Lo scioglimento. 7. Considerazioni finali.

1.      Premessa.

Le società di trasformazione urbana, meglio conosciute sotto l’acronimo STU, costituiscono un’interessante ipotesi di partenariato istituzionale pubblico-privato, strumentale ad una migliore gestione del territorio. In sostanza, esse danno corpo ad una sorta di longa manus della P.A. attraverso la quale dare attuazione alle scelte di pianificazione cristallizzate negli strumenti urbanistici. Tuttavia, la funzione delle STU non si riduce ad una mera esecuzione delle previsioni contenute nei piani, ma a questo compito essenziale si associano ulteriori attività che rendono tali moduli societari particolarmente utili sotto il profilo di una efficace e razionale gestione dei servizi che investono il territorio. Si pensi all’attività di progettazione degli interventi da realizzarsi, alla commercializzazione delle aree riqualificate ed, infine, alla gestione, in senso stretto, di servizi pubblici che, a vario titolo, possono riguardare le zone interessate. Proprio la complessità del cosiddetto core business rende le STU decisamente diverse rispetto agli altri tradizionali strumenti attuativi delle opzioni pianificatorie in quanto in esso sono racchiuse funzioni eminentemente esecutive di scelte discrezionali compiute dalla P.A. e funzioni autonome rispetto ai criteri guida dettati dalla stessa P.A., soprattutto in termini trasformazione urbana e, dunque, di garanzia di migliori qualità della vita. In questo senso, se si accede alla tesi che l’attività delle STU sia funzionale alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, si potrebbe concludere che la regolamentazione delle stesse costituisca ambito materiale del tutto sottratto alla legislazione regionale che, invece, nella ricostruzione più tradizionale dell’istituto, si giustifica in virtù della riconduzione dell’attività delle STU nell’ambito della materia del governo del territorio. La questione appena posta, unitamente al problema dell’assoggettamento delle STU alla disciplina generale dei meccanismi di gestione dei SPL, con tutte le conseguenze legate alla vexata quaestio dell’extraterritorialità, costituisce una chiara “spia” delle difficoltà incontrate da dottrina e giurisprudenza nell’inquadrare correttamente tali moduli societari.     

2.      La funzione delle società di trasformazione urbana.

Le società di trasformazione urbana sono state introdotte con l'articolo 17, comma 59, della legge 15 maggio 1997, n. 127, successivamente trasfuso nell'articolo 120 del T.U. delle leggi sull'ordinamento degli enti locali (decreto legislativo n. 267/2000).  Si tratta di modelli societari misti, costituiti tra Comuni, Città metropolitane e privati, cui possono partecipare Regioni e Province. Il Legislatore ha previsto le società di trasformazione urbana, il cui acronimo è STU, per realizzare interventi di trasformazione urbana attuativi degli strumenti urbanistici vigenti mediante un'attività di: a) acquisizione preventiva delle aree da trasformare, b) progettazione, c) realizzazione degli interventi, d) commercializzazione delle aree riqualificate, e) gestione anche degli eventuali servizi pubblici[1]. La disposizione che ha introdotto tale modulo societario si è resa necessaria in quanto il nostro sistema ordinamentale, prima della novella del 1997, non codificava operativamente i meccanismi di svolgimento degli interventi di trasformazione integrata, inserendosi, di guisa, nel solco di quelle norme che regolamentano la esternalizzazione di attività, servizi e funzioni pubbliche[2]. In altri termini, attraverso le società di trasformazione urbana vengono attribuite a soggetti sostanzialmente di diritto privato competenze di norma esercitate dalle P.A.. Tuttavia, in dottrina c’è anche chi ha ritenuto che le STU determinerebbero una traslazione di compiti e funzioni storicamente eseguiti da privati a beneficio della P.A.[3]. In verità, l’attività di trasformazione urbana, che rappresenta il cosiddetto core business delle STU, integra gli estremi di un vero e proprio pubblico servizio ed in quanto tale riconducibile al fascio di competenze proprie della pubblica amministrazione e questo indipendentemente dal modo in cui viene garantito. Altra considerazione che pare opportuno svolgere investe la circostanza che le società di trasformazione urbana si differenziano dai tradizionali strumenti di attuazione dei piani urbanistici atteggiandosi, piuttosto, ad ordinario strumento di governo del territorio che privilegi una logica collaborativa pubblico-privato. Come cennato precedentemente, l’oggetto sociale delle STU è costituito dalla trasformazione urbana che avviene mediante l’attività di acquisizione, progettazione,  trasformazione e commercializzazione delle aree. E’ del tutto evidente che centrale appare la configurazione del concetto di trasformazione urbana per meglio intendere la funzione “istituzionale” svolta dalle STU. Al riguardo, pare opportuno fare una premessa: l'espressione trasformazione urbana non è codificata dal nostro diritto positivo e, pertanto, bisogna comprendere in quali termini l'aggettivo urbana configuri la trasformazione allo scopo di circoscrivere l'ambito di operatività di tali società senza dimenticare che questi moduli societari non  svolgono solo attività d’impresa ma anche una significativa funzione pubblica[4]. In merito all’ambito territoriale di riferimento delle STU, è controverso se esse possano operare solo all’interno o anche all’esterno delle aree urbane. In questo senso, non sembra cogliere nel segno la tesi secondo la quale la lettera dell'articolo 17, comma 59, configura le STU come soggetti strumentali alle sole trasformazioni degli insediamenti urbani in quanto è proprio la stessa norma segnalata che stabilisce che le società in parola realizzano la trasformazione urbana attuando gli strumenti urbanistici vigenti, con questo mirando a soddisfare esigenze urbanistiche sia proprie della città che del territorio extraurbano. Parimenti di difficile condivisione risulta la tesi a tenore della quale le società di trasformazione urbana rappresenterebbero uno strumento dell'ente locale capace di realizzare qualsiasi modificazione del suo territorio[5]. Resta sicuramente escluso dall'ambito di operatività di tali società un ventaglio di attività, tra cui la progettazione e realizzazione di singole opere pubbliche, l'attività di cava o di bonifica. Forse la definizione più pertinente riguardo le società di trasformazione urbana è quella intimamente legata al concetto di trasformazione urbana sposato dalla giurisprudenza amministrativa. In tale ottica, applicando le coordinate tracciate dai giudici, le STU costituirebbero uno strumento non tanto da impiegarsi per trasformare il territorio, quanto, piuttosto, per modificare gli insediamenti umani, privilegiando progetti miranti a realizzare una più elevata qualità del contesto sociale[6].  Lo stretto legame tra queste due funzioni ha spinto parte della dottrina a ritenere che se la conformazione del territorio è funzione, accade dunque che anche i profili della trasformazione che lambiscono la funzione lo divengano. Ecco così che le società a cui la legge affida la trasformazione possono agire tanto come veri e propri imprenditori, quanto come strumenti indiretti dell'amministrazione per l'esercizio di una funzione in senso tecnico, nell'esercizio di ‘attività di cura concreta di interessi pubblici poste in essere nell'esercizio di poteri amministrativi' per l'adattamento della conformazione del territorio[7].

3.      Costituzione ed oggetto delle STU

Le società di trasformazione urbana appaiono degli strumenti attraverso i quali le Città Metropolitane e Comuni intervengono nell'economia locale in tutti quei casi in cui per intervenire su aree che presentano aspetti di particolare complessità non è possibile ricorrere al mercato per la regolamentazione dei vari interessi in campo. Esempio tipico è quello della eccessiva frammentazione della proprietà o del monopolio delle aree stesse da parte di soggetti determinati, come nel caso delle aree ferroviarie, dei beni demaniali, del patrimonio IERP, ecc. In sostanza, le STU risultano essere caratterizzate da una certa flessibilità e duttilità in quanto possono essere utilizzate dalle P.A. non solo per esercitare attività di impresa (progettazione, trasformazione e commercializzazione) ma anche pubbliche potestà, proprio perché concorrono ad integrare le previsioni dello strumento urbanistico generale, pur nel rispetto dei limiti di qualunque strumento attuativo. E’ possibile affermare, pertanto, che le STU sono degli strumenti attraverso i quali viene esercitata la funzione della P.A. di conformazione del territorio e quindi possono essere considerate una species del più ampio genus costituito dalle società miste[8], oggi previste dall’articolo 4 della legge n. 148/2011 e s. m. e integrazioni[9]. Le STU presentano, come specificato nella Circolare ministeriale 11 dicembre 2000, n. 622, i caratteri per divenire strumento ordinario di intervento per operazioni di rilevante interesse urbanistico e, di conseguenza, la loro applicazione è ancillare rispetto all'evoluzione, anche in atto, della strumentazione urbanistica sia a livello generale che attuativa. La norma cardine in materia di costituzione delle STU è indubbiamente l'articolo 120 del decreto legislativo n. 267/2000. Tale disposizione contiene, peraltro, alcune indicazioni procedimentali che riguardano la costituzione delle società di trasformazione urbana. L’Amministrazione, tenuto conto delle previsioni degli strumenti urbanistici vigenti, individua l'area da trasformare che ha luogo mediante la costituzione di una STU alla quale attribuisce la missione e fissa i criteri da seguire nella trasformazione che viene progettata ed attuata dalla società stessa. Il comma 1 dell'articolo 120 richiamato prevede che le società progettano e realizzano gli interventi di trasformazione urbana in attuazione degli strumenti urbanistici vigenti. Da tanto ne discende un certo margine di modifica dello strumento urbanistico generale da parte delle STU nei limiti ed alle condizioni riconosciute in generale allo strumento attuativo che, com’è noto, possiede una limitata capacità di integrazione delle previsioni di piano. In questo senso si è espresso il Ministero dei LL.PP con la precedentemente richiamata Circolare n. 622 dell’11 dicembre 2000. Tale fonte, infatti, chiarisce l'uso del termine ‘in attuazione' invece di ‘in conformità' allo strumento urbanistico, dizione che normalmente si rinviene nelle leggi di settore e che trova motivazione nella volontà del Legislatore di sottolineare pregiudizialmente che con gli interventi della società si devono conseguire gli obiettivi generali fissati dal piano. Viene infatti precisato, prosegue la Circolare, che in sede di piani attuativi possono essere contestualmente approvate varianti allo strumento urbanistico generale che riguardino una diversa allocazione di previsioni di dettaglio del piano regolatore, aventi, cioè, carattere prevalentemente edilizio, ovvero riguardanti la dotazione di opere pubbliche, ovvero di interesse generale. In altri termini, si riconosce la possibilità di un adeguamento in fase attuativa delle scelte puntuali operate alcune volte in modo inutilmente rigido a livello di strumento urbanistico generale. In presenza, perciò, di piani di natura strutturale, ovvero di normative che consentano  adeguamenti edilizi in fase esecutiva, è possibile ricondurre il termine ‘in attuazione degli strumenti urbanistici vigenti' entro i confini interpretativi dei principi che sovrintendono alle finalità che perseguono una maggiore continuità tra le scelte di pianificazione territoriale e la componente attuativa conseguente all'attivazione delle trasformazioni urbanistiche, anche con riferimento agli aspetti gestionali. Questo significa che il piano regolatore generale rappresenta lo strumento per la definizione delle scelte di fondo imprescindibili e non negoziabili mentre l’attuazione delle stesse viene demandata a strumenti urbanistici di secondo livello attraverso la definizione di una serie di parametri urbanistici concernenti l'utilizzo del territorio e le specifiche condizioni edificatorie[10]: la STU provvede, quindi, ad eseguire lo strumento urbanistico attuativo. La stessa giurisprudenza amministrativa non si è discostata da tale definizione[11] ritenendo che: 1) la deliberazione che concerne la costituzione di una società di trasformazione urbana di cui all'articolo 120 del d.lgs. n. 267/2000 e s. m. e integrazioni non costituisce uno strumento urbanistico e non ha né natura, né funzione di piano esecutivo; 2) questa società richiede la previa esistenza di uno strumento urbanistico generale e di uno attuativo, entrambi approvati. Il suddetto piano attuativo è necessario in quanto il piano regolatore contiene, per lo più, previsioni di larga massima ed una zonizzazione la cui definizione è normalmente rinviata ai piani particolareggiati (o, in alternativa, ai piani di lottizzazione); 3) la deliberazione di individuazione delle aree e di specificazione degli interventi può essere adottata prima oppure nelle more della costituzione della suddetta società; 4) è essenziale che la delibera di costituzione consideri in modo unitario l'intervento da realizzarsi e renda note le finalità perseguite. Se questi sono gli elementi caratterizzanti una STU, ne discendono i seguenti corollari: a)  la costituzione di una STU appare ipotizzabile solo se l'attività che pone in essere realizza le prescrizioni di un piano regolatore vigente. Naturalmente nell'ipotesi in cui l'intervento di trasformazione urbana si ponga in contrasto con le previsioni di piano occorrerà procedere alla modifica di quest'ultimo, con l'approvazione di specifiche varianti; b) la costituzione di una STU è ammissibile in assenza di piani attuativi del piano regolatore generale qualora si tratti di interventi da realizzarsi su aree per le quali questo preveda un elevato grado di analiticità delle prescrizioni; quindi, appare illegittima la costituzione di una STU sulla base di generiche previsioni di un piano di indirizzo generale; c)  la deliberazione di costituzione della STU deve rappresentare in modo unitario l'intervento di trasformazione urbana da realizzarsi, con riferimento alle finalità che si intendono soddisfare.  4. Il comma 2 dell'articolo 120 stabilisce, poi, che la STU deve provvedere alla preventiva acquisizione delle aree interessate all'intervento e che tale acquisizione può avvenire consensualmente o tramite ricorso a procedure espropriative. Nell'ipotesi in cui le aree siano di proprietà comunale, l'articolo 120, comma 3, del d.lgs. n. 267/2000 dispone che esse possano essere attribuite alla società a titolo di concessione. La conseguenza è che in virtù dei criteri e dei limiti fissati nella concessione ovvero nella convenzione tra società e soggetti terzi (comma 4) potranno eventualmente essere previsti rapporti di sub-concessione. L’assunto trova cittadinanza in specie nei casi di immobili aventi natura demaniale o patrimoniale indisponibile; diversamente, nel caso di beni del patrimonio, questi potranno essere ceduti alla STU. Qualora gli immobili siano di proprietà privata, le STU possono  optare per una duplice soluzione: a) iniziare un procedimento espropriativo; b) tentare una procedura consensuale. Qualora la soluzione sia quella ablatoria, non si pongono particolari problemi in virtù del fatto che si tratta di un meccanismo procedurale trilatero che vede coinvolti un soggetto espropriante (il Comune), uno espropriato (il proprietario), uno beneficiario della procedura di espropriazione (la STU). Diverso è il discorso nel caso di acquisizione degli immobili per via consensuale. Il procedimento all’apparenza sembra abbastanza semplice nel senso che la società negozia con i proprietari l'acquisizione delle aree a fronte di un prezzo determinato, risultante dalla libera contrattazione delle parti. Si è ritenuto che tale procedura consensuale possa essere ricondotta nell’alveo della cessione volontaria disciplinata dall'articolo 12, comma 1, della legge 22 ottobre 1971, n. 865. Tale procedura darebbe luogo ad un segmento procedurale di natura endoprocedimentale che si innesta nel più generale procedimento di esproprio generando l’immediato effetto traslativo della proprietà a favore della P.A.. Il corrispettivo da versarsi al proprietario, pertanto, non sarebbe determinato dal libero gioco di mercato ma dai parametri fissati dall’articolo 5-bis del decreto legge n. 333/92, convertito nella legge n. 359/92[12].  

4.      La forma delle STU

L’articolo 120 del d.lgs. n. 267/2000 e s. m. e integrazioni non lascia spazio a dubbi interpretativi facendo espressamente riferimento alle sole società per azioni. L’interpretazione restrittiva della norma sembra doversi preferire in quanto, facendo buon governo dell’antico brocardo ubi lex voluit dixit ubi nolui tacuit, se il Legislatore avesse voluto inserire un’altra tipologia societaria non avrebbe esitato a farlo. In realtà, la scelta delle sole società per azioni non è un mero caso come, del resto, osservato da attenta dottrina[13]. La complessità dei fini che la STU è chiamata a perseguire impone lo svolgimento di un'attività necessariamente onerosa, correlata ad un'adeguata capitalizzazione, che solo la società per azioni può garantire. Da tali considerazioni discende che non è ipotizzabile la detenzione dell'intero capitale sociale da parte del Comune per diversi motivi il più importante dei quali è indubbiamente costituito dalla previsione contenuta nell’articolo 17, comma 51, della legge n. 127/97 che fa espresso riferimento all’ipotesi di trasformazione dell’azienda speciale in società per azioni e, comunque, per un tempo limitato. Si pone, allora, il problema di individuare i soci che possono concorrere alla costituzione di una STU. Si ritiene che i soci che possono partecipare alla società possano essere di tre tipi: a) i proprietari delle aree o degli edifici che possono diventare azionisti mediante conferimento delle aree cedute; b) la Regione o la Provincia, come previsto dalla norma, o altri soggetti pubblici che possono conferire i beni in proprietà o mediante concessione del diritto di superficie; c) altri soci privati scelti attraverso un procedimento di gara pubblica la cui preferenza deriva da vari fattori: apporto al capitale, capacità organizzatoria e imprenditoriale. Per quanto riguarda il problema specifico della partecipazione dei proprietari delle aree o edifici alla società, la Circolare ministeriale n. 622/2000 ne riconosce l'ammissibilità, precisando: le modalità di conclusione dei contratti pubblici sono nella sostanza tre: l'asta pubblica (procedura aperta), la licitazione privata (procedura ristretta) e la trattativa privata (procedura eccezionale/negoziata). Pur non stabilendo l'articolo 120 le modalità attraverso le quali devono essere selezionati i soci privati, è stata già evidenziata l'applicabilità analogica delle disposizioni in tema di società miste per l'erogazione di servizi pubblici e, in particolare, del d.P.R. del 16 settembre 1996, n. 533. E questo deve, dunque, essere considerato il sistema generale di scelta dei soci privati (…). Occorre, tuttavia, avvertire che il ricorso alla trattativa privata, in luogo della procedura degli incanti e della licitazione, è un mezzo eccezionale; pertanto, il provvedimento con il quale si decide di ricorrere alla procedura della trattativa privata deve tener conto delle speciali ed eccezionali circostanze che hanno consigliato tale procedura, attraverso una esposizione delle ragioni che hanno indotto l'Amministrazione ad avvalersi di tale strumento, quali, ad esempio, le richiamate motivazioni economico-finanziarie. Indipendentemente da ogni questione legata alla scelta dei proprietari delle aree a trattativa privata, è lo stesso articolo 120, comma 1, del d.lgs. n. 267/2000 a stabilire che la scelta degli azionisti privati della STU avvenga tramite la procedura di evidenza pubblica. Del resto, il principio generale della gara, in quanto di derivazione comunitaria, ha trovato immediata cittadinanza sia nell’articolo 23 bis del decreto legge n. 112/2008 e s. m. e integrazioni, poi abrogato dal referendum dell’11 e 12 giugno 2011, che nel successivo articolo 4 del decreto legge n. 138/2011, recante la “nuova” disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica[14]. In merito alla partecipazione diretta di Regioni e Province, questa  deve intendersi come il riconoscimento esplicito del ruolo diverso e più rilevante che viene loro attribuito rispetto ad altri possibili soci pubblici, in virtù dei poteri che sono chiamate ad esercitare con riferimento al governo del territorio. La norma, inoltre, non introduce nessun sbarramento alla partecipazione di altri soggetti pubblici a condizione, però, che siano rese pubbliche le ragioni che ne giustificano l’ingresso[15]. Gli altri partners privati della società per azioni dovranno essere individuati tramite procedura di evidenza pubblica. La scelta dei soci privati può essere definita a “geometria variabile”, nel senso che la tipologia dei soci varia a seconda degli obiettivi che la STU dovrà realizzare. Il coinvolgimento di soci costruttori, ad esempio, si giustifica se la  STU dovrà operare come impresa edile in senso stretto. Diversamente, soci esperti nel project financing saranno selezionati se l'aspetto finanziario sarà dominante, così come la scelta  di soci libero professionisti se l’attività della STU sarà limitata alla sola attività di engineering. Per quanto concerne gli aspetti operativi, nello svolgimento dell'attività di progettazione e costruzione, la STU può operare attraverso due modalità: 1) avvalersi di una propria organizzazione interna, che provvede direttamente alla progettazione ed alla costruzione e 2) rivolgersi al mercato attraverso l'affidamento all'esterno di queste attività. Nel caso in cui la STU intenda rivolgersi al mercato esterno, ci si chiede quali siano i vincoli che possono condizionare la scelta della STU nello svolgimento di procedure di evidenza pubblica. Se si considera che l’attività della STU consiste nella realizzazione di manufatti privati e nella loro commercializzazione, considerando secondaria la realizzazione di opere pubbliche, non sussisterebbe per tali società l'obbligo di applicare procedure di evidenza pubblica, vista la natura privatistica dell'attività da esse esercitata[16].  L'opinione prevalente in dottrina ed in giurisprudenza ritiene, invece, che, nei rapporti tra STU e soggetti terzi, debbano applicarsi le ordinarie procedure concorsuali (nel rispetto delle regole concorrenziali), anche in considerazione del fatto che la STU partecipa alla funzione pubblica, concorrendo alla determinazione delle scelte circa l'assetto del territorio. Tali considerazioni trovano riscontro anche nella giurisprudenza amministrativa[17]. Ovviamente, nel caso in cui la STU non realizzasse direttamente tutti gli interventi per il raggiungimento dei quali è stata costituita, questa stessa dovrebbe individuare i soci più adatti al termine di un confronto concorrenziale, nel rispetto della normativa di settore. Questo aspetto consente di chiarire meglio quali siano le finalità per cui una STU viene costituita. Al riguardo va ricordato che l’articolo 120 del d.lgs. n. 267/2000 delinea chiaramente le finalità per il raggiungimento delle quali una società di trasformazione urbana viene costituita. Esse sono identificate nella progettazione e nella realizzazione di interventi di trasformazione urbana. A tal fine, la STU  provvede alla preventiva acquisizione delle aree interessate dall'intervento, alla trasformazione e alla commercializzazione delle stesse. La commercializzazione, indubbiamente, rappresenta la fase più eminentemente privatistica, essendo finalizzata a realizzare il ritorno economico degli investimenti. Viene da chiedersi se nello svolgimento di tale fondamentale attività la STU incontri o meno dei limiti. In verità, tale attività non esclude che le società di trasformazione urbana decidano di non vendere i beni prodotti e di limitarsi alla mera gestione. Questo significa, per conseguenza, che i beni prodotti (abitazioni con destinazione residenziale, immobili con destinazione commerciale o direzionale) ben potranno essere collocati sul mercato senza alcun limite di sorta nella scelta dei contraenti, fissazione del prezzo o altre modalità di commercializzazione del bene, fatti salvi eventuali limiti che derivino dalla convenzione o dallo statuto.   

5.      La convenzione

La convenzione, secondo il comma 4 dell'articolo 120 del T.U., disciplina i rapporti tra l'ente locale azionista e la società. Il contenuto può variare stando a quanto chiarito dalla Circolare n. 622/2000, più volte richiamata in precedenza. In particolare, la convenzione può contenere previsioni che  riguardino le prescrizioni e le modalità cui la società deve attenersi nell'attuazione dell'intervento di trasformazione urbanistica;  può indicare le cause di scioglimento del vincolo sociale; può fissare le clausole che disciplinano più puntualmente i rapporti tra i soci (la quota di finanziamenti di ciascuna parte in aggiunta all'apporto di capitale, le modalità di anticipazione di tali finanziamenti, le modalità di remunerazione della società, ecc.).

6.      Lo scioglimento delle STU

 Al pari di tutte le società, una volta raggiunto lo scopo sociale, cioè la commercializzazione degli edifici, le società si sciolgono a meno che le stesse esigenze di commercializzazione impongano un'attività da svilupparsi nel tempo: ciò potrebbe verificarsi nel caso in cui la trasformazione abbia dato luogo a struttura di servizio pubblico locale e l'ente locale ritenga che la gestione del servizio stesso debba essere affidata alla STU, nella considerazione che proprio la gestione costituisca la migliore commercializzazione del prodotto della trasformazione[18] .  

7.      Considerazioni finali

 

L’inquadramento delle STU crea non pochi problemi sotto il profilo della disciplina costituzionale. Infatti, se si accede alla tesi dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, richiamata nel presente lavoro, a tenore  della quale le STU costituirebbero uno strumento volto a modificare gli insediamenti umani, privilegiando progetti miranti a realizzare una più elevata qualità del contesto sociale, la regolamentazione dell’attività di tali soggetti potrebbe essere ricondotta trasversalmente alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, per effetto dell’implicito riferimento all’articolo 117, comma 1, lett. m) della Carta. Né a diversa soluzione si perverrebbe, sempre in termini di competenza legislativa, qualora le STU venissero considerate alla stessa stregua dei moduli societari misti chiamati alla gestione di SPL di rilevanza economica, di cui all’articolo 4, comma 8, legge n. 148/11, perché in quel caso la relativa disciplina verrebbe attratta dall’orbita dell’articolo 117, comma 1, lett. e), della Costituzione, vale a dire all’interno della materia della tutela della concorrenza che, al pari dell’ambito materiale costituito dalla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali (lett. m), spetta allo Stato disciplinare, non residuando in capo alle Regioni nessuna potestà legislativa. Se così fosse, dovrebbero essere considerate costituzionalmente illegittime tutte le leggi regionali che, tuttavia, in virtù dell’inquadramento tradizionale della disciplina, hanno continuato a regolamentare la materia sul presupposto che la normativa regionale di dettaglio trovasse il suo naturale riferimento costituzionale nell’articolo 117, comma 2, e più precisamente all’interno della materia del “governo del territorio”. In realtà, il problema dell’allocazione costituzionale della disciplina de qua non è di così facile soluzione, contrariamente a quanto fino ad oggi sostenuto, atteso che le STU hanno un oggetto piuttosto complesso che assorbe aspetti riconducibili a tutti e tre gli ambiti materiali coinvolti (tutela della concorrenza, determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni e governo del territorio). Ad esempio, qualora si ritenga che le STU siano assimilabili alle società miste di cui all’articolo 4, comma 8, legge n. 148/2011, allora ne discenderebbe l’applicabilità alle medesime del portato del comma 33 del citato articolo 4[19], con conseguente extraterritorialità della relativa attività. Ciò condurrebbe ad un ulteriore approdo: la riconducibilità della disciplina all’interno dell’orbita dell’articolo 117, comma 1, lett. e) della Costituzione. Militerebbe a favore di una ricostruzione del genere anche la circostanza che tali società possono cedere le aree riqualificate il che, indubbiamente, costituisce un’attività economicamente rilevante. In tal caso, la disciplina dovrebbe essere esclusivamente statale. Nondimeno sostenibile è l’inquadramento delle STU tra quei soggetti che, attraverso un’attività di riqualificazione, garantiscono migliori condizioni di vita, incidendo, di guisa, sui livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali delle popolazioni interessate. Pare essenziale, allora, un’adeguata ponderazione degli interessi protetti in gioco. In altri termini, si tratterebbe di capire se l’interesse all’ordinato assetto e sviluppo del territorio, tipica derivazione della materia del governo del territorio, sia prevalente rispetto al bisogno di garantire, in quelle stesse zone, adeguati livelli prestazionali concernenti i diritti civili e sociali. La sensazione che si ricava dalla lettura dell’articolo 120 del d.lgs. 267/00 è che ci si trovi di fronte a dei moduli societari che, per meccanismi di selezione del partner privato ed oggetto sociale (attività di progettazione e vendita delle aree riqualificate), siano assolutamente simmetrici alle ipotesi di società miste previste dal comma 8 dell’articolo 4 della legge n. 148/11. Se l’analisi coglie nel segno, allora ci troveremmo di fronte a modelli societari destinati ad operare ben oltre i confini dell’ente costituente e partecipante, la cui disciplina, in virtù delle evidenti ricadute in un sistema di libero mercato, non può che essere demandata allo Stato e solo allo Stato anche in ragione della specifica mission d’impresa delle STU che appare essere quella di ottimizzare la qualità della vita degli utenti finali.



*Professore incaricato di Organizzazione delle Public Utilities presso l’Università degli Studi della Calabria e partner dello studio legale internazionale Gerardo Guzzo & Associates.

[1] Diversi Autori in dottrina si sono soffermati sul tema. Si veda: G. BERGONZINI, Le società di trasformazione urbana (art. 17, comma 59, legge 127 del 1997), in Riv. Giur. Urb., 1997, p. 127 ss.; M. BREGANZE, Le società di trasformazione urbana: prime note, in Riv. Giur. Urb., 1997, p. 163 ss.; L. DE LUCIA, Le società di trasformazione urbana nell'ordinamento italiano (comma 59 dell'art. 17 della legge 15 maggio 1997, n. 127), in Riv. Giur. Ed., 1998, p. 68 ss.; G. DE MARZO, Le società di trasformazione urbana, in Urb. e appalti, 1997, p. 855 ss.; P. MANTINI, Le società di trasformazione urbana. Profili giuridici e organizzativi, in Riv, giur. Appalti, 1997, p. 519 ss. e G. PAGLIARI, Le società di trasformazione urbana, in Riv. Giur. Urb., 1998, p. 87 ss.

[2] Cfr. M. DUGATO, Oggetto e regime delle società di trasformazione urbana, in Diritto Amministrativo, Riv. Trim., 3-4/1999, p. 512 ss.

[3]  BERGONZINI, Le società di trasformazione urbana (art. 17, comma 59, legge 127 del 1997), cit., p. 150.

[4] M. DUGATO, Oggetto e regime delle società di trasformazione urbana, cit., p. 524 ss.

[5] PAGLIARI, Le società di trasformazione urbana, cit., p. 92, il quale sembra ricollegare lo strumento delle Stu all'esercizio di una vasta gamma di attività.

[6] In terminis: Cons. Stato, Ad. Plen.,  12 ottobre 1991, n. 8, in Riv. Giur. Edil.,  1992, I, p. 127; Cons. Stato, V, 14 dicembre 1994, n. 1486, in Foro amm., 1994, p. 2821; Cons. Stato, sez. II, 10 luglio 1996, n. 2074/94/1996, in Cons. Stato, 1997, I, p. 1504. Anche Cass., sez. III pen., 24 ottobre 1997, in Ced Cass., rv. 209207.

[7] M. DUGATO, Oggetto e regime delle società di trasformazione urbana, cit., p. 594 .

[8] M. DUGATO, Oggetto e regime delle società di trasformazione urbana, cit., p. 594: l'ormai imponente complesso normativo che ha ad oggetto le società degli enti locali consente di affermare che esiste un genus unico di società, di cui le società per la gestione dei servizi pubblici, maggioritarie o minoritarie, e le società di trasformazione urbana non sono altro che species. M. DUGATO, Oggetto e regime delle società di trasformazione urbana, cit., p. 530.

 

[9] Vale la pena ricordare che l’articolo 4 della legge n. 148/2011, di conversione del d.l. n. 138/2011,  ha sostituito integralmente il contenuto dell’articolo 23-bis del d.l. n. 112/2008  e s.m. ed integrazioni, abrogato all’esito del referendum abrogativo dell’11 e 12 giugno 2011 in uno al d.P.R. n. 168/2010 costituente il regolamento di attuazione.

[10] R. MANGANI, Le Stu svincolate dalla legge Merloni per realizzare gli interventi edilizi, in Edil. e Terr., 14/2001, p. 20 ss.

[11] Ex multis: T.A.R. Marche 11 giugno 1998, n. 698, in Riv. Giur. Urb., nota di GARZIA, Pianificazione urbanistica comunale e società di trasformazione urbana, p. 226 ss.: la decisione del TAR … presenta diversi motivi di interesse, ma soprattutto si segnala all'attenzione in quanto costituisce la prima pronuncia in tema di società di trasformazione urbana.

[12] P. URBANI, Trasformazione urbana e società di trasformazione urbana, in Riv. Giur. Urb. , 3-4/2000, p. 631.

[13] M. CAMMELLI A. ZIROLDI, Le società a partecipazione pubblica nel sistema locale, Rimini, 1999, p. 470: si tratta, a ben vedere, di una scelta non priva di fondamento, se si considera l'impegno finanziario e progettuale richiesto dall'attività di trasformazione del territorio urbano, che sembra eccedere i limiti di struttura e funzione di altre forme societarie.

[14] Sul punto si rinvia a G. GUZZO, La nuova disciplina dei SPL di rilevanza economica dopo il restyling del d.l. n. 138/2011; in www.lexitalia.it; n. 7-8/2011.

[15] Secondo BREGANZE, in Le società di trasformazione urbana, cit., p. 171, la partecipazione pubblica alle STU sarebbe limitata agli enti costitutori (Comune e Città Metropolitana) e a Provincia e Regione, non essendo consentito l'ingresso ad altre amministrazioni pubbliche.

[16] In questo senso R. MANGANI, Le Stu svincolate dalla legge Merloni per realizzare gli interventi edilizi, cit., p.22, che afferma:  “(…) la Stu, se correttamente utilizzata, è funzionale alla realizzazione di interventi di trasformazione urbana rispetto ai quali l'eventuale presenza di opere pubbliche si pone in funzione collaterale e strumentale rispetto all'attività istituzionale, che è appunto la riqualificazione di un ambito urbano attraverso la realizzazione e commercializzazione di manufatti privati; e cioè una tipica attività connotata dal rischio d'impresa. Ed è quindi coerente, rispetto a questa configurazione, la mancanza di qualunque obbligo ad applicare procedure di evidenza pubblica che sono destinate a regolamentare fenomeni del tutto diversi (…)”.

[17] In terminis: sentenza del TAR Lazio del 20 maggio 1998, n. 962, con la quale il giudice amministrativo, chiamato a pronunciarsi sull'affidamento diretto all'Agenzia  romana per la preparazione del giubileo di interventi relativi alle opere pubbliche connesse alla celebrazione di detto evento, pur affermandone nel caso specifico la legittimità, ha sostenuto che tale strumento non sarebbe stato legittimo qualora avesse riguardato una società a partecipazione pubblica che offre genericamente servizi sul mercato e non è in rapporto di strumentalità con l'ente locale.

[18] M. DUGATO, Oggetto e regime delle società di trasformazione urbana, cit., p. 576.

[19] Per un approfondimento sull’argomento si rinvia a G. GUZZO, Brevi riflessioni sui nova dei SPL dopo la legge di stabilità n. 183/2011; in www.lexitalia.it; n. 12/2011.

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