IL NUOVO ORDINAMENTO DEI SERVIZI PUBBLICI LOCALI
1. L’adeguamento al diritto comunitario
1.1. Con l’art. 14 del d.l. 269/03, conv. della l. 326/03 il legislatore ha inteso adeguare la normativa interna sui servizi pubblici locali alle norme dettate dal Trattato della UE in materia di servizi di interesse generale.
Ciò allo scopo di evitare che la Commissione europea desse seguito nei confronti dell’Italia al procedimento di infrazione comunitaria, preannunciato nella formale messa in mora del 26 giugno 2002, per la non compatibilità di alcune norme dell’art. 35 della l. 448/01 con il diritto comunitario.
1.2. E’, peraltro, da considerare che, indipendentemente dallo scopo immediato che il legislatore ha inteso raggiungere con l’art. 14 del d.l. 269/03, le disposizioni dettate dal Trattato della UE in materia di servizi di interesse generale sono applicabili negli ordinamenti dei singoli Stati membri, anche se non espressamente recepite, in base al principio del c.d. <primato> e a quello dei c.d. <effetti diretti> del diritto comunitario.
In forza del primo (principio della supremazia o del primato) - fondato sull’esplicita premessa della “integrazione” dell’ordinamento giuridico comunitario in ciascuno degli ordinamenti dei singoli Stati membri (tesi c.d. “monista”) - ogni norma di diritto comunitario, ritenuta sovraordinata a quelle interne degli Stati membri, deve prevalere su qualsiasi norma di diritto interno, d’ogni ordine e grado, anteriore o successiva alla prima, collidente con quest’ultima.
In virtù del secondo (principio degli effetti diretti o della efficacia diretta) - fondato sulla esplicita premessa che il diritto comunitario, indipendentemente dalle norme emanate dagli Stati membri, nello stesso modo in cui attribuisce al singoli degli obblighi, attribuisce loro dei diritti soggettivi — le norme giuridiche prodotte da fonti primarie (Trattati e loro modificazioni) o derivate (direttive e decisioni) del diritto comunitario - ad eccezione di quelle prodotte dai regolamenti, cui l’articolo 249, ex articolo 189, comma 2 del Trattato attribuisce già, espressamente, il carattere della “diretta applicabilità” in ciascuno degli Stati membri - purché connotate da determinate caratteristiche di contenuto, debbono essere giuridicamente trattate, dagli Stati membri “come diritto nazionale”: vale a dire, come immediatamente costitutive di situazioni giuridiche soggettive tutelabili dinanzi al giudice nazionale al pari di quelle costituite, appunto, sulla base delle norme di diritto nazionale.
E ciò - si ribadisce - indipendentemente dalla attuazione delle norme stesse nei singoli ordinamenti con atto normativo interno costituzionalmente idoneo a tal fine: attuazione, che, perciò - ove non intervenuta - continua a formare, comunque, oggetto di distinto, specifico e vincolante obbligo di ciascuno degli Stati membri.
L’applicazione coordinata e congiunta di entrambi tali principi determina la regola essenziale, secondo cui il diritto comunitario, idoneo a spiegare “efficacia diretta”, deve essere giuridicamente trattato, nell’ordinamento giuridico dei singoli Stati membri, come “diritto nazionale prevalente” su quello “interno” - d’ogni ordine e grado, anteriore o successivo — con esso collidente; con la conseguenza che, in tal caso, la norma interna incompatibile con quella comunitaria deve essere, comunque, disapplicata dal giudice nazionale (cfr. Cass. 10 dicembre 2002, n. 17564).
1.3. Nel dare applicazione alle nuove norme sui servizi pubblici locali recate dall’art. 14 del d.l. 269/03 non si potrà, perciò, non tener conto del diritto comunitario – al quale, come dianzi precisato, il legislatore ha inteso adeguarsi nell’emanare le dette nuove norme – e dei principi elaborati dalla Corte di giustizia. Questo anche al fine dell’interpretazione della legge nazionale nelle parti in cui dovesse rivelarsi dubbia o lacunosa.
2. La distinzione tra servizi pubblici locali a rilevanza economica e privi di rilevanza economica.
2.1. L’art. 14 del d.l. 269/03 (così modificando gli artt. 113 e 113-bis del t.u. 267/2000, in seguito: TUEL) ha introdotto la distinzione tra servizi pubblici locali (in seguito: SPL) aventi rilevanza economica e SPL privi di rilevanza economica, sostituendo quella tra SPL aventi e non aventi rilevanza industriale prevista nel previgente testo degli artt. 113 e 113-bis del TUEL (come, rispettivamente, modificato e introdotto dall’art. 35 della l. 448/01).
L’art. 14, cit., non elenca i SPL a rilevanza economica (e, se non altro per esclusione, quelli privi di rilevanza economica) né rinvia, come invece, faceva l’art. 35, c. 16 della l. 448/01 (ora abrogato), per i SPL aventi rilevanza industriale, ad un emanando (ma mai emanato) regolamento governativo.
2.2. Per individuare i SPL a rilevanza economica occorre, in effetti, rifarsi al diritto comunitario.
Gli artt. 16 e 86, p. 2, del Trattato si occupano, invero, sia pure per determinati, particolari aspetti, dei <servizi di interesse economico generale>.
I <servizi> presi in considerazione dai citati artt. 16 e 86, p. 2, del Trattato, dunque, devono:
a) essere di <interesse generale> e
b) avere <carattere economico>.
2.3. La nozione di <servizi di interesse generale> non è fornita dal Trattato; dalla giurisprudenza della Corte di giustizia, si ricava, tuttavia, che deve trattarsi di servizi che riguardano la collettività, che sono cioè volti a soddisfare bisogni generali dei cittadini o, comunque, degli utenti o dei consumatori finali.
2.4. Secondo la Corte di giustizia ogni attività che implica l’offerta di beni e servizi su un dato mercato e che può essere svolta da un privato a scopo di lucro è un’attività economica.
2.5. I SPL aventi rilevanza economica sono, pertanto, tutti quei servizi che riguardano la collettività e che vengono offerti in un determinato mercato dietro il pagamento, da parte degli utenti, di un prezzo (o canone), che, di regola, serve a coprire i costi, oltre a remunerare il capitale investito.
2.6. I SPL privi di rilevanza economica sono, di conseguenza, quei servizi che hanno principalmente carattere solidaristico e che non danno luogo alla realizzazione di profitti o che, comunque, non vengono svolti a scopo di lucro.
2.7. In questa prospettiva, appare evidente che vi possono essere servizi che, in determinati contesti (storici, geografici, sociali, ecc.), hanno carattere economico e, in altri, che non lo hanno (cfr. Barbiero A. “Note di analisi sull’evoluzione del sistema normativo di riferimento per i servizi locali”).
Il che, in definitiva, comporta che il carattere economico o non economico di un servizio non può essere stabilito aprioristicamente (ed è per questo che è praticamente impossibile formulare degli <elenchi>), ma va determinato di volta in volta secondo i criteri dianzi esposti.
3. I settori esclusi.
3.1. Occorre, tuttavia, tener presente che dall’applicazione delle disposizioni dell’art. 113 TUEL sono stati esclusi i settori:
a) dell’energia elettrica;
b) del gas.
Questo, ovviamente, non significa che i detti servizi non hanno carattere economico (il che comporterebbe l’applicazione dell’art. 113-bis del TUEL), ma, più semplicemente, che ad essi non si applica nessuna delle disposizioni dell’art. 113 TUEL.
I servizi appartenenti ai settori esclusi risultano, pertanto, disciplinati:
a) dalle norme del Trattato UE sui servizi di interesse economico generale;
b) dalle normative di settore e cioè: l’energia elettrica dal d.l.vo 79/99 e s.i.m. e il gas dal d.l.vo 164/2000 e s.i.m.
In entrambi i casi si tratta di normative di derivazione comunitaria, in quanto con i detti decreti è stata data attuazione, rispettivamente, alle direttive 96/92/CE e 98/30/CE.
3.2. Ai settori <esclusi> non si applicano neanche le <residue> disposizioni (salvo una) dell’art. 35 della l. 448/01 (ossia quelle rimaste in vigore dopo l’abrogazione operata con l’art. 14 del d.l. 269/03).
I commi 7, 9,10 e 11 dell’art. 35 dettano disposizioni di attuazione dell’art. 113 TUEL per cui non applicandosi questo non pare possibile applicare neppure i primi.
Il comma 6 dell’art. 35 riguarda i SPL con ambito territoriale di dimensione sovracomunale, tra i quali non rientrano quelli dell’energia elettrica e del gas.
Il comma 8 dell’art. 35 si occupa della trasformazione delle aziende speciali in società di capitali e, quindi, non interessa in modo specifico i settori esclusi.
I commi 12 e 13 dell’art. 35 prevedono modificazioni e abrogazioni di varie disposizioni di legge.
In definitiva, l’unica disposizione dell’art. 35, che risulta applicabile ai <settori esclusi> è quella contenuta nel comma 14, che attiene agli “standard di qualità” dei servizi pubblici e alle “modalità di vigilanza e controllo delle aziende” che li esercitano.
3.3. La previsione che le disposizioni dell’art. 113 TUEL sono “integrative delle discipline di settore” e quelle (v. commi 3,5,7,8,13,14 e 15 –bis dell’art. 113) che fanno <salve> le discipline di settore, riguardano perciò settori diversi da quelli <esclusi>.
Così, ad es., nei settori dei servizi idrici e della gestione dei rifiuti, l’organizzazione del servizio per ambiti territoriali ottimali sarà disciplinata dalle normative di settore (l. 36/94, d.l.vo 22/1997 e leggi regionali), mentre le modalità di affidamento del servizio dall’art. 113 TUEL (modif. dall’art. 14, d.l. 269/03).
3.4. Ai settori non esclusi (quindi a tutti, tranne l’energia elettrica e il gas), pertanto, si applicano:
a) le norme del Trattato UE sui servizi di interesse economico generale;
b) le normative di settore;
c) l’art. 113 del TUEL;
d) le <residue> norme dell’art. 35 l. 448/01.
4. La tutela della concorrenza.
4.1. Le disposizioni dell’art. 113 del TUEL – come ora stabilisce il <nuovo> comma 1° di tale articolo -, che disciplinano “le modalità di gestione ed affidamento dei servizi pubblici locali concernono la tutela della concorrenza e sono inderogabili”.
La <libera concorrenza> è una delle libertà fondamentali previste dal Trattato UE (le altre sono: la libera circolazione delle merci, dei lavoratori e dei capitali; la libertà di stabilimento e la libera prestazione dei servizi).
La <tutela della concorrenza> è riservata alla potestà esclusiva dello Stato [art. 117, c. 2, lett. e), Cost.].
4.2. Le disposizioni dell’art. 113 TUEL sono, quindi, dirette a tutelare una delle libertà fondamentali previste dal Trattato, ossia, appunto, la <libera concorrenza>: esse, pertanto, sono, non solo <integrative> delle discipline di settore (ad eccezione dei settori esclusi), ma, altresì, inderogabili da parte di dette discipline.
4.3. Ciò, però, limitatamente alle “modalità di gestione e di affidamento dei servizi pubblici locali” [di rilevanza economica], posto che, in tal caso, l’intervento legislativo dello Stato trova il suo fondamento nella “tutela della concorrenza”, mentre, per il resto, è da ritenere che la materia dei SPL non rientri nella potestà legislativa, né esclusiva né concorrente, dello Stato, ma in quella delle regioni.
4.4. Le regioni potranno, quindi, emanare disposizioni in materia di SPL, ma dovranno, per quel che attiene alle “modalità di gestione ed affidamento” dei servizi stessi, conformarsi alle <inderogabili> disposizioni dettate in proposito dall’art. 113 TUEL.
4.5. Fermo restando l’obbligo di cui sopra, è da ritenere che le regioni potranno emanare disposizioni anche in materia di gestione ed affidamento dei SPL <economici>, purchè dette disposizioni si limitino ad integrare e completare quelle previste dall’art. 113 TUEL.
Appare, perciò, ad es., costituzionalmente legittima la disposizione prevista dal progetto di legge della Regione Toscana (approvato dalla G.R. il 20 ottobre 2003), la quale prevede che il socio privato delle <società miste> (v. infra) deve sottoscrivere “una quota azionaria non inferiore al 40% del capitale sociale”.
4.6. Le altre disposizioni dell’art. 113 TUEL (come modificato dall’art. 14 del d.l. 269/03) e dell’art. 35 della l. 448/01 (non abrogate dall’art. 14, cit.), che non “concernono la tutela della concorrenza”, sono, invece, derogabili dalle “discipline di settore” e, quindi, anche dalle leggi regionali, in quanto la disciplina dei settori che riguardano i SPL (sia economici, che non economici) rientra, in genere, nella potestà legislativa esclusiva delle regioni.
Le disposizioni <derogabili> dell’art. 113 TUEL e della l. 448/01 dovranno, in definitiva, essere applicate solamente se non vi sono leggi regionali di settore che disciplinano la materia e, in ogni caso, fino all’emanazione di dette leggi (art. 1, c. 2, l. 5 giugno 2003, n. 131).
Al riguardo è opportuno ricordare che le leggi regionali non possono essere <disapplicate> anche se <invasive> della potestà legislativa esclusiva dello Stato, ma solo dichiarate (se <invasive> di detta potestà) costituzionalmente illegittime dalla Corte costituzionale, unicamente alla quale compete, ai sensi dell’art. 134, c. 1, Cost., il giudizio sulla legittimità costituzionale delle leggi statali e regionali (Corte cost. 14 giugno 1990, n. 285).
5. L’erogazione dei SPL <economici>.
5.1. L’erogazione dei SPL <economici> può essere affidata a (art. 113, c. 5 TUEL): a) società di capitali individuate attraverso l’espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica; b) società a capitale misto pubblico/privato; c) società a capitale interamente pubblico.
5.2. La scelta della <forma> di gestione di un SPL (tra quelle previste dalla legge) è, di norma, rimessa alla potestà discrezionale dell’ente locale titolare del servizio stesso (cfr. Spadoni B., “Assetto gestionale e regolazione dei servizi pubblici locali in una prospettiva di responsabilità sociale dell’impresa”).
Il c. 5-bis dell’art. 113 TUEL (introdotto con l’art. 4, c. 234 della l. n. 350 del 2003) prevede, tuttavia, che le normative di settore, al fine di superare assetti monopolistici, possono introdurre regole che assicurino concorrenzialità nella gestione dei servizi da esse disciplinati, prevedendo “criteri di gradualità nella scelta della modalità di conferimento del servizio”.
In base alla su riferita disposizione deve, ad es., ritenersi possibile che le normative di settore stabiliscano, semprechè ciò effettivamente serva a “superare assetti monopolistici”, che i c.d. affidamenti in house (v. infra) abbiano una determinata durata massima, con obbligo, al termine della stessa, di affidare il servizio o mediante gara o a società miste, ai sensi delle lett. a) e b) del c. 5, dell’art. 113 TUEL.
5.3. Le disposizioni relative alle modalità di erogazione dei SPL <economici>, essendo previste dall’art. 113 TUEL, non si applicano ai <settori esclusi>, ai quali, perciò, anche per tale aspetto, continuano ad applicarsi le specifiche normative di settore, le quali prevedono che l’affidamento della gestione del servizio avviene mediante gare ad evidenza pubblica (e non a società miste o a totale capitale pubblico).
Lo stesso vale per lo svolgimento delle gare per cui ai <settori esclusi> non si applicano, ad es., i commi 6 (esclusione dalle gare), 7 (modalità di aggiudicazione delle gare) e 8 (gara unica) dell’art. 113 TUEL.
5.4. La disciplina dell’affidamento dei SPL a società di capitali individuate attraverso l’espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica è rimasta, anche dopo le modificazioni apportate all’art. 113 TUEL dall’art. 14 del d.l. 269/03, sostanzialmente invariata.
5.5. Resta, pertanto, tra l’altro, confermato il divieto di partecipare alle gare per le società che, in Italia o all’estero, gestiscono a qualunque titolo servizi pubblici locali in virtù di un affidamento diretto, di una procedura non ad evidenza pubblica, o a seguito dei relativi rinnovi; tale divieto si estende alle società controllate o collegate, alle loro controllanti, nonché alle società controllate o collegate con queste ultime e riguarda, altresì, le società a totale partecipazione pubblica e le imprese idonee affidatarie della gestione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali (art. 113, c. 6, TUEL).
Il divieto in questione decorre dal 1 gennaio 2007 e non si applica, comunque, alle prime gare aventi ad oggetto i servizi forniti dalle società partecipanti alle gare stesse (art. 113, c. 15-quater, TUEL, introdotto con l’art. 4, c. 234, della l. n. 350 del 2003).
Con regolamento governativo dovranno, poi, essere stabilite le condizioni per l’ammissione alle gare di imprese estere, o di imprese italiane che abbiano avuto all’estero la gestione del servizio senza ricorrere a procedure ad evidenza pubblica. Per le imprese estere vale il principio di reciprocità e devono essere garantiti tempi certi per l’effettiva apertura dei relativi mercati (art. 113, c. 15-quater, cit.).
5.6. Le <società miste> sono – secondo la prassi decisionale della Commissione europea e la giurisprudenza della Corte di giustizia – una forma di partenariato pubblico/privato da equiparasi alle concessioni.
Ciò comporta:
a) che il “socio privato venga scelto attraverso l’espletamento di gara con procedure ad evidenza pubblica che abbiano dato garanzia di rispetto delle norme interne e comunitarie in materia di concorrenza”.
Nella scelta del socio privato dovranno perciò applicarsi le regole e i principi previsti dal diritto comunitario per le concessioni e, in particolare, quelli concernenti: (i) la parità di trattamento, (ii) la trasparenza, (iii) la proporzionalità e (iv) il mutuo riconoscimento;
b) che deve trattarsi di una società <effettivamente> mista, nella quale, cioè, il socio privato, anche se non <maggioritario>, abbia comunque una partecipazione significativa, che gli consenta di poter esercitare una reale influenza sulla gestione della società e, quindi, sull’erogazione del servizio.
Come si è visto, il progetto di legge della Regione Toscana prevede che la partecipazione azionaria del socio privato non può essere inferiore al 40%.
5.7. La scelta del socio privato delle società miste dovrebbe avvenire “secondo le linee di indirizzo emanate dalle autorità competenti attraverso provvedimenti o circolari specifiche”.
A parte la difficoltà di stabilire quali possano essere le “autorità competenti” in materia, sta il fatto che nell’emanare le predette “linee di indirizzo” le stesse non potranno non seguire gli schemi dei modelli concorsuali previsti, in via generale, dalle norme comunitarie e interne per l’aggiudicazione dei contratti delle pubbliche amministrazione in modo che anche per la scelta del socio privato sia garantito lo svolgimento di un effettivo e corretto procedimento ad evidenza pubblica (cfr. Cons. St., V, 3 settembre 2001, n. 4586 e TAR Toscana, sez. I, 15 gennaio 2001, n. 24).
Il che induce a ritenere che l’emanazione delle “linee di indirizzo” in questione non costituisce una condizione necessaria per l’espletamento delle gare per la scelta del socio privato, che potranno essere legittimamente indette, anche in mancanza di dette <linee di indirizzo>, purchè vengano osservate le norme e i principi suddetti.
5.8. Siccome, come dianzi precisato, l’affidamento di un SPL <economico> ad una società mista rappresenta una forma di partenariato pubblico/privato assimilata alla concessione, è da ritenere che tale affidamento non sia da annoverare tra quelli c.d. <diretti>, ossia effettuati senza il previo espletamento di una gara ad evidenza pubblica, giacchè, anche nel caso delle società miste, si è in presenza di una gara solo che questa riguarda non la scelta del concessionario (o affidatario) del servizio, ma del socio privato con il quale l’ente locale costituirà la società, che dovrà poi erogare il servizio stesso.
5.9. Le società a capitale interamente pubblico possono ottenere l’affidamento diretto dei SPL <economici> a condizione che:
a) l’ente o gli enti pubblici titolari del capitale esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi;
b) la società realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente o gli enti pubblici che la controllano.
5.10. Gli affidamenti diretti (c.d. in house) di servizi (e di appalti) a società aventi le caratteristiche sopra indicate sono stati riconosciuti pienamente conformi al diritto comunitario dalla giurisprudenza della Corte di giustizia (cfr. sent. 18 novembre 1999, C-107/98, Teckal e sent. 8 maggio 2003, C-349/97, Spagna/Commissione).
5.11. Le società in questione devono essere, come detto, non solo a totale partecipazione pubblica, ma anche controllate dall’ente o degli enti pubblici titolari del capitale in modo analogo a quello esercitato sui propri servizi.
Non è, pertanto, sufficiente che il controllo venga esercitato a posteriori (ad es. mediante l’approvazione da parte dell’assemblea del bilancio di esercizio) o sugli organi attraverso la loro nomina (e revoca), dovendo tale controllo - affinché esso sia analogo a quello che viene esercitato sui propri servizi – riguardare l’esattezza e la regolarità della gestione corrente per accertare l’economicità, la redditività e la razionalità della società sottoposta a verifica. Il controllo, in altri termini, deve creare una situazione di dipendenza della società dall’ente locale, che permetta allo stesso di influenzare le decisioni che la società intende assumere (cfr. Corte giust., 27 febbraio 2003, C-373/00, Truley).
Al riguardo appare utile richiamare quanto prevede il progetto di legge della Regione Toscana, il quale stabilisce che le società in esame sono soggette “al generale potere di direzione, coordinamento e controllo dell’ente affidante, analogo a quello esercitato da quest’ultimo su proprie strutture interne, con particolare riferimento alla effettuazione di specifici controlli sui principali atti di gestione dell’affidatario”.
5.12. La società deve, inoltre, realizzare la parte più importante della propria attività con l’ente o con gli enti pubblici che la controllano.
Le regole comunitarie della concorrenza e della non discriminazione risulterebbero, invero, violate nel caso di affidamento diretto di un servizio ad una società che opera nel mercato, posto che tale società verrebbe favorita rispetto agli altri concorrenti, alterando la par condicio tra imprese concorrenti. Non è, viceversa, così quando si tratta di società che non operano nel mercato o che vi operano in posizione del tutto trascurabile, quali sono, appunto quelle che svolgono la loro attività quasi esclusivamente a favore dell’amministrazione pubblica a cui sono collegate e che le controlla.
6. Il periodo transitorio
6.1. Le concessioni (da intendere tale termine in senso comunitario e cioè nel senso di affidamenti in cui il rischio di gestione è assunto dal concessionario o affidatario) rilasciate con procedure diverse dall’evidenza pubblica cessano comunque entro e non oltre la data del 31 dicembre 2006, senza necessità di apposita deliberazione dell’ente affidante (art. 113, c. 15-bis, TUEL).
6.2. Il termine del 31 dicembre 2006 può, peraltro, essere differito se ricorrono le seguenti condizioni (art. 113, c. 15-ter, TUEL):
a) che vi sia un previo accordo, raggiunto caso per caso, con la Commissione europea (sembra trattarsi di una preventiva autorizzazione simile a quella prevista per gli aiuti di Stato);
b) che, entro il 31 dicembre 2005, si dia luogo mediante una o più fusioni, alla costituzione di una nuova società capace di servire un bacino di utenza complessivamente non inferiore a due volte quello originariamente servito dalla società maggiore;
c) che, entro il 31 dicembre 2005, un’impresa affidataria, anche a seguito di una o più fusioni, si trovi ad operare in un ambito corrispondente almeno all’intero territorio provinciale ovvero a quello ottimale, laddove previsto dalle norme vigenti.
Il differimento non può comunque essere superiore ad un anno nel caso b) e a due anni nel caso c).
6.3. Le citate disposizioni dell’art. 113, c. 15-bis e 15-ter, TUEL non si applicano ai <settori esclusi> e agli altri settori le cui specifiche normative che li disciplinano prevedono “un congruo periodo di transizione”.
6.4. Dalla scadenza del 31 dicembre 2006 sono esclusi gli affidamenti:
a) effettuati con procedure ad evidenza pubblica (la scadenza, in tal caso, sarà quella <naturale> ossia quella stabilita nel bando di gara e/o contrattualmente);
b) a società miste, aventi le caratteristiche descritte al punto 5.6. e ss. (anche in tal caso la scadenza sarà quella <naturale>);
c) a società a capitale interamente pubblico, aventi le caratteristiche descritte al punto 5.9. e ss. (in tal caso deve, invece, ritenersi che non vi sia alcuna scadenza, salvo che questa non sia prevista dalle leggi di settore ai sensi dell’art. 113, c. 5-bis, TUEL v. sub. 5.2.).
6.5. Dalla scadenza del 31 dicembre 2006 sono, inoltre, escluse le concessioni affidate alla data del 1 ottobre 2003 a:
a) società già quotate in borsa e a quelle da esse direttamente partecipate a tale data a condizione che siano concessionarie esclusive del servizio;
b) società originariamente a capitale interamente pubblico che entro la suddetta data del 1 ottobre 2003 abbiano provveduto a collocare sul mercato quote di capitale attraverso procedure ad evidenza pubblica (art. 113, c. 15-bis, ult. periodo, TUEL, aggiunto con l’art. 4, c. 234, l. n. 350 del 2003).
In entrambi tali ipotesi, come dispone il citato art. 113, c. 15-bis, ult. periodo, TUEL, le concessioni cessano comunque allo spirare del termine equivalente a quello della durata media delle concessioni aggiudicate nello stesso settore a seguito di procedure ad evidenza pubblica. Peraltro, la cessazione può essere fissata ad una data successiva ove si accerti, caso per caso, che quella stabilita in base alla media delle concessioni aggiudicate nello stesso settore, non è proporzionata ai tempi di recupero di particolari investimenti effettuati da parte del gestore.
Alle disposizioni da ultimo menzionate (quelle cioè concernenti la cessazione delle concessioni affidate alle società suddette), stante la loro palese genericità e indeterminatezza, pare doversi, al più, riconoscere carattere meramente programmatico, per cui, per la loro concreta applicazione, occorrerà che vengano attuate dalle discipline di settore, anche regionali.
7. La separazione tra gestione della rete ed erogazione del servizio.
7.1. L’unica novità introdotta con l’art. 14 del d.l. 269/03 è che la gestione della rete – quando, in base alle discipline di settore, è consentito che questa venga <separata> dall’erogazione del servizio – può essere affidata, oltre che ad imprese idonee, direttamente a società a capitale interamente pubblico (in precedenza a maggioranza pubblica), aventi le caratteristiche descritte al punto 5.9. e ss. (affidamenti in house).
Sono, quindi, escluse le società <miste>.
8. La realizzazione dei lavori connessi alla gestione della rete.
8.1. Con il comma 5-ter dell’art. 113 TUEL (introdotto con l’art. 4, c.234, della l. n. 350 del 2003) sono stati indicati i sistemi attraverso i quali i soggetti gestori delle reti devono provvedere all’esecuzione dei lavori comunque connessi alla gestione della rete stessa.
Al riguardo va distintamente considerato il caso in cui la gestione della rete non sia stata affidata con gara ad evidenza pubblica da quello in cui l’affidamento della gestione della rete è, invece, avvenuto mediante gara ad evidenza pubblica.
8.2. Gestione della rete, separata o integrata con l’erogazione del servizio, non affidata con gara ad evidenza pubblica.
In tal caso, i soggetti gestori devono provvedere alla esecuzione dei lavori comunque connessi alla gestione della rete, esclusivamente:
a) mediante contratti di appalto o di concessione di lavori pubblici, aggiudicati a seguito di procedura ad evidenza pubblica;
b) in economia nei limiti di cui all’art. 24 della l. 109/94 e s.i.m. e all’art. 143 del d.p.r. 554/99.
8.3. Gestione della rete, separata o integrata con l’erogazione del servizio, affidata con gara ad evidenza pubblica.
In tal caso, è necessario distinguere a seconda che la gara espletata abbia avuto ad oggetto:
a) sia la gestione del servizio relativo alla rete, sia l’esecuzione dei lavori connessi;
b) o esclusivamente la gestione del servizio relativo alla rete.
Nella prima ipotesi (sub a), il soggetto gestore può realizzare direttamente i lavori connessi alla gestione della rete, purchè qualificato ai sensi della normativa vigente.
Nella seconda ipotesi ( sub b), il soggetto gestore deve, invece, appaltare i lavori a terzi con le procedure ad evidenza pubblica previste dalla legislazione vigente.
E’ da tener presente che, per l’esclusione espressa di cui al comma 1° dell’art. 113 TUEL, la su descritta normativa non è applicabile ai settori dell’energia elettrica e del gas.
9. La proprietà delle reti.
9.1. La proprietà delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali può essere affidata dagli enti locali a società a capitale interamente pubblico, che è incedibile (art. 113, c. 13, TUEL).
9.2. Siccome le società proprietarie delle reti devono essere a <totale> capitale pubblico e non, com’era in precedenza, a maggioranza pubblica, non è più possibile costituire, allo scopo, società <miste>.
Le società miste esistenti non devono, tuttavia, essere trasformate in società a totale capitale pubblico, sia perché costituite (o divenute tali) allorché era consentito che le società in questione fossero a maggioranza pubblica, sia perché non è stato imposto alle società esistenti alcun obbligo di trasformazione.
9.3. Le discipline di settore possono vietare che la proprietà delle reti e degli altri beni summenzionati venga conferita a società a capitale interamente pubblico, incedibile. Al momento non risulta che vi siano discipline di tal genere.
9.4. Piuttosto, è da considerare che, essendo le norme sulla proprietà delle reti previste dall’art. 113, c. 13, TUEL e dall’art. 35, c. 9, della l. 448/01 (con il quale viene data “attuazione” ai “commi 2 e 13 dell’art. 113”), dette norme devono ritenersi, ai sensi del c.1. dello stesso art. 113, non applicabili ai settori <esclusi>.
9.5. Nel caso di scorporo obbligatorio ex art. 35, c. 9, l. 448/01 delle reti di proprietà di <società miste>, le azioni della società a cui è conferita la proprietà non possono essere attribuite al socio privato, giacchè quest’ultime società devono essere a totale partecipazione pubblica (cfr. Nicoletti G., “Appunti sullo scorporo (scissione) delle reti, impianti ed altre dotazioni ex articolo 35, comma 9, della legge 448/01”).
9.6. E’ da ritenere che le società a totale capitale pubblico (ad es. quelle a cui è affidata la gestione in house di un pubblico servizio) non siano tenute ad effettuare lo scorporto ex art. 35, c. 9, l. 448/01, in quanto, in tal caso, le reti, gli impianti e le altre dotazioni patrimoniali rimangono, comunque, di proprietà di una società a capitale interamente pubblico.
L’apertura di tali società alla partecipazione privata determinerà, però, l’obbligo di procedere allo scorporo.
9.7. La circostanza che le società alle quali è conferita la proprietà delle reti siano a totale capitale pubblico, “incedibile” non significa che altri enti locali non possano successivamente partecipare a dette società. Solo che ciò potrà avvenire mediante un aumento di capitale riservato alla sottoscrizione di tali enti locali.
10. La gestione dei servizi pubblici locali privi di rilevanza economica.
10.1. Con la nuova normativa introdotta dall’art. 14 del d.l. 269/03 i SPL privi di rilevanza economica possono essere affidati solo <direttamente>. Infatti, è stato soppresso, a seguito dell’abrogazione del c. 4 dell’art. 113-bis, TUEL, l’affidamento “ a terzi in base a procedura ad evidenza pubblica”.
10.2. Con la detta nuova normativa, non è, inoltre, più consentito gestire i SPL mediante “società di capitali costituite o partecipate dagli enti locali”. La lett. c) del comma 1° dell’art. 113-bis, TUEL è stata, infatti, modificata nel senso che le società devono essere “a capitale interamente pubblico” ed avere le caratteristiche che configurano una gestione “in house”.
10.3. Le altre forme di gestione previste dalla precedente normativa (in economia, aziende speciali anche consortili, istituzioni, associazioni e fondazioni) sono state, invece, confermate.
10.4. Anche le società senza il vincolo della proprietà maggioritaria ex art. 116 TUEL possono, ai sensi dell’art. 35, c. 12, lett. e), della l. 448/01 (con il quale è stato modificato il citato art. 116), gestire i SPL privi di rilevanza economica. Il che comporta che è consentito gestire i detti SPL con società a totale capitale pubblico (v. sub 10.2.) o con società <miste> a prevalente partecipazione privata, non, invece, mediante società <miste> a prevalente partecipazione pubblica. |