Teoremi interpretativi dell’art. 14 comma 32 del D.l. 78/2010 sui limiti imposti agli enti locali a detenere società
(SECONDA PARTE)
di Roberto Camporesi
INDICE
Premessa; 1. l’ulteriore produzione interpretativa della Corte dei Conti; 2. la posizione dell’AVCP; 3. La dottrina si consolida; 4. il primo punto fermo del faticoso percorso esegetico: la sentenza della Corte Costituzionale n. 148 del 7/06/2012; 5. Ricostruzione di un percorso interpretativo per la individuazione di categorie societarie (ancora) detenibili dai comuni a modesta dimensione demografica.
Premessa
Il documento è l’evoluzione del precedente articolo di commento intitolato “Teoremi interpretativi dell’art. 14 comma 32 del D.l. 78/2010 sui limiti imposti agli enti locali a detenere società” e ne costituisce quindi una seconda parte. E’ sorta l’esigenza di completare il panorama alla luce della ulteriore produzione interpretativa delle sezioni di controllo della Corte dei Conti e alla luce di un parere reso da autorevole dottrina su alcuni punti non risolti ma soprattutto in relazione alla sentenza della Corte Costituzionale, che ha ritenuto il comma 32, dell’articolo in commento, costituzionalmente legittimo. Si è altresì colta l’occasione per esaminare anche il parere dell’Autorità di Vigilanza dei contratti pubblici e, in conclusione, affacciare un percorso interpretativo per l’individuazione di categorie societarie ancora detenibili.
- l’ulteriore produzione interpretativa della Corte dei Conti
Appare di particolare momento la tesi avanzata dalla sezione controllo della Corte dei Conti per la Lombardia in quanto da un lato precorre la successiva interpretazione della Corte Costituzionale in relazione al collocamento della norma nell’ordinamento ma soprattutto, ai fini pratici, perché introduce una non scontata distinzione fra “costituire” una società di capitali e “partecipare” ad una società di capitali già costituita.
Il sindaco del Comune di Barzio chiede di conoscere quale sia il comportamento più corretto in relazione all’intento di acquisire una quota di partecipazione in una società già esistente ( rectius di sottoscrivere azioni di nuova emissione riservata ai comuni della provincia di Lecco e alla stessa provincia) che è partecipata da più enti e che svolge il servizio pubblico di distribuzione del gas.
Nel merito la sezione di controllo lombarda ricorda che la decisione, circa l’assunzione della partecipazione in società di capitali, deve assoggettarsi ad alcuni principi che precedenti della Corte dei Conti hanno oramai codificato:
- in primo luogo la competenza è esclusiva del consiglio comunale, cosi come già affermato la Corte dei Conti controllo per la Lombardia 29/06/2006 n. 9/pareri/06 ed in particolare il parere della medesima sezione di controllo n. 23/pareri/08 dell’11/04/2008;
- in secondo luogo l’assunzione di una quota di partecipazione ( o azioni ) deve valutare, in punta di legittimità, il rispetto di due specifiche disposizioni di legge e precisamente:
* l’art. 3 comma 27 e ss. della legge finanziaria del 2008 che, come noto, ritiene legittimo l’acquisto della partecipazione azionaria solo nel caso in cui l’attività sociale (l’oggetto) sia rivolta alla produzione di servizi o attività strettamente necessari al perseguimento dei fini istituzionali delle ente ovvero per la prestazione di servizi di interesse generale nei limiti di competenza dell’ente: una volta scrutinato favorevolmente il divieto imposto da questa norma interviene un secondo divieto limitato ai comuni di modeste dimensione demografiche rappresentato da:
* l’art. 14 comma 32 in commento.
Posto che la distribuzione del gas è un servizio di interesse generale di competenza dell’ente locale - e quindi l’assunzione della partecipazione è legittima in relazione al disposto dell’art. 3 comma 27 citato – la sezione di controllo lombarda, procedendo quindi nel merito della disamina del comma 32 dell’art. 14 in commento, rileva preliminarmente che la norma introduce: “un articolato sistema di preclusioni e, parallelamente, di eccezioni”.
Si può affermare che, per il giudice contabile, le preclusioni sono:
“ per i comuni sotto i 30 mila abitanti, l’art. 14, comma 32 del D.L. 78 del 2010 prevede in particolare che: 1) a decorrere dall’entrata in vigore del Decreto, non si possono più costituire nuove società; 2) a decorrere dal 31 dicembre 2012, i predetti comuni devono mettere in liquidazione le società già costituite ovvero cederne le partecipazioni.”.
Le eccezioni sono state così rappresentate:
a) “non sussiste l’obbligo di dismissione, laddove le partecipazioni interessino società la cui gestione risulta sana e efficiente, tale per cui esse non gravano, né in prospettiva appare che graveranno, sulle finanze dell’ente partecipante” ;
b) “non sussiste né il divieto di costituzione né l’obbligo di dismissione se si tratta di società pluri-partecipate, sempreché la popolazione complessiva interessata sia superiore a 30 mila abitanti e la partecipazione di ogni comune, rispetto agli altri, sia paritaria ovvero proporzionale al numero degli abitanti.”
Sulla base della illustrata disposizione di legge, il giudice contabile lombardo affaccia le seguenti interpretazioni:
“In primo luogo va chiarito che l’eventuale divieto di acquisire una partecipazione societaria non può certamente discendere dal primo periodo del comma 32: il divieto di costituire una società rappresenta una fattispecie diversa dall’acquisizione di partecipazione in società già in essere.
Inoltre, trattandosi di norme limitative della generale capacità giuridica e d’agire di diritto comune, le stesse sono da considerarsi di stretta interpretazione e come tali non estensibili oltre i casi espressamente previsti.”
Ne consegue che sussistono due differenti fattispecie:
- costituire società: oggetto del divieto portato dalla norma di legge;
- partecipare ad una società già costituita: non oggetto – medio tempore fino allo spirate del termine previsto – al divieto portato dalla norma di legge.
Di primo acchito emerge secondo l’interpretazione del giudice contabile che i comuni con popolazione inferire a 30.000 abitanti:
(i) fin dall’emanazione della norma di legge in commento non possono più costituire società di capitale (fatte salve le espresse eccezioni vale a dire le società con partecipazione paritetica o proporzionale al numero di abitanti);
(ii) possono continuare a partecipare a società di capitali attraverso: (i) l’acquisto di quote di partecipazioni o azioni ovvero di diritti di opzione dagli altri soci della società; (ii) attraverso la sottoscrizione di azioni o quote riservate a servizio di aumenti di capitale sociale (come nel caso di specie rappresentato dal sindaco del Comune di Barzio).
La corte lombarda ravvisa, correttamente, che le due fattispecie [ sub (i) e sub (ii) ] non sono infatti identiche e la norma in discussione, in quanto limitativa, della capacità di agire non può interpretarsi in senso estensivo, con ciò avvalorando la tesi che trattasi di norma eccezionale per la quale, appunto, l’art. 14 delle “preleggi” ne prescrive la stretta interpretazione “letterale”.
Va dato atto che il giudice contabile lombardo anticipa l’impianto interpretativo della Corte Costituzionale, di cui in appresso, laddove considera la competenza legislativa esclusiva dello Stato proprio perché norma che disciplina materia ricadente nell’ordinamento civile.
Ora, proseguendo nella disamina, il giudice contabile lombardo afferma per la fattispecie della “dismissione” - vale a dire il rimendio che il legislatore impone ai comuni che detengono partecipazioni che non ricadono nelle eccezioni prevista dalla stessa legge - : “Diverso, invece, il discorso con riferimento all’obbligo di dismissione. Ora, se è vero che la norma fissa come data limite per le dimissioni il 31.12.2012 [rectius 30.09.2013], non è però corretto affermare che la stessa non sia cogente: la norma, infatti, è chiaramente imperativa – cioè cogente – ed immediatamente applicabile nella sua portata precettiva.”
Quindi se ne deduce che il comune con popolazione inferiore a 30.000 abitanti mette in liquidazione ovvero ne cede la partecipazione delle società già costituite alla data di entrata in vigore della norma di legge in commento: tale obbligo è immediatamente precettivo senza dover attendere lo spirare del termine e quindi il comune, la cui società non possa ricadere nelle eccezioni previste dalla stessa legge, deve essere posta in liquidazione ovvero devono essere avviate le procedure di dismissione.
Sul punto pare evidente affacciare il seguente temperamento all’interpretazione data giudice contabile, che appare in punto di diritto, ineccepibile e perfettamente coerente con la “ratio” della legge.
Infatti se da un lato il precetto della dismissione è immediatamente cogente, senza attendere lo spirare del termine, dall’altro canto è del tutto evidente che il succedersi delle modifiche introdotte alla legge, soprattutto in tema di eccezioni all’applicazione della stessa, impone la seguente riflessione: la norma diviene cogente non appena il comune verifica che alcuna delle tre eccezioni possa verificarsi. L’allusione è al triennio in utile che potrà verificarsi al momento in cui si disporrà del bilancio al 31.12.2012, che è normalmente approvato dalle assemblea dei soci alla fine del mese di maggio del 2013. Quindi il comune che partecipa alla società che presenta il bilancio in utile nel 2010, 2011 – non avendo coperto perdite negli esercizi precedenti secondo l’interpretazione che se ne è data nella parte prima di questo commento – deve attende il bilancio della società chiuso al 13.12.2012 che, se chiuso in perdita, farà immediatamente scattare la cogenza della norma e quindi si attiveranno, a secondo della valutazione di opportunità, la messa in liquidazione ovvero le procedure di cessione. In questo caso quindi la norma diventa precettiva, non dal momento della sua emanazione ma dal momento in cui è stata verificata l’assenza delle cause che determinano la deroga (le eccezioni come dice il giudice contabile lombardo) all’applicazione del precetto contenuto nella legge stessa.
L’interpretazione deve essere tuttavia temperata anche nel caso delle altre due deroghe: società costituite con comuni il cui numero di abitanti sia superiore a 30.000 e la partecipazione sia paritetica o proporzionale al numero di abitanti.
Infatti è del tutto evidente che fino allo spirate del termine 30.9.2013 i comuni soci potranno riorganizzare l’assetto delle quote/azioni di modo che queste risultino paritetiche ovvero proporzionali al numero di abitanti: anzi si potrebbe sostenere che il termine assegnato sia stato previsto dal legislatore proprio per attuare quei processi di adeguamento che hanno molto il sapore di accorpamenti di funzioni o attività fra comuni identificati come minori. A tal proposito non va dimenticato che il comma 32 si colloca all’interno dell’articolo (art.14) che dispone la revisione del patto di stabilità e che impone l’accorpamento della gestione delle funzioni essenziali per i comuni di minori dimensioni demografiche e ciò proprio per un ulteriore impulso al risparmio delle relative spese di produzione di tali servizi. Si può affermare che mutatis mutandis il legislatore ha pensato di incentivare i comuni di modeste dimensioni demografiche affinché procedessero, anche in questo caso, ad accorpare le loro partecipazioni in società costitute prima dell’emanazione dell’art. 14 comma 32 e non solo: come già illustrato in altra sede i comuni di modeste dimensioni demografiche possono continuare a costituire società di capitali. La stessa sezione di controllo, in commento, ha affermato” L’obbiettivo legislativo, com’è noto, è di evitare la proliferazione di partecipazioni in società sottodimensionate, che non dispongano di risorse sufficienti per operare in modo autonomo ed efficiente, all’esterno dell’ente costitutore (con pregiudizio per la finanza pubblica). In questo modo, il legislatore ha voluto evitare un diseconomico processo di polverizzazione gestionale degli enti stessi e dei loro servizi, dall’altro ha cercato di valorizzare le economie di scala, riconoscendo ai comuni di minori dimensioni la possibilità di associarsi per dar vita ad aggregazioni societarie.”
Ritornando al tema di fondo – distinzione fra costituzione di società ovvero partecipazione al capitale di società già costituita - il giudice contabile lombardo introduce un corollario: “Logico corollario di tale affermazione è il divieto per l’ente locale di acquisire partecipazioni societarie destinate all’immediata cessione: sarebbe, infatti, del tutto paradossale consentire ad un comune con meno di 30.000 abitanti di acquisire una partecipazione in società con risultati di gestione negativi.” Ci si domanda invece se la distinzione tracciata fra le due fattispecie mantiene allora una sua valenza per l’acquisto di partecipazioni in società che invece presentano risultati positivi di gestione e non sono mai state gravate da perdite.
Un dato che emerge è il seguente:
- la norma in commento, in riferimento alla disciplina di divieto imposto ai comuni con popolazione inferiore a 30.000 abitanti fa solo riferimento alla costituzione e mai all’acquisto della partecipazione ( …..” non possono costituire” …. “mettono in liquidazione le società già costituite”... “la disposizione […] non si applica alle società[…] costituite”). Il legislatore fa riferimento alla detenzione di partecipazioni – e non alla costituzione – solo ed unicamente nel caso di comuni con popolazione tra 30.000 e 50.000 abitanti: disciplina che risulta del tutto differente rispetto a quella prevista per i comuni con popolazione inferiore a 30.000 abitanti; ragion per cui non appare del tutto irragionevole fare riferimento quindi a differenti fattispecie esaminate. Anzi volendo eccedere nello zelo interpretativo, ciò può allora giustificare anche un diverso regime per fattispecie diverse: i comuni con popolazione inferiore a 30.000 abitanti hanno una disciplina che vieta di costituire nuove società ( o partecipare a quelle con risultati negativi); i comuni con popolazione compresa fra i 30.000 abitanti e i 50.000 hanno una disciplina che vieta loro di partecipare a società di capitali, fatto salvo una sola partecipazione.
- Volendo proseguire in tale ambito interpretativo le supposte conclusioni non vengono smentite dalla sentenza della Corte Costituzionale, di cui in appreso che, anche nelle motivazioni che hanno portato a ritenere costituzionalmente legittimo il comma in commento, fa sempre riferimento al divieto di “costituire”.
In fondo all’operatore pratico sorge allora una domanda essenziale: esiste una differenza fra la costituzione di una società ex novo e l’acquisto di una partecipazione di società già esistente? Nel primo caso si ha la sottoscrizione di una contratto rogato da notaio, nel seconda caso invece no. Ma ciò è sufficiente? La questione forse va posta in altri termine non necessariamente soffermandosi solo sulla diversa natura ontologico - giuridica ma eminentemente organizzativa. Nella costituzione è evidente l’impulso del futuro socio che da vita ad un nuovo organismo societario, nell’acquisto della partecipazione si ha l’adesione ad un organismo già costituito e quindi si aderisce ad un programma economico il cui impulso all’avvio è venuto da altri. La ratio della norma per il comuni con popolazione sotto i 30.000 abitanti è quella di inibire l’impulso a costituire nuove società.
Seguendo l’approccio interpretativo offerto dalla sezione di controllo per la Lombardia si potrebbe schematizzare
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Comuni con popolazione inferiore a 30.000 abitanti |
Risultati negativi |
Mantenimento della partecipazione |
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Società già costituite all’entrata in vigore della norma |
si |
no |
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Società già costituita alla data di entrata in vigore della norma ma con partecipazione paritetica o proporzionale con altri comuni che superano i 30.000 abitanti |
si |
si |
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Società costituita successivamente alla data di entrata in vigore della norma ma con partecipazione paritetica o proporzionale con altri comuni che superano i 30.000 abitanti |
si |
si |
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Acquisto di partecipazioni successivamente alla data di entrata in vigore della norma |
si |
no |
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Acquisto di partecipazioni successivamente alla data di entrata in vigore della norma |
no |
si |
2. la posizione dell’AVCP
L’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici è intervenuta con due successivi pareri sul tema dell’interpretazione dell’art. 14 comma 32, uniformandosi alla c.d. teoria del doppio binario avanzata dalla Corte dei Conti e nell’ultimo parere reso, pur ravvisando l’impossibilità di estendere in via interpretativa le eccezioni (o deroghe) al divieto previste per la partecipazioni ai comuni con popolazione inferiore a 30.000 abitanti applicandole anche a quelli con popolazione compresa fra i 30.000 e 50.000, ravvisa de jure condendo l’irragionevolezza della disposizione di legge che ne acuisce sul punto le difficoltà interpretative.
Nel merito la prima risposta è del 6/10/2011, resa con delibera n. 86, al quesito del Comune di Tortona sulla possibilità per un comune con popolazione inferiore a 30.000 abitanti di costituire una società con i farmacisti dipendenti per la gestione della farmacia comunale, così come consente la normativa di settore che disciplina la gestione delle farmacie dei comuni (Legge 475/1968). Il Comune istante riteneva di applicare il canone interpretativo affacciato dalla sezione di controllo della Puglia, in base al quale la norma generale ( art. 14 comma 32 in commento) non può abrogare, anche se precedente, una norma di carattere speciale ( legge 475/1968). La costituzione della società per la gestione della farmacia si inseriva in un più articolato riassetto organizzativo delle società del Comune di Tortona, nell’ambito del quale era prevista anche la costituzione di una società mista per la riscossione dei tributi ed una società mista per la gestione del patrimonio immobiliare del comune.
Il parere dell’AVCP conclude:
“in applicazione del divieto di cui all’art. 14 comma 32 del d.l. 78/2010 è da escludere la possibilità che la città di Tortona, Comune con meno di 30.000 abitanti possa costituire una società per la gestione delle farmacie comunali;
•in applicazione del divieto di cui all’art 14 comma 32 del d.l. 78/2010 è da escludere la possibilità che la città di Tortona, Comune con meno di 30.000 abitanti possa costituire una società mista ai sensi dall’art. 52 comma 5 lett. b) n. 4 del d.lgs. 446/97 per la gestione del servizio di accertamento e riscossione dei tributi;
•in applicazione del divieto di cui all’art. 14 comma 32 del d.l. 78/2010 è da escludere la possibilità che la città di Tortona, Comune con meno di 30.000 abitanti possa costituire una società mista per la gestione dei servizi di manutenzione ordinaria e straordinaria degli immobili, la gestione ordinaria e straordinaria dei cimiteri, la gestione dei parcheggi a pagamento e del parcheggio coperto.
Successivamente di Comune di Mantova chiede di conoscere l’interpretazione, sempre dell’art. 14 comma 32 in quanto, comune con popolazione inferiore a 50.000 abitanti, intenzionato alla trasformazione in "in house" di società a capitale interamente pubblico di cui il comune stesso è socio. Con l’occasione fa presente di essere socio di altre otto società di capitali e chiede:
“ se “a) l’espressione possano detenere la partecipazione di una sola società sia da riferire a una nuova costituzione o viceversa si riferisca alle partecipazioni in essere e se, in quest’ultimo caso, ricomprenda anche le società in house; b) viceversa, le società in house ne restino escluse e, dunque, per le stesse non vi sia un limite. Ciò anche alla luce del parere espresso dalla Sez. Regionale di Controllo della Corte dei Conti per la Puglia 56/par/2010 del 8/07/2010; c) il limite di una sia riferito alle società in house; d) relativamente alle liquidazioni, da operarsi entro il 31/12/11, valgano le condizioni di esclusioni previste per i Comuni con popolazione inferiore ai 30.000 abitanti.”
La deliberazione dell’AVCP , dopo avere tracciato una breve rassegna anche della disciplina degli affidamenti in house di servizi pubblici locali conclude affermando “….che a prescindere dal tipo di attività svolta – salvo eventuali disposizioni normative speciali che impongano l’esercizio obbligatorio della funzione in forma societaria, secondo il modello delle società cd. di “diritto singolare” – i Comuni con popolazione inferiore ai 30.000 abitanti non possono costituire nuove società se non associandosi con altri enti; i Comuni con popolazione compresa tra i 30.000 ed i 50.000 abitanti possono detenere una sola partecipazione (cfr. in tal senso Sez. Lombardia, deliberazione 124/2011/PAR (Corte dei Conti, Sezione Regionale di Controllo per l’Emilia Romagna, deliberazione del 13 febbraio 2012, n. 9)”. Tutto ciò premesso, si ritiene che la disciplina di cui all’art. 14 co. 32 del d.l. n. 78/2010 abbia portata generale e che le società in house incaricate della gestione dei servizi pubblici locali, tanto esistenti quanto di nuova costituzione, debbano tutte essere computate ai fini del rispetto dei limiti imposti (con l’unica eccezione delle società di diritto singolare).”
Per quanto attiene invece le eventuali eccezioni applicabili ai comuni con popolazione compresa fra i 30.000 e 50.000 l’AVCP si allinea all’interpretazione letterale, fatta propria anche dalla Corte dei conti, in base alla quale nessuna delle deroghe ammesse per i comuni con popolazione inferiore a 30.000 abitanti può applicarsi ai primi ma, come già anticipato, fa osservare:
“De jure condendo, però, non può che essere evidenziato da parte di questa Autorità, l’illogicità e, in una certa misura, l’incertezza del quadro normativo disegnato dal legislatore. Secondo l’interpretazione prospettata, che sembra essere l’unica compatibile con la formulazione della disposizione, i comuni sotto i 30.000 abitanti potranno mantenere le partecipazioni in società virtuose e costituire, d’accordo con altri comuni, nuove società. I comuni con più di 50.000 abitanti potranno liberamente (con i limiti imposti dalla l. n. 244/2007 ) conservare e costituire un numero indeterminato di società. I soli comuni compresi nelle soglie suddette (tra 30.000 e 50.000 abitanti), invece, saranno soggetti al limite quantitativo di una sola società. La sensibilità e la complessità dei settori economici interessati suggeriscono che le disposizioni indicate siano oggetto di adeguata ponderazione da parte del legislatore nazionale al fine di guidare l’operato delle amministrazioni locali e di evitare ulteriori dubbi interpretativi.””
3. La dottrina si consolida
Autorevole dottrina affronta alcuni aspetti dell’art. 14 comma 32 in commento offrendo spunti molto interessanti.
In primo luogo affronta la difficile coesistenza fra la disposizione contenuta nel comma in commento e i commi 27, 28 e 29 della Legge 24/12/2007 n. 244 per adottare l’interpretazione che prevede un’applicazione congiunta dei due compendi normativi.
In secondo luogo distingue il profilo soggettivo da quello oggettivo e osserva:
- sotto il profilo soggettivo sono sottoposti al rispetto della norma i comuni e, secondo un approccio sistematico, anche le forme organizzative dei comuni contemplate dal Tuel, attraverso le quali possono esercitare le proprie funzioni. Sono escluse le Provincie;
- sotto profilo oggettivo si tratta di acclarare sul piano del presupposto oggettivo, quali società ricadano sotto le strali delle disposizioni di divieto. “E’ evidente il carattere cogente della norma, che si applica alle società di capitali possedute dai Comuni con popolazione inferiore a 30.000 abitanti ovvero, seppur con diverso regime, di quelli con popolazione compresa tra 30.000 e 50.000; essa colpisce tutte le società di capitali, indipendentemente dalla loro forma giuridica (spa o srl), dalla causa contrattuale (lucrativa o consortile), dal fatto che esse siano o meno titolari dell’affidamento di un pubblico servizio locale ovvero di attività o servizi strumentali, vuoi in affidamento diretto (in house providing o concessione/appalto senza gara) vuoi in affidamento con gara e dal fatto che siano o meno quotate in mercati regolamentati, fatti salvi i soli casi in cui la costituzione o la partecipazione societaria è prevista da disposizioni di legge speciale (società di diritto speciale o singolare)”. L’autore rimanda in nota alla Corte dei Conti, sez. Basilicata, Deliberazione n. 12/2012/PAR, a suffragio della tesi prospettata che non avvalla la tesi del c.d doppio binario, di cui si è ampiamente discusso nella prima parte di questo articolo.
In terzo luogo il divieto imposto ai comuni con popolazione inferiore a 30.000 abitanti riguarda l’acquisizione di nuove partecipazioni societarie, sia in sede di costituzione che di assunzione di quote o azioni esistenti, “indipendentemente dalle modalità tecniche con cui queste operazioni vengono poste in essere”; con ciò smentendo la teoria avanzata nelle pagine che precedano basata sull’interpretazione della Corte dei Conti sezione per il controllo della Lombardia. L’Autore evidentemente è più propenso a considerare gli effetti economici che non i singoli differenti istituti giuridici sulla base dei quali si atteggiano i moduli di ingresso nel capitale di una società, dai quali pur tuttavia sembra sottendersi la “ratio” volta ad inibire la costituzione di nuove società.
In quarto luogo ritiene che la specialità della norma imponga che nel computo degli abitanti dei soggetti partecipanti al capitale della società, che deve essere superiore a 30.000 affinché possa scattare una condizione di eccezione dell’applicazione della norma, non possa tenersi conto delle Provincie, Regioni ecc. vale a dire i soggetti diversi “dagli enti locali municipali”.
Se ne deduce quindi che ad esempio in presenza di una società partecipata da Provincia ed altri Comuni, il computo della partecipazione proporzionale agli abitanti va effettuato senza considerare quindi la quota di partecipazione della Provincia. In altri termini:
Provincia 51 %
Comune A 30 % abitanti 20.000
Comune B 29 % abitanti 18.000.
La misura proporzionale del capitale è soddisfatta quando:
|
PRIMA |
Dopo proporzionale al numero abitanti |
ABITANTI |
Provincia |
51 % |
51 % |
zero |
Comune A |
30 % |
26 % |
20.000 |
Comune B |
19 % |
23 % |
18.000 |
Totale |
100 % |
100% |
38.000 |
Anche la Corte dei Conti sezione controllo per il Piemonte parere n. 8/2012, richiamato dallo stesso Autore, si è espressa in questi termine: “Il tenore letterale della disposizione (La disposizione di cui al presente comma non si applica alle societa', con partecipazione paritaria ovvero con partecipazione proporzionale al numero degli abitanti, costituite da piu' comuni la cui popolazione complessiva superi i 30.000 abitanti) e lo scopo perseguito dal legislatore di limitare il ricorso allo strumento societario entro i limiti normativamente stabiliti impedisce di estendere la previsione normativa contenuta nell’art. 14, co. 32 ad altre situazioni che non siano state espressamente regolamentate, in relazione alle quali operano le rimanenti disposizioni dell’art. 14, co. 32 e dell’art. 3, co. 27 della legge n. 244 del 2007.”
La fattispecie di cui si discute, deve essere completata in quanto l’Autore ha considerato unicamente il caso in cui partecipassero alla società altri enti pubblici diversi dagli enti comunali i quali, come nel caso delle provincie e delle regioni, ma lo stesso varrebbe anche per le Camere di Commercio, non hanno una popolazione di riferimento se non per la somma della popolazione dei comuni che partecipano alla circoscrizione amministrativa della Provincia, della Regione e delle Camere di Commercio; in questi casi il rigore interpretativo proposto è d’obbligo. Tuttavia le società possono essere partecipate da altri soggetti che invece rappresentato il comune. Alcuni esempi: le aziende speciali, i consorzi azienda; altre società (di primo livello) sulle quali il comune esercita direzione e coordinamento ex art. 2497 del codice civile e che quindi a loro volta sono l’espressione della volontà comunale nelle società di secondo livello, ed infine le holding degli enti locali. In questi casi è invece più arduo negare il principio della proprietà transitiva: la popolazione del comune, che esercita direzione e coordinamento sulla società di primo livello la quale ha sua volta partecipa alla società di secono livello oggetto d’indagine, si somma direttamente a quello dei comuni che in via diretta partecipano alla società di secondo livello. Tale assunto vale solo ed esclusivamente laddove le società di primo livello sono sottoposte a direzione e coordinamento del Comune ovvero si atteggiano a Holding per la governance delle società partecipate, e in ogni caso per le aziende speciali o i consorzi azienda partecipanti alle società, i cui indirizzi e atti fondamentali sono approvati dai consigli dei comuni aderenti – secondo una schema arcaico di direzione e coordinamento ovvero di “controllo analogo”. L’interpretazione data alle fattispecie sopra esaminate è perfettamente conforme alla “ratio” espressa dalla stessa Corte dei Conti e con l’Autore.
In quinto luogo, il bilancio in utile degli ultimi tre esercizi al 30 settembre 2013 – che costituisce una delle tre condizioni per derogare al divieto imposto dalla norma – in caso di società Holding che redige il bilancio consolidato, deve comunque riferirsi al bilancio di esercizio di quest’ultima. Ne consegue un’interpretazione troppo restrittiva, a giudizio di chi scrive. In quanto se si ammette che anche il Comune può organizzare il proprio sistema di governance delle partecipate attraverso una Holding, è del tutto evidente che il risultato economico e la consistenza patrimoniale è quella che risulta dal bilancio consolidato e non più da ciò che si desume dai singoli bilanci di esercizio. Ma tale discussione appare del tutto sterile: non è concepibile che un ente locale abbia costituito una holding che chiuda con un risultato economico negativo tanto nel bilancio di esercizio quanto in quello consolidato: sarebbe un’operazione gravemente illegittima ed in spregio a qualsiasi condotta che impone una preliminare analisi della programmazione economico – patrimoniale e finanziaria.
4. Il primo punto fermo del faticoso percorso esegetico: la sentenza della Corte Costituzionale n. 148 del 7/06/2012.
La Corte Costituzionale viene chiamata a dirimere supposti vizi di legittimità costituzionale della norma in commento, avanzati dalla Regione Valle d’Aosta, Liguria, Emilia Romagna e Puglia.
In particolare, per quanto interesse in questa sede:
- la regione Valle d’Aosta eccepisce (i) il vizio di illeggimità costituzionale in quanto la norma violerebbe il principio di leale collaborazione che determinerebbe una indebita compressione dell’autonomia organizzativa della ricorrente in quanto:
o si ravviserebbe violazione dello statuto regionale: trattandosi di questione ascrivibile allo status di regione a statuto speciale e quindi non di interesse delle altre Regioni se ne tralascia l’esame;
o si sarebbe determinato la violazione del combinato disposto del secondo e quarto comma dell’art. 117 della Costituzione. In particolare si eccepisce la carenza di capacità legislativa dello Stato in quanto al di fuori della materia dell’” ordinamento e organizzazione amministrativa dello stato” come dispone appunto il comma quarto dell’art. 117 Cost.;
(ii) si ravvisa contrasto tra gli art. 117 terzo comma e art. 119 secondo comma della Cost., applicabili in forza del’art. 10 della legge cost. 3 del 2011. Lo Stato non si sarebbe limitato a dettare principi generali per il contenimento della finanza pubblica ma avrebbe invaso la competenza legislativa regionale in materia di “finanze comunale”. Inoltre L’art. 14, comma 32, quindi, non perseguirebbe alcuna finalità anti - distorsiva del mercato concorrenziale, ma sarebbe finalizzato a regolare lo svolgimento dell’attività amministrativa dei Comuni, incidendo direttamente sull’ iniziativa e sulla capacità di agire degli enti locali, e sull’assetto ordinamentale e organizzativo dei medesimi.
(iii) Infine l’ultimo motivo di doglianza e rappresentato da profili di illegittimità costituzionale supposti per il rinvio ad un decreto interministeriale che avrebbe dovuto completare la disciplina: essendo stata abrogata la parte delle norma che prevedeva il rinvio al decreto se ne tralascia la discussione;
- la Regione Liguria censura il comma 32 dell’art. 14. “La ricorrente sostiene che il comma 32 ponga limiti molto stringenti e non temporanei alla possibilità per i Comuni di costituire società; tale norma avrebbe, dunque, carattere dettagliato e invaderebbe la competenza legislativa regionale in materia di coordinamento della finanza pubblica (art. 117, terzo comma, Cost.). Ad avviso della Regione Liguria, proprio il carattere dettagliato e la rigidità dei limiti posti dimostrerebbero che la ratio di questa norma non è la tutela della concorrenza (né la disciplina dell’ordinamento civile) ma solo il risparmio nell’azione amministrativa locale, con conseguente incisione su un ambito materiale rimesso alla potestà legislativa concorrente.
- Inoltre, il comma 32, sempre in ragione del suo carattere di norma di dettaglio, risulterebbe lesivo dell’autonomia organizzativa e finanziaria dei Comuni (artt. 114, secondo comma, e 119 Cost.), che la Regione è legittimata a difendere davanti alla Corte costituzionale. Tale autonomia sarebbe compromessa anche per l’irragionevolezza della norma, che terrebbe conto soltanto della dimensione dei Comuni, senza considerare la solidità economica delle società, la natura dei servizi resi e l’eventuale produzione di utili. Oggetto di specifica censura è poi l’ultimo periodo del comma 32, per violazione dell’art. 117, sesto comma, Cost., là dove prevede un decreto ministeriale di natura sostanzialmente regolamentare in una materia di competenza legislativa concorrente. Secondo la Regione Liguria, sarebbe paradossale che nel procedimento di codecisione del decreto in parola sia coinvolto il Ministro competente per il federalismo e non lo siano, invece, le sedi istituzionali di confronto con le Regioni, donde la violazione del principio di leale collaborazione, per omessa previsione della necessità dell’intesa con la Conferenza Stato-Regioni o con la Conferenza unificata.”;
- la Regione Emilia Romagna e la Puglia non muovono specifiche doglianze sul comma 32 dell’art. 14 ad altre ma su altre parti del D.L. 78/2010.
Laconica la difesa dell’Avvocatura Generale dello Stato che si limita ad osservare che l’obiettivo del contenimento della spesa rimanda alla materia dell’ordinamento civile che è di competenza legislativa esclusiva dello Stato.
La sentenza accoglie la teoria avanzata dall’Avvocatura Generale dello Stato e quindi esclude un vizio per incapacità a legiferare. Inoltre ravvisa:
(i) che le modifiche successivamente intervenite sul testo della legge non hanno inciso sulla sostanza normativa e “pertanto le questioni promosse nei confronti del testo originario” devono riferirsi al testo oggi vigente;
(ii) la ratio legis, come di seguito riportata “La norma impugnata presenta i caratteri di una sanzione nei confronti degli enti le cui società partecipate non presentino bilanci in utile negli ultimi tre esercizi o abbiano subito riduzioni di capitale conseguenti a perdite di bilancio o, ancora, abbiano subito riduzioni di capitale conseguenti a perdite di bilancio, per effetto delle quali il Comune sia stato gravato dell’obbligo di procedere al ripiano delle perdite medesime. In particolare, sugli enti “non virtuosi” (nel senso prima precisato) incombe l’obbligo di mettere in liquidazione le società già costituite al momento dell’entrata in vigore del d.l. n. 78 del 2010, obbligo che non sussiste per gli enti le cui società siano “virtuose” (sempre nel senso già precisato).Il divieto di costituire nuove società opera invece nei confronti di tutti gli enti (senza distinzione tra “virtuosi” e non) con popolazione inferiore a 30.000 abitanti. Tale divieto risponde all’esigenza di evitare eccessivi indebitamenti da parte di enti le cui piccole dimensioni non consentono un ritorno economico in grado di compensare le eventuali perdite subite. È chiaro quindi l’intento di assicurare un contenimento della spesa, non precludendo, in linea di principio, neanche agli enti con popolazione inferiore a 30.000 abitanti la possibilità di mantenere in esercizio le società già costituite. Se questa è la finalità, lo strumento utilizzato dal legislatore statale per perseguirla è una norma che incide in modo permanente sul diritto societario, escludendo per determinati soggetti pubblici (i Comuni con popolazione inferiore a 30.000 abitanti) l’idoneità a costituire società partecipate. Si tratta pertanto di una regola ricadente nella materia dell’ordinamento civile, di competenza esclusiva dello Stato
Si deve pertanto concludere che la norma è stata dichiarata legittima ai fini del rispetto della Costituzione, anche se il Giudice delle Leggi non ha esaminato la evidente asimmetria della disciplina fra comuni con popolazione al di sotto dei 30.000 abitanti e quella tra i 30.000 e 50.000 abitanti, non giustificabile in quanto rappresentanti fattispecie analoghe.
5. Ricostruzione di un percorso interpretativo per la individuazione di categorie societarie (ancora) detenibili dai comuni a modesta dimensione demografica.
La sentenza della Corte Costituzionale ha confermato il disfavore che l’ordinamento evidenzia verso il fenomeno delle società partecipate dagli enti locali, la cui sintesi è il passo della sentenza del giudice delle Leggi che afferma:”Il divieto di costituire nuove società opera invece nei confronti di tutti gli enti ( senza distinzione fra virtuosi e non) con popolazione inferiore a 30.000 abitanti”.
Secondo la dottrina tuttavia vi sono categorie societarie che possono non ricadere nel divieto in quanto dipendono a loro volta da scelte imposte per legge, anche se a ben vedere nessuna norma dell’ordinamento impone imperativamente l’uso del modulo societario per lo svolgimento di funzioni o servizi comunali. A ben vedere si tratta di quelle società la cui disciplina deroga al diritto comune o meglio la loro costituzione è prevista da norme speciali che di solito ne definiscono anche lo scopo che si appaia o sovrappone allo scopo di lucro previsto dal codice civile.
In coerenza con l’insegnamento ricevuto dalla Corte costituzionale il tema va affrontato da un altro punto di vista: vi possono essere opzioni organizzative attuate attraverso strumenti societari ove l’ente locale di minore dimensione demografica si trova, gioca forza a dover partecipare (senza essere l’ente che costituisce la nuova società).
Un caso emblematico è rappresentato dai servizi di accertamento, liquidazione, o riscossione dei tributi locali che, in alcune realtà territoriali italiane, si stanno organizzando proprio su base provinciale se non addirittura regionale e ove i comuni di minori dimensione economiche sono i primi interessati a parteciparvi al fine di poter comunque espletare il proprio”dovere” istituzionale: la riscossione dei tributi. In questo caso siamo di fronte sicuramente ad un disposizione eccezionale che deroga le regole del codice civile: art. 52 quinto comma lett. c) del D.lgs 446 del 16/12/1977.
Ma se ciò che deve essere preso in considerazione è il profilo di stretta necessità organizzativa - e non l’obbligo giuridico – sullo stesso piano devono essere inserite anche quelle società partecipate da più enti locali ritenute necessarie per l’organizzazione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica a rete. Trattasi ad esempio dei consorzi azienda che si sono trasformati in società e che hanno continuato fino ad oggi a gestire i servizi pubblici locali a rete come il servizio di idrico integrato continueranno a farlo anche in futuro nella forma dell’in house providing. A ciò si aggiunga che la proposta di modifica del Decreto ambientale D.lgs 3/04/2006 n. 152 (approvata dal Senato il 9/05/2012) che ripropone una nuova versione della società in house providing qualora le pregresse gestioni raggiungano il completamento dell’intero bacino assumendo anche la funzione di ente di regolazione. Il mantenimento delle società partecipate da più enti locali poi può assurgere anche come forma aggregativa per la successiva partecipazione alle gare come nel caso ad esempio del trasporto pubblico locale. Mutatis mutandis per le diverse scelte organizzative che invece possono mettersi in campo “trasformando “ la società in house in società mista pubblico privata con scelta del socio privato con gara a cd. doppio oggetto.
In queste situazioni come si dovrà contenere il singolo comune con popolazione inferiore a 30.000 abitanti, in quanto è evidente che ha la “necessità” organizzativa di (i) partecipare alla società se questa viene costituita ex novo; ovvero continuare a parteciparvi senza potere tuttavia avere la possibilità (quantomeno come singolo in presenza di una moltitudine di altri comuni anche con dimensioni demografiche superiori a 50.000 abitanti) di modulare o rimodulare la partecipazione in misura paritetica o proporzionale al numero di abitanti.?
La teoria affacciata dalla dottrina e dalla Corte dei Conti sezione per il controllo della Puglia prenderebbe in considerazioni anche tali possibilità.
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