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È cosa nota che il corretto svolgimento dell’azione amministrativa, da un lato, e il principio generale di contabilità pubblica sotteso all’art. 81 della Costituzione, dall’altro, esigono che i provvedimenti comportanti una spesa siano adottati soltanto in presenza di adeguata copertura finanziaria.
Si tratta di un assunto che si declina, per il sistema delle Autonomie locali, nell’art. 191, comma 1, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (T.U.E.L), secondo cui “gli Enti locali possono effettuare spese solo se sussiste l'impegno contabile registrato sul competente intervento o capitolo del bilancio di previsione e l'attestazione della copertura finanziaria”.
Questa norma di principio, posta a presidio delle corrette procedure contabili da attivarsi per assumere impegni ed effettuare spese nell’ambito dell’Ente locale, trova poi una grave sanzione nel comma 4 dello stesso art. 191, là dove si dispone che qualora, per contro, vi sia stata l'acquisizione di beni e servizi in violazione alle procedure previste in materia di spesa, il rapporto obbligatorio intercorre, in tale caso, “tra il privato fornitore e l'amministratore, funzionario o dipendente che hanno consentito la fornitura”.
Per quanto chiara e precisa possa risultare l’enunciazione di queste regole contabili, la comune esperienza dimostra come non sempre sia agevole garantirne in concreto la puntuale applicazione, specialmente allorquando l’Ente locale sia chiamato a bilanciare molteplici interessi in gioco, magari versando – come il più delle volte accade – in uno stato di perdurante ristrettezza finanziaria.
Una situazione emblematica di tale oggettiva difficoltà d’azione può riscontrarsi in sede di gara pubblica, ossia nel corso di quella procedura selettiva cui l’Ente locale deve di regola attenersi, nella fase di scelta del contraente per lavori, forniture e servizi.
Mentre è un dato di fatto che, all’atto dell’indizione della gara, sussiste di norma la copertura finanziaria del contratto da stipularsi in esito alla procedura concorsuale, può talora accadere che, nel corso della gara, sopravvengano circostanze del tutto inattese, suscettibili di compromettere la copertura finanziaria originariamente prevista.
Tale evenienza può verificarsi, nello specifico, in relazione a procedimenti di gara particolarmente lunghi e complessi, come quelli derivanti, per esempio, dall’attuazione della legge 26 febbraio 1992, n. 211, volta a favorire con aiuti economici dello Stato la realizzazione, da parte degli Enti locali, di interventi nel settore dei sistemi di trasporto rapido di massa.
Com’è noto, tale fonte normativa prevede che gli Enti locali interessati predispongano, in una prima fase della procedura, i piani d'intervento corredati da analisi comparative costi-benefici definendo, ove necessario, accordi di programma con le amministrazioni e i soggetti coinvolti, nonché approvando alcuni documenti preliminari, quali la progettazione di massima dell’intervento, uno studio di valutazione d’impatto ambientale e un piano economico-finanziario volto ad assicurare l'equilibrio finanziario dell’opera pubblica.
Detto piano economico-finanziario deve, tra l'altro, fornire indicazioni sull'investimento complessivo ivi compresi gli oneri finanziari, i costi di manutenzione delle infrastrutture e degli impianti, i costi di gestione, i proventi dell'esercizio calcolati sulla base delle tariffe definite per conseguire l'equilibrio del piano economico-finanziario medesimo, nonché gli investimenti privati e i finanziamenti pubblici derivanti da leggi statali e regionali e da impegni di bilancio comunale.
A corredo di questi dati debbono essere altresì predisposte analisi tecniche aventi per oggetto le modalità specifiche di integrazione con le altre reti di trasporto pubblico e la loro eventuale ristrutturazione in funzione del nuovo sistema.
Nell’ambito dell’iter legislativo in parola, è inoltre previsto che i programmi d’intervento e gli accordi di programma proposti dagli Enti locali aspiranti al contributo statale siano trasmessi, per l’approvazione, al Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE).
Ove tale approvazione abbia luogo, il programma d’intervento prevede poi lo sviluppo della progettazione ai diversi livelli, l’accensione dei mutui per il finanziamento dell’opera, l’indizione di apposite conferenze di servizio interne ed esterne, l’avvio delle eventuali procedure d’esproprio e infine, nel quadro organico di uno stringente crono-programma, l’espletamento della gara ad evidenza pubblica a cura dell’Ente locale, soggetta alla vigilanza e al monitoraggio degli uffici ministeriali.
È evidente che nell’ambito di una procedura concorsuale così articolata e complessa può accadere che, per esigenze di coordinamento tra le diverse fasi amministrative dell’intervento, debba intercorrere un certo lasso di tempo tra l’indizione della gara e la sua celebrazione, o tra l’aggiudicazione provvisoria e quella definitiva, propedeutica alla stipula del contratto con l’impresa individuata e l’apertura dei cantieri per l’inizio dei lavori, di regola suddivisi per lotti.
Come si deve comportare in questo frangente l’Ente locale, qualora nel corso della suddetta gara sopravvenga un fattore imprevisto – quale, ad esempio, una drastica riduzione dei finanziamenti regionali per la gestione del trasporto pubblico locale, o la sopravvenuta crisi economica della società pubblica locale designata a realizzare l’opera – che comprometta la stabilità del piano economico-finanziario sotteso alla costruzione del nuovo sistema di trasporto?
Dinanzi a questo cruciale interrogativo, la giurisprudenza ha fornito alcune interessanti indicazioni operative, che possono utilmente orientare funzionari e amministratori locali in delicati frangenti, ove può risultare difficile assumere scelte e prendere la giusta decisione.
Costituisce, innanzitutto, una norma prioritaria di condotta ispirata ai principi di buona amministrazione la necessità di impartire alla procedura una battuta d’arresto, ogni qualvolta incomba il pericolo per l’Ente di fare il passo più lungo della gamba, tanto più che tale elementare principio d’azione, nel caso dell’Ente pubblico, appare senza dubbio imposto dal preminente rilievo che le risorse debbono essere sempre gestite con particolare prudenza e attenzione agli interessi primari della collettività amministrata.
Di qui l’assunto in base al quale la mancanza della copertura finanziaria rende doveroso il ritiro degli atti di indizione della gara, che rappresenta l'unico strumento utilizzabile dall'amministrazione per evitare l'affidamento di un appalto e la successiva stipulazione del contratto in assenza della necessaria copertura finanziaria (TAR Sicilia, sez. I, 4 febbraio 2011 n. 210).
Tale principio costituisce senza dubbio una pietra miliare, dacché, come la decisione del TAR Sicilia Palermo, sez. I, 18 aprile 2005, n. 560 aveva già in precedenza rilevato, se l’Amministrazione non può stipulare il contratto per l’assenza della necessaria copertura finanziaria, l’unico strumento a sua disposizione per rimediare all’erronea indizione della gara non può che essere l’annullamento di tale illegittimo atto.
Si tratta però di accertare, nel caso in parola, quale margine di manovra competa alla Pubblica amministrazione nel dare corso al ritiro degli atti di gara, senza ledere con tale operato i diritti dei terzi ed esporsi nei loro confronti a possibili istanze di risarcimento danni.
Ha lucidamente rilevato, sul punto, la sentenza del TAR Sardegna, sez. I, 7 settembre 2010, n. 2167 che “se è vero che deve riconoscersi la libertà dell'Amministrazione di non dare corso all'aggiudicazione con la stipula del contratto, è pur vero che l'insindacabilità della discrezionalità dell'Amministrazione incontra, pur sempre, un limite insuperabile nei principi di buona fede e correttezza di cui all’art. 1337 c.c., alla cui puntuale osservanza è tenuta anche la P.A., e nella tutela dell'affidamento ingenerato nel privato. Segnatamente, realizza un comportamento divergente dalle menzionate regole di buona fede e correttezza l’amministrazione che, nel porre in essere una procedura di affidamento di lavori , non addivenga alla stipula del contratto per l’omessa verifica e vigilanza sulla sussistenza della relativa copertura finanziaria. E’ onere dell’amministrazione che ha indetto la gara, infatti, vigilare sulla sussistenza, prima, e sulla permanenza, poi, dei presupposti finanziari necessari alla stipula del contratto ed alla sua esecuzione”.
D’accordo, l’art. 1337 c.c. è una norma che si applica alla Pubblica amministrazione, e qualora un’ipotesi di responsabilità precontrattuale risulti accertata a carico dell’Ente, il danno risarcibile corrisponderà in questo caso – secondo la costante giurisprudenza in materia – alla diminuzione patrimoniale subita dal soggetto terzo, a causa del comportamento assunto in violazione dell’obbligo di correttezza.
Occorre tenere presente, tuttavia, che secondo un orientamento ormai consolidato la responsabilità precontrattuale della Pubblica amministrazione ex art. 1337 c.c. non è configurabile nella fase anteriore alla scelta del contraente, ossia nella fase in cui i soggetti interessati rivestono la mera qualità di partecipanti alla gara e vantano perciò soltanto una posizione di interesse legittimo al corretto esercizio dei poteri dell’Ente.
Sotto questo profilo, non può configurarsi un diritto al risarcimento del danno ex art. 1337 c.c. a favore dell'impresa, che abbia presentato domanda di partecipazione a una procedura ad evidenza pubblica, che la stazione appaltante abbia revocato, adducendo motivi finanziari (ex plurimis Consiglio Stato, sez. V, 8 settembre 2010 , n. 6489 e 28 maggio 2010, n. 3393).
Sono queste le ragioni per cui la decisione del TAR Sicilia, sez. I, n. 210/2011, in precedenza citata, ha potuto asserire che “nel caso di revoca d'ufficio di un atto endoprocedimentale inserito in una gara d’appalto non è richiesta alcuna comunicazione di avvio del procedimento, dovendosi ritenere la stazione appaltante obbligata al rispetto delle garanzie partecipative solo quando l'esercizio del potere di autotutela abbia ad oggetto l'aggiudicazione definitiva, in ragione della posizione di vantaggio, che solo quest'ultima costituisce in capo all'impresa aggiudicataria”.
Questa visione delle cose trova un’autorevole conferma nella sentenza del Consiglio di Stato, sez. V, 24 marzo 2006, n. 1525, secondo la quale “l’aggiudicazione provvisoria determina nell'aggiudicatario soltanto una aspettativa di mero fatto e non già un affidamento qualificato. Di conseguenza, ove la Pubblica amministrazione decida di revocare, in sede di autotutela, il provvedimento di aggiudicazione provvisoria, l’avvio del relativo provvedimento non dovrà essere notificato al soggetto provvisoriamente aggiudicatario”.
È il caso di segnalare, però, che vi sono pronunce giurisprudenziali di diverso segno sull’argomento, le quali non sembrano affatto escludere una responsabilità precontrattuale della Pubblica amministrazione anche nella fase anteriore all’aggiudicazione definitiva, in quanto richiamano l’Ente pubblico all’obbligo generico di correttezza nella fase negoziale con i terzi.
Secondo, per esempio, la sentenza del TAR Lazio sez. III, 22 giugno 2009, n. 5986 “in materia di procedure di evidenza pubblica, deve ammettersi, pacificamente, la configurabilità di una responsabilità precontrattuale a carico della Pubblica amministrazione, atteso che, anche in tali procedure, l'Amministrazione è tenuta, ai sensi dell'art. 1337 c.c., a comportarsi secondo buona fede durante lo svolgimento delle trattative”.
Con tali premesse, il Tribunale amministrativo non esita ad asserire che “in tema di gare pubbliche, l'Amministrazione risponde a titolo di responsabilità precontrattuale soltanto se, nel momento in cui abbia accertato o poteva essere accertato il venir meno della copertura finanziaria, abbia comunque proceduto all'aggiudicazione provvisoria ingenerando l'affidamento nel privato”.
Si può dunque concludere che, fermo restando il principio generale per cui gli atti endoprocedimentali non conferiscono situazioni di vantaggio ai terzi, con l’effetto che la loro revoca non impone all’Ente la comunicazione agli interessati di avvio del procedimento, la Pubblica amministrazione è comunque tenuta, in ogni fase del procedimento, a comportarsi con correttezza e secondo buona fede, avendo cura di tutelare al massimo grado l’affidamento dei soggetti terzi con i quali essa entra in rapporto.
È fatto salvo, in ogni caso, l’imperativo categorico al quale deve sempre sottostare l’Ente locale in sede di gara, rappresentato dall’imprescindibile esigenza che l’aggiudicazione definitiva non abbia luogo, allorquando non sarebbe possibile la conseguente assunzione dell’impegno di spesa nel bilancio dell’Ente.
Michele Nico
(www.comuniminoriepartecipate.it)
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