I La delineazione del quadro normativo in tema di gare del gas.
1.1 Con la pubblicazione del decreto n. 226/2011, sulla Gazzetta Ufficiale n. 22 del 27 gennaio 2012, si chiude il percorso regolatorio, in tema di affidamento delle concessioni del servizio di distribuzione del gas naturale, iniziato con le previsioni dell’art. 46 bis del D.l. 159/2007.
Vale la pena di ricordare come tale disposizione abbia introdotto un importante novità disponendo che le gare debbano effettuarsi per Ambiti Territoriali Minimi (c.d. Atem) demandando la definizione del nuovo “sistema” a futuri decreti ministeriali.
In particolare i Ministri dello sviluppo economico e per gli affari regionali e le autonomie locali (su proposta dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas e sentita la Conferenza unificata) sono stati chiamati a determinare gli ambiti territoriali minimi per lo svolgimento delle gare.
Inoltre i suddetti ministeri, sentita la Conferenza unificata e su parere dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas, hanno ricevuto l’incarico d’ individuare i criteri di gara.
1.2 L’introduzione dell’art. 46 bis ha dato luogo ad un ampio dibattito in merito alla circostanza se i Comuni potessero continuare a bandire le gare in maniera autonoma, senza cioè attendere la definizione degli Ambiti territoriali minimi. Chiarezza sul punto è stata fatta dalla giurisprudenza, che con svariate pronunce (1) ha ritenuto legittima la scelta di bandire la gara su base comunale per due ordini di ragioni:
i) in primo luogo, ha osservato che fino a che non fossero stati pubblicati i Decreti attuativi dell’art. 46 bis, non era nei fatti possibile bandire le gare sulla base degli Atem, di modo che si sarebbe cristallizzata la situazione preesistente consentendo una proroga sine die delle concessioni in essere scadute (o in scadenza), bloccando il mercato e dunque la concorrenza.
Ciò anche alla luce della circostanza che in forza della disciplina contenute nel decreto Letta in tema di periodo transitorio le concessioni in essere sono scadute il 31 dicembre 2009, oppure il 31 dicembre 2010.
Infatti le uniche concessioni in essere sono quelle affidate mediante gara ad evidenza pubblica, vale a dire una minoranza.
ii) in secondo luogo ha rilevato che la partecipazione agli Atem non poteva di certo ritenersi obbligatoria, stante le previsioni, contenute nell’art 46 bis, di un incentivo per i comuni che avessero aderto agli Ambiti Territoriali Minimi.
Incentivo che non avrebbe senso riconoscere laddove la decisione di partecipare agli Atem fosse una scelta vincolata.
Tali conclusioni sono poi state superate dall’evolversi della situazione.
Quanto al primo aspetto l’emanazione dei decreti di cui si dirà nei paragrafi seguenti ha posto rimedio alla situazione d’impasse evidenziata dalla giurisprudenza.
In ordine al secondo si osserva che l’art. 24, comma 4 del D.Lgs. 93/2011, ha superato la precedente formulazione, togliendo ogni perplessità in merito alla facoltatività delle gare. La norma è infatti statuisce che : “a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto le gare per l'affidamento del servizio di distribuzione sono effettuate unicamente per ambiti territoriali di cui all'articolo 46-bis (..2. )”.
1.3 E’ a questo punto opportuno richiamare i provvedimenti via via assunti in attuazione dell’art.46 bis vale a dire:
• •il D.M. 19 gennaio 2011(GU n. 74 del 31.3.11) che ha individuato i 177 Atem;
• •D.M. 18 ottobre 2011 (GU n. 252 del 28.10.11)contenente l’elenco puntuale dei Comuni appartenenti a ciascun Atem;
• • D.M. 12 novembre 2011 n° 226(GU n. 22 del 27.1.2012 (3) recante il regolamento sui criteri di gara e la valutazione delle offerte per l’affidamento del servizio).
1.4 E’ dunque opportuno iniziare l’analisi del decreto n. 226/2011, il cui contenuto può essere distinto in due parti:
• nella prima si occupa di individuare il soggetto chiamato a bandire e gestire la gara nonché a scolpire i rapporti fra gli enti locali parti di ciascun ambito.
• con la seconda provvede a specificare le modalità con le quali la gara si dovrà svolgere, a delineare il contenuto dei bandi nonché a definire le modalità di riscatto delle reti e degli impianti.
Si deve notare come nel affrontare la prima questione il decreto è stato alquanto sintetico (è regolata in soli due articoli), per contro in relazione alla seconda l’intervento è indubbiamente analitico avendo toccato nel dettaglio pressocchè ogni problematica. (4)
Al riguardo non si può fare a meno di osservare come l’impegno profuso sia inversamente proporzionale alla necessità di avere una puntuale regolazione della materia.
Infatti, come meglio si vedrà nelle righe che seguono, sarebbe stata utile una più precisa e attenta determinazione dei rapporti tra gli enti locali in seno agli ambiti.
Per contro le gare avrebbero potuto svolgersi anche senza la pedissequa regolazione contenuta nel decreto in esame, anzi viene da dubitare della legittimità di un intervento così specifico che finisce col togliere ogni possibilità di scelta alle stazioni appaltanti. Questo argomento sarà toccato nelle pagine che seguono.
II Le funzioni della stazione appaltante
2.1 Venendo dunque all’esame dell’articolo 2 del decreto, lo stesso detta le modalità (cfr. comma 1) con cui deve essere individuato il soggetto che esplicherà la funzione di stazione appaltante per conto degli enti locali facenti parte dell’ambito.
Si noti che la stessa è chiamata a svolgere attività di notevole rilievo, infatti (in base al comma 4) la stazione appaltante prepara e pubblica il bando ed il disciplinare di gara, svolge e aggiudica la gara.
Si consideri che, ai sensi dell’art 9 comma 3, la stazione appaltante in autonomia predispone le linee guida programmatiche d'ambito con le condizioni minime di sviluppo, differenziate rispetto al grado di metanizzazione raggiunto in ciascun Comune, alla vetustà degli impianti, all'espansione territoriale e alle caratteristiche territoriali.
Successivamente basandosi sulle suddette linee guida provvederà in collaborazione con gli Enti locali concedenti a preparare il documento guida per gli interventi di estensione manutenzione e potenziamento, in base a cui i concorrenti redigeranno il piano di sviluppo dell'impianto di cui all'articolo 15.
Al riguardo si osservi come la stazione appaltante sia chiamata a compiere scelte che vincoleranno i comuni parti dell’ambito compiendo valutazioni di carattere discrezionale ed assumendo in tal modo una funzione centrale.
Per contro le funzioni di questi ultimi appaiono ridotte, dovendosi gli stessi limitare a fornire i dati relativi al rispettivo territorio ed a collaborare nella predisposizione del documento guida, non potendo essere altri che la stazione appaltante a sintetizzare e coordinare le loro istanze, e dunque in ultima istanza a decidere.
In particolare a rilevare non è tanto l’attività compiuta in sede di gestione della gara ( rientrando la stessa in binari oggettivi quelli della buona amministrazione), quanto quella volta a definire il contenuto dei documenti di gara, essendo tale attività caratterizzata da un margine di discrezionalità (in quanto volta all’ individuazione degli investimenti da compiere e la loro suddivisione sul territorio dell’ambito).
2.2 Il comma 5 dell’art 2 dispone che (salvo l'individuazione di un diverso soggetto da parte degli enti locali concedenti) la stazione appaltante cura anche ogni rapporto con il gestore. In particolare essa svolge la funzione di controparte del contratto di servizio per delega espressa degli enti locali concedenti.
Anche in questo caso la stazione appaltante si trova a gestire, in quasi totale autonomia, il rapporto conseguente l’aggiudicazione della gara.
Tale autonomia è in parte limitata dalla previsione che la stazione appaltante sia coadiuvata, nella funzione di vigilanza e controllo, da un comitato di monitoraggio costituito dai rappresentanti degli Enti locali concedenti appartenenti all'ambito, per un massimo di 15 membri.
Sempre in ordine alla gestione del rapporto si noti che l’autonomia decisionale della stazione appaltante incontra un deciso limite nella previsione di cui al comma 7 secondo la quale la decisione in ordine alla risoluzione del contratto - in caso di gravi e reiterate inadempienze al contratto di servizio- deve essere assunta dalla maggioranza dei Comuni appartenenti all'ambito, ponderata in funzione del numero delle utenze gas servite in ciascun Comune.
2.3 Tuttavia tali limitazioni possono in parte riequilibrare il rapporto ma non mutano la questione di fondo data dal fatto che gli enti locali singolarmente considerati vedono ridotte le loro potestà in materia di servizi pubblici locali, trasferendosi tale funzione nell’esercizio associato che si esplica nell’attività della stazione appaltante.
III. L’individuazione della stazione appaltante
3.1 Vista la funzione centrale attribuita alla stazione appaltante è ora necessario analizzare le modalità con le quali questa viene individuata.
L’articolo 2 al comma 1 distingue tra due diverse ipotesi.
3.2. Laddove dell’ambito faccia parte il Comune capoluogo di provincia il ruolo di stazione appaltante è demandato a questo, ferma restando la possibilità di demandare tale ruolo, ove sia presente, a una società di patrimonio delle reti costituita ai sensi dell'articolo 113, comma 13, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (di seguito società patrimoniale).
Le decisioni da assumere riguardano anzitutto la scelta se far bandire la gara al comune capoluogo oppure ad una società patrimoniale, inoltre laddove in un ’ambito siano presenti più società patrimoniali occorrerà stabilire quale tra esse potrà essere chiamata a gestire la gara.
Si osservi che la norma non indica chi sia chiamato a compiere tali scelte, né con quali criteri queste debbano essere compiute, infatti si limita ad imporre che la società investita sia già presente (con l’evidente intento di evitare che vengano costituiti nuovi soggetti in vista delle gare).
In particolare ci si chiede se tale decisione spetti ai comuni parti dell’ambito oppure se la stessa spetti al comune capoluogo che investito ex lege della funzione decide se svolgerla direttamente o attribuirla ad una società patrimoniale.
L’uso del termine demandare di per se non attribuisce una potestà di scelta ma indica l’obbligo di affidare lo svolgimento di una data attività ad un soggetto. Al riguardo si confronti tale previsione con quella utilizzata per gli ambiti che non hanno al loro interno il comune capoluogo, dove l’utilizzo del termine individuare non lascia dubbi sulla circostanza che i comuni saranno chiamati ad un scelta.
Tuttavia laddove si può demandare a più soggetti si pone la necessità d’individuare chi sarà l’effettivo affidatario, introducendo in tal modo la necessità di scegliere.
Un ulteriore questione riguarda l’individuazione della società patrimoniale a cui attribuire la funzione, domanda che assume particolare rilievo soprattutto nell’ipotesi che si ritenessero competenti alla scelta i comuni dell’ambito. Al riguardo ci si domanda se debba essere legata necessariamente al comune capoluogo,.
Si consideri poi che, laddove si accedesse all’interpretazione più ampia e cioè che spetta ai comuni individuare il soggetto cui demandare la gara, la logica della previsione non apparirebbe chiara, non comprendendosi per quale ragione si appalesi una scelta tra comune capoluogo e società patrimoniali e non si comprendano altri soggetti (come quelli considerati nel paragrafo seguente).
L’impressione è che il normatore intendesse individuare nel comune capoluogo il soggetto chiamato a bandire la gara salva la possibilità per questo d’incaricare la società patrimoniale, ma che la tecnica legislativa usata non abbia reso in modo compiuto tale volontà.
In conseguenza appare ragionevole partire da questa valutazione ed accedere ad una interpretazione sostanzialistica che attribuisce la funzione al comune capoluogo, fatta salva la possibilità per questo di deviarla su una società patrimoniale di cui è parte.
3.3. Nel caso in cui il Comune capoluogo di provincia non appartenga all'ambito, la norma prevede che i comuni individuino: un Comune o la Provincia, o un altro soggetto già istituito, quale una società di patrimonio delle reti, al quale demandare il ruolo di stazione appaltante
La formulazione fa sorgere una prima questione: non appare definita la figura dell’altro soggetto cui demandare lo svolgimento delle attività di gara, infatti - al di là della specificazione che debba già essere costituito - la norma nulla dice quali caratteristiche lo stesso debba avere.
La genericità della previsione impone all’interprete di colmare il vuoto individuando soggetti che possano essere investiti della suddetta funzione, appare ragionevole ricomprendervi oltre alle richiamate società patrimoniali proprietarie delle reti, nonché i altri enti pubblici, si pensi ad esempio alle comunità montane che già raggruppano diversi enti locali.
Sembrano per contro da escludere società pubbliche che svolgano attività di carattere concorrenziale
3.4 I comuni si trovano a scegliere e già questa decisione è di per sé rilevante, ma lo è ancor più alla luce della circostanza che la stazione appaltante dovrà compiere scelte caratterizzate da discrezionalità.
Nonostante ciò il decreto non indica quali siano i procedimenti decisionali da adottarsi.
Molto banalmente: trovandoci di fronte ad una pluralità di soggetti appare scontato che si applicherà il principio maggioritario il punto è comprendere come le maggioranze saranno calcolate, al riguardo in astratto si propongono due distinti modelli l’uno attribuisce ad ogni ente locale il medesimo peso, l’altro invece lo modula in relazione alle caratteristiche dei comuni stessi (es. numero di abitanti, numero di utenti ecc.).
A dire il vero il decreto detta un criterio in base al quale determinare le maggioranze (quello del numero delle utenze gas servite in ciascun Comune), ma lo fa in un ambito limitato in ordine alla risoluzione per inadempimento del contratto di affidamento al gestore dell'ambito, e dunque inidoneo (almeno sotto il profilo dell’interpretazione letterale) ad essere esteso a tutte le attività decisorie.
I differenti effetti dell’adozione dell’uno o dell’altro modello appaiono talmente evidenti da non richiedere particolari commenti, salvo osservare come in mancanza di previsioni normative saranno gli enti a dover provvedere a regolare la fattispecie.
A dire il vero appare gravoso attribuire agli stessi enti locali l’onere di una decisione che ha così importanti ricadute concrete, tuttavia questa appare al momento come l’unica via.
Dunque gli enti locali dovranno preliminarmente farsi carico della questione supplendo all’incompletezza del testo normativo, provvedendo a sottoscrivere delle convenzioni che regolino il loro modus operandi in seno all’ambito.
3.5 Al fine di meglio inquadrare la questione sopra delineata vale la pena di compiere un breve giro d’orizzonte nel panorama legislativo.
Partendo dall’esame dell’Art 118 Cost. secondo il quale “Le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza”.
Dunque, dall’esame di tale norma, è possibile ricavare il principio che vuole come condizione normale che il comune sia investito delle funzioni amministrative in tema di servizi pubblici ubicati sul suo territorio, essendo possibile derogarvi solo a fronte della necessità di assicurarne l’esercizio unitario.
Orbene, nel caso in esame tale esigenza si prospetta sotto forma di opportunità di svolgere i servizi su base territoriale più ampia, al fine di conseguire economie di scala e di ottenere una maggior efficienza tecnica, tant’è che anche alla luce delle più recenti previsioni normative (vedi art 3 bis l. 148/2011) pressocchè per tutti i servizi pubblici locali è previsto un ambito sovracomunale.
Dunque in astratto la “spogliazione delle funzioni” per i singoli comuni appare giustificabile ogni qual volta vi siano ragioni (che il legislatore deve indicare in maniera chiara) che inducano a ritenere preferibile una gestione a livello sovra comunale.
L’art 13 del D.Lgs. 18/08/2000 n 267 sulla linea di quanto ora visto dispone che “Spettano al comune tutte le funzioni amministrative che riguardano la popolazione ed il territorio comunale, precipuamente nei settori organici dei servizi alla persona e alla comunità, dell'assetto ed utilizzazione del territorio e dello sviluppo economico, salvo quanto non sia espressamente attribuito ad altri soggetti dalla legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze”.
Appare dunque evidente che sia il comune ad essere investito “in prima battuta” della competenza in materia di servizi pubblici locali pur facendo salva la possibilità per legge, di attribuire tale funzione ad altri soggetti.
Ciò detto, nella fattispecie in esame, il sistema dettato dal Decreto Ministeriale prevede che il singolo comune sia privato della competenza ad esplicare funzioni generalmente attribuitegli dalla Costituzione e dalla legge, per ragioni connesse ad una maggior efficienza del servizio e ad una riduzione complessiva dei costi del sistema (cfr. premesse al DM 19.01.2011).
Tali funzioni saranno svolte da diverso soggetto che potrà essere a seconda dei casi un altro comune (al quale assimilare gli altri soggetti indicati dal decreto) oppure la provincia.
Lo strumento utilizzato per realizzare questo risultato è la convenzione di cui all’ art. 30 della legge 267/2000 secondo il quale “Al fine di svolgere in modo coordinato funzioni e servizi determinati, gli enti locali possono stipulare tra loro apposite convenzioni”.
La norma specifica poi che “Le convenzioni devono stabilire i fini, la durata, le forme di consultazione degli enti contraenti, i loro rapporti finanziari ed i reciproci obblighi e garanzie”.
In questo modo se è vero che l’ente uti singuli è privato dell’esercizio diretto della funzione è però vero che attraverso la partecipazione alla convenzione continua ad esplicare le sue funzioni seppur in modo associato.
In altri termini, le sue scelte non si riverbereranno direttamente nella determinazione delle modalità di svolgimento del servizio ma si esplicheranno indirettamente attraverso l’accordo convenzionale che indica le modalità e fissa le basi su cui tali scelte saranno fatte.
Ne discende che nel caso in esame, mancando ogni regolazione a riguardo da parte del Decreto Ministeriale (che non era di certo lo strumento normativo più adatto per intervenire in materia) saranno i Comuni a doversi accordare – con lo strumento della convenzione, appunto - circa le modalità con cui concretamente procedere.
Tale convenzione, anche in relazione a quanto indicato al capitolo II°, riveste un ruolo di fondamentale importanza in quanto deve delineare un modus agendi che consenta ai singoli enti locali di partecipare alle scelte da compiersi in relazione alle gare.
3.6 Resta da considerare un ulteriore aspetto: diversi comuni hanno negli scorsi anni bandito gare ad evidenza pubblica sul loro territorio, in conseguenza i contratti di servizio da loro siglati dureranno sino alla scadenza.
La gara d’ambito riguarderà anche loro ma relativamente ad essi il soggetto vincitore potrà dare inizio all’attività di distribuzione solo una volta venuto esaurito il rapporto esistente, dunque diversi anni dopo l’affidamento del servizio su base d’ambito.
Ciò nonostante gli stessi dovranno partecipare alle operazioni relative alla formazione degli ambiti di cui si discute in questa sede, infatti gli esiti della gara questa conclusione è basata su una duplice argomentazione si carattere logico e formale.
Sotto il primo profilo si osservi che gli esiti della gara - anche se in un momento successivo- si ripercuoteranno anche su di essi e dunque è logico che partecipino alle operazioni in esame come qualsiasi altro ente locale interessato.
Sotto il secondo si osservi che non vi è alcuna norma che escluda l’applicazione delle disposizioni oggetto della presente analisi, venendo tali comuni trattati come tutti gli altri.
Egualmente potranno - dovranno nel caso del comune capoluogo - assumere la funzione di stazione appaltante, anche in questo caso non si rinviene alcuna previsione letterale che lo escluda.
Resta da considerare la situazione di ulteriori due tipologie di comuni: quelli non metanizzati e quelli sul territorio è in essere la distribuzione del G.P.L., anche in questo caso manca qualsiasi riferimento normativo, nondimeno si ritiene che anche loro debbano essere interessati alle attività oggetto dell’odierna analisi.
Infatti tra le attività decise in seno all’Atem potrebbe esservi la metanizzazione dei primi e la sostituzione della tipologia di gas distribuito per i secondi (si noti che per essi la distribuzione proseguirà sino alla scadenza naturale non essendo previsto alcun periodo transitorio).
IV La tempistica.
4.1 Il decreto provvede poi alla determinazione della tempistica con la quale gli enti locali devono operare.
Il comma 2 si preoccupa di fissare l’inizio delle operazioni stabilendo che il Comune capoluogo di provincia qualora appartenente all'ambito, o la Provincia, negli altri casi, convochino, entro la data di cui all'allegato 1 (4) gli Enti locali concedenti appartenenti all'ambito, affinché provvedano a demandare alla stazione appaltante lo svolgimento della gara secondo le modalità indicate al comma 1.
Nell’ipotesi in cui il comune capoluogo non sia parte dell’ambito, il comma 3 si preoccupa dell’evenienza che non si sia provveduto all’individuazione del comune capofila entro 6 mesi dalla data prevista. Al riguardo dispone che il Comune con il maggior numero di abitanti o la Provincia trasmette alla Regione una relazione sulla situazione e sulle attività svolte, tale informativa è propedeutica all’intervento regionale di cui all'articolo 3.
Trattasi di una misura senz’altro condivisibile in quanto volta a garantire il rispetto di una ragionevole tempistica, non si comprende per quale ragione sia chiamata ad investire della questione la regione debba essere (anche) la Provincia cioè il soggetto che non ha adempiuto alla tempestivamente alla convocazione, né perché l’iniziativa a fronte dell’inattività dei soggetti preposti non possa essere assunta anche da un altro soggetto interessato.
4.2 Una volta individuata la stazione appaltante il decreto non si preoccupa di determinare una tempistica precisa per lo svolgimento delle operazioni di gara: si limita infatti a prevedere che entro 6 mesi da tale momento, gli Enti locali concedenti forniscono alla stazione appaltante la documentazione necessaria alla preparazione del bando di gara. (5)
Nessun’altra indicazione è fornita per lo svolgimento delle varie attività di gara, salvo la previsione dell’intervento regionale di cui si dirà nel paragrafo seguente.
4.3 L’art. 3, sempre al fine di contingentare i tempi prevede che, qualora non vengano rispettati i termini da esso fissati, la Regione con competenza sull'ambito, previa diffida ai soggetti inadempienti contenente un termine perentorio a provvedere, avvia la procedura.
In particolare è previsto un duplice termine:
(i) il primo relativo alla mancata individuazione del soggetto chiamato a gestire la gara laddove nell’ambito non sia presente il comune capoluogo (6), l’intervento della regione è previsto nel caso in cui non si sia adempiuto alla bisogna termine di 7 mesi dal momento fissato dall’allegato 1 per la convocazione; (7)
(ii) il secondo riguarda invece la mancata pubblicazione del bando di gara entro il termine di 15 mesi dal termine fissato nell'allegato 1 caso di presenza nell'ambito del Comune capoluogo di provincia, ed entro quello di 18 mesi nell’ipotesi in cui non vi sia.
4.4 Anche in questo caso la previsione appare condivisibile prevedendo un intervento esterno volto a garantire una celere effettuazione delle gare.
Tuttavia la stessa lascia alcune questioni aperte.
Anzitutto ci si chiede in cosa consista l’intervento regionale, la norma dispone in modo generico che si sostanzi nel dare avvio alla procedura di gara.
Da un primo esame parrebbe che la Regione si troverà chiamata a gestire la gara.
Nondimeno tale intervento appare logico nell’ipotesi di cui al punto ii), mentre appare eccesivo in relazione a quella sub i) in cui la Regione potrebbe limitarsi ad individuare il soggetto chiamato a bandire la gara, posto che l’inadempimento riguarda proprio tale attività.
Si noti poi che ci si trova di fronte ad un intervento di supplenza a fronte dell’inattività mostrata dai soggetti chiamati a svolgere una funzione, intervento che da un lato risponde all’esigenza di non rimandare il compimento di attività ritenute rilevanti dal legislatore, dall’altro ha una valenza sanzionatoria privando dell’esercizio di una funzione l’originario destinatario a fronte della sua inattività.
Ebbene questo secondo aspetto appare discutibile nel caso in esame, giacché l’intervento sanzionatorio si esplicherebbe sui comuni, nella sostanza incolpevoli dell’impasse, che vedrebbero ancor più allontanarsi da essi i centri decisionali in ordine alla gara.
Infatti l’inadempienza sarebbe loro ascrivibile solo nell’ipotesi in cui laddove fossero stati regolarmente e tempestivamente convocati non riescano ad individuare il soggetto chiamato a gestire la gara.
Non certo lo è nel caso in cui il comune Capoluogo o la Provincia non provvedano alla convocazione , così come in quello in cui una volta individuata la stazione appaltante questa non provveda a bandire la gara nei termini di legge.
4.5 Alla luce di quanto scritto nei paragrafi precedenti s’individuano i seguenti punti critici:
i) il decreto non indica quali siano i procedimenti decisionali da adottarsi, sia per individuare il soggetto cui demandare lo svolgimento della gara, sia per determinare il contenuto della stessa.
ii) posto che nell’ipotesi in cui sia presente il comune capoluogo va stabilito se far bandire la
gara a questo oppure ad una società patrimoniale (e laddove in un ’ambito siano presenti più società patrimoniali occorrerà stabilire quale tra esse potrà essere chiamata a gestire la gara), non è chiaro se tale decisione dovrà essere assunta dai comuni parte dell’Atem oppure dal capoluogo.
iii) nel caso in cui il Comune capoluogo di provincia non appartenga all'ambito, la norma prevede che i comuni individuino come stazione appaltante un Comune capofila, o la Provincia, o un altro soggetto già istituito. Ebbene, tale ultima figura appare alquanto generica.
iv) si esprimono infine dubbi sull’intervento suppletivo regionale. Nello specifico, appare ragionevole prevedere che la regione si sostituisca alla stazione appaltante laddove la gara non sia bandita nel termine fissato, mentre laddove l’inadempimento si sostanzi nella mancata individuazione del soggetto chiamato a gestire la gara, pare più ragionevole che la regione provveda ad individuarlo demandando allo stesso la gara.
1) Tra gli altri: TAR Lombardia, Brescia, n. 730/08; n. 582/08; n. 566/08; n. 1221/2009; Ordinanza cautelare n. 523/08) che dal Consiglio di Stato (Consiglio di Stato, Sez. V, n. 3890/10; n. 02/11; Ordinanza n. 5213/08.
2) Si noti che in ordine a tale disposizione il Tribunale Amministrativo Regionale di Milano (con Ordinanza n. 539/2012) ha sollevato una questione di legittimità costituzionale rilevando la sussistenza di un eccesso di delega.
3) Si consideri (per quanto non costituisca attuazione del citato articolo 46 bis) anche D.M. 21 aprile 2011 sulla tutela occupazionale degli addetti, direttamente o indirettamente, addetti alla gestione degli impianti oggetto di gara, dal momento del subentro del nuovo gestore.
4) L’allegato in oggetto suddivide gli ambiti in diversi gruppi e per ciascuno di essi fissa la data di convocazione, per i primi il termine è di 6 mesi dall’entrata in vigore della legge, per gli ultimi è di 42 mesi. I termini intermedi scattano ogni sei mesi.
5) Fatta salva la possibilità di questi di delegare la stazione appaltante per il reperimento diretto delle informazioni presso il gestore uscente.
6) A dire il vero la questione potrebbe porsi anche nel caso in cui sia presente il comune capoluogo l’incertezza riguardi l’individuazione tra questo e le società patrimoniali.
7) Si noti che la previsione in realtà dovrebbe applicarsi anche all’ipotesi in cui sia presente il comune capoluogo giacché anche in questo caso può essere necessaria una scelta tra questo ed una società patrimoniale.