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Le partecipazioni societarie degli enti locali e la sentenza della Corte costituzionale 20 luglio 2012, n. 199.
di Giovanni Giustiniani 4 ottobre 2012
Materia: società / partecipazione pubblica

LE PARTECIPAZIONI SOCIETARIE DEGLI ENTI LOCALI E LA SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE 20 LUGLIO 2012, N. 199,

 

a cura di Giovanni Giustiniani[1]

 

1. Al fine di promuovere il contenimento della spesa pubblica da parte delle amministrazioni e, più in particolare, dei comuni di piccole dimensioni, il legislatore ha dettato alcune disposizioni dirette a limitarne la capacità di diritto privato con riferimento alla possibilità di poter costituire società commerciali.

Nel solco di un siffatto obiettivo, il legislatore è quindi intervenuto anche in materia di servizi pubblici locali, settore in “difficoltà”, che è stato, con il referendum del 12-13 giugno 2011 prima, e con la sentenza della Corte Costituzionale 20 luglio 2012, n. 199, dopo, riconciliato con la più permissiva disciplina comunitaria.

2. Ai sensi dell’art. 3, comma 27, della Legge 24 dicembre 2007, n. 244 (“L. n. 244/07”),[2] le amministrazioni pubbliche non possono costituire società aventi ad oggetto attività di produzione di beni e servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali (c.d. società strumentali), né assumere o mantenere direttamente partecipazioni, anche di minoranza, in tali società (ciò del resto in linea con quanto già disciplinato dall’art. 13 del Decreto Legge 4 luglio 2006, n. 223[3]).

Tuttavia, precisa lo stesso comma, “è, in ogni caso, ammessa la costituzione e l’assunzione di partecipazioni in società che producono servizi di interesse generale (i.e. servizi pubblici locali, ndr[4])”.

3. Successivamente, e tenendo ferma la disciplina contenuta nei commi 27 e seguenti della citata L. n. 244/2007, l’art. 14, comma 32, del Decreto Legge 31 maggio 2010, n. 78 (“D.L. n. 78/10”),[5] ha espressamente vietato ai comuni con popolazione inferiore a 30.000 abitanti la costituzione di società, nonché prescritto la liquidazione di quelle esistenti o la cessione delle quote sociali entro il 31 dicembre 2012; termine esteso al 30 settembre 2013 per effetto dell’art. 29, comma 11 bis, del Decreto Legge 31 dicembre 2011, n. 216[6]).[7]

Al riguardo, gli enti potranno evitare la dismissione delle partecipazioni o la liquidazione delle società già costituite nei casi in cui tali società:

·               abbiano, al 31 dicembre 2012, il bilancio costantemente in utile negli ultimi tre esercizi;

·               non abbiano subito, nei precedenti esercizi, riduzioni di capitale conseguenti a perdite di bilancio;

·               non abbiano subito, nei precedenti esercizi, perdite di bilancio in conseguenza delle quali il comune sia stato gravato dell’obbligo di procedere al ripiano delle perdite medesime.

Il divieto e la dismissione di cui al comma 32 non si applicano alle società, con partecipazione paritaria, ovvero con una partecipazione proporzionale al numero degli abitanti, costituite dall’unione di più comuni la cui popolazione complessiva superi i 30.000 abitanti.

I comuni con popolazione compresa tra 30.000 e 50.000 abitanti possono invece detenere la partecipazione di una sola società: entro il 31 dicembre 2013 detti comuni dovranno mettere in liquidazione le altre società già costituite.[8]

4. La clausola di salvezza contenuta nel primo periodo dell’art. 14, comma 32, del D.L. n. 78/2010 (secondo la quale rimane “fermo quanto previsto dall’art. 3, commi 27, 28 e 29, della Legge 24 dicembre 2007, n 244”) ha, nell’immediato, posto problemi di coordinamento tra le due disposizioni.

La riferita normativa, inizialmente interpretata in modo da escludere dal divieto (o limite numerico) le società attive nel settore dei servizi pubblici locali,[9] è stata poi interpretata nel senso di vietare (o limitare) ai comuni di piccole dimensioni la possibilità di costituire società commerciali senza distinzioni di sorta quanto al tipo di attività svolta.

Secondo quest’ultimo e consolidato orientamento del giudice contabile, le disposizioni ex art. 3, comma 27, del D.L. n. 78/10 e 14, comma 32, del D.L. n. 78/2010 operano, infatti, su due piani distinti: la prima, imponendo alle amministrazioni pubbliche un vincolo di scopo, insiste su quello delle finalità perseguibili dall’ente mediante lo strumento societario; la seconda, fissando tetti correlati alla densità demografica dell’ente, va ad imporre, accanto al vincolo di scopo, anche un vincolo di tipo quantitativo.[10]

Conseguentemente, e a prescindere dal tipo di attività svolta,

·               i comuni con popolazione inferiore ai 30.000 abitanti non potranno né costituire nuove società, se non associandosi con altri enti, né detenervi alcuna partecipazione, se non in presenza delle richiamate condizioni derogatorie; mentre,

·               i comuni con popolazione compresa tra i 30.000 ed i 50.000 abitanti potranno detenere una sola partecipazione.[11]

In tal senso, l’Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici (“AVCP”), con parere 4 aprile 2012 n 40/11, ha ribadito“…. che la disciplina di cui all’art. 14 comma 32 del D.L. n. 78/2010 ha portata generale e che le società in house incaricate della gestione dei servizi pubblici locali, tanto esistenti quanto di nuova costituzione, devono tutte essere computate ai fini del rispetto dei limi imposti”.

5. La disciplina testé illustrata va infine letta alla luce delle disposizioni contenute nell'art 4 del Decreto Legge 6 luglio 2012, n. 95.[12]

Il primo comma dell’art. 4 cit. impone alle società controllate direttamente o indirettamente dalle pubbliche amministrazioni, che abbiano conseguito nell'anno 2011 un fatturato da prestazione di servizi a favore di pubbliche amministrazioni superiore al 90 per cento dell'intero fatturato, di procedere alternativamente:

·               allo scioglimento della società entro il 31 dicembre 2013,

·               all'alienazione, con procedure ad evidenza pubblica, delle partecipazioni detenute entro il 30 giugno 2013.

Il successivo terzo comma esclude dall'applicazione della richiamata disposizione le "società che erogano servizi in favore dei cittadini".[13]

Pertanto, i comuni con popolazione inferiore a 30.000 abitanti dovranno, nell’ordine, accertare se le società rientrano nella previsione della nuova disciplina, avendo conseguito nel 2011 un fatturato da prestazioni di servizi a favore di pubbliche amministrazioni superiore al 90 per cento dell’intero fatturato, e, in caso di accertamento negativo, ovvero in presenza dei requisiti di virtuosità richiesti dal più volte citato art. 14, comma 32, del D.L. n. 78/10, (potranno) deliberare il mantenimento delle partecipazioni societarie in questione.[14]

6. La normativa relativa ai servizi pubblici locali è stata di recente interessata dalla sentenza della Corte Costituzionale 20 luglio 2012, n. 199, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 4 del Decreto Legge 13 agosto 2011, n. 138 (“D.L. n. 138/11”).[15]

7. In breve, l’art. 23 bis del Decreto Legge 25 giugno 2008, n. 122 (“D.L. n. 112/08”),[16] fatta eccezione per i servizi pubblici espressamente esclusi, ha dettato una disciplina generale della materia volta a restringere, rispetto al livello minimo stabilito dalle regole concorrenziali comunitarie, le ipotesi di affidamento diretto e, in particolare, di gestione in house dei servizi de quibus, consentiti solo in casi eccezionali e al ricorrere di specifiche condizioni.[17]

Con referendum popolare 12-13 giugno 2011, la predetta normativa è stata abrogata, concretandosi così l’intento referendario di escludere l’applicazione delle norme più restrittive ivi contenute, che limitavano, proprio con riferimento al diritto comunitario, i casi di affidamento diretto e, segnatamente, quelli di gestione in house di pressoché tutti i servizi pubblici locali di rilevanza economica.

A distanza di pochissimo tempo, il Governo è intervenuto nuovamente in materia, adottando l’art. 4 del D.L. n. 138/11 che ha previsto una disciplina, vuoi, contraddistinta dalla stessa ratio di quella abrogata, ossia finalizzata ad operare un ridimensionamento del modello (di gestione) in house dei servizi,[18] vuoi, riproduttiva, in buona parte, di molte disposizioni dell’art. 23 bis cit.[19]

In quanto (sostanzialmente, ma non solo) riproduttivo dell’art. 23 bis del D.L. n. 112/08, abrogato dalla richiamata consultazione referendaria, la Corte, come anticipato, ha quindi dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 4 cit. poiché “la disposizione impugnata viola il divieto di ripristino della normativa abrogata dalla volontà popolare desumibile dall’art. 75 Cost., secondo quanto già riconosciuto dalla giurisprudenza costituzionale”.

8. A seguito dell’eliminazione dall’ordinamento della cennata regolamentazione, si è riprodotta la situazione verificatasi successivamente all’abrogazione dell’art. 23 bis cit. ad opera dell’istituto referendario, che non determinò la reviviscenza della normativa nazionale sostituita (i.e. i commi dell’art. 113 del TUEL con esso incompatibili), ma l’applicazione della normativa comunitaria.[20]

Oggi, gli enti locali sono pertanto liberi di scegliere di affidare la gestione dei servizi in argomento: (i) al mercato, tramite una gara pubblica; (ii) a società mista, con la selezione del socio privato (operativo), sempre tramite una gara (e senza vincoli in relazione alla percentuale di capitale da collocare sul mercato); (iii) a società in house, purché in possesso dei requisiti previsti dall’ordinamento comunitario[21].

9. Ciò detto, la Corte dei Conti, Sez. Regionale di Controllo per la Regione Basilicata, con deliberazione 20 settembre 2012, n. 173,[22] ha tuttavia escluso che la sentenza 20 luglio 2012, n. 199, possa avere ricadute sulla disciplina vincolistica prevista dall’art. 14, comma 32, del D.L. n. 78/10.

Il giudice contabile, nell’escludere la necessità di adottare una soluzione interpretativa costituzionalmente orientata che ammetta la costituzione di società attive nel settore dei servizi pubblici locali, prescindendo da qualsiasi limite demografico della popolazione di riferimento, ha richiamato, tra l’altro, a sostegno del proprio arresto:

·        il crescente disfavore mostrato dal legislatore domestico verso lo strumento societario come modello organizzativo scelto dalle amministrazioni per la gestione dei servizi di interesse generale;

·        la necessità di valorizzare la spinta alla liberalizzazione dei servizi pubblici proveniente dalla costituzionalizzazione ex art. 118, comma 4, della Cost. del principio di sussidiarietà orizzontale;

·        l’individuazione di un requisito dimensionale minimo rispetto al bacino di utenti interessato dalle diverse forme organizzative adottabili per la gestione di funzioni e servizi pubblici che caratterizza la recente legislazione in materia;

·        la possibilità per i comuni con popolazione inferiore ai 30.000 abitanti di costituire comunque nuove società in associazione con altri enti.

Secondo questo primo orientamento, la normativa vigente, così come prevalentemente interpretata anche dalla giurisprudenza consultiva della Corte dei Conti, che impedisce (per i comuni sotto i 30.000 abitanti, salvo le eccezioni contemplate) o limita (per i comuni tra i 30.000 ed i 50.000 abitanti) la possibilità di costituire o detenere quote sociali, non rappresenta, dunque, una compressione della facoltà di gestire direttamente servizi pubblici locali, mediante il modello dell’in house providing, per gli enti con densità demografica ridotta.



[1] Giovanni Giustiniani svolge la propria attività di avvocato presso il dipartimento di diritto amministrativo di un primario studio legale internazionale: gio@giustiniani.com.

[2] Recante “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge finanziaria 2008)”.

[3] Recante Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all'evasione fiscale”, convertito dalla legge 4 agosto 2006, n. 248.

[4] Consiglio di Stato, Sez. V, 12 giugno 2009, n. 3767.

[5] Recante “Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica”, convertito con modificazioni dalla Legge 30 luglio 2010, n. 122.

[6] Recante “Proroga di termini previsti da disposizioni legislative”, convertito con modificazioni dalla Legge 24 febbraio 2012, n. 14.

[7] La Corte Costituzionale, con sentenza 7 giugno 2012, n. 148, ha chiarito che il divieto di costituire nuove società ex art. 14, comma 32, “.. risponde all’esigenza di evitare eccessivi indebitamenti da parte di enti le cui piccole dimensioni non consentono un ritorno economico in grado di compensare le eventuali perdite subite”.

[8] Corte dei Conti, Sez. Regionale Controllo per la Regione Lombardia, deliberazione 15 novembre 2011, n. 603: “Il termie legale le dismissioni delle partecipazioni contra legem ex art. 14 c. 32 del D.L. n. 78/10, per i comuni con una popolazione compresa tra 30.000 e 50.000 abitanti è il 31 dicembre 2013”.

[9] Corte dei Conti, Sez. Regionale Controllo per la Regione Puglia, deliberazioni 22 luglio 2010, n. 76 e 27 novembre 2009, n. 103. Tale orientamento, sostenuto anche in dottrina (cfr.: R. Camporesi, “Teoremi interpretativi dell’art. 14 comma 32, del D.L. 78/2010 sui limiti imposti agli enti locali a detenere società”, in www.dirittodeiservizipubblicilocali.it, 9 maggio 2012), si fonda sul principio interpretativo della prevalenza della norma speciale (e.g. la norma sui servizi pubblici locali) rispetto a quella generale (i.e. l’art. 14 comma 32 cit.).

[10] Corte dei Conti, Sez. Regionale Controllo per la Regione Emilia Romagna, deliberazione 14 febbraio 2011, n. 4; Corte dei Conti, Sez. Regionale Controllo per la Regione Friuli Venezia Giulia, deliberazione 16 dicembre 2011, n. 245.

[11] Corte dei Conti, Sez. Regionale Controllo per la Regione Basilicata, deliberazioni 13 luglio 2012, n. 12 e 22 marzo 2012, n. 168; La Corte dei Conti, Sez. Regionale di Controllo per la Regione Emilia Romagna, con deliberazione 13 febbraio 2012, n. 9, ha inoltre esteso l’operatività del divieto in commento pure (i) alle partecipazioni in società quotate in Borsa; (ii) alle partecipazioni in società patrimoniali; (iii) alla partecipazione in società di trasformazione urbana. La stessa Corte ha infine escluso l’applicabilità delle deroghe previste per le partecipazioni in società da pare dei comuni con meno di 30.000 abitanti alle partecipazioni in società da parte dei comuni con numero di abitanti compreso tra 30.000 e 50.000.

[12] Recante Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini” convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, entrata in vigore il 15 agosto 2012.

[13] Il richiamo deve intendersi senz’altro riferito alle società che svolgono servizi pubblici locali di rilevanza economica.

[14] Corte dei Conti, Sez. Regionale di Controllo per la Regione Piemonte, deliberazione 30 agosto 2012, n. 291.

[15] Recante Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo” convertito con modificazioni dalla Legge 14 settembre 2011, n. 148.

[16] Recante “Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria”, così come introdotto dalla Legge di conversione 6 agosto 2008, n. 133 e, da ultimo, ulteriormente modificato con l’art. 15 del Decreto Legge 25 settembre 2009, n. 135, recante “Disposizioni urgenti per l’attuazione di obblighi comunitari e per l’esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee”, convertito in legge 20 novembre 2009, n. 166. La norma reca la riforma dei servizi pubblici locali, ed ha abrogato, laddove incompatibile, la previgente normativa (i.e. l’art. 113 del Decreto Legislativo 18 agosto 2000, n. 267, recante “Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali” (“TUEL”).

[17] Secondo la normativa comunitaria l’in house providing costituisce un’eccezione rispetto alla regola generale dell’affidamento a terzi mediante gara ad evidenza pubblica, fondata sul presupposto che la sussistenza delle previste condizioni (i.e. (a) capitale totalmente pubblico; (b) controllo esercitato dall’aggiudicante sull’affidatario di “contenuto analogo” a quello esercitato dall’aggiudicante stesso sui propri uffici; (c) svolgimento della parte più importante dell’attività dell’affidatario in favore dell’aggiudicante) esclude la sussistenza di un rapporto contrattuale intersoggettivo tra aggiudicante ed affidatario, essendo quest’ultimo, in realtà, solo la longa manus del primo. L’art. 23 bis del D.L. n. 112/08, oltre a richiedere la sussitenza delle predette tre condizioni, ne ha dettate altre (e.g. una previa “analisi del mercato”, con successivo parere dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (“AGCM”), e la sussistenza di “situazioni eccezionali che, a causa di peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento, non permettono un efficace e utile ricorso al mercato”).

[18] L’art. 4 del D.L. n. 138/11 non solo ha limitato, in via generale, “l’attribuzione di diritti di esclusiva alle ipotesi in cui, in base ad un’analisi di mercato, la libera iniziativa economica privata non risulti idonea a garantire un servizio rispondente ai bisogni della comunità” (comma 1), analogamente a quanto disposto dall’art. 23 bis, comma 3, del D.L. n. 112/08, ma ha ancorato tale possibilità pure al rispetto di una soglia commisurata al valore dei servizi stessi (900.000 euro, nel testo originariamente adottato; poi 200.000 euro).

[19] L’art. 4 del D.L. n. 138/11 ha riprodotto testualmente alcune disposizioni contenute nell’abrogato art. 23 bis del D.L. n. 112/08: è il caso, ad esempio, del comma 8 dell’art. 23 bis che dettava una disciplina transitoria (degli affidamenti) analoga a quella dettata dal comma 32 dell’art. 4.

[20] Restano invece valide, e in vigore, le disposizioni di cui all’art. 3 bis del D.L. n. 138/11 inerenti gli ambiti territoriali e i criteri di organizzazione dello svolgimento dei servizi pubblici locali, nonché le norme in materia di vincoli e limiti per le società in house (su personale, acquisti di beni e servizi e possibile estensione del Patto di Stabilità) previsti dalla vigente normativa.

[21] Cfr.: nota sub 17.

[22] http://www.dirittodeiservizipubblici.it/sentenze/sentenza.asp?sezione=dettsentenza&id=4109.

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