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Brevi note sul DPR concernente la parità di accesso agli organi di amministrazione e di controllo nelle società costituite in Italia, controllate da pp. aa., ai sensi dell'art. 2359, commi 1 e 2, del c.c.., non quotate in mercati regolamentati...
di Fiammetta Palmieri 21 novembre 2012
Materia: società / disciplina

Brevi note sul DPR concernente la parità di accesso agli organi di amministrazione e di controllo nelle società costituite in Italia, controllate da pubbliche amministrazioni, ai sensi dell’art. 2359, commi primo e secondo, del codice civile, non quotate in mercati regolamentati, in attuazione dell’art. 3, comma 2, della legge 12 luglio 2011, n. 120.

 

Premessa

Con l’approvazione in via definitiva da parte del Consiglio dei Ministri del 26 ottobre 2012 del regolamento concernente la parità di accesso agli organi di amministrazione e di controllo delle società pubbliche non quotate costituite in Italia, si conclude l’iter fissato dalla legge n. 120/2011 che, nell’introdurre il principio del necessario “equilibrio di genere” negli organi delle società pubbliche ha, da un canto (art. 1) a tal fine modificato gli artt. 147, ter e quater, e 148 del T.U. in materia di intermediazione finanziaria (d.lgs. 24 febbraio 1998, n.58) riguardanti le sole società quotate nei mercati regolamentati e, dall’altro (art. 3) esteso lo stesso principio alle società pubbliche non quotate, rinviando ad un successivo regolamento (ora definitivamente approvato) di disciplinare, in coerenza con quanto previsto dalla legge per le quotate, la vigilanza sull’applicazione della normativa, le forme ed i termini dei provvedimenti previsti, nonchè le modalità di sostituzione dei componenti decaduti.

 

Iter procedurale

Il testo del regolamento è stato redatto dal Ministro dell’economia e delle finanze con il concerto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali (con delega alle pari opportunità come da dpcm 13 dicembre 2011) e, dopo aver acquisito il parere del Consiglio di Stato, previsto per tutti i regolamenti ex art. 17 della legge n.400/88, è stato sottoposto all’esame definitivo del C.d.M. Il Consiglio di Stato nell’Adunanza di sezione del 27 settembre 2012, ha espresso parere favorevole (n. 4199 dell’8 ottobre 2012) con qualche osservazione che è stata recepita nella versione “finale” del regolamento.

 

Contenuto

Il regolamento consta di 5 articoli. Gli articoli 1 e 5 contengono, rispettivamente, L’ambito di applicazione e La clausola di invarianza finanziaria.

L’articolo 2 (Composizione degli organi sociali) in modo omogeneo rispetto a quanto previsto dalla legge per le società quotate, pone l’obbligo anche a quelle non quotate di introdurre disposizioni statutarie tali da garantire che il genere meno rappresentato ottenga almeno un terzo dei componenti di ciascun organo: naturalmente (ma la precisazione è stata ritenuta utile dal Consiglio di Stato e pertanto inserita in sede di esame definitivo nel testo) l’articolo riguarda gli organi a composizione collegiale; analogo risultato si prevede che debba essere raggiunto in caso di nomina degli organi sociali con il meccanismo del voto di lista. Nel rispetto dell’autonomia statutaria, dunque, la norma non apporta direttamente le modifiche previste, ma demanda le stesse alle società destinatarie dell’intervento normativo Inoltre, (in recepimento di un’osservazione del Consiglio di Stato ed in linea con il nuovo articolo 144-undecies, comma 2, lett.a), inserito dalla delibera della Consob dell’ 8 febbraio 2012 n.18098, nel regolamento di attuazione del d.lgs. 24 febbraio 1998, n.58) la norma in esame stabilisce che la presentazione di un numero di candidati inferiore a tre dei componenti dell’organo da eleggere, non può mai essere considerata in sede statutaria come coerente con il criterio del riparto dei generi. Infine la norma prevede che il rispetto della quota di riserva vada assicurato anche in corso di mandato e dunque che in tal senso vadano previste le modalità di sostituzione dei componenti degli organi.

L’art. 3 (Decorrenza) è volto a garantire il medesimo risultato, con le medesime modalità, rispetto a quanto statuito, per le società quotate, dall’art. 2 della legge n.120/2011 (ai sensi del quale le disposizioni della legge si applicano, secondo un criterio di gradualità, a decorrere dal primo rinnovo degli organi sociali successivo ad un anno dalla data di entrata in vigore della legge, e, dunque, dal 13 agosto 2012). Esso infatti dispone che l’obbligo della quota di presenza del genere meno rappresentato abbia effetto a decorrere dal primo rinnovo degli organi di amministrazione e di controllo successivo alla data di entrata in vigore del regolamento, per tre mandati consecutivi, e che per il primo mandato la quota deve essere pari almeno ad un quinto del numero dei componenti. In recepimento di un’osservazione del Consiglio di Stato la norma stabilisce, inoltre, che tale meccanismo di nomina debba essere assicurato anche in caso di sostituzione di uno dei membri dell’organo al fine di rendere più certo ed esteso l’ambito di applicazone della nuova normativa, evitando un’area di sua possibile elusione.

L’articolo 4 (Monitoraggio e vigilanza sull’applicazione della normativa) attribuisce al Presidente del Consiglio dei Ministri o (in caso di conferimento della delega in materia, come è avvenuto, da ultimo, con il dpcm su citato) al Ministro delegato per le Pari Opportunità, i compiti di monitoraggio e di vigilanza sull’applicazione della normativa, con la seguente sequenza procedimentale: diffida a ripristinare l’equilibrio fra i generi entro 60 giorni e, in caso di inottemperanza dello stesso, concessione di un ulteriore termine di 60 giorni con il contestuale avvertimento che decorso inutilmente detto termine i componenti dell’organo sociale decadono e la società dovrà procedere alla ricostituzione dell’organo secondo i termini e le modalità previsti dalla legge o dallo statuto (di tal che l’eventuale provvedimento di decadenza si configura come un provvedimento meramente ricoginitivo di un effetto prodottosi automaticamente sulla base di quanto previsto dal regolamento).

Per rendere tale vigilanza concretamente esercitabile la norma detta una serie di obblighi di trasmissione delle informazioni oggetto di verifica da parte dell’organo competente: l’obbligo, imposto alle società, di comunicare la composizione degli organi sociali e le eventuali variazioni in corso di mandato, nonché l’obbligo di segnalazione di situazioni non conformi da parte degli organi di amministrazione e di controllo . Si prevede altresì un potere diffuso di segnalazione di tali fattispecie in capo a capo a chiunque vi abbia interesse. Tale potere costituisce espressione di un principio di democratizzazione del procedimento amministrativo, volto a dare voce agli interessi, anche privati, singoli o associati, in esso coinvolti e a renderlo più trasparente; esso si appalesa, altresì, uno strumento importante, al fine di bilanciare sia la mancata previsione di una sanzione in caso di non adempimento spontaneo all’obbligo di trasmissione delle informazioni da parte dei soggetti a ciò tenuti, sia l’assenza in capo al Presidente del Consiglio dei Ministri, o al Ministro delegato, di mezzi giuridici (non previsti esplicitamente dal regolamento) preordinati ad ottenere l’adempimento coattivo di tale obbligo di comunicazione (salvo ritenere che essi possano essere implicitamente ricompresi nel più generale potere di vigilanza).

L’articolo 4 contiene ciò che appare l’aspetto più significativo del regolamento, ovvero l’attribuzione al Presidente del consiglio dei Ministri o al Ministro delegato per le pari opportunità dei compiti di monitoraggio e di vigilanza del rispetto della normativa: all’evidenza, infatti, era necessario individuare un soggetto diverso dalla Consob, previsto dalla legge n.120/2011, atteso che quest’ultima ha compiti di vigilanza esclusivamente sulle società quotate in borsa. Doveva altresì indidivuarsi un soggetto che potesse svolgere le suddette funzioni nei confronti di un elevata platea di enti, statali e regionali: la materia sulla quale incide la disciplina in esame è, infatti, di competenza esclusiva dello Stato, ai sensi dell’art. 117, comma 2, lett. l (giurisdizione e norme processuali, ordinamento civile e penale, giustizia amministrativa) della Costituzione. La scelta operata, che costituisce un’eccezione rispetto al sistema perché pone le dette funzioni in capo ad un soggetto di indirizzo politico, sottolinea la rilevanza che si è voluta riconoscere alla materia, che come si dirà a breve, incide su diritti fondamentali dell’individuo costituzionalmente tutelati ex art. 3, comma secondo, della Costituzione.

Un cenno meritano anche gli aspetti peculiari della disciplina in esame, che si rinvengono nel procedimento sanzionatorio, atteso, da un canto, che i termini sono più brevi rispetto a quelli fissati dalla legge per le società quotate in borsa (che sono, al massimo, di quattro mesi dalla diffida e, in caso di sua inottemperanza, di successivi tre mesi ) e, dall’altro, che non sono previste sanzioni pecuniarie. Sul primo profilo può essere sufficiente osservare che tale riduzione sembra ragionevole

tenuto conto della minore complessità organizzativa delle società non quotate e, dall’altro, che l’irrogazione di una sanzione pecuniaria avrebbe richiesto una specifica previsione nella norma primaria, in ragione di quanto disposto dall’art. 1 della legge n.689 del 1981 (principio di legalità delle sanzioni amministrative).

 

Finalità

La legge 12 luglio 2011, n. 120 così come il regolamento in esame di essa attuativo, hanno la finalità di promuovere l’accesso delle donne negli organi di amministrazione e di controllo delle società pubbliche (le uniche sulle quali si poteva intervenire con un atto normativo, senza violare il principio della libertà di iniziativa economica fissato nell’art. 41 della Costituzione). Secondo statistiche della Commissione europea, di cui si fa menzione nelle relazioni allegate al provvedimento, infatti, l’Italia si pone al venitonovesimo posto, su trentatrè Paesi censiti, per numero di donne presenti nei consigli di amminsitrazione delle società quotate in borsa: in particolare, nelle 272 società quotate sul mercato italiano, la presenza femminile nei consigli di amministrazione è pari al 6,9% del totale dei componenti (non esistono invece dati ufficiali per le società non quotate). Da qui la necessità di superare tali disparità, che, in quanto prive di una ragionevole giustificazione costituiscono il fondamento di azioni positive, nell’ottica di dare compiuta attuazione al canone di giustizia sostanziale accolto nella nostra Costituzione all’art. 3 secondo comma . Lo strumento a tal fine prescelto, dalla legge come dal regolamento, è quello di una misura volta direttamente a creare un vantaggio specifico al sesso sottorappresentato, della cui legittimità, per questa ragione, molti dubitano ritenendo che possano ritenersi legittime solo quelle misure idonee ad assicurare uno stato effettivo di pari opportunità all’accesso ad un risultato finale (e non direttamente al risultato finale). Al riguardo possono svolgersi alcune brevi considerazioni:

1) se è vero che una piena uguaglianza nel trattamento giuridico implica non tanto una matematica assegnazione di posizioni, ma un’eguaglianza nelle condizioni di partenza, è altrettanto vero che quest’ultimo risultato costituisce un obiettivo che, se pur maggiormente condivisibile risulta, senza dubbio, “di lungo periodo”;

2) il meccanismo delle quote, come introdotto nella legge e nel regolamento in esame, in quanto “temperato” dalla sua efficacia temporanea (come si è visto è applicabile solo per tre mandati consecutivi), nonché da caratteristiche di proporzionalità e di gradualità (come si è visto un quinto dei componenti per il primo mandato ed un terzo per i successivi), sembra un meccanismo equilibrato e coerente rispetto allo scopo da raggiungere;

3) va d’altro canto segnalato che nell’ordinamento comunitario l’ambito del principio di uguaglianza è molto esteso: in tal senso depone infatti l’art. 23 della Carta di Nizza (che anche se non direttamente vincolante deve indirizzare tanto le istituzioni e gli organi dell'Unione, che gli Stati membri nell'interpretazione e nell’attuazione del diritto comunitario) il cui secondo comma dispone testualmente che il principio della parità riconosciuto al primo comma dello stesso articolo non osta al mantenimento o all’adozione di misure che prevedano vantaggi specifici a favore del sesso sottorappresentato;

4) in ogni caso la validità o meno del meccanismo potrà essere valutata solo ex post, attraverso la (auspicabile) dimostrazione che l’accesso alla quota di riserva è avvenuto sulla base di una accurata selezione, basata non soltanto sul sesso ma, soprattutto, sulla compentenza .

 

(dott.ssa Fiammetta Palmieri, magistrato ordinario)

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