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Bilancio consolidato dell'ente locale da opportunità ad obbligo.
di Giosuè Nicoletti 7 dicembre 2012
Materia: enti locali / contabilità

 

 

BILANCIO CONSOLIDATO DELL’ENTE LOCALE

DA OPPORTUNITA’ AD OBBLIGO

Giosuè Nicoletti

 

Secondo l’articolo 230 del TUOEL 267/00, comma 6, il Regolamento di contabilità (dell’ente locale) può prevedere la compilazione di un conto consolidato patrimoniale per tutte le attività interne ed esterne.

Anche la Corte dei Conti, in diverse occasioni, ha sollecitato gli enti locali a provvedere alla redazione del bilancio consolidato, soprattutto per gli enti i cui servizi esternalizzati hanno acquisito, almeno sotto il profilo economico, una importanza maggiore di quelli  gestiti direttamente nel bilancio dell’ente.

Questa considerazione vale sia per i Comuni più importanti come per i Comuni minori. Ad esempio, il Comune di Torino, al 31 dicembre 2010, aveva 16 società controllate, 7 collegate, circa 100 partecipate indirette e altrettante aziende non profit, per un totale di circa 23000 dipendenti di cui solo la metà dipendenti diretti della civica amministrazione.  Ma la generalità dei  Comuni, anche di minori dimensioni, hanno numerose società. Ad esempio, il Comune di Pisa, come risulta dal sito internet, ha partecipazioni in 27 società di cui 13 controllate e 4 a controllo congiunto.

Di recente è intervenuto il Legislatore imponendo l’obbligo del bilancio consolidato: si è, quindi, passati da una raccomandazione ad un obbligo.

L’articolo 3 del decreto legge 174 del 10 ottobre u.s., in corso di conversione, dispone che:

I risultati complessivi della gestione dell’ente locale e delle aziende partecipate sono rilevate mediante bilancio consolidato secondo la competenza economica.

In precedenza era prevista dal DPCM 28.12.2011 la sperimentazione della disciplina concernente i sistemi contabili e gli schemi di bilancio delle Regioni, degli enti locali e dei loro enti ed organismi, di cui all’art. 36 del decreto legislativo 23 giugno 2011 n. 118. Il provvedimento in parola dedica il titolo V al Bilancio consolidato e definisce, al comma 2, il “gruppo” come l’insieme degli enti strumentali, delle aziende e delle società precisando che, ai fini dell’inclusione  nel bilancio consolidato si considera qualsiasi ente strumentale, azienda, società controllata e partecipata, indipendente dalla sua forma giuridica pubblica o privata, anche se le attività che svolge sono dissimili da quelle degli altri componenti del gruppo.

Lo stesso documento, all’allegato 11, riporta lo schema di bilancio consolidato facendo riferimento all’articolo 2425 del codice civile ed al DM 26 aprile 1995.

Il legislatore  ha impiegato l’espressione “gruppo” nel senso più ampio superando le indicazioni poste in dottrina della necessaria “omogeneità” dei componenti.

Si tratta quindi di “consolidare” tutte le partecipazioni sia totalitarie  che minoritarie, qualunque sia la forma di gestione: società di capitali, aziende speciali, fondazioni sia “profit” che “non profit.  Il già segnalato caso del Comune di Torino partecipa ad oltre cento “non profit” ne ha consolidato circa il 20% come risulta dal seguente prospetto:

 

Totale

Di cui consolidate

 

Associazioni

                      25

                         1

Comitati

                      10

                         2

Consorzi

                        9

                         6

Fondazioni

                      39

                       12

Altro

                      26

                        ---

Totale

                    109

                       21

 

 

Non  intendo sviluppare ulteriormente il tema del “gruppo” Comune e l’opportunità (ora l’“obbligo”) di una visione globale da presentare a tutti i cosiddetti stakeholders e direi anzitutto ai cittadini – elettori, ma intendo porre in luce le difficoltà che in pratica si possono incontrare nelle operazioni di consolidamento.

Il Gruppo dell’ente locale è, infatti, composto da enti pubblici non economici; aziende  non profit; società  a totale capitale pubblico; società miste; società a totale capitale privato. Nel settore privato, dottrina e prassi hanno individuato con sufficiente chiarezza i criteri per stabilire l’area di consolidamento: il criterio più diffuso è costituito dalla proprietà del capitale mentre nel settore pubblico come ha rilevato la migliore dottrina (G. GROSSI IL BILANCIO CONSOLIDATO NEGLI ENTI LOCALI, Cedam 2004, pagina 76 segg.) la soluzione  appare assai problematica in quanto non si può fare riferimento al concetto di proprietà del capitale. Infatti, non tutte le aziende pubbliche hanno un capitale sociale e non sempre la circostanza che l’ente pubblico finanzi l’azienda comporta il controllo della gestione.  

I principi contabili approvati dal Consiglio nazionale dottori commercialisti prevedono che il consolidamento possa avvenire solo per le società “in house”  (concetto che deve comprende anche le aziende speciali), ma ritengo che in futuro  questa limitazione debba essere  superata.

Un chiarimento è venuto di recente con il già citato D.M. 28 dicembre 2011 che all’articolo 21 stabilisce che  Si definisce ente strumentale degli enti locali l’azienda o l’ente, pubblico e privato, nel quale l’ente locale:

a)      ha il possesso, diretto o indiretto, della maggioranza dei voti esercitabili nell’ente o nell’azienda;

b)      ha il potere assegnato da legge, statuto o convenzione di nominare o rimuovere la maggioranza dei componenti degli organi decisionali, competenti a definire le scelte strategiche e le politiche di settore, nonché a decidere in ordine all’indirizzo, alla pianificazione e alla programmazione dell’attività di un ente o di un’azienda;

c)       esercita, direttamente o indirettamente, la maggioranza dei diritti di voto nelle sedute degli organi decisionali, competenti a definire le scelte strategiche e le politiche di settore, nonché a decidere in ordine all’indirizzo, alla pianificazione ed alla programmazione dell’attività dell’ente o dell’azienda;

d)      ha l’obbligo di ripianare i disavanzi, nei casi consentiti dalla legge, per percentuali superiori alla propria quota di partecipazione;

e)       esercita un’influenza dominante in virtù di contratti o clausole statutarie, nei casi in cui la legge consente tali contratti o clausole. I contratti di servizio pubblico e di concessione stipulati con enti o aziende che svolgono prevalentemente l’attività oggetto di tali contratti comportano l’esercizio di influenza dominante.

 

La maggiore difficoltà si incontra quando occorre consolidare bilanci impostati sulla contabilità finanziaria e bilanci impostati sulla contabilità civilistico-economica.

D’altronde la norma di legge (decreto legislativo 127/1991, art. 34), anche se riferita al settore privato, dispone che gli elementi dell’attivo e del passivo debbono essere valutati con criteri uniformi, a meno che la difformità consenta una migliore rappresentazione o sia irrilevante. Le società di capitali, anche a partecipazione pubblica, nel redigere il bilancio di esercizio devono utilizzare gli schemi di Stato Patrimoniale e Conto Economico previsti dal codice civile, mentre le aziende speciali, i consorzi e le istituzioni redigono il bilancio d’esercizio in base allo schema previsto dalle disposizioni del D.M. del Tesoro 26 aprile 1995.

Gli enti locali utilizzano, invece, i prospetti di Conto economico e Conto del patrimonio contenuti nel D.P.R. n. 194 del 1996, emanato in attuazione dell’art. 114 D.Lgs. 77/95 (oggi art. 160 TUEL).

L’articolo 230 del TUOEL non prevede criteri di valutazione per impianti, reti, macchinari ed attrezzature ma solo per terreni e fabbricati, mobili, crediti e debiti.

Per una dettagliata illustrazione dei problemi relativi al percorso di redazione del Bilancio consolidato rinvio alla monografia di G. Grossi sopra citata (capitolo III).

Nonostante le difficoltà sopra prospettate sono molti i Comuni che presentano il bilancio consolidato e si ritiene che l’obbligo stabilito dal decreto legge 174 determinerà la sua ulteriore diffusione.

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