“IN HOUSE” PROVIDING ANCHE PER IL GAS ?
“In house” o “in house providing” sono le espressioni che in questi ultimi tempi circolano con più frequenza tra gli enti locali e tra le loro imprese ed in Convegni, seminari, giornate di studio, articoli di riviste specializzate e così via.
Questa espressione, nata dalla giurisprudenza UE, rappresenta, in gergo, una delle tre forme di affidamento di pubblici servizi locali prevista dall’articolo 113 comma 5 del testo unico degli enti locali, come modificato dall’articolo 14 del decreto legge 269/03 convertito nella legge 326/03.
Si tratta di “affidamento diretto” ( e cioè senza gara ) alternativo alle forme normali.
Le forme attuali di affidamento sono ora le seguenti tre:
lettera a) la gara per la scelta del gestore
lettera b) la scelta del socio privato da associare nella gestione (la cosiddetta partnership pubblico privato) che non può considerarsi -come talvolta viene definita – forma di affidamento diretto in quanto è sempre preceduta da una gara formale,solo che non viene ripetuta una seconda volta per l’ affidamento del il servizio, in quanto la gara per la scelta del socio è finalizzata appunto alla gestione.
lettera c) società a totale partecipazione pubblica che risponda ad altre due requisiti o condizioni: che il socio od i soci esercitino sulla società controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che realizzi a parte più importante della propria attività con l’ente o gli enti pubblici che la controllano
Tra gli addetti ai lavori sono ben note le aspettative suscitate dalla nuova normativa essendo assai poco naturale, per le società pubbliche locali derivanti dalla trasformazione di aziende speciali, l’ambiente competitivo che il nuovo ordinamento vuole creare come pure le riserve, comprensibili, circa la possibilità di creare efficace concorrenza nei settori del gas e dell’acqua che vedono la presenza di grandi operatori nazionali e stranieri dotati di enormi capacita finanziarie.
Non intendo (per ora almeno) entrare nel merito delle diverse interpretazioni circa la struttura delle società in house limitandomi a ricordare che secondo la UE l’affidamento diretto rappresenta forma di gestione eccezionale in quanto la regola è la “gara”; Le opinioni sulle modalità dei controlli sono diverse ; alcune molto distanti tra loro. Per un commento meno a “caldo” sarà forse il caso di attendere la circolare annunziata dal Ministro delle politiche comunitarie e soprattutto alcune nuove pronunzie della Corte di Giustizia sull’argomento che, a quanto si dice, non dovrebbero tardare. E’ probabile poi che uscirà anche una circolare del Ministero dell’Ambiente (che attendo per raccoglierla diligentemente insieme alle altre già emanate dallo stesso Ministero in tema di appalti, concessioni e modalità di affidamento di servizi pubblici locali)
Intendo invece affrontare ora il tema della applicabilità dell’in house anche alla gestione del servizio gas naturale. E’ noto che il comma 1 del nuovo articolo 113 esclude dal campo di applicazione dell’articolo stesso i settori disciplinati dai decreti legislativi 79/99 (energia elettrica) e 164/00 (gas). Sembrava pacifico quindi che, per questi settori, non vi fosse l’obbligo di separazione della proprietà, come pure che le modalità di affidamento fossero solamente quelle delle leggi di settore (per il gas il decreto Letta) e non applicabili quelle previste dal comma 5 (salvo la lettera a) ed in particolare sembrava pacifico che si dovessero esclude gli affidamenti “in house”. Ma ora si mette in discussione almeno per il settore gas, questa che sembrava una delle interpretazioni indiscusse. In un documento recentemente diffuso da una importante Società di consulenza preannunziando una iniziativa di “formazione” si afferma che “…Le recentissime modifiche legislative sembrano avere rimesso in discussione l’obbligo di separazione societaria degli impianti gas in capo alle imprese a controllo municipale, procedimento peraltro già avviato da molti soggetti. Vengono anche sollevati dubbi da parte di autorevoli giuristi circa la sussistenza dell’obbligo assoluto di gara pubblica per le gestioni distributive che parrebbe in contrasto con la legittimità dell’affidamento in house alla luce dell’ordinamento europeo e dei principi generali del nostro ordinamento.”
Non vengono indicati i nomi degli autorevoli giuristi né vengono esplicitate neppure in linea di massima su cosa si fondano le loro opinioni; risulta quindi difficile controbattere.
Pur non essendo giurista né tanto meno autorevole ,ma solo, come si dice, “cultore” della materia dei servizi pubblici locali cercherò di esporre la mia opinione al riguardo, a conforto di coloro che sono stati assaliti dal dubbio sui due problemi sollevati. Sul primo e cioè sull’obbligo di separare le reti nessuno ha messo in discussione che l’obbligo non sussiste più e pertanto l’ente locale che avesse concluso la separazione può valutare l’opportunità di una marcia indietro. Dico l’opportunità, in quanto il venir meno dell’obbligo non fa venire meno le eventuali opportunità di separare la proprietà delle reti dalla loro gestione , meglio dalla “distribuzione”. La scelta richiede una opportuna valutazione degli elementi in gioco alla luce delle gare che andranno messe in cantiere all’inizio del prossimo anno (per le prime scadenze). In conclusione: facoltà di separazione della proprietà e non obbligo. Penso che tutti possano essere d’accordo.
Più delicata è la seconda questione che va esaminata alla luce del diritto positivo e non della politica ( o della fantasia) del diritto. Essa presuppone la risposta al seguente quesito: uno Stato nazionale ha l’obbligo di introdurre istituti come l’in house che l’UE ritiene legittimi (oltre tutto largamente partecipati in diversi Stati) ma derogatori dal principio della gara? La risposta non può che essere negativa, in quanto la preoccupazione della UE è la tutela della concorrenza e il cosiddetto “in house providing” rappresenta certamente affidamento diretto e quindi una deroga al principio della gara; credo che il Commissario Monti sia ben lieto che il legislatore italiano abbia limitato l’applicazione dell’in house togliendo l’intero settore energetico ed abbia imposto che le società in house siano a totale capitale pubblico. Piuttosto un rammarico è che, nel fare esclusivo riferimento al decreto Letta resta preclusa la forma di cui al comma 5 lettera b) e cioè la gara per la scelta del partner privato che sembra la modalità preferita dall’UE.
Quindi il legislatore nazionale ha compiuto una scelta non contestabile sotto il profilo del diritto comunitario avendo facoltà ma non obbligo di introdurre l’in house.
Vi sono precedenti : ad esempio l’inclusione dei soggetti appartenenti ai settori cosiddetti esclusi nella legge quadro dei lavori pubblici ( 109/94 cosiddetta Merloni). Autorevole dottrina si era allora così espressa “… l’inserimento dei settori esclusi nell’ambito della legge quadro attribuisce maggior vigore rispetto ai principi di pubblicità e concorrenzialità consentendone una più ampia esplicazione” (CLARIZIA, LA LEGGE QUADRO SUI AVORI PUBBLICI, CEDAM 1994).
Parimenti non riesco a capire quali principi dell’ordinamento italiano sarebbero violati con l’esclusione dei settori gas ed energia. Indubbiamente alcuni interessi vengono premiati (le imprese che aspirano alla partecipazione alle gare, in genere le società a capitale privato) altri interessi possono essere lesi (come quelli delle imprese pubbliche che aspirano a continuare la gestione). Ritengo ,invece, sostanzialmente indifferente la posizione degli interessi degli enti locali, salvo come azionisti delle società pubbliche locali; infatti la gara non impedisce anzi può favorire l’acquisizione di introiti per il bilancio comunale come attestano i risultati delle gare posto in essere negli ultimi mesi. Sulle ragioni della esclusione dei servizi energetici dal nuovo articolo 113 si può discutere; si può ritenere che Governo e Parlamento siano stati oggetto da una efficace azione di lobby; si può, meno malignamente, ritenere che la distribuzione del gas sia giunta ad un livello tale di maturazione da non richiedere un particolare interesse dell’ente locale. Anzitutto il livello di servizio è in genere ottimo; la materia prima è garantita, le reti sono in genere idonee, le perdite vicine allo zero (in qualche caso paradossalmente negative): la spinta “sociale” relativa alla estensione alle zone meno favorite può dirsi esaurita o quasi ed anche le altre motivazioni “sociali” come la protezione attraverso tariffe agevolate di soggetti deboli resta di fatto preclusa alle aziende di distribuzione data la liberalizzazione della fase di vendita.
In conclusione: salvo un improbabile ripensamento del legislatore l’in house non è ammissibile alle imprese del gas le quali sarà opportuno che si attrezzino ad affrontare la concorrenza aumentando la loro efficienza ed economicità attraverso una opportuna politica di alleanze, fusioni, acquisizioni e riduzione di costi. |