Rimborsi ai gestori uscenti, tariffe e gare d'ambito per la distribuzione gas. Note critiche sulla disposizione introdotta dal Decreto “Destinazione Italia” per porre rimedio al differenziale V.I.R./R.A.B. (art. 1, comma 16, d.l. n. 145/2013).
Il problema aperto.
Da quasi un quindicennio, ovvero dall'entrata in vigore del “Decreto Letta” (d.lgs. n. 164/2000), le maggiori problematiche che concernono la fattibilità delle nuove gare per l'affidamento della concessioni per la distribuzione del gas naturale sono legate al tema dei rimborsi dovuti ai gestori uscenti.
Il Legislatore del 2000, nella consapevolezza che l'onere dei rimborsi non potesse essere concretamente sostenuto dagli Enti locali – soggetti in verità tenuti a sostenerlo, come normalmente previsto negli stessi contratti, a fronte dell'acquisizione della proprietà delle infrastrutture funzionali al servizio di cui tali Enti erano e sono titolari – lo allocava in capo ai gestori subentranti. Lo faceva, tuttavia, con una disposizione molto problematica (l'art. 15, comma 5, d.lgs. n. 164/2000), la quale prevedeva la traslazione dell'onere senza nulla disporre in ordine al trasferimento della proprietà dei cespiti, dando origine a fattispecie “asimmetriche” nelle quali il distributore scontava solo il rimborso, mentre la proprietà passava ugualmente all'Ente locale. Sono note le problematiche generate da questa aporia per quanto concerne l'ammortamento del costo che il gestore entrante era chiamato a sostenere, la posizione di vantaggio (massima) dell'incumbent rispetto a tutti gli altri competitori e la stessa sostenibilità economica delle condizioni di gara.
A seguito della riforma del sistema tariffario, con l'introduzione del criterio della remunerazione del capitale investito per la realizzazione degli impianti (c.d. Regulatory Asset Base – R.A.B.) 1, il d.lgs n. 93/2011 (art. 24) si proponeva di sciogliere il nodo prevedendo che il subentrante:
• non sostenesse solo l'onere del rimborso, ma acquistasse anche la proprietà dei cespiti;
• iscrivendo nel suo stato patrimoniale i beni acquisiti, potesse operare l'ammortamento tecnico-economico del costo d'acquisto per tutta la relativa durata tecnica;
• ricevesse la remunerazione tariffaria del capitale investito – dal precedente distributore – per la realizzazione dei beni stessi.
Queste innovazioni non sono state però sufficienti a risolvere il problema.
Il rimborso dovuto al gestore uscente non coincide, infatti, con il costo di realizzazione dei beni riconosciuto in tariffa.
Il motivo è noto.
Tale rimborso, infatti, è generalmente determinato in base ad un criterio del tutto autonomo rispetto a quello tariffario, che si basa sul costo storico rivalutato dell'infrastruttura.
Si tratta del criterio contrattuale.
La somma dovuta all'uscente dipende da quanto convenuto tra Ente locale e distributore con riferimento alla scadenza del rapporto di affidamento/concessione.
L'art. 15, comma 5, d.lgs. 164/2000 – rimasto immutato sin dall'entrata in vigore del “Decreto Letta” e ora oggetto del provvedimento in esame – si fondava proprio su questo assunto (“è riconosciuto un rimborso...calcolato nel rispetto di quanto stabilito nelle convenzioni o nei contratti...”).
Il criterio contrattuale è, nella maggior parte dei casi, costituito dal c.d. V.I.R. (Valore Industriale Residuo). Si tratta di una nozione fondata sul disposto dell'art. 24, comma 4, R.D. n. 2578/1925, il più delle volte espressamente richiamato negli stessi contratti, nozione che prescinde dal costo storicamente sostenuto per la realizzazione dei cespiti, ma si impernia sul costo di ricostruzione a nuovo di un impianto identico a quello esistente, dedotti il valore del degrado fisico e i contributi dell'Ente concedente (e di altri finanziatori pubblici).
Il citato art. 15, comma 5, nella sua originaria formulazione, ne prendeva atto e estendeva tale criterio ex lege, in via suppletiva/integrativa, anche ai casi in cui le parti non avevano regolamentato le condizioni alla scadenza (“.....un rimborso calcolato....., per quanto non desumibile dalla volontà delle parti, con i criteri di cui alle lettere a) e b) dell'articolo 24 del regio decreto 15 ottobre 1925 n. 2578”).
La determinazione del V.I.R. è, come noto, oggetto di stima peritale. L'esperienza ha dimostrato i notevoli margini di soggettività di tali stime, con conseguenti elevate incertezze e probabilità di contenzioso.
Per porre rimedio a tali incertezze, in attuazione della riforma sulle nuove gara d'ambito, il Governo ha inteso uniformare, per quanto possibile, l'attuazione dei criteri normativi esistenti per il calcolo del V.I.R. (art. 24, R.D. n. 2578/1924 e, in via attuativa, art. 13, d.P.R. n. 902/1986), rilevanti ex contractu o direttamente ex lege, specificandone le modalità applicative (cfr. art. 5, D.M. n. 226/2011). Questo lavoro è continuato in sede ministeriale con dettaglio tecnico ancora maggiore, al fine di redigere alcune “linee guida” che hanno ricevuto, di recente, un riconoscimento normativo (cfr. art. 4, comma 6, d.l. n. 69/2013, conv. In l. n. 98/2013), ma che, allo stato, non hanno ancora visto la luce.
Razionalizzare e omogeneizzare le modalità di stima del V.I.R. è utile per favorire l'accordo tra la parti, evitare il contenzioso e i conseguenti riflessi sulle gara (incertezza del quantum del rimborso da indicare nel bando), nonché, per garantire, il più possibile, la parità di trattamento dei concorrenti nel nuovo mercato nazionale della distribuzione gas.
Non si può, tuttavia, attribuire a questa pur importante attività di razionalizzazione una finalità che essa non può avere: assimilare tendenzialmente il V.I.R alla R.A.B., ovvero le condizioni contrattuali decise dalle parti e protette/integrate dalla legge e le condizioni tariffarie attualmente vigenti.
Ciò non è possibile, anzitutto, perchè V.I.R e R.A.B sono nozioni concettualmente diverse. Non è questa la sede per entrare in dettaglio sul tema, che è di materia prettamente tecnica, ma appare già significativo quanto sopra accennato sulla differenza tra le due nozioni.
L'impossibilità di questa assimilazione si fonda, poi, su una ragione logico-giuridico ancor più generale ed assorbente: altro sono le condizioni contrattuali e altro sono le condizioni tariffarie; la coincidenza, se e quando vi fosse, sarebbe accidentale; non potrebbe essere forzatamente resa necessaria, perchè dall'applicazione di criteri diversi derivano normalmente risultati diversi. Lo impone – si potrebbe dire – il principio di identità.
E', quindi, strutturale e ineliminabile la differenza tra entità dei rimborsi ai gestori uscenti ed entità del capitale riconosciuto dalla regolazione tariffaria.
Il Legislatore del 2011, del resto, ne era consapevole e non ha mancato di fornire una risposta al problema (cfr. art. 24, comma 3, d.lgs. n. 93/2011), stabilendo, in buona sostanza, quanto segue: della differenza tra valore di rimborso e valore delle immobilizzazioni riconosciute in tariffa si fanno carico in parte (e prevalentemente) lo stesso sistema tariffario, ponendo a carico degli utenti tale differenza, e in parte i distributori entranti, che recuperano in tariffa il capitale investito per provvedere al rimborso degli uscenti, ma non percepiscono – per quanto eccede la R.A.B. – alcuna remunerazione su quel capitale (a differenza di ciò che avviene ordinariamente per gli investimenti impiantistici).
Tale soluzione è apparsa insoddisfacente per varie ragioni.
Innanzitutto, la prassi ha rivelato come il differenziale V.I.R. / R.A.B. sia in media molto elevato. Nella recente audizione davanti alla 6° e alla 10° Commissione della Camera dei Deputati, l'AEEG ha riferito che, i valori di rimborso potrebbero mediamente superare la R.A.B. del 40/50% 2.
Questo differenziale – in parte fisiologico per la ragioni concettuali dette – è aggravato, in modo decisivo, da una serie di fattori che consentono di affermare che la R.A.B. attuale è molto spesso non rappresentativa degli effettivi costi di investimento sostenuti per la realizzazione degli impianti. Tali fattori sono legati alle difficoltà di ricostruzione dei costi storici che è associata all'entrata in vigore, nel 2009, del nuovo sistema tariffario. Essi riguardano sia il capitale pubblico sia il capitale privato e hanno costretto l'Autorità, in non pochi casi, a non convalidare i dati forniti dai gestori, optando per l'approvazione di una penalizzante tariffa d'ufficio (basata su un criterio parametrico, con successiva decurtazione del 10%). Non mancano i casi in cui i dati sono inadeguati, ma l'AEEG non ha ravvisato gli estremi per la tariffa d'ufficio; casi in cui la penalizzazione per i soggetti proprietari della rete finisce per essere ancora maggiore che in quelli in cui trova applicazione la tariffa d'ufficio su base parametrica.
La divaricazione V.I.R./R.A.B., quindi, è ampia anche perchè la R.A.B. è sottodimensionata.
Inoltre, sul versante del V.I.R., la logica che presiede all'art. 24, comma 3, d.lgs. n. 93/2011, favorisce la deresponsabilizzazione delle parti chiamate a negoziare i valori di rimborso:
- per un verso, i distributori hanno il fisiologico e naturale interesse a massimizzare il proprio credito;
- per altro verso, i Comuni hanno un interesse negoziale debole, in quanto il rimborso non grava sulle proprie casse, ma è posto a carico di un terzo (il gestore entrante), che rimane estraneo alla trattativa; talvolta potrebbero avere, al limite, un interesse contrario, nelle ipotesi in cui il concessionario fosse disponibile, in sede di regolazione della fase di gestione in prorogatio, sino alla nomina del gestore d'ambito, a “mettere sul piatto” della trattativa benefici economici immediati, a fronte dell'accettazione della parte pubblica di un più avanzato “punto di equilibrio” nella quantificazione del rimborso.
Vi sono, pertanto, tutte le premesse perchè i valori di rimborso lievitino verso l'alto.
Le contromisure approntate sinora – prima del Decreto “Destinazione Italia” – sono apparse poco incisive.
E ciò per ragioni strutturali.
Esse si muovono, in buona sostanza, in una sola direzione: approntare strumenti di varia natura per intervenire laddove Ente locale e gestore uscente danno esecuzione a quanto contrattualmente convenuto – come eventualmente integrato ex lege – per la definizione economica dei loro rapporti e, segnatamente, per determinare il valore di rimborso dovuto all'uscente.
Si tratta di strumenti che, per essere compatibili con i diritti contrattuali, come presidiati e rafforzati dall'art. 15, comma 5, d.lgs. n. 164/2000 (testo originario), devono attestarsi sul “basso profilo”.
Ed allora:
- per un verso si introducono per via regolamentare criteri di stima meramente specificativi di quelli contrattuali/legali (art. 5, D.M. n. 226/2011);
- per altro verso, sul terreno della semplice moral suason, si tenta di orientare i negoziatori sulla base di linee guida tecniche (art. 4, comma 6, d.l. n. 69/013), nonchè si attribuisce all'AEEG il potere di rendere mere osservazioni allorchè il V.I.R. concordato dalle parti ecceda la R.A.B. in misura superiore al 25% (art. 5, comma 14, D.M. n. 226/2011).
L'inefficacia di questi rimedi deve avere indotto il Governo a “rompere gli argini” e ad intervenire direttamente sul disposto dell'art. 15, comma 5, d.lgs. n. 164/2000.
Ne è derivato l'art. 1, comma 16, del recente d.l. n. 145/2013, attualmente in corso di conversione in legge, a cui è dedicata l'analisi che segue.
La norma introdotta dal Governo.
Le modifiche apportate all'art. 15, comma 5, possono essere suddivise in due precetti.
In primo luogo il comma 5, viene novellato nella parte in cui prevede di integrare ex lege quanto “non desumibile dalla volontà delle parti”. In concreto viene sostituito il solo criterio suppletivo/integrativo della disciplina contrattuale: si passa dal criterio del V.I.R. (art. 24, comma 4, lett. 'a' e 'b', R.D. n. 2578/1925) al criterio della R.A.B., già normativamente riconosciuto come criterio di rimborso per le nuove concessioni ex art. 14, comma 8, specificamente richiamato nella novella.
Questa prima novella mantiene, quindi, ferma la tutela delle condizioni contrattuali convenute inter partes.
Il secondo precetto, invece, sembra intaccare anche i contratti: “In ogni caso – si legge – dal rimborso di cui al presente comma sono detratti i contributi privati relativi ai cespiti di località, valutati secondo la metodologia della regolazione tariffaria vigente”. L'intento del Governo pare, quindi, quello di neutralizzare anche una eventuale diversa volontà espressa dalle parti in sede contrattuale. Altrimenti, in funzione meramente suppletiva/integrativa, sarebbe stato sufficiente il primo precetto, atteso che il richiamo espresso all'art. 14 comma 8 garantiva già la detrazione dei contributi privati secondo le modalità previste dalla regolazione tariffaria.
Rilievi critici.
L'intera norma – in entrambi i precetti in cui si articola – solleva rilevantissimi profili di criticità sul piano logico-giuridico.
Si accennano qui di seguito quelli che appaiono i principali.
Va subito evidenziato che si tratta di una disposizione con efficacia retroattiva.
Sul punto non vi sono incertezze.
L'applicazione dei più diffusi criteri di verifica va in questo senso: sia il criterio del fatto compiuto sia il criterio del diritto quesito 3.
La dimostrazione non richiede che un sommario richiamo ad alcuni generalissimi concetti giuridici.
Le norme, come noto, riconnettono a determinati fatti determinati effetti giuridici: al verificarsi, al compiersi, del fatto indicato dalla norma, si produce anche il correlato effetto giuridico; viene così ad essere integrata quella che comunemente viene denominata come fattispecie costitutiva di un diritto o di un obbligo giuridico; ragionando in termini di diritti quesiti, il verificarsi compiutamente del presupposto fattuale del diritto, determina la maturazione, la formazione del diritto stesso (che si dice così quesito o acquisito).
Irrilevante è poi quando il diritto già maturato venga esercitato, ovvero quando l'effetto che giuridicamente si è già prodotto trovi esecuzione sul piano fattuale e modifichi il mondo reale.
Nel caso specifico è noto che l'art. 15, entrato in vigore nel 2000, contiene il regime transitorio degli affidamenti e delle concessioni nel settore della distribuzione del gas: esso ha determinato l'anticipazione della scadenza ex lege dei contratti e, al comma 5 – quello che qui viene in rilievo – ha attribuito al gestore uscente, in corrispondenza della scadenza anticipata stabilita, un diritto al rimborso determinato sulla base di determinati criteri (contrattuali e, in via suppletiva/integrativa, legali, derivanti dal riferimento al R.D. n. 2578/1925).
E' evidente, quindi, che la fattispecie costitutiva del diritto si è perfezionata nel momento della scadenza anticipata ex lege. Ciò vale sia per i contenuti del diritto al rimborso che si fondano su clausole contrattuali, sia per i contenuti di tale diritto che si fondano sui criteri suppletivi/integrativi di fonte legale. Il principio dell'integrazione legale dei contratti (cfr. art. 1378 c.c.) impone di non distinguere tra le due tipologie di contenuto.
Gli accordi che le parti abbiano concluso per dare attuazione all'art. 15, comma 5, appartengono al novero dei comportamenti esecutivi, ma non integrano la fattispecie giuridica, che era già compiuta al momento della scadenza. Lo stesso deve dirsi, a maggior ragione, per lo svolgimento di contenziosi finalizzati, per l'appunto, all'accertamento del contenuto di un diritto già formato e all'ottenimento di un titolo esecutivo ai fini del pagamento (condanna).
Poichè il periodo transitorio si è ormai esaurito – eccettuate soltanto le concessioni interessate da finanziamenti relativi al programma di metanizzazione del Mezzogiorno ex l. n. 784/1980 e l. n. 266/1997 –, la norma in esame incide, dunque, su effetti giuridici già prodottisi e su diritti già maturati nell'ambito di rapporti ormai esauriti ex lege. Residua solo la gestione in prorogatio, limitatamente all'ordinaria amministrazione, sino alla nomina dei nuovi gestori, in esito alle prossime gare d'ambito.
Viene, pertanto, in rilievo, indubbiamente, una norma retroattiva di carattere innovativo, in quanto sostituisce radicalmente il criterio in base al quale si è sostanziato il contenuto di un diritto già acquisito (alla scadenza) dal distributore uscente.
Come è noto, il principio di irretroattività della legge, pur non avendo rango costituzionale al di fuori della materia penale, costituisce principio generale dell'ordinamento (ex art. 11, disp. prel. c.c.).
La costante giurisprudenza costituzionale consente al Legislatore di derogarvi solo se trovi adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza (cfr. art. 3, comma 1, Cost.) e non contrasti con altri valori e interessi costituzionalmente protetti 4.
La legge retroattiva, quindi, è soggetta ad un più rigoroso sindacato di ragionevolezza e ad un bilanciamento tra l'interesse che detta legge intende tutelare e gli interessi costituzionalmente protetti.
Non pare che il dispositivo in esame possa passare indenne dal sindacato di ragionevolezza.
Ciò per molteplici ragioni a cui qui di seguito si accenna.
L'art. 15, comma 5, nel suo testo originario, aveva già provveduto ad una soluzione di bilanciamento tra l'interesse pubblico ad aprire il settore della distribuzione gas alla concorrenza e le posizioni giuridiche dei concessionari fondate sui contratti in corso di esecuzione: a fronte dell'anticipazione ex lege delle durate contrattuali, veniva garantito ai gestori un diritto di rimborso certo fondato sugli stessi contratti – quando esistenti – e, in mancanza, ricorrendo al criterio più diffuso e di maggior garanzia nel settore, ovvero quello della stima industriale ex art. 24, R.D. n. 2578/1925.
Se pure è consentito al Legislatore di intervenire su rapporti contrattuali in corso di svolgimento incidendo – purchè in modo ragionevole – sull'assetto di interessi che le parti hanno deciso, non appare, invece, compatibile con il principio di ragionevolezza intervenire una seconda volta sui medesimi rapporti, quando questi si sono ormai esauriti, per alterare retroattivamente un assetto che è già frutto di un intervento d'imperio della legge e non già della sola autonomia negoziale.
Un tale intervento sembrerebbe già di per sé incompatibile, oltre che con il principio di ragionevolezza (art. 3, comma 1, Cost.), con il diritto costituzionale di iniziativa economica (art. 41 Cost.), che ha come corollari la garanzia giuridica dei contratti, nonché i principi della certezza del diritto e della tutela legittimo affidamento, tutti valori protetti anche dall'ordinamento comunitario 5.
Nel caso specifico, poi, difettano la coerenza e la proporzionalità delle misure individuate rispetto agli obiettivi, nonché si riscontrano significativi profili di disparità di trattamento.
La ratio legis si evince dalla Relazione illustrativa del Governo sul Decreto “Destinazione Italia”.
Prendendo atto dell'elevato differenziale tra V.I.R e R.A.B. e del conseguente aumento in prospettiva delle tariffe a carico degli utenti, “...con la norma si provvede ad allineare il valore del VIR a quello della RAB, che è il valore che è preso a riferimento dall'Autorità per l'energia elettrica e il gas per la determinazione delle tariffe di distribuzione” 6.
Ma allineare il V.I.R. alla R.A.B. è impossibile se non neutralizzando completamente i contratti e i criteri di valorizzazione dei rimborsi ivi contemplati.
Criteri che fa salvi – almeno nella sua prima parte – la stessa norma introdotta dal Governo.
Sotto questo profilo, la norma appare, allora, contraddittoria, oltre che inefficace e velleitaria rispetto all'obiettivo dichiarato.
Rimangono, infatti, fuori dal suo ambito di applicazione tutte le fattispecie nelle quali i contratti contengano una qualche disciplina, anche incompleta, in merito alla quantificazione del rimborso; disciplina che è sempre necessariamente alternativa al criterio della R.A.B, neppure immaginabile alla momento della stipulazione dei contratti.
I casi interessati dalla nuova disposizione sono quindi residuali.
La circostanza, poi, che si tratti di una disposizione retroattiva incidente su rapporti esauriti ne imporrebbe, comunque, una interpretazione ulteriormente restrittiva.
La ragionevolezza della misura, quindi, manca sul piano della coerenza e della proporzionalità.
Ciò non di meno, nei casi in cui essa troverebbe applicazione, si apprezzerebbe una evidente disparità di trattamento: infatti, anche laddove il criterio di commisurazione del rimborso sia integralmente fondato sul solo art. 15, comma 5 (in mancanza di disciplina contrattuale), il gestore ha ugualmente maturato un diritto quesito alla scadenza del rapporto; non rileva, infatti, sul piano della tutela, la circostanza che tale diritto sia fondato su clausole originarie del contratto o su clausole integrate ex lege (entrambe costituiscono, ad uguale titolo, il contenuto del contratto ex art. 1378 c.c.).
Non si dimentichi, poi, che la scelta di individuare, quale criterio integrativo, quello della stima industriale fu fatta a suo tempo prendendo atto che si trattava del criterio contrattualmente più diffuso e tenendo presente l'esigenza di uniformare, tendenzialmente, le “condizioni di partenza” delle imprese che dovevano affacciarsi nel nuovo mercato delle gare di settore (essendo l'onere del rimborso oggetto del bando di gara). In particolare, vengono in rilievo quelle imprese nate dalla trasformazione di gestioni pubbliche (in economia o mezzo di azienda speciali). In tali casi la frequente mancanza di discipline negoziali relative alla scadenza del rapporto si spiegava con un impostazione di tipo pubblicistico, e assai poco “contrattuale”, di queste soluzioni gestionali, che venivano tendenzialmente pensate sine die. Nel momento in cui il d.lgs n. 164/2000 poneva anche queste realtà nell'ottica del mercato e della competizione con i concessionari privati, si comprende la scelta del Legislatore di uniformare, laddove i contratti non disponevano (e salve, invece, naturalmente, le oggettive differenziazioni contrattuali, ove esistenti), la valorizzazione degli asset realizzati da operatori pubblici e privati (esclusi, beninteso, i beni già appartenenti ai Comuni e conferiti alle società partecipate affidatarie del servizio).
Per quanto concerne, poi, il precetto relativo alla detrazione “in ogni caso” dei contributi privati, esso sembra pensato al fine di incidere anche su espresse pattuizioni negoziali. Il che rende opportune ulteriori considerazioni.
La nettezza di tale disposizione è davvero sorprendente, in quanto sembra ignorare non solo i contratti, ma soprattutto la complessità dell'argomento “contributi privati” (generalmente finalizzati agli allacciamenti d'utenza) e il diritto vigente – di recente formazione – che lo riguarda.
Vanno allora ricordati gli interventi normativi effettuati nel 2011:
• da un lato il d.lgs. n. 93/2011 ha introdotto a regime, per i nuovi affidamenti, la regola della detrazione dal rimborso dei contributi privati relativi ai cespiti di località (cfr. il testo novellato dell'art. 14, comma 8, d.lgs. n. 164/2000);
• dall'altro lato, per quanto riguarda i rapporti scaduti nell'ambito del regime transitorio, il D.M. n. 226/2011 (art. 5, comma 12) ha previsto espressamente la detrazione dei soli contributi pubblici, valorizzando l'interpretazione più letterale dell'art. 24, comma 4, lett. b) R.D. n. 2578/1925 (“anticipazioni e sussidi dati dai Comuni...”).
La stessa disposizione (art. 24, comma 3, d.lgs. n. 93/2011) che ha previsto il confluire in tariffa del delta V.I.R. / R.A.B. ha stabilito che, a tali fini, andasse preso in considerazione “il valore di rimborso come determinato ai sensi del decreto di cui all'art. 46 bis, comma 1...”, ovvero il decreto sui criteri di gara, costituito dal D.M. n. 226/2011, il quale, come si è visto, ha normato la materia specificando le modalità di applicazione del criterio della stima industriale nel senso della non deducibilità dei contributi privati.
Anche qui, come si può notare, la nuova misura altera un assetto normativamente già definito e le posizioni giuridiche che, correlativamente, si sono formate.
Vi è da chiedersi poi, ove questa disposizione venisse confermata, che ne sarebbe degli accordi conclusi tra distributori ed Enti locali che sono incompatibili con la disposizione medesima, ovvero di quelle pronunce giudiziali ed arbitrali, non ancora definitive, che statuiscono su questo profilo. Il testo all'esame del Parlamento non contiene alcuna clausola di salvaguardia. Al contrario, come anticipato, il dato testuale (“in ogni caso”) è allarmante perchè rivela che l'intento è nel senso della più ampia applicazione (nonostante la retroattività).
Inutile nascondere che si aprirebbero complesse querelle giuridiche, con buona pace della certezza del diritto e delle esigenze di celerità connesse all'attivazione della nuove gare d'ambito (già in notevole ritardo).
Valutazioni dell'AEEG e prospettive.
In questo quadro appare sorprendente che l'Autorità per l'Energia Elettrica e il Gas si sia espressa, nelle sedi istituzionali, sostanzialmente a favore della disposizione varata dal Governo 7.
Sulla parte relativa ai contributi il parere dell'AEEG è addirittura integralmente favorevole e senza riserve.
Per la parte relativa all'assimilazione tra V.I.R e R.A.B, nella memoria dell'Autorità vengono evidenziate incertezze applicative, ma non si rinvengono rilievi critici sulla scelta di fondo.
Si ricorda che il Regolatore, nel DCO 56/2013, in sede di predisposizione della disciplina tariffaria per il quarto periodo regolatorio, aveva ipotizzato il riconoscimento tariffario integrale del valore di rimborso convenuto tra Ente locale e gestore (in caso di sostituzione del gestore all'esito della gara d'ambito) 8.
Appare evidente che tale ipotesi – che peraltro pare difficilmente compatibile con l'art. 24, comma 3, d.lgs. n. 93/2011, nel disposto in vigore, che esclude il riconoscimento della componente di remunerazione del capitale – ha posto in primo piano le conseguenze tariffarie del marcato disallineamento V.I.R. / R.A.B.
Il problema, tuttavia, non si risolve, ad avviso di chi scrive, assimilando entità che non sono assimilabili. Si tratta di una “scorciatoia” concettualmente e giuridicamente impercorribile.
Anzichè intervenire d'imperio e a posteriori sulle condizioni alla scadenza di rapporti già esauriti e compiutamente definiti ex contractu e ex lege, sarebbe più logico, ove possibile, intervenire con idonei meccanismi incentivanti/disincentivanti per responsabilizzare le parti che negoziano i valori di rimborso 9.
Ciò che, in realtà, va corretto è probabilmente la scelta legislativa (cfr. art. 24, comma 3, d.lgs. n. 93/2013) con la quale si è stabilito che il sistema tariffario sia chiamato semplicemente a recepire – senza alcun efficace filtro o vincolo oggettivo – il risultato di una libera negoziazione tra le parti con possibili incontrollati incrementi tariffari.
Ma per correggere questa distorsione non si può pretendere di negare l'autonomia negoziale e i suoi specifici fondamenti contrattuali e legali.
E' difficile pensare che non sia possibile trovare soluzioni migliori, considerato anche il congruo numero dei soggetti coinvolti (Comuni, gestori entranti e gestori uscenti, oltre agli utenti) su cui l'onere differenziale in questione potrebbe essere utilmente e ragionevolmente ripartito, incentivando possibilmente, al contempo, comportamenti “virtuosi” e pro-concorrenziali.
Se la priorità – comprensibilmente dichiarata dall'AEEG in sede di audizione – è quella di accelerare le nuove gare d'ambito, non è difficile prevedere che una disposizione del genere, aggravando criticità e incertezze, avrebbe esattamente l'effetto contrario. Prioritario è allora che non veda la luce. Si è ancora in tempo, espungendo questa infelice scelta normativa dalla legge di conversione.
Note
1) Cfr. Deliberazione ARG/gas n. 159/08 e ss.mm.ii.
2) Cfr. memoria 9 gennaio 2014 prodotta nell'ambito dell'audizione tenuta davanti alla 6° e alla 10° Commissione della Camera dei Deputati.
3) Cfr., per un utile compendio sul tema, M.A. LIVI “Il principio di irretroattività della legge nel diritto dei contratti”, in Giurisprudenza Costituzionale e fonti del Diritto”, a cura di N. LIPARI (Edizioni scientifiche italiane, 2006).
4) Cfr., tra le altre, Corte Cost. nn. 390/1995, 573/1990, 822/1988 e 349/1985.
5) Cfr., per es., Corte di Giustizia CE, sentenze 17.7.2008, C-347/06, 13.3.2008, C-383/06, 384/06 e 385/06; 9.10.2001, C-80/99, 81/99 e 82/99; 21.9.1983 C-205/82 e 215/82; 27.9.1979, C-230/78). In particolare – ha statuito la Corte – “il principio della certezza del diritto esige, segnatamente, che le norme giuridiche siano chiare, precise e prevedibili nei loro effetti, in particolare qualora esse possano comportare conseguenze sfavorevoli in capo ai singoli e alle imprese” (Corte di Giustizia CE, sentenza 7 giugno 2005, causa C-17/03).
6) Cfr. Relazione illustrativa del decreto legge “Destinazione Italia” presentata dal Governo alla Camera dei Deputati nell'ambito del disegno di legge di conversione n. 1920 AC.
7) Cfr. memoria 9 gennaio 2014 prodotta nell'ambito dell'audizione tenuta davanti alla 6° e alla 10° Commissione della Camera dei Deputati.
8) Nella recente Deliberazione 12 dicembre 2013 n. 573/2013/R/Gas, recante la regolazione tariffaria per il periodo di regolazione 2014-2019, si è sospesa ogni determinazione al riguardo, rimandando ai provvedimenti che dovrebbero essere assunti entro il 31.3.2014.
9) Si tratterebbe di valutare meccanismi che non incidano retrospettivamente sui rapporti Enti locali/gestori (ormai esauriti e compiutamente regolati), materia che non è più nella disponibilità del Legislatore e, a maggiore ragione del Regolatore, ma che interessino, piuttosto, la regolazione tariffaria e la disciplina delle nuove gare d'ambito (il presente e il futuro, non il passato). |