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La responsabilità amministrativa degli amministratori di società a partecipazione pubblico locale e degli amministratori e dipendenti di enti pubblici economici.
Nota a sentenze della Corte di Cassazione , ss.uu., n. 19667/22.12.2003 e Corte di Cassazione, ss.uu., n. 3899/26.02.2004.
di Adriana Caroselli 27 aprile 2004
Materia: enti pubblici / amministratori

La responsabilità amministrativa degli amministratori di società a partecipazione pubblico locale e degli amministratori e dipendenti di enti pubblici economici

 

Nota a sentenze della Corte di Cassazione , ss.uu., n. 19667/22.12.2003 e Corte di Cassazione, ss.uu., n. 3899/26.02.2004.

 

Con due interessanti pronunce la Corte di cassazione, a sezione unite, interviene di recente sul regime giuridico degli amministratori e dipendenti di enti pubblici economici e di società a partecipazione pubblico locale per affermare, in entrambi i casi, la devoluzione alla giurisdizione della Corte dei conti dei relativi giudizi di responsabilità amministrativa.

Le sentenze assumono un importante valore esegetico, e ciò non solo per gli inevitabili risvolti applicativi connessi, ma anche perché, testimoniando un nuovo punto di approdo del giudice di legittimità in materia, costituiscono un’occasione per riflettere anche su aspetti inerenti la normativa in tema di gestione di servizi pubblici locali, più volte oggetto di modifiche legislative nel corso del 2003.

Con la sentenza  n.19667 del 22.12.2003 la Suprema Corte ripercorre le tappe di un iter giurisprudenziale che, nel corso di un quarantennio, ha condotto il giudice ad adottare una lettura sempre meno formalistica della realtà nazionale, all’interno della quale si è assistito - e si assiste tuttora - ad una sorta di osmosi tra diritto pubblico e diritto privato e ad un progressivo avvicinamento dei processi interni alle amministrazioni pubbliche ai meccanismi e strumenti di derivazione civilistica.

L’evoluzione normativa e la stessa prassi hanno infatti visto diffondersi rapidamente tra le amministrazioni pubbliche moduli gestionali mutuati dal diritto comune per lo svolgimento, oltre che di servizi pubblici, di attività amministrative, mentre, in particolare a seguito dell’approvazione della L. 241/90, meccanismi di derivazione civilistica e moduli convenzionali sono divenuti strumenti di azione ed esercizio di funzioni amministrative, al pari dei provvedimenti.

Nella pronuncia citata la riflessione della Corte prende le mosse dalla sentenza 363/69, con cui le sezioni unite riconobbero la giurisdizione della Corte dei conti in materia di responsabilità di amministratori e dipendenti di enti pubblici non economici quale espressione della portata precettiva dell’art.103 Cost., nel caso in cui, in concreto, si accerti la presenza di due elementi significativi e qualificanti la stessa nozione della contabilità pubblica:  l’uno attinente la natura pubblica dell’ente cui il soggetto agente risulta legato, l’altro la qualificazione pubblica del denaro o del bene utilizzato.

Pur ribadendo tale orientamento, con successiva sentenza (Cass. 1282/82)  la Corte riconobbe però come mal si adattasse alla natura, agli scopi e al modus operandi degli enti pubblici economici il rigore del controllo della contabilità pubblica, atteso che questi agiscono di regola tramite strumenti di diritto privato per lo svolgimento di attività di rilevanza economica.

Ne consegue, osservava la Corte, che deve escludersi la giurisdizione del giudice contabile per tutte quelle ipotesi di danno che conseguono all’esercizio, da parte di amministratori e dipendenti, di attività di carattere imprenditoriale, dovendosi restringere tale controllo alle ipotesi in cui tali enti, al pari di altre amministrazioni, esercitino, seppure per lo più tramite moduli convenzionali,  un’attività amministrativa.

Ora però l’evoluzione e l’ampliamento della nozione di pubblica amministrazione, sia in termini soggettivo-organizzativi, che operativo-funzionali, evidenziata dalla stessa giurisprudenza della Corte costituzionale, inducono il giudice ad un nuovo approccio interpretativo in materia di competenza giurisdizionale sulla responsabilità amministrativa, al fine di evitare che si sottraggano al controllo del giudice contabile ipotesi nuove di gestione del patrimonio pubblico e quindi che ne risulti maggiormente difficoltosa la relativa tutela.

Osserva in proposito la Corte che “il processo di privatizzazione dell’amministrazione pubblica non ha comportato una corrispondente normativa riduzione della sfera di competenza giurisdizionale della Corte dei conti…..al contrario, è stata attuata, dalle leggi degli anni ’90 in poi, un’espansione di tale sfera”.

In sostanza si afferma come il diversificarsi ed ampliarsi dei moduli gestori del patrimonio pubblico abbiano prodotto un fenomeno espansivo della giurisdizione del giudice contabile, il cui potere va riconosciuto ogni qual volta si sia verificata una lesione a beni e risorse pubbliche ed il danneggiante risulti legato ad un ente che, al di là della forma organizzativa assunta, possa definirsi pubblico.

Ne consegue che, in materia di responsabilità amministrativa, la giurisdizione della Corte dei conti, rispetto al giudice ordinario, non si distingue tanto per il meccanismo interno di attribuzione della responsabilità – dovendosi in entrambi i casi far riferimento agli elementi costitutivi della responsabilità extra-contrattuale, di cui all’art.2043 c.c.- , quanto per la qualità, la natura pubblica dell’ente leso e la derivazione pubblica delle risorse o dei beni di cui il soggetto si sia avvalso.

Lo scopo della L. 20/94 deve infatti identificarsi con la tutela del patrimonio pubblico e quindi, in ultimo,degli interessi della collettività.

Una volta accertati tali elementi, conclude la Corte nella sentenza 19667/03, non può più accogliersi il precedente orientamento in base al quale occorreva distinguere, ai fini dell’individuazione della giurisdizione, le ipotesi in cui gli atti posti in essere dal soggetto abbiano violato norme di diritto pubblico o norme di diritto privato - indagine tutt’al più rilevante ai fini dell’individuazione dei limiti interni di giurisdizione – in quanto si tratta comunque di materia di contabilità pubblica, la cui cognizione risulta devoluta alla Corte dei conti ex art.103 Costituzione.

Si sarebbe tentati di sostenere che la Corte, con una sorta di analogia argomentativa con la nota sentenza 500/99, anche in tale occasione - e in tutt’altra questione- abbia voluto seguire un approccio sostanziale alla realtà ed incentrare quindi sull’evento dannoso il punto nodale, l’elemento discriminante la giurisdizione.

“E’ dunque l’evento verificatosi in danno dell’amministrazione pubblica il dato essenziale dal quale scaturisce la giurisdizione contabile, e non, o non più, il quadro di riferimento (di diritto privato o pubblico), nel quale si colloca la condotta produttiva del danno stesso”.

Nel richiamare poi l’orientamento delle sezioni penali, a parere delle quali il mutamento della forma organizzativa dell’ente pubblico e, finanche la sua trasformazione in una forma organizzativa di diritto privato, non ne minano la natura pubblica (confermando la natura di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio dei relativi dipendenti), la Corte conclude osservando come l’evoluzione normativa abbia, parallelamente a quanto avvenuto per la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, individuato un’altra ipotesi di giurisdizione per materia e quindi assegnato alla Corte dei conti il “blocco” dei giudizi di responsabilità amministrativa di amministratori e dipendenti pubblici a danno delle amministrazioni di appartenenza, così come di amministrazioni o enti pubblici terzi.

La sentenza pare però lasciare quasi a margine - presumibilmente in funzione della risoluzione del caso sottoposto ad esame - un aspetto determinante ai fini dell’individuazione della giurisdizione, vale a  dire, cosa s’intenda poi effettivamente per  ente pubblico.

Il giudice richiama in proposito le osservazioni del procuratore regionale, secondo il quale la progressiva diffusione di forme organizzative diverse per l’esercizio di funzioni, così come per la gestione di servizi, concentra ormai sull’aspetto finalistico l’elemento discriminante la pubblicità dell’ente, di tal che questo acquista natura pubblica se pubblico è il fine perseguito.

Anche il legislatore comunitario – si legge -, nel definire la nozione di organismo di diritto pubblico, prescinde dalla forma giuridica adottata “ per fondarsi invece sul duplice dato sostanziale del soddisfacimento di bisogni d’interesse generale non avente carattere industriale o commerciale, nonché sull’influenza dominante, diretta o indiretta, da parte delle pubbliche autorità”.

La Corte sembra voler condividere quindi la posizione del procuratore generale e, nel richiamare la giurisprudenza della Corte costituzionale, a mente della quale il mutamento della veste giuridica di un ente non è sufficiente a sottrarre lo stesso al controllo della Corte dei conti (posto che la ragione di questo è destinata a venir meno solo nel caso in cui si verifichi  “ l’uscita della società dalla sfera della finanza pubblica” -) sembra in qualche modo voler concentrare – pur non abbracciandone sino in fondo i tratti qualificanti – sulla nozione di organismo di diritto pubblico il concetto stesso di ente pubblico.

Il percorso argomentativo è ripreso e chiarito nella successiva sentenza n.3899 del 26/02/2004, con la quale la Corte giunge a riconoscere la giurisdizione della Corte dei conti anche per i giudizi di responsabilità nei confronti di amministratori e dipendenti di società a partecipazione pubblico locale per danni cagionati al patrimonio della società e quindi all’ente locale socio, nel caso di specie pressoché totalitario.

Il giudizio verte sul reclamo della giurisdizione contabile da parte del procuratore regionale della Corte dei conti per le ipotesi di responsabilità di amministratori e dipendenti a danno di una società di diritto privato, costituita dal Comune di Milano prima della L.142/90, per la gestione di attività connesse al servizio pubblico di mercati ortofrutticoli.

In proposito i resistenti eccepiscono che la società non possa definirsi organismo di diritto pubblico, ma semplice persona giuridica privata o tutt’al più ente pubblico economico, avendo peraltro il Comune rinunciato alla gestione del servizio.

La Corte, pur richiamando le motivazioni della sentenza in commento, ritiene nel caso di far uso dei tradizionali criteri ermeneutici.

In primo luogo, essa afferma allora la natura di servizio pubblico dell’attività di gestione dei mercati all’ingrosso, ex L.125/95, natura non destinata a mutare a seguito dell’avvenuta liberalizzazione del settore, dovendo le delibere comunali richiamate dai resistenti interpretarsi come rinuncia del Comune di gestire direttamente l’attività, avvalendosi allo scopo di un soggetto terzo, seppur partecipato quasi totalmente dall’ente.

Individuata quindi la natura di servizio pubblico dell’attività esercitata, attività definita d’interesse generale (seppure tralasciando poi di verificare, in analogia con il giudice comunitario, se la stessa assuma o meno carattere industriale/commerciale), la Corte osserva come, pur volendosi escludere nel caso di specie una situazione di compenetrazione organica tra società ed ente locale, non possa escludersi come tra essi sussista però un rapporto di servizio, rapporto che implica, per costante giurisprudenza, l’assoggettamento della società alla giurisdizione della Corte dei conti; e ciò a prescindere dalla forma organizzativa assunta e dalla natura privata del modulo su cui si basa detto rapporto.

L’accertato inserimento dell’attività svolta dalla società nell’iter procedimentale dell’ente locale rende infatti la stessa compartecipe dell’attività e quindi dei fini pubblici perseguiti dal Comune, realizzando – si potrebbe dedurre – quei caratteri di pubblicità richiesti (unitamente alla derivazione delle risorse e dei beni utilizzati dall’agente) ai fini della qualificazione della materia in termini di contabilità pubblica, requisiti che andrebbero quindi desunti, non più dalla forma assunta, quanto dal fine perseguito.

Stante quanto sopra viene allora da chiedersi se debbano ritenersi assoggettate alla giurisdizione del giudice contabile entrambe le ipotesi societarie a partecipazione locale previste dall’attuale V comma, lett.b) e c), dell’art.113 D.Lgs.267/2000, vale a dire la società mista e la cd. società in house providing.

I dubbi attengono in particolare alla società mista, atteso che per la società a partecipazione pubblico totale la sentenza in commento non lascia spazio a difficoltà interpretative.

Quanto alla società mista, - come sovra evidenziato - si sarebbe  tentati di individuare la soluzione rapportando gli elementi qualificanti la pubblicità dell’ente (rilevante ai fini dell’individuazione della materia della contabilità pubblica a sensi dell’art.103 Cost.) ai requisiti costitutivi della nozione comunitaria di organismo di diritto pubblico.

In tal caso, aderendo alle argomentazioni della Corte e quindi dando per assunto l’equiparazione elemento finalistico / servizi pubblici locali disciplinati dall’art.113 TUEL, il problema sembrerebbe ridursi alla verifica nel concreto del requisito dell’influenza dominante, influenza che, seguendo le previsioni comunitarie, potrebbe attenere la gestione dell’ente o la soggezione dello stesso al controllo di altro organismo di diritto pubblico, o, infine, il patrimonio coinvolto.

Ne deriverebbe che l’assunzione da parte del privato di una partecipazione di maggioranza e la conseguente assunzione da parte del Comune dei normali poteri di socio minoritario, comportando il venir meno del requisito dell’influenza dominante, dovendo sottrarre la società dal novero degli organismi di diritto pubblico, escluderebbero la stessa dalla giurisdizione della Corte dei conti, di tale che i giudizi di responsabilità amministrativa di amministratori e dipendenti risulterebbero assoggettati alla giurisdizione del giudice ordinario.

Ma tale ricostruzione è fedele alle posizioni assunte della cassazione?

Dalla lettura delle due sentenze in commento sembra infatti potersi cogliere un atteggiamento più estensivo del giudice di legittimità.

In entrambe le pronunce viene infatti ribadita l’irrilevanza della veste giuridica assunta dall’ente ai fini dell’individuazione della giurisdizione, mentre sembra individuarsi nell’elemento finalistico, nella partecipazione all’attività amministrativa ed ai fini  di una pubblica autorità, la natura pubblica dello stesso, in analogia, peraltro, con la posizione assunta dalla suprema Corte relativamente alla figura del concessionario (cfr. Cass.ss.uu., 862/07.12.1999).

Viene allora da chiedersi se anche una partecipazione societaria di minoranza da parte dell’ente locale, ma all’interno di una società investita della gestione di un servizio pubblico, e quindi destinataria, seppure sulla base di un modulo convenzionale, di prerogative e poteri facenti capo a questo, non comporti,  in analogia alla figura del concessionario e seguendo le riflessioni della Corte di cassazione, la devoluzione alla giurisdizione della Corte dei conti dei relativi giudizi di responsabilità amministrativa di amministratori e dipendenti.

Sentenza: Corte di Cassazione, SS.UU., 22/12/2003 n. 19667
Sulla devoluzione alla giurisdizione della Corte dei conti dei giudizi di responsabilità amministrativa per fatti commessi dagli amministratori e dipendenti di enti pubblici economici in danno di soggetti diversi da amministrazioni od enti pubblici.

Corte di Cassazione, SS.UU., 26/2/2004 n. 3899
Sulla devoluzione alla giurisdizione della Corte dei conti del giudizio di responsabilità nei riguardi degli amministratori delle s.p.a. miste per i danni erariali cagionati al patrimonio dell'ente pubblico locale.

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