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Manifesto per una riforma di sistema delle società a partecipazione pubblica
Contributo al dibattito
Alceste Santuari
Docente di Diritto dell’economia nell’Università di Bologna – Sede di Forlì Già Presidente di AMR (Azienda Speciale Multiservizi Rovereto - TN) e di Fin.Dolomiti Energia srl (holding pubblica del gruppo Dolomiti Energia Spa) Presidente dell’Organismo di Vigilanza Ames SPA (Venezia) @ alceste.santuari@unibo.it
Il Manifesto per una riforma di sistema delle società a partecipazione pubblica, elaborato dai proff. Maltoni, Goisis, Antonioli e Perfetti, ha il pregio, tra l’altro, di evidenziare il ruolo peculiare delle società c.d. “in house providing”, rivendicando per le medesime un “trattamento” speciale. Si tratta di una proposta condivisibile, in specie alla luce delle funzioni e delle responsabilità, dei ruoli e delle dinamiche che collegano e legano le società in house ai soci enti locali territoriali.
Gli enti territoriali, istituzioni al top delle classifiche di gradimento dei cittadini, nell’ambito delle competenze ad essi attribuite, perseguono finalità sociali ed il soddisfacimento dei bisogni della comunità di riferimento. Finalità e bisogni che, nel corso degli anni, hanno subito notevoli mutamenti in ordine alle modalità e alle organizzazioni impiegate per realizzare quelle finalità.
E, infatti, la gestione e l’organizzazione dei servizi pubblici sono state oggetto di numerose modifiche legislative ed interventi regolatori, spesso incoerenti e contraddittori, che non hanno certo contribuito a rendere l’azione e gli interventi degli enti locali più semplice. Anzi, la P.A. si è trovata ad affrontare scadenze ed adempimenti che, quando iniziati, potevano essere superati dalla norma che, nel frattempo approvata, abrogava quanto già avviato.
In questa condizione di scarsa chiarezza e di confusione giuridico-istituzionale, gli enti locali hanno comunque assunto un nuovo orientamento nella gestione degli interventi a rilevanza collettiva. Invero, si è assistito al passaggio da un modello di "government", impostato sul tradizionale schema di funzionamento dell'autorità pubblica e sulla produzione diretta di beni e servizi ad un modello di "governance", secondo il quale l'ente locale interviene in un sistema di relazioni e di azioni.
Si tratta di un passaggio “culturale” ed istituzionale che, conseguentemente, implica che il governo della comunità non si realizzi più, esclusivamente, tramite la struttura organizzativa dell'ente locale, ma si sviluppi attraverso l'attività di enti, associazioni, società partecipate, aziende speciali ed altre strutture pubbliche e private che rientrano nel “perimetro” di competenza dell’ente locale.
Agli enti locali, secondo questa prospettiva, viene pertanto affidata la regia dei servizi che interessano le comunità locali e il coordinamento dei vari attori “preposti” all’erogazione e organizzazione di quei servizi, affinché la loro azione sia indirizzata verso il raggiungimento del benessere collettivo, in una logica tendenzialmente unitaria. Regia che, tuttavia, necessita di essere collocata nella sua naturale cornice, segnatamente, identificando finanche l’intervento “diretto” attraverso le società “in house”, organismi di delegazione interorganica che l’ente locale ritiene, date le condizioni istituzionali e territoriali, essere lo strumento più adeguato ed efficace per conseguire le finalità istituzionali. Come è noto, si tratta di formule giuridico-organizzative strumentali, che permettono agli enti territoriali di esercitare un controllo analogo a quello che debbono realizzare per le attività e i servizi gestiti attraverso il proprio apparato burocratico-amministrativo, così come stabilito dalla disciplina comunitaria (da ultimo, cfr. Corte dei Conti, sezione regionale di controllo per la Lombardia, delibera del 22 gennaio 2015, n. 15). Disciplina che – è bene ribadirlo – non censura affatto l’utilizzo delle società in house né tantomeno le rende un modello “residuale” ovvero “eccezionale” rispetto alle ordinarie modalità di affidamento dei servizi. L’Unione europea si preoccupa che il modello dell’in house providing conservi quelle caratteristiche e condizioni che rendono il modello medesimo “al servizio diretto” degli enti locali partecipanti/controllanti. Ecco allora perché è necessario, da un lato, che gli enti locali sappiano motivare adeguatamente il ricorso a tale forma di gestione dei servizi di interesse generale e, dall’altro, che il legislatore nazionale sappia riconoscere le specificità di questo modello gestorio, come correttamente gli estensori del manifesto hanno evidenziato.
In particolare, è necessario e anche opportuno per quanti sono chiamati a rivestire ruoli di responsabilità all’interno delle società in house, che la disciplina normativa specifichi e delimiti il regime delle responsabilità interne. Al riguardo, preme evidenziare che un passo in questa direzione é stato compiuto con l’adozione del modello 231 che, a seguito delle disposizioni in materia di anticorruzione contenute nella l. 190/2012, è in grado di approntare un adeguato sistema protettivo e di tutela per la società, per l’ente locale proprietario e per gli stakeholders territoriali. Le società partecipate e a fortiori le società in house sono dunque chiamate a:
1. implementare il modello organizzativo ex d.lgs. n. 231/2001, estendendone l'ambito applicativo anche ai reati contro la P.A. previsti dall’articolo 1, commi 75- 76, l. n. 190/2012, curando altresì gli adempimenti di comunicazione all'Ente socio e di pubblicazione sul sito web;
2. integrare le competenze dell'organismo di vigilanza con la presenza del responsabile anticorruzione, ex articolo 1, comma 7, l. n. 190/2012.
In ultima analisi, dunque, le società in house, forma giuridico-organizzativa a disposizione non in via eccezionale ma ordinaria per la gestione dei servizi di pubblico interesse, deve comunque contemplare una serie di “garanzie”, tra le quali spicca il controllo analogo, che gli enti locali devono impegnarsi a far rispettare. Per poter mutare la configurazione giuridica delle società in house si potrà agire sulla legge di recepimento della Direttiva 2014/23/UE. Si ricorda al riguardo che quest’ultima stabilisce che è legittimo l’affidamento in house anche in presenza di capitali privati, i quali, tuttavia, non possono né incidere né influenzare sulla gestione e amministrazione “pubblica” della società. Potrebbe essere quella una sede ed una opportunità per rendere effettive alcune delle proposte contenute nel Manifesto. |